mercoledì 1 febbraio 2012
Togliamoci dalle frontiere siriane subito. Ora!
Sergei Lavrov, ministro degli Esteri russo, è stato chiaro: Mosca non appoggerà alcuna risoluzione Onu nella quale si chieda al presidente siriano Bashar al Assad di lasciare il potere. “Non consideriamo nostro compito il cambio di regimi”. “E poi” - ha chiesto retoricamente ad alcuni giornalisti che lo intervistavano - “se non lasciasse il potere che faremmo? Interveniamo con i caccia? Sganciamo bombe? No. Questa strada è già stata percorsa e noi non la faremo certo approvare contro la Siria dal Consiglio di sicurezza”. Tanto più che “tutti i rifornimenti militari russi alla Siria sono legittimi e proseguiranno”.
Il ministro russo si è anche negato ad un colloquio sulla questione siriana richiesto “con urgenza” dal segretario di Stato Usa Hillary Clinton.
Lavrov, che è in visita in Australia, si è reso indisponibile e ha dichiarato esplicitamente “inutile” discutere un argomento – ha precisato il ministro – che compete “all’ambasciatore russo presso le Nazioni Unite, che è lì (a Nuova York) per questo”…
La Siria non dovrà dunque fare i conti con la “polizia internazionale” a guida anglo-americana, così come vergognosamente accaduto con la Libia di Gheddafi. Damasco gode dell’amicizia russa ed è un alleato strategico dell’Iran, con forte influenza in Libano, già suo territorio nazionale fino alla spartizione anglo-francese del Vicino oriente ottomano (accordi Seyss-Picot del 1916) e la conseguente amputazione dei territori nazionali siriani (il Bilad ash Sham) in entità politico-confessionali separate: Giordania, Palestina e Libano. Fino ad allora Beirut, a poco più di 50 chilometri di Damasco, era il porto siriano per eccellenza. E fu proprio la Siria, indipendente dal 1946, a divenire la culla del nazionalismo socialista arabo laico (con Michel Aflaq e il suo Ba’ath, tuttora al potere) e della sua variante panaraba.
Un nazionalismo inviso all’Occidente atlantico. Anche in questo gennaio è un fatto come la Casa Bianca stia dirottando sugli Stati colonia - come l’Italya - il peso delle sue spese di occupazione e rapina militare delle materie prime altrui. Gli Usa “debbono” risparmiare 450 miliardi di dollari in un decennio. Imponendo al governo suddito Monti di dirottare risorse dal fondo per lo sviluppo al bilancio per la guerra. Per finanziare l’acquisto con 18 miliardi dei discussi cacciabombardieri F35. Da inviare dove? In Libano? Dove staziona il nostro contingente militare? Per combattere noi, per procura, una nuova guerra atlantica?
di Ugo Gaudenzi, www.rinascita.eu
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