mercoledì 30 gennaio 2008

30 Gennaio 1972 - 30 gennaio 2008. Tiochfaidh àr là.

Il 30 gennaio 1972 un plotone di paracadutisti inglesi del primo reggimento spara su una folla di pacifici manifestanti a Derry: sono 13 i morti e molti i feriti di quella domenica di sangue.  La manifestazione fu indetta per protestare contro la sostanziale mancanza di diritti civili, causata anche da pesantissime norme di polizia, come la reclusione preventiva senza termini temporali per il processo per chi era sospettato di essere un militante repubblicano.

Ogni anno questa data viene ricordata a Derry con una marcia di commemorazione alla quale, oltre a migliaia di irlandesi, partecipano rappresentanze da varie nazioni europee e da tutto il mondo. La strage, che viene ricordata come “Bloody Sunday”, non ha avuto colpevoli ufficiali, poiché fu premiata la tesi secondo la quale i militari avrebbero risposto al “fuoco dei dimostranti”, ma è invece acclarato che questi ultimi non erano armati. Ancora una volta nella travagliata storia Irlandese ci si trovò di  fronte ad una distorsione della realtà, atta a nascondere le tragiche responsabilità del paese di sua maestà durante l'occupazione irlandese. Lo stesso paese che è a tutt'oggi “esportatore di democrazia” alla ruota dei loro degni cugini d'oltreoceano.

La tragedia del “Bloody Sunday”, segnò un ulteriore punto di svolta nella tragica storia della questione irlandese, consegnò infatti molti giovani patrioti repubblicani ad una scelta drammatica quanto inevitabile: rispondere con le armi, come i loro padri prima di loro, a chi, con le armi, negava loro la libertà e cercava lo sradicamento dell'identità del loro popolo.



Trentasei anni fa morirono tredici innocenti e non furono né le prime né le ultime vittime dell'oppressione di sua maestà a spese del popolo irlandese, un popolo fiero, che con sangue e sudore lotta da decenni per la libertà nella propria terra, per le proprie tradizioni e per la propria cultura.



Di tempo ne è passato; oggi la situazione nell’Irlanda del Nord è apparentemente normalizzata. Dopo più di trentotto anni di occupazione militare, il 31 luglio 2007 è stato formalizzato il ritiro delle truppe militari britanniche nelle sei contee (Aontroim, Ard Mhacha, An Dún, Fear Manach, Tír Eoghain, Doire) ingiustamente occupate.



Ora, a seguito delle elezioni svoltesi l’8 marzo 2007, a Belfast si è instaurato un nuovo governo di coalizione, composto dagli ex-rivali Ian Paisley (Democratic Unionist Party, protestante), e Martin Mc Guinness (Sinn Fein, “Solo noi” in gaelico, cattolico ed ex-militante dell’ Irish Republican Army).

Ma, chi minimamente conosce la situazione NordIrlandese, sa bene che è una pacificazione di facciata, realizzata all'insegna di un falso e ipocrita buonismo foraggiato e incoraggiato da chi preme solo per il mantenimento dello status quo, alla faccia di chi, in anni di dura lotta, è passato attraverso ingiustizie sociali, repressione poliziesca, ingiusti processi e carcerazioni, fino al sacrificio della Vita.



Ma nelle Sei Contee e in tutta l'Irlanda c’è ancora chi brandisce con orgoglio il vessillo della propria identià, in fede a quello che da sempre fu il motto dell’ I.R.A, Tiochfaidh àr là, (in gaelico, il nostro giorno verrà!). E' il popolo irlandese, quello vero, quello puro, quello ribelle, che con una tenacia d’altri tempi ancora lotta per la propria terra, per la propria gente e per la propria autodeterminazione; quello che non si è scordato di chi, con il sangue, ha lottato per vedere l’isola verde una e unita, senza padroni stranieri: coloro che non hanno mai dimenticato il fulgido esempio di Bobby Sands, che dichiarò, poco prima della morte dopo 61 giorni di sciopero della fame nella prigione di Long Kesh: “Non mi è difficile morire, perché morirò per i miei amici”.

Fiduciosi che ancora oggi questi valori siano vivi e radicati, non possiamo che rimanere al loro fianco.



Comunità Militante Perugia

Associazione Culturale Tyr

sabato 26 gennaio 2008

Se ne vanno un pò d'immigrati, i primi che non vogliamo più.







La bandiera a stelle e strisce degli Stati Uniti non sventola piu sull'isola di Santo Stefano nell'arcipelago della Maddalena. Per 35 anni e' stata la sede della base d'appoggio per sottomarini a propulsione nucleare della Us Navy. La cerimonia, che sancisce la disattivazione della Naval Support Activity (Nsa), si e' svolta ieri mattina. La Maddalena e il nord Sardegna sono state dimora fissa di 2.600 persone: 1.500 militari, 100 impiegati civili americani e 1.000 familiari.



(Ansa)

venerdì 25 gennaio 2008

Noi non dimentichiamo i martiri palestinesi.



Pubblichiamo un altro interessante articolo dell'Associazione Culturale Zenit sulla questione delicata dei Palestinesi.









Chiunque abbia un sentimento identitario particolarmente sviluppato non può che sostenere le battaglie di quegli ultimi guerrieri che, a diverse latitudini e con caratteristiche culturali distinte, si battono fieramente per il raggiungimento del medesimo scopo ideale: la salvaguardia della propria specificità contro l’omologazione imperante nel mondo moderno. Spesso in condizioni disagiate, in situazioni di rapporto numerico col nemico assai sproporzionate, questi ultimi alfieri della Tradizione dei popoli preferiscono imbracciare un fucile ed imboccare la angusta strada del pericolo, pur di non tradire il valore e la fierezza dei propri avi che per quella causa hanno pagato col sangue. Preferiscono lo scoppio sordo dei proiettili, la trepidazione che si respira in barricata, il compianto per il fratello ucciso dai nemici, alla meschina politica che gli invasori vogliono imporre; il compromesso.


Il loro nobile atteggiamento è la rappresentazione più nitida e splendente di quel che si intende per fedeltà ad un’idea, è la manifestazione più chiara di quel che concerne il rapporto tra uomo e terra. Non c’è nulla di più onorevole che battersi e rischiare la pelle pur di non cedere un passo a chi, con affilate lame capitaliste, intende tagliare quel retaggio culturale che proietta l’uomo verso il proprio passato, facendone custode e difensore della specificità dello stesso contro l’omologazione…

In questo senso, il medioriente è senza dubbio la regione di maggior fermento ancora oggi. Le immagini dei bambini palestinesi che impugnano sassi e li lanciano incautamente contro i carri armati con la stella di Davide hanno fatto il giro del mondo e, da ormai decenni, rappresentano il simbolo della stoica battaglia del popolo palestinese che insorge all’invasione della propria terra da parte dei sionisti ebrei. Un’opinione pubblica fin troppo compiacente con le arroganti politiche sioniste, per via di un enorme peso sulla coscienza nei confronti del popolo ebraico che le propagande occidentali non vogliono far altro che alimentare, non si è mai interrogata coscientemente su ciò che in realtà è accaduto in Palestina: un popolo sparso in quasi ogni angolo del mondo, ma accomunato da una fede religiosa, si impone di rimpadronirsi di una terra che, in linea di coerenza con una propria interpretazione di alcuni testi sacri, ritiene promessa da secoli. Poco importa se questa terra venga abitata da centinaia d’anni da un altro popolo ormai radicato sulla stessa e che compone con le popolazioni confinanti un tessuto etnico culturalmente omogeneo. Si è imposto che questa armonia culturale in medioriente debba essere stravolta dall’arrivo in massa di cittadini da ogni dove, tutti di religione ebraica. Tale imposizione viene appunto chiamata sionismo. Ed il sionismo è la causa della nascita del moderno Stato d’Israele che, a sua volta, è causa di conflitti bellici infiniti e tra i più cruenti della storia. Ma è bene mistificare il luogo comune su cui si sviluppa la tesi della “terra promessa”: il fatto che in Palestina sia nato il popolo ebraico. E’ sì vero che la culla della loro religione sia lì situata (come d’altronde della religione cristiana e di quella mussulmana), ma è altrettanto vero che gli ebrei in Palestina arrivarono per la prima volta nel 1730 a.c. provenendo dalla Mesopotamia, ma il loro fu un semplice passaggio; la meta finale era l’Egitto, laddove rimasero per quattro secoli. Solo nel 1200 a.c. gli ebrei, dopo la prima di innumerevoli persecuzioni che avverranno nei loro confronti nel corso della storia (sui motivi meglio tralasciare, dal momento che la storiografia, diciamo così, non riconosce una posizione ufficiale in merito…), verranno cacciati dalla patria dei faraoni e, guidati da Mosè, tenteranno di impadronirsi di suddetta “terra promessa”. Non riusciranno però ad imporre il loro dominio sulle popolazioni locali e, a seguito di alcune assimilazioni culturali, daranno vita ad una struttura politica sul territorio tribale. Solo nel 1020 a.c. si avrà il primo regno d’Israele, con Saul prima, Davide poi e Salomone infine; perché quest’ultimo fu l’ultimo re di un regno israeliano unito. A causa di divergenze avverrà una divisione tra sud e nord e, successive invasioni, lo distruggeranno definitivamente. Nel 63 a.c. l’Impero romano allargherà il suo spazio vitale anche su queste terre e, la necessità di Roma di stabilire pace e prosperità, segnerà la più atroce disfatta del popolo ebraico. I rapporti tra ebrei, notoriamente refrattari al tipo di società che i romani intendono delineare anche in Palestina, e romani saranno all’insegna di rivolte dei primi e interventi sedativi dei secondi. Queste tensioni avranno due episodi chiave, la distruzione dei romani del Tempio di Salomone (luogo sacro agli ebrei per eccellenza) e nel 132 d.c. la definitiva fuga ebraica e la conseguente rinascita della provincia col nome di Siria-Palestina. Quest’ultimo episodio non verrà mai digerito dagli ebrei dispersi, che intanto si stabilirono in varie zone d’Europa e non, e il profondo legame con quella terra non cesserà. Gli ebrei nei secoli continueranno a mantenere integro tra loro un contatto intenso e, per mano di uno scrittore ebreo ungherese, alla fine dell’800 uscirà un libro che ridesterà in loro la volontà di trasformare in realtà il sogno che li ossessiona: il ritorno nella “terra promessa”. E’ da questa pulsione emotiva che scaturiranno delle migrazioni massicce in Palestina. Il che rappresenta il primo di una serie di avvenimenti che, oltre a segnare la nascita storica del sionismo, sanciranno anche l’unione tra popolo ebraico e corona britannica. Nel 1917 è opera del governo inglese la “dichiarazione Balfour” che prevede l’appoggio britannico incondizionato al popolo ebraico che intende ristabilirsi in Palestina. Con arroganza tipicamente anglosassone la dichiarazione ignora la presenza del popolo palestinese, la stragrande maggioranza, di religione e cultura islamica. L’intenzione è quella di soppiantarlo. La Palestina diventa una polveriera nel 1935 quando, a seguito dell’ennesimo movimento migratorio ebraico, si segnala l’inizio di una tenace ed organizzata rivolta araba. Gli insorti debbono fare i conti sia con gli ebrei che con l’esercito britannico che ha un mandato nella regione. La rivolta avrà fine soltanto nel 1939. Ma la situazione non cesserà a degenerare negli anni a venire. Soprattutto a fine guerra mondiale, l’ennesima ondata migratoria ebraica, segnerà un punto di svolta: il 14 maggio 1948 l’ONU riconosce la nascita dello stato d’Israele e le truppe britanniche, che negli ultimi anni subiscono l’ostilità anche degli ebrei che reclamano uno stato nazionale indipendente, si ritirano. La reazione di chi si è visto occupare la propria terra da stranieri ed ora subisce anche il riconoscimento internazionale di tale sopruso è immediata, ma il tentativo di opporre resistenza è vano. Israele dopo un anno di scontri controllerà il 78% del territorio ed i palestinesi subiscono un esodo di massa dalla propria terra. Gli anni successivi saranno segnati dalla solidarietà degli altri paesi arabi e dalla decisione, proposta dal leader egiziano Nasser e promossa dalla Lega Araba, di costituire un’organizzazione palestinese unificata. Nel maggio ’64 nascerà l’organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP). Le azioni contro Israele si intensificheranno, fino a sfociare nella guerra dei sei giorni nel 1967, in cui Israele occuperà gran parte dei territori (Gerusalemme est, Cisgiordania, Gaza e Golan siriano). L’episodio creerà la consapevolezza che l’unica strada percorribile da parte dei palestinesi sia la guerriglia armata; la fiducia nei vicini paesi arabi verrà meno. Da quella data in poi vi sarà un’intensificarsi degli attacchi direttamente in terra d’Israele, spesso opera spontanea di palestinesi non aderenti ad alcun movimento. Episodi chiave segneranno il susseguirsi degli avvenimenti; l’operazione israeliana “pace in Galilea”, il massacro di civili a Sabra e Chatila, il “Settembre nero”, la prima e la seconda intifada, gli episodi che videro protagonista il carismatico leader Arafat,gli accordi di Oslo, fino ad arrivare all’attuale crisi interna al popolo palestinese, sfociata con gli scontri tra Hamas e l’esercito del governo di Abu Mazen, “sceso a compromessi con gli invasori”. Qualche freddo dato statistico può aiutare a capire come oggi possa esser difficile in una certa zona del pianeta per un uomo vivere in quella che dovrebbe essere la sua terra. Vi invitiamo a visitare dunque in rete pagine che possono aiutare a capire cosa accade oggi in Palestina, in giorni che ardono nello squarcio del valico di Rafah propagando fiamme lungo tutta la striscia di Gaza:



www.infopal.it

palestinanews.blogspot.com

Sorridi, qualcuno ti spia!








Il 25-01-1903, nasceva George Orwell. Scrittore inglese, autore de "La fattoria degli animali" e di "1984". Opere sempre più attuali in un mondo sempre più in rovina.


LA CRISI (MORALE) DI GOVERNO.


Non siamo soliti scrivere di politica su questo giornale, ma oggi lo vogliamo fare, non tanto per prendere le parti di un partito o di una coalizione, ma perché gli ultimi avvenimenti hanno evidenziato dei comportamenti che rimarcano un aspetto sociale particolare ed è appunto questa la materia che trattiamo di solito qui.


Ci riferiamo alle cause vere della crisi di governo che non é stata causata, come altre volte, da divergenze di opinioni politiche su una determinata materia oppure dal passaggio di un gruppo politico dalla maggioranza alla opposizione come nei famosi “ribaltoni” di qualche anno fa, ma è stata determinata da situazioni famigliari e personali dell’on (sic) Mastella il quale le ha poste come prioritarie rispetto alle esigenze del Paese.


Nulla di strano, anche se non encomiabile, se a privilegiare se stesso o la famiglia rispetto al Paese fosse stato un comune cittadino, ma un parlamentare eletto dai cittadini con un mandato che gli conferisce l’onere e l’onore di amministrare la cosa pubblica nell’interesse collettivo della nazione ha il dovere precipuo di non agire in tal modo.


Non è solo una questione di stile, ma è una questione di etica e di correttezza!


Ma quello che più ci accora in questa triste vicenda è, oltre alla personale figuraccia dell’on Mastella, il fatto che questo è il sintomo di un generale atteggiamento mentale che serpeggia tra i nostri politici tra i quali il senso dello Stato è merce sempre più rara e tra i quali sta man, mano prevalendo la convinzione che l’etica e l’onestà sono inutili zavorre sulla via del successo e che  l’intrallazzo ed i maneggi poco limpidi sono una comoda scorciatoia  per arrivare in cima.


Se poi consideriamo che gli uomini politici dovrebbero costituire quella èlite da cui i comuni cittadini dovrebbero prendere esempio ed a cui fare riferimento, allora la cosa diventa tragica.


Stupisce e preoccupa inoltre che simili comportamenti non siano quasi mai sanzionati dai cittadini con il loro voto, ma che simili personaggi continuino a imperversare sulla scena politica italiana come se fossero candide verginelle.


Ripetiamo, il caso Mastella, per quanto grave e sgradevole, è solo un sintomo di un malessere etico più generalizzato e lo abbiamo portato ad esempio solamente per evidenziare cosa c’è dietro ed in quale terreno di cultura morale simili fatti possono avvenire.


Non abbiamo ricette di cura sicure, ma abbiamo voluto diagnosticare la malattia e far prendere atto ai lettori che il problema esiste perché, come diceva un saggio, “.. la prima cosa necessaria per risolvere un problema, è riconosce che esso esiste e conoscerne i termini..”


Meditate gente, meditate…


Alessandro Mezzano



 


mercoledì 23 gennaio 2008

Per la NATO, guerra atomica preventiva.

La NATO deve prepararsi a lanciare anche attacchi nucleari preventivi per scongiurare l’uso di armi di distruzione di massa da parte dei nemici (1). Non è ancora il programma che Robert Gates presenterà al vertice NATO a Bucharest. Per adesso, è un suggerimento per la riforma dell’Alleanza, presentato «spontaneamente» da quattro pezzi molto grossi dell’apparato militare euro-americano. Firmato da quattro ex capi di Stato Maggiore, fra cui il britannico lord Peter Inge e il generale USA John Shalikashvili, il documento è intitolato «Towards a Grand Strategy for an Uncertain World - Renewing Transatlantic Partnership» (2) e vuol essere la bozza della «riforma» auspicata dal Pentagono; il cui capo, Robert Gates, s’è recentemente lamentato della impreparazione delle truppe europee in Afghanistan e della necessità di riaddestrarle per il nuovo tipo di guerra futura. Guerra asimmetrica e irregolare, controguerriglia, guerra al «terrorismo». Il documento propone un rovesciamento epocale della dottrina strategica dell’Alleanza, che ha sempre dichiarato che avrebbe usato l’arma nucleare solo come risposta ad un attacco nucleare. Ora invece, si propone di usare l’arma assoluta per primi. L’attuale dottrina «ci lega le mani» e «ci priva di un grande elemento di deterrenza», ragionano (se si può dir così) i firmatari. «Il rischio di altre proliferazioni è incombente [oltre all’Iran, sottinteso], e con esse il rischio di una guerra nucleare, benchè limitata in ampiezza, diventa possibile. L’uso per primi di armi nucleari deve rimanere nella nostra faretra dell’escalation come il mezzo definitivo per scongiurare l’uso di armi di distruzione di massa». E chi avrebbe queste armi di distruzione di massa? Sì, già lo sappiamo: «Terrorismo, fanatismo e fondamentalismo religioso sono le grandi minacce per l’Occidente» nelle guerre future, scrivono i suggeritori. Insomma è il proseguimento della lotta inaugurata da Bush, e se Bush tramonta, il progetto complessivo resta. I firmatari non perdono tempo a spiegarci perché una testata atomica sia uno strumento possibile contro il fanatismo religioso. E il lato agghiacciante è che tra i «pericoli per il sistema di vita dei membri della NATO» pongono anche «la criminalità organizzata, il cambiamento climatico e le migrazioni su scala di massa», piaghe contro cui il mezzo militare non sembra più indicato. Ma vogliono instillare la sensazione che - come Israele - il nostro mondo è circondato da nemici, tanto più pericolosi in quanto mal identificati. Può accadere che immigrazioni di massa e crimine organizzato forniscano la Bomba al «fondamentalismo religioso», o magari al «fanatismo» e al «terrorismo» fanatico religioso. Il diffondersi delle tecnologie nucleari, infatti, ci assicurano i quattro, significa che «non esiste alcuna prospettiva realistica di un mondo nuclear-free. Semplicemente non c’è». Per di più, l’indebolimento delle alleanze globali (ONU) è un fatto compiuto: compiuto da chi, non viene detto. Il mondo è in disordine, e non ha più tavoli negoziali aperti. Quindi meglio prevenire. Se questa dottrina fosse stata vigente quando Colin Powell dimostrò all’ONU, con foto satellitari, flaconi di presunto antrace, e tubi di alluminio che Saddam aveva i mezzi per fare la sua Bomba ed armi batteriologighe, oggi l’Iraq sarebbe vetrificato da funghi atomici preventivi.



Di Maurizio Blondet, continua...

lunedì 21 gennaio 2008

Pubblichiamo un interessante articolo sulla questione del Kosovo tratto da "Il Martello", mensile dell'Associazione Culturale Zenit.



La miccia Kosovo.



Siamo nel 1999, le urla strazianti della nostra Europa ricevono una tale eco che solo le sorde orecchie dei cinici mercanti e dei burattini della politica possono non ascoltare ed accogliere nel proprio cuore. A provocare tali urla le percosse che sta subendo sulla propria pelle il Kosovo. La regione forse più rappresentativa della ex Jugoslavia, in quanto terra di confine tra quelle audaci popolazioni orgogliosamente radicate alla propria tradizione slava e cristiana e quell’impertinente impero Ottomano che più volte, fortunatamente invano ma non senza fasi alterne che apportarono in questa regione la presenza di una nutrita componente musulmana, tentò di invadere il nostro continente e di imporsi prepotentemente surclassando secoli di nobile storia. Il Kosovo quale ultima frontiera di una bandiera dai colori nero, bianco e rosso della tradizione europea che sventola fiera al cospetto degli invasori che tentano in ogni epoca di ammainarla. Siamo nel 1999 dunque, dalle basi aeree NATO site in territorio italiano prendono il volo i caccia bombardieri diretti verso la Serbia; il governo allora presieduto da D’Alema autorizza l’utilizzo dello spazio aereo italiano consentendo una media di circa 600 raid NATO al giorno con conseguente elargizione di sangue di civili inermi. L’Italia si rende protagonista di una delle più violente mattanze perpetuate ai danni di un popolo sovrano nel nostro continente, le braghe del governo del “bel paese” si calano vergognosamente al cospetto dell’imperialismo a stelle e strisce davanti agli occhi del mondo intero. La decisione NATO di colpire la Serbia maturò a seguito di una condizione di malessere e precarietà che culminò alla fine degli anni 90 ma iniziò a manifestarsi in maniera evidente fin dalla fine degli anni 80, da quando cioè l’allora Repubblica di Jugoslavia manifestò il suo inesorabile declino. La popolazione albanese del Kosovo, forte dei propositi secessionisti annunciati da croati e sloveni, riaccese il vecchio fuoco della
contrapposizione con i serbi in una regione che già in passato fu oggetto di violente contrapposizioni interne. Negli anni 90 viene a formarsi un movimento armato separatista dal nome UCK che intende imporre le ragioni albanesi attraverso il terrore: uccisioni di serbi indiscriminatamente, attacchi alle entità statali e continue provocazioni verso il governo di Belgrado presieduto da Slobodan Milosevic. La situazione venutasi a creare sarà l’attestato esplicito di legittimazione nei confronti dei terroristi dell’UCK che, indecorosamente coperti dalle truppe ONU, inizieranno una meticolosa repressione ai danni della popolazione serba trincerata nella Methokia, ultima zona rimasta abitata principalmente da serbi. Il loro dichiarato fine è la pulizia etnica, basti pensare che tra i loro obiettivi non ci sono soltanto i civili, bensì tutto ciò che possa essere testimonianza di una secolare tradizione cristiano-ortodossa del Kosovo: nel 2004 l’UCK attaccherà oltre trenta chiese e monasteri cristiani, uccidendo almeno venti persone e incendiando decine di abitazioni di serbi, nell'arco di cinque giorni (oltre 45 tra chiese e monasteri erano stati distrutti nei cinque anni precedenti a questi disordini). La fine della guerra del Kosovo rappresenta inoltre il declino di uno degli ultimi uomini politici del Vecchio Continente dotato di amore verso i propri compatrioti e, di conseguenza, di un coraggio tale da renderlo nemico degli Stati Uniti, Slobodan Milosevic. Nel 2001 verrà consegnato da un asservito primo ministro serbo al tribunale internazionale situato nella città olandese L’Aia, ove verrà giudicato per i crimini contro l’umanità nonostante la sua temerarietà nel non riconoscere validità in quell’organo fantoccio.  Milosevic è stato trovato morto - in circostanze non ancora del tutto chiarite - nella sua cella del carcere de L'Aia la mattina dell'11 marzo 2006. La morte dell'ex presidente serbo segue di pochi giorni quella - avvenuta nello stesso carcere - di Milan Babić, ex-leader dei serbi di Krajina (Croazia), apparentemente suicidatosi il 5 marzo 2006 impiccandosi nella cella dove scontava una condanna patteggiata a 13 anni, e quella del serbo-croato Slavko Dokmanović, anch’egli apparentemente uccisosi in carcere all'Aia nel giugno 1998. Al funerale, svoltosi a Belgrado, parteciperà una folla composta da migliaia di commossi cittadini legati ad un uomo forte e testimonianza di sovranità nazionale. Lo scorso novembre si sono tenute in Kosovo le elezioni per il rinnovo dell’assemblea parlamentare, elezioni boicottate dalla popolazione serba esausta delle prepotenze albanesi appoggiate dall’ONU, e che hanno quindi decretato una facile vittoria dei kosovari albanesi e del loro leader candidato, l’ex capo dell’UCK Hashmin Tachi. La caratteristica più comune di questo movimento è il finanziamento che da sempre riesce ad assicurarsi attraverso il traffico d’armi, di prostituzione e di droghe che dall’Asia trovano un ottimo corridoio in quei territori verso l’Europa occidentale, prerogative candidamente conosciute ed avallate da un potente organo che prevede anch’esso a finanziare l’UCK da anni, il governo americano, sia esso presieduto da repubblicani o democratici. Chiaro esempio che conduce una mente libera ad una riflessione sull’ipocrisia dei governi che nel nostro paese dichiarano a parole di voler combattere certi pessimi fenomeni quali droga e prostituzione, ma poi in politica internazionale ammiccano con chi ne è la causa. Tornando ai drammi della guerra di quegli anni, alle azioni terroristiche dei separatisti non può certo rimanere inerme spettatore uno Stato forgiato da anni di crude battaglie e fortemente nazionalista qual è quello serbo; dunque la situazione si accalora e precipita con la decisione NATO di intervenire. La guerra è cruenta e conosce fasi alterne nonostante il palese squilibrio delle parti in causa, la resistenza serba mostrerà i propri artigli che ha accuratamente affilato in anni difficili e pieni di sangue che i freddi monti dei Balcani hanno più volte conosciuto nel corso della loro controversa storia; le operazioni militari condotte dal generale Arkan si riveleranno efficienti e talvolta particolarmente efferate al fine di difendere fino all’ultima zolla di terra la “iugoslavità” del Kosovo. Ma l’inevitabile capitolazione di un paese comunque debole a causa dei recenti fatti di sangue e la fisiologicamente lenta ripresa che ne consegue e a causa dell’ostilità che tutti i paesi occidentali mostrano nei suoi confronti attraverso atroci bombardamenti terroristici verso convogli di profughi, edifici civili, embarghi e campagne mediatiche menzognere che parlavano di 10000 albanesi uccisi, mentre la realtà, fino all’intervento NATO, dimostrerà in seguito che i morti complessivi, tra serbi ed albanesi, ammontavano a 3000. Le televisioni dei paesi occidentali mostravano sempre le stesse immagini di cadaveri, presentandocele ogni giorno come nuove; insomma, un film già visto e che l’occhio spento del telespettatore modello accoglie sempre con lo stesso stupore e la stessa artificiale aberrazione. Sta di fatto che la NATO avrà la meglio già entro la fine del millennio, il territorio nel corso dello stesso 1999 verrà provvisto di un governo e parlamento provvisori, e posto sotto il protettorato dell’ONU che invierà repentinamente i caschi blu.  Il 10 dicembre è scaduto il mandato da parte dell’ONU e, a distanza di diversi anni, si può registrare un nulla di fatto, con serbi ed albanesi in continuo contrasto e fermi sulle proprie posizioni. E’ lecito a questo punto domandarsi se stiano di nuovo spirando venti di guerra sul Kosovo, anche in virtù dell’atteggiamento americano che tramite Bush ha già aperto le proprie braccia verso il governo albanese, dichiarando la propria volontà a creare uno stato indipendente del Kosovo. Chiaro, anche in questo caso, come dietro la maschera dell’intervento umanitario si celi l’interesse economico: l’intento statunitense è quello di appropriarsi del controllo del petrolio dell’Asia centrale e togliendo il Kosovo alla Serbia, quindi dalla storica influenza che recita su di essa la Russia, potrebbe stabilirsi una rete di fornitura alternativa a quella russa. E’ necessario per gli USA appropriarsi delle strutture che permettono l’approvvigionamento di gas e petrolio provenienti dal Mar Caspio, dall’Iraq e dall’Iran. L’Unione Europea, con l’Italia in primis, ha già dichiarato che è pronta ad appoggiare un piano imposto da organi internazionali. Non possiamo non disgustarci a tal proposito, non possiamo non dolerci, da europei e dunque da cristiani, dell’ennesima umiliazione che il Kosovo e la sua secolare identità rischiano di subire. D’altronde è veramente triste rendersi conto anche in questo caso che ci troviamo in un’Europa relegata a mera istituzione economica, quella delle banche e della federazione economica che esiste da circa 50 anni e non s’è mai posta il problema di unire gli Stati in un’entità politica. In realtà l’Europa vive solo nel cuore puro di chi piange per lei, non può non provocare lacrime quando un presidente americano si autoproclama giudice della ripartizione territoriale degli Stati sovrani…

domenica 20 gennaio 2008

Il mercato fragile: speculazioni e poca trasparenza.

Non si parla ancora di ritorno alla normalità negli ambienti finanziari europei e mondiali. Gli esperti del settore continuano ancora a valutare i possibili danni che l’uragano subprime sta recando alla finanza e all’economia mondiale in generale. Secondo la Commissione europea, i danni provocati dalla crisi dai mutui pericolosi Usa, potrebbero presto essere quantificabili a 300 miliardi di dollari. A Bruxelles, però, sono consapevoli che nessuno è ancora in grado di fare stime attendibili del caos di questi giorni, a maggior ragione se non si è ancora fatto nulla per colpire l’epicentro della crisi. “L’incertezza sull’entità finale ha minato la fiducia degli investitori in modo più generalizzato e ha provocato un’interruzione nel mercato del credito”. Sono queste le parole utilizzate dall’esecutivo comunitario nel documento congiunto fra le direzioni Affari economici e Monetari e quella addetta al Mercato Interno, presiedute rispettivamente da Joaquin Almunia e Charlie McCreevy, presenteranno domani alla riunione della Commissione Ue. Nel documento presentato in occasione del dibattito europeo sull’attuale situazione economica mondiale, si ribadisce inoltre che “il funzionamento in questi mercati non si è ancora normalizzato e potrebbe essere sottoposto a rinnovate pressioni nelle prossime settimane”. Effetti, questi, che non sarebbero limitati al solo settore finanziario, avvertono i commissari. È un dato di fatto, ormai, che con il passare delle settimane il quadro economico Usa e mondiale si stia progressivamente deteriorando. Le perdite sui mercati finanziari, si legge nel documento, “inizialmente sono state stimate intorno ai 50-100 miliardi di dollari dalla Federal Reserve. Venti grandi banche, prosegue il testo, hanno già perso circa 97 miliardi di dollari nel 2007 ed altri 35 miliardi di dollari nel quarto trimestre dello scorso anno. Queste perdite aggiuntive dovrebbero emergere all’inizio del 2008” ma “l’impatto finale sulle banche piccole e medie non è ancora chiaro”. Il rapporto della Commissione europea sembra dunque abbandonare il solito ottimismo qualunquista. Per scendere a questo livello di tensione nei comunicati stampa significa che la situazione è senz’altro molto più brutta di quello che riusciamo ancora a vedere. Intanto, ormai, Bruxelles non può che ammettere che “è improbabile che l’economia reale esca illesa”. Malgrado la robustezza della crescita mondiale riscontrata negli ultimi anni “è probabile che la performance futura venga colpita negativamente dalle turbolenze”: i motivi di questo scenario sarebbero le condizioni di finanziamento più difficili nei prossimi anni sia nel settore aziendale che per le famiglie, una maggiore vulnerabilità dei consumi privati Usa e, infine, dei rischi legati alla fiducia di imprese e consumatori. Un contesto, questo, che potrebbe comportare una revisione al ribasso delle stime di crescita del pil della zona euro: secondo le previsioni di autunno 2,6% nel 2007, 2,2% nel 2008 e 2,1% nel 2009. Fino ad ora, però, non si è ancora fatto nulla di concreto per cercare di migliorare il contesto giuridico in cui speculano gli attori di mercato e per punire gli approfittatori dei meccanismi finanziari a danno della collettività. Attualmente, infatti, si cerca semplicemente di salvare gli intermediari finanziari che hanno sbagliato e che sono sull’orlo della bancarotta, senza però creare un contesto che impedisca a nuove crisi di minacciare l’economia mondiale. L’Unione europea propone la propria ricetta per cercare di risolvere alla base la situazione. Secondo il piano d’azione voluto dell’Ecofin, i Ventisette sarebbero pronti a votare un progetto per aumentare la trasparenza da parte delle banche; promuovere regole più chiare a livello prudenziale per la gestione del rischio e della vigilanza; rafforzare la cooperazione tra le autorità competenti nei casi di crisi e migliorare del sistema di early warning. Quanto alle agenzie di rating, notevolmente colpevolizzate da Bruxelles, ne “va esaminato il ruolo, in particolare in tema di strumenti finanziari strutturati, conflitti d’interessi, metodi di trasparenza del rating, processi di approvazione regolamentare”. I progetti della Commissione europea, non rispecchiano però l’attuale operato di quest’ultima, ancora latitante. A sei mesi dallo scoppio della crisi dei mutui, infatti, non si sono ancora viste azioni concrete per risolvere i problemi alla base della crisi, ma ci si è semplicemente limitati a tamponare gli effetti di questi ultima. L’economia e la finanza mondiale hanno bisogno di un freno alle speculazioni ed ai conflitti di interesse che ledono alla collettività. Ancora oggi si elaborano soluzioni che non risolvono questa situazione inammissibile: le crisi, infatti, non vogliono essere eliminate visto che servono ai poteri forti dell’economia e della finanza che usufruiscono proprio di queste speculazioni e dei conflitti d’interesse che le manovrano. Senza colpire questo punto, che è alla base dei meccanismi finanziari moderni, non si troverà mai la vera soluzione alla crisi.



Di Marzio P. Rotondò, pubblicato su Rinascita.

FTM - Azione Futurista, il video.

 

venerdì 18 gennaio 2008

Viva l'informazione libera e indipendente!

I giornalisti con due padroni.



Sembra strano ma i giornalisti di oggi possono servire due padroni: la cultura dominante imposta dalle lobbies e, ora si scopre, anche Cosa Nostra. Forse sottopagati, provano ad arrotondare per arrivare a fine mese?

Due giornalisti di “Repubblica” indagati per favoreggiamento alla mafia per aver pubblicato una serie di articoli sui “pizzini” e sull’archivio sequestrato ai boss Salvatore e Sandro Lo Piccolo. Secondo il pm Del Bene la pubblicazione avrebbe aiutato Cosa nostra.


(Da azionetradizionale.com)



PALERMO - Indagati per favoreggiamento aggravato a Cosa nostra per aver pubblicato una serie di articoli sui “pizzini” e sull’archivio sequestrato ai boss Salvatore e Sandro Lo Piccolo. La Direzione distrettuale antimafia di Palermo voleva intercettare le utenze telefoniche dei giornalisti di “Repubblica” Francesco Viviano ed Alessandra Ziniti e, per questo, dopo aver notificato loro un avviso di garanzia per violazione di segreto d’ufficio e aver perquisito la redazione di Palermo e le loro abitazioni, e disposto il sequestro dei loro computer e di quello del capo della redazione Enzo D’Antona, ha deciso di aprire un altro fascicolo riservato, con l’ipotesi di reato aggravata dall’agevolazione “oggettiva” e “soggettiva”, cioè intenzionale, di favorire Cosa Nostra. Ma il gip Maria Pino ha rigettato la richiesta, ritenendo insussistenti tanto l’ipotesi di reato quanto gli estremi per eseguire l’intercettazione.



La tesi secondo la quale la pubblicazione dei “pizzini” avrebbe favorito Cosa nostra, è stata sostenuta ieri dal pm Francesco Del Bene anche davanti al tribunale del riesame, dove si discuteva il ricorso presentato dai difensori di “Repubblica” contro il sequestro e la clonazione degli hard disk dei computer dei giornalisti. Il pm ha attribuito a “Repubblica” la responsabilità della latitanza dei tre sfuggiti alla cattura nel corso del blitz che la notte scorsa ha portato in carcere 29 esponenti del clan Lo Piccolo, trovati tutti nelle loro abitazioni, così come gli altri arrestati nei giorni scorsi.



L’iniziativa della Procura diretta da Francesco Messineo ha destato preoccupazione e indignazione negli organismi di categoria. Il presidente dell’Ordine dei giornalisti Lorenzo Del Boca ha immediatamente chiesto un incontro urgente al vicepresidente del Csm Nicola Mancino. “È davvero urgente un provvedimento che faccia chiarezza su quali sono i limiti non già dei giornalisti, ma dei magistrati. Non basta più richiamare genericamente la legge e fantasiose ipotesi di reato dimenticando i doveri che dalla Costituzione derivano ai giornalisti.






Di questi doveri si è mostrato consapevole il vice presidente del Csm Nicola Mancino, quando ha chiarito che un giornalista ha il dovere di pubblicare le notizie delle quali entra in possesso. A Palermo c’è chi non la pensa così e si spinge fino a ipotizzare per due giornalisti di Repubblica l’ipotesi di favoreggiamento. È una ipotesi insultante per la storia professionale e personale di Francesco Viviano e Alessandra Ziniti; un’ipotesi insultante per tutti i giornalisti siciliani i quali hanno duramente pagato il loro impegno di civiltà contro la mafia; è una ipotesi insultante per l’intero Ordine dei giornalisti”.



Di un “incredibile corto circuito tra informazione e magistratura” parla la Federazione nazionale della Stampa che ha chiesto un incontro a Csm e Associazione magistrati. “È inaccettabile - dice il sindacato dei giornalisti - che colleghi già sottoposti alle minacce della criminalità mafiosa debbano guardarsi le spalle persino da alcuni magistrati”. Il segretario dell’Assostampa di Palermo Enrico Bellavia ha richiamato “l’intera categoria a una mobilitazione forte contro ogni tentativo di intimidirla e ridurla a un silenzio acquiescente o, peggio, vincolarla a visti di censura preventivi”. Solidarietà a Francesco Viviano e Alessandra Ziniti dall’Unione cronisti che ha sottolineato la “carica di potenziale intimidazione” del capo di imputazione e dai comitati di redazione del “Giornale di Sicilia” e de “La Sicilia“.



(17 gennaio 2008, da Repubblica.it)

Lasciati spiare.




 


Qualche notizia in breve che ci lascia intravedere il futuro poco rassicurante della sorveglianza:



Il Pentagono testerà l’utilizzo di alcuni dei suoi aerei per sorvegliare le zone marittime nelle quali la pirateria rappresenta un problema per il commercio internazionale.



In questo periodo, l’agenzia di ricerca del ministero della difesa statunitense (la DARPA) ha accordato delle sovvenzioni a numerosi laboratori al fine di concepire delle mini-telecamere di sorveglianza che possano essere sparate in ambienti urbani attraverso armi da fuoco, come normali proiettili. Il concetto é di disperdere diverse centinaia di mini-telecamere, più economiche, piuttosto che fare affidamento a telecamere di sorveglianza fisse, mancanti di flessibilità.



Infine, l’Università dell’Arizona sta attualmente sviluppando un logiciel che permetterebbe di identificare un internauta a partire dal suo stile di scrittura, e di seguire passo per passo la totalità dei suoi contributi sul web, anche nel caso in cui questi utilizzi numerosi e differenti pseudonimi. L’obiettivo dichiarato é di scovare i terroristi a partire dalle loro tracce sui siti Internet jihadisti, ma si può chiaramente intravedere tutta una serie di applicazioni ben più vaste.


Presa da: it.novopress.info

In Palestina si muore, qui si tace.

Ieri sera, aerei da combattimento israeliani hanno bombardato con almeno tre missili una postazione delle brigate al-Qassam, a ovest della città di Gaza. 3 palestinesi sono rimasti uccisi: Ashraf al-Ashi, Mahmud al-Banna e Shadi Qtefan. Altri 3 sono rimasti feriti. Fonti mediche hanno comunicato il decesso del combattente Ziyad Abu Taqiyah, membro delle brigate dei Mujahidin appartenenti a Fatah, a seguito delle ferite riportate tre giorni fa da un bombardamento israeliano contro la cittadina di Beit Hanoun, a nord della Striscia di Gaza. Questa mattina, nei pressi della rotonda al-Qaram, a poca distanza dalla moschea di as-Siddiqin, nella cittadina di Jabalia, a nord della Striscia di Gaza, le forze di occupazione israeliane hanno lanciato un missile terra – terra contro un gruppo delle brigate al-Qassam: un giovane è stato ucciso e altri 3 sono stati feriti. Il dott. Mu'awiya Hassanin, direttore del servizio di Pronto soccorso del ministero della sanità palestinese, ha riferito al corrispondente di Infopal che il bombardamento ha ucciso Ismail Radwan, 23 anni, membro delle brigate al-Qassam, ala militare di Hamas, e che altri tre sono stati feriti. La vittima e i tre feriti sono stati trasportati all’ospedale Kamal Odwan, a Beit Lahiya.



Da Infopal.it

ANCORA CAMION CINESI PER L'ESERCITO BIRMANO. VOLKSWAGEN E TOYOTA RINGRAZIANO... BUONE E CATTIVE OLIMPIADI.

Un centinaio di camion di fabbricazione cinese sono arrivati alla frontiera con il Myanmar per essere consegnati all'esercito birmano, impegnato nella preparazione dell'offensiva della stagione secca contro le minoranze etniche. I camion fanno parte di un dono di Pechino ai generali di Rangoon che ammonta in totale a circa 1000 unità, e sono prodotti dalla FAW (First Automobile Works), azienda cinese associata con la Volkswagen e la Toyota. Non ci risulta che i manager delle due aziende capitaliste si siano strappati le vesti per impedire la consegna. I moti di Rangoon, che lo scorso settembre avevano permesso al democratico Occidente di fregiarsi di finta e stomachevole indignazione sono ormai lontani. Le Olimpiadi di Pechino invece, con il loro stratosferico indotto economico, sono alle porte. E i nostri imprenditori gongolano. P.S. La cricca mondialista che possiede aziende, giornali, televisioni e crede di possedere anche il nostro cervello, ci ricorderà anche quest'anno l' "aberrazione" delle Olimpiadi di Monaco del 1936, quando Adolf Hitler si sarebbe rifiutato di stringere la mano all'atleta nero Jesse Owens, vincitore della gara dei 100 metri. Poco importa che lo stesso Owens abbia clamorosamente smentito la baggianata (chi teneva conto nella democratica America dell'opinione di un "negro" ?) e che abbia dichiarato che fu invece il Presidente Roosvelt a rifiutarsi di riceverlo una volta rientrato negli U.S.A. per non urtare la sensibilità della razzista e bigotta opinione pubblica americana. Gli sponsor miliardari delle Olimpiadi di Pechino possono stare tranquilli: nessuno farà saltare i loro contratti. Le Olimpiadi "aberranti" sono state quelle del '36. E i Cattivi hanno già avuto ciò che si meritavano. Business As Usual.



Franco Nerozzi - www.comunitapopoli.org

mercoledì 16 gennaio 2008

FTM - Azione Futurista!

Dopo "Rosso Trevi", stavolta, a Piazza di Spagna, in quadricromia rosso dominante...







I Fratelli d'Italia si son rotti le palle!

martedì 15 gennaio 2008

Strisce Blu, una storia irregolarmente infinita.


E’ da tempo che abbiamo intrapreso una campagna di controinformazione sulla questione dei parcheggi a “strisce blu” nella nostra città, tra il silenzio quasi totale delle istituzioni e degli organi di stampa. Non tutti lo sanno, ma a Perugia molti di questi parcheggi a pagamento sono irregolari perché violano diversi articoli del codice della strada. L’articolo 7 comma 6 del codice della strada indica che gli spazi adibiti al parcheggio a pagamento devono essere localizzati al di fuori della carreggiata. Inoltre ad ogni parcheggio a “striscia blu” deve corrispondere un parcheggio a “striscia bianca”. Basta ciò quindi per rendersi conto che molte di quelle situate a Perugia sono del tutto illegali. E’ irregolare il provvedimento che ne ha autorizzato l’apposizione, con conseguente annullabilità dell’eventuale verbale.


Ma questo non basta: oltre a quelle già esistenti, il Comune di Perugia ha voluto ed ottenuto la realizzazione di 900 nuovi parcheggi a pagamento situati in diverse zone della città, anche in zone centrali come Via dei Filosofi ed Elce.



Proprio pochi giorni fa, i residenti delle vie dove verranno realizzati i nuovi parcheggi a pagamento hanno ricevuto una lettera dal Comune di Perugia dove in grande stile (lettere a colori, grafica accattivante… Tanto siamo noi a pagare, come sempre del resto!), veniva spiegato il perché (?!) e il funzionamento di questi nuovi parcheggi a pagamento. Per prima cosa, a molti residenti di queste zone, la lettera è arrivata il giorno 8 Gennaio mentre tutta la documentazione per far sì che i residenti avessero diritto al parcheggio gratuito doveva essere spedita entro e non oltre il giorno 7 Gennaio al Comune stesso e, in caso di mancata richiesta, si legge nella lettera, il residente sarà multato per sosta vietata. Proseguiamo la lettura della lettera e evidenziato con un bel grassetto si legge: “Questa nuova organizzazione consentirà uno snellimento del traffico veicolare con evidenti miglioramenti dal punto di vista ambientale, della qualità dell’aria e della vita quotidiana”. Ci domandiamo come sia possibile che con il cambiamento solo della modalità del parcheggio, ovvero, prima era gratuito e ora non più, sia possibile che dal punto di vista ambientale e della qualità dell’aria possa cambiare qualcosa. Mentre siamo sicuri che invece dal punto di vista della vita quotidiana qualcosa cambierà, saremo con meno euro dentro il nostro portafoglio (come se ne avessimo tanti) ogni volta che per necessità dovremmo spostarci in auto e parcheggiare. Per non parlare poi come ne risentiranno tutti gli esercizi commerciali a gestione familiare che stanno in queste zone, quei pochi che hanno resistito al “nuovo ordine” dei grandi centri commerciali.



Con le “strisce blu”, siamo di fronte ad un vero e proprio abuso, un gesto di arroganza bello e buono e non è giusto pagare. Sappiamo bene che le problematiche della nostra città sono ben altre ma è ora di svegliarsi e per far ciò, non è un male prendere in considerazione anche le cose che sembrano “piccole”.



 




Comunità Militante Perugia

Associazione Culturale Tyr

mercoledì 9 gennaio 2008

8 GENNAIO: CAPODANNO KAREN.






























I Karen hanno festeggiato il giorno in cui,  2.747 anni fa, arrivarono nei territori che ancora abitano, a dispetto dei tentativi di pulizia etnica condotti contro di loro dalla cricca mondialista birmana. Narcotrafficanti, multinazionali, banche, ma anche governi di Paesi come Israele, India, Cina, Ucraina, Australia e Russia flirtano con i vecchi affaristi in divisa che affamano i birmani. Per non parlare dei "businessmen" apolidi, sempre gli stessi, in frenetica attività ad ogni latitudine,purchè ci sia da far la grana sul sangue dei Popoli. Nel villaggio di Kalaw Gaw si sono svolte celebrazioni con danze tradizionali. Nelle risaie intorno, i ragazzi del Karen National Liberation Army hanno controllato i movimenti delle truppe birmane. Il Colonnello Nerdah Mya ha inviato un saluto a "Popoli" e ai suoi sostenitori, ricordando con simpatia tutti coloro che ha incontrato in Italia durante la visita dello scorso novembre.


www.comunitapopoli.org

Strisce blu: ILLEGALI!





(Clicca sull'immagine per saperne di più)



Fra pochi giorni partiranno oltre 900 nuovi parcheggi a "strisce blu" voluti dal Comune di Perugia nella nostra città, buona parte di questi parcheggi sono irregolari.



Richiedici i moduli, non stare a guardare, non farti fregare!



Scrivici a:



controventopg@libero.it



Presto la mappa di tutte le zone di Perugia dove è possibile fare il ricorso.

7 GENNAIO 2008, ACCA LARENZIA.

martedì 8 gennaio 2008

CRISTIAN PERTAN CON NOI!







A pochi giorni dalla ricorrenza della morte di Cristian Pertan avvenuta all'alba del primo Gennaio 2005 in un tragico quanto assurdo incidente in moto, lo ricordiamo con un sua poesia poi divenuta una canzone: "Terra Rossa".





Terra rossa terra mia

Quando sono andato via

Ho affidato a te il mio cuore

Ti ho giurato eterno amore

Casa mia terra mia

Terra rossa sangue mio

Rosso il sangue dei miei padri

Massacrati ed infoibati

Sangue il pianto dei miei padri

Esiliati ed umiliati

Terra e sangue ho nel mio cuore

Terra rossa dolce amore

Lacrime della mia gente

Terra rossa che non sente

Il dolore mai lontano

Del popolo istriano


Vojo tornar voglio tornare

Vojo tornar voglio tornare a casa mia!

Istria, Fiume e Dalmazia né slovenia né croazia

Terra rossa terra istriana terra mia terra italiana!

Istria, Fiume e Dalmazia né slovenia né croazia

Terra dalmata e giuliana terra mia terra italiana!


Questa terra ho nelle vene

Questa terra mi appartiene

Terra nostra per la storia

Nel mio sangue la memoria

Terra e sangue sempre uniti

Non possono esser divisi

Terra mia santificata

Con il sangue terra sacra

Questa è la mia religione

L’unità della Nazione

Religione insanguinata

Religione della Patria

Terra pazzamente amata

Terra mai dimenticata

Ogni vero italiano

È anche dalmata e giuliano



Rendiamo onore a chi ha sempre lottato per le idee in cui credeva.

BOCCIA PRESENTE!

domenica 6 gennaio 2008

7 GENNAIO 1978 - 7 GENNAIO 2008.









Come spesso accadeva in quegli anni, la giornata stava trascorrendo in un clima abbastanza teso. Alle 18.20 circa, un gruppo di militanti del Fronte della Gioventù esce dalla sezione di Acca Larenzia per andare a fare un volantinaggio. Immediatamente un commando di 5 o 6 persone (l’attentato sarà in seguito rivendicato dai Nuclei Armati per il contropotere territoriale) apre il fuoco contro i ragazzi del Fronte.



Franco Bigonzetti è il primo ad essere colpito. Un altro ragazzo, ferito ad un braccio, riesce a rientrare in sezione e si chiude dentro. Gli altri si gettano a terra, ma il commando spara di nuovo e colpisce Francesco Ciavatta, che stava tentando di salire sulle scalinate a fianco del portone della sezione. Cade a terra. Morirà poco dopo in ambulanza. Alla notizia dell’agguato, costato la vita a due ragazzi, a due militanti poco più che ventenni, davanti alla sezione di Acca Larenzia si raduna una gran folla: forze dell’ordine, membri del partito, giornalisti, ma soprattutto giovani, i camerati dei ragazzi uccisi, forse quelli colpiti più da vicino da quel gesto folle.



La tensione è altissima. Un giornalista ed un cameraman, dopo aver ripercorso le tappe dell’agguato, si fermano accanto ad una macchia di sangue e uno dei due vi getta distrattamente sopra un mozzicone di sigaretta. I ragazzi presenti reagiscono in malo modo: i due vengono malmenati e ne nascono tafferugli e scontri. I carabinieri lanciano lacrimogeni.



Il capitano Sivori, impugnata la sua pistola, cerca di sparare nel mucchio dei manifestanti, ma l’arma si inceppa. Si fa dare allora la pistola di un suo sottoposto, si inginocchia e prende la mira: questa volta i proiettili partono, e viene colpito Stefano Recchioni, che morirà dopo 48 ore di agonia (9 gennaio).



“(…) Mentre siamo in riunione arriva la notizia che nella sede di Acca Larenzia i compagni hanno sparato di nuovo (…). Quella sera del 7 gennaio, presi dalla rabbia per la morte di Francesco Ciavatta e Franco Bigonzetti, i ragazzi iniziano gli slogan di protesta contro carabinieri e celere, che sono lì davanti alla sezione per prevenire incidenti. Quella loro presenza di controllo è inaccettabile (…). Il tono delle grida aumenta e dalla parte dei carabinieri iniziano a sparare lacrimogeni. La distanza tra noi missini e i carabinieri è minima e non si capisce perché ci sparino addosso. Indietreggio.



Mi giro e vedo a terra quel ragazzo biondo con cui stavo parlando poco prima. E’ Stefano Recchioni e torno indietro per aiutarlo a rialzarsi. Gli metto una mano dietro la testa per sollevargliela e gli occhi azzurri gli roteano all’indietro. Sulla mano ho una strana sensazione di caldo: provo a tirarlo su, ma quando la macchia di sangue si allarga sui miei jeans, capisco che non è stato colpito da un lacrimogeno, ma da un proiettile alla nuca. Da una parte i carabinieri, dall’altra chi ha cercato riparo verso la sezione e si aspetta un’altra carica. Sulla strada è rimasto il corpo di Stefano, che continuo a tenere tra le braccia. Non darà più segni di vita e il mio grido di aiuto non basterà a fermare quel sangue e a salvargli la vita. Non verso nessuna lacrima, ma niente da quel momento sarà più come prima”.


Da "Nel cerchio della prigione", Francesca Mambro

Viva i Lakota.

Gli americani stanno esportando, spesso con le bombe e le invasioni, il loro modello di società in tutto il pianeta evidentemente ritenendolo il migliore possibile. C’è però chi vive negli Usa ed ha in tasca un passaporto yankee ma vuole liberarsene, creando una nazione libera.

I pellerossa Lakota, il vero nome dei Sioux, cui appartennero grandi capi come Toro Seduto e Cavallo Pazzo, si sono unilateralmente ritirati dai trattati conclusi dai loro antenati con gli Stati Uniti più di 150 anni fa.

Tali Trattati sono “parole senza valore su carta senza valore” e “sono stati violati a più riprese per privarci della nostra cultura e delle nostre usanze e per rubare la nostra terra”, hanno affermato i rappresentanti della tribù. “Abbiamo sottoscritto 33 trattati con gli Stati Uniti che non sono stati rispettati”, “non siamo più cittadini degli Stati Uniti d’America” hanno aggiunto.

I Lakota sono l’unica popolazione indigena di quelle terre e potrebbero in fondo cacciar via i bianchi eredi dei loro invasori, ma sono certo più condiscendenti aprendo le porte della loro nuova nazione a tutti coloro che oggi vivono nelle regioni dei cinque Stati su cui si estende il loro territorio.

Il rappresentante dei Sioux ha precisato che passaporti e patenti saranno consegnati a tutti gli abitanti del territorio che rinunceranno alla loro cittadinanza statunitense.

Noi lo diciamo da tanto tempo: bisogna andare a liberare gli americani dal regime che li opprime. È certo una nemesi storica quella che sta oggi affidando questo ruolo liberatorio proprio ai popoli ai quali furono rubate le terre sulle quali nacquero gli Usa.

Chissà quanti discendenti dei lunghi coltelli capiranno che oggi è più dignitoso essere un Lakota, e come tale essere apprezzato, amato e rispettato da tutti i popoli come fratello, che un suddito del regime liberticida che sta uccidendo innocenti in tante regioni del pianeta solo per rapinarne le risorse.



Di Paolo Emiliani, Rinascita.

sabato 5 gennaio 2008

CONTRO TUTTE LE DESTRE!





"I NOSTRI PROGRAMMI SONO DECISAMENTE RIVOLUZIONARI, LE NOSTRE IDEE APPARTENGONO A QUELLE CHE IN REGIME DEMOCRATICO SI CHIAMEREBBERO DI SINISTRA. SU CIO’ NON PUO’  ESSERCI ALCUN DUBBIO: “NOI” SIAMO I PROLETARI IN LOTTA CONTRO IL CAPITALISMO. SE QUESTO E’ VERO, RIVOLGERSI ALLA BORGHESIA AGITANDO IL PERICOLO ROSSO E’ ASSURDO. LO SPAURACCHIO VERO, IL PERICOLO AUTENTICO, LA MINACCIA CONTRO CUI LOTTIAMO SENZA SOSTA VIENE DA DESTRA"



Benito Mussolini

A Riccardo Levi, collaboratore di Prodi Eccellenza.


Mi perdoni la qualifica di "eccellenza", ma io do questo titolo a tutte le Autorità che occupano una qualche posizione di potere e dimostrano chiaramente che … (censura). Leggo il "disegno di legge" 3 agosto 2007 e noto che, alle "buone intenzioni" espresse all’articolo 1 dello stesso (1), non corrispondono proposte atte a promuovere il principio costituzionale dell’art. 21 pomposamente richiamato.E difatti il "pluralismo dell’informazione", tanto strombazzato nell’art. 1, va a puttane in almeno due casi. Le sottopongo i due casi sperando che il fatto di essere stato scelto a fare da "collaboratore di Prodi" non Le impedisca di capire la incongruenza:Art. 6, 1 comma. Riporto testualmente: "Ai fini della tutela della trasparenza, della concorrenza e del pluralismo nel settore editoriale, tutti i soggetti che esercitano l’attività editoriale sono tenuti all’iscrizione nel Registro degli operatori di comunicazione.." Tutti i soggetti, Eccellenza? Vuole dire il mio sito web, letto si e no da un centinaio di lettori al mese, viene equiparato ai siti del "Corriere della Sera" e di "Repubblica"? Le confesso il mio imbarazzo: non so difatti se ringraziarla per avere messo me, pagliuzza nell’oceano, alla pari con i siti Web del "Corriere della Sera" e di "Repubblica" oppure se venirLa a cercare per sputarLe in un occhio. Lei cosa suggerisce?Altra perla all’articolo 21, 1 comma. Riporto testualmente: "Al fine di tutelare la concorrenza e il pluralismo dell’informazione anche attraverso una migliore distribuzione dei prodotti editoriali e nel rispetto dei principi del processo di liberalizzazione dei servizi postali nell’Unione Europea, alle imprese editrici è concesso annualmente un credito di imposta per le spese sostenute per la spedizione in abbonamento, nominativo e a titolo oneroso, di testate quotidiane o periodiche…". Anche qui nessuna distinzione tra me (che sono un piccolissimo) e corazzate tipo il "Corriere della Sera" e la "Repubblica". E, mentre finora era la Posta a tenere i conteggi, ora i conteggi dovremmo tenerli i privati per dimostrare di avere diritto al "credito d’imposta". Simili problemi non influiscono sulla vita dei grossi giornali che hanno fior di amministratori, ma obbligherebbero me (che sono un minuscolo) a cercarmi un qualche commercialista che mi tenga i conti. Inutile dire che il commercialista mi costerebbe di più del "debito di imposta".



Eccellenza,



io sono rispettosissimo delle "autorità costituite". Accetto che mi governiate, accetto che godiate di lauti stipendi che forse non meritate, accetto perfino che qualcuno di voi mi derubi nella gestione della cosa pubblica.



Ma non accetto e non gradisco che mi prendiate per il culo. In quella autentica cacata che è il decreto legge da Voi emanato, sia Lei, sia il Suo Mentore Prodi, sia gli Eccellentissimi Membri (censura) del Consiglio dei Ministri trascurate il particolare che nella editoria, accanto ad un centinaio di grandi editori, ci siamo una miriade di "piccoli". A volte di "piccolissimi". Ma voi, ripetendo una riga sì e l’altra pure che volete salvaguardare il "pluralismo dell’informazione", fissate le stesse regole per "grandi", per "piccoli" e per "piccolissimi".A questo punto una domanda sorge spontanea: siete così cretini, così sprovveduti da non capire che andate contro alle vostre "solenni dichiarazioni" oppure al danno aggiungete pure la beffa della irrisione?



Aspetto risposta. E spero che sia chiara ed esauriente.



Antonino Amato





(1) " Art. 1 (Finalità generali)



1. La disciplina prevista dalla presente legge in tema di editoria quotidiana, periodica e libraria ha per scopo la tutela e la promozione del principio del pluralismo dell’informazione affermato dall’articolo 21 della Costituzione e inteso come libertà di informare e diritto ad essere informati.2. Tale disciplina mira all’arricchimento della produzione e della circolazione dei prodotti editoriali, allo sviluppo delle imprese e del settore editoriale in conformità ai principi della concorrenza e del pluralismo, al sostegno all’innovazione e all’occupazione, alla razionalizzazione e alla trasparenza delle provvidenze pubbliche, nel rispetto dei principi affermati dallo stesso articolo 21 della Costituzione,delle competenze assegnate alle Regioni dall’articolo 117 della Costituzione, delle norme comunitarie, della giurisprudenza costituzionale.

Anno nuovo, vita vecchia.

Anno nuovo, vita nuova. Questo è l’augurio che un po’ tutti ci siamo scambiati alla mezzanotte del 31 dicembre, anche perché il 2007 non è stato proprio un buon anno per la maggior parte degli italiani. Il 2008 sembra però essere iniziato con i peggiori auspici, almeno sul piano politico.

Del resto le premesse negative c’erano già tutte con il pessimo discorso di fine anno, trasmesso a reti unificate, del presidente della repubblica Giorgio Napolitano, forse il peggiore da molti anni, escludendo ovviamente quelli di Scalfaro, nei quali venivano toccate vette di “eccellenza” che resteranno a lungo irraggiungibili per chiunque.

Napolitano più che un capo dello Stato è sembrato il portavoce del governo, del resto la sua ascesa al Quirinale la deve solamente al centrosinistra e deve in qualche modo pur sdebitarsi. Il suo discorso è stato intriso di banalità ed ha toccato argomenti scottanti con una semplicità degna di chiacchiere da bar dello sport. Per esempio quando ha parlato di incidenti sul lavoro (non poteva certo glissare sull’argomento) non ha certo detto che alcuni degli operai morti a Torino erano alla loro dodicesima ora di lavoro consecutiva, alla quarta di straordinario. Non ha detto che in una nazione civile il lavoro straordinario dovrebbe appunto essere straordinario e comunque non incentivato, mentre questo governo, il governo dei suoi amici, ha pensato bene di detassare lo straordinario, a tutto vantaggio degli imprenditori. Non ha detto che il precariato diffuso ha indebolito i lavoratori “consigliando” loro di non creare troppi problemi, anche quando si parla di sicurezza.

Napolitano ha magnificato i (pochi) arresti eccellenti di caporioni mafiosi, ma la gente ogni giorno non teme Totò Riina o chi per lui, ma la microcriminalità diffusa, quella che ci minaccia fin dentro le nostre case e che è sempre più spesso figlia di una immigrazione selvaggia ed incontrollata. Napolitano invece ha quasi ringraziato i nostri invasori, considerandoli parte importante del futuro sviluppo dell’Italia e invitando gli italiani a non lasciarsi andare a sentimenti xenofobi se alcuni di loro sono stati veramente cattivi.

Napolitano non ha evidentemente a cuore la difesa dell’identità del nostro popolo e questo si è capito chiaramente anche quando ha fatto l’elogio della “tradizionale amicizia con il nostro principale alleato, gli Usa” ovvero l’invasore che ancor oggi ci tratta come un territorio occupato, praticamente una colonia a sovranità limitata.

Su una cosa il presidente è stato chiarissimo: non ha nessuna intenzione di sciogliere il parlamento e troverà sempre una soluzione per mantenere in sella un governo anche senza una vera maggioranza dietro le spalle.

Che Napolitano abbia detto quel che ha detto in fondo non ci stupisce; ci stupisce invece il fatto che il centrodestra (ad esclusione della Lega) abbia fatto un bel coretto di approvazione alle sue parole.

Così, se il 2007 è stato l’anno delle tasse, delle lacrime e del sangue (quello dei lavoratori), il 2008 si appresta a diventare l’anno degli inciuci, delle insane alleanza, degli accordi indecenti: tutto nel segno di una stessa politica ultraliberista, fatta di privatizzazioni selvagge e di dissipamento degli ultimi gioielli di famiglia degli italiani.

Con il tappo di spumante Prodi non è saltato, ma le speranze, si sa, sono le ultime a morire, perché in fondo i mali di questa politica sono veramente incurabili ed il bubbone prima o poi scoppierà anche se ancora non si sa se a farlo scoppiare saranno gli intrighi centristi, gli integralismi di vecchi e nuovi teodem oppure qualche tardivo rinsavimento di quella che ancora oggi si ostina a chiamarsi sinistra e che sinistra non è più da tempo, a cominciare proprio dal signor Napolitano.



Di Paolo Emiliani, uscito su Rinascita.

venerdì 4 gennaio 2008

SEI NATO...ORA MUORI.

Pubblichiamo l'articolo di Alessandro Mezzano molto interessante riguardante l'aborto pur non essendo favorevoli nè all'ergastolo nè tantomeno alla pena di morte...





L’INFAMIA 194




Un bambino che da tre mesi cresce nel grembo di una madre indegna di tal nome, viene assassinato con la benedizione della legge e della politica.



Se questo bambino ha qualche malformazione o se la madre corre qualche pericolo, lo si può uccidere anche se sta crescendo da cinque mesi!



Una vita innocente, senza colpe, senza difesa, senza diritti può essere stroncata solamente perché la sua nascita, che egli non ha preteso, ma che ora è in essere, dà fastidio ad una madre che si sente privata della “libertà” di vivere una vita senza lacci e senza troppi doveri da assolvere.



Povero Abele innocente che nessuno difende e del quale nessuno ha nemmeno il coraggio di assumersi la responsabilità di chiamare la sua morte procurata un omicidio!



Quando invece la cosa non tocca da vicino o personalmente le persone, con assunzione personale di responsabilità e di oneri, ma investe un campo che resta comunque “altrui” e non incide sull’andamento della propria vita personale, allora scatta la solidarietà, la pietas, gli alti concetti di civiltà e di umanità e ci si può anche permettere di sentirsi “Buoni” nel difendere Caino.



Ci riferiamo all’atteggiamento che quelle stesse persone che lasciano uccidere un bambino non nato con indifferenza e cinismo, assumono quando si parla di pena di morte per delinquenti efferati che hanno ucciso con premeditazione, per sadismo, per abbietti motivi o per cinico calcolo.



Un delinquente rapisce una donna e la uccide e la taglia a pezzi ancora prima di chiedere un riscatto.



Un pedofilo tortura, stupra ed uccide un fanciullo.



Una ragazza stermina la famiglia ed un fratellino a coltellate per incassare l’eredità.



Potremmo continuare con gli esempi, ma ci pare di avere dimostrato quanto sia grande la ipocrisia e la falsità di coloro che difendono l’aborto e condannano la pena di morte!



E’ inutile la pietosa e stupida scusante secondo la quale un feto di tre mesi non è “ancora abbastanza formato da essere giudicato un essere umano”.



Per prima cosa non esiste alcun parametro scientifico che avalli una simile idiozia e poi quale sarebbe il consesso morale e legale che ha l’autorità per sancire un principio come quello?



Quello che è invece assolutamente sicuro è il fatto che quel feto, se lasciato maturare, nascerà e crescerà diventando un bel giovanotto o una bella ragazza e su questo non ci piove..!!



Che società è mai questa che difende Caino e condanna a morte Abele?



Che madri sono mai quelle che hanno la ferocia di strapparsi dal grembo un figlio che non aveva chiesto di venire al mondo, ma, proprio per questo, esse dovrebbero difendere?



Si dice che le donne che abortiscono non lo fanno con leggerezza e ne portano il peso sulla coscienza.



Se è vero, è un prezzo poco caro e se pesa sulla coscienza è una dimostrazione che è stata fatta una cosa sbagliata!



L’unica specie in cui la madre uccide volontariamente il figlio è quella umana.



Essa è la specie più feroce che viva sul pianeta terra!



Alessandro Mezzano

Bali, ultimo avviso...

Il congresso sullo stato di salute del pianeta che si è svolto a Bali con la partecipazione di quasi tutti i Paesi del mondo, ha lanciato un messaggio all’intera umanità.



E’ quasi un ultimatum a prendere in seria considerazione i problemi dell’inquinamento e del conseguente riscaldamento dell’atmosfera terrestre per recuperare i danni arrecati al pianeta prima che si giunga al punto di “non ritorno” oltre il quale ogni provvedimento risulterà inutile per porre rimedio ad una situazione oramai insanabile e che porterà alla estinzione della vita sulla terra!



Già i primi guasti planetari sono sotto gli occhi di tutti con il progredire delle zone di desertificazione e con il palpabile cambiamento dei cicli climatici.



Il progressivo scioglimento dei ghiacci, sia alpini che polari, con la sua eccezionale immissione di acqua dolce nel mare, ha già provocato mutamenti nei percorsi e nell’intensità delle correnti marine (come la corrente del golfo) che avevano il loro motore naturale nelle differenze di concentrazione saline dei vari mari in base alle differenti temperature ed evaporazioni.



Le conseguenze sono state (e saranno di più in seguito) mutamenti climatici ed esasperazione dei fenomeni.



Oggi, il 20% della popolazione mondiale, che detiene quasi tutta  la ricchezza, produce l’85% dell’inquinamento totale.



Immaginate cosa sarà quando il restante 80% , oggi povero, ma in via di sviluppo, produrrà lo stesso tasso di inquinamento che verrà perciò quintuplicato..!!!



L’equilibrio, gia oggi instabile, del ciclo ecologico della natura, non sarà assolutamente in grado di sopportare un tale incremento ed è facile profezia il dire che collasserà.



Risulta perlomeno idiota l’atteggiamento del capitalismo mondialista che non vede un problema così macroscopico e che antepone il guadagno alla stessa vita.



Siamo tutti sulla stessa terra e se essa muore, moriremo tutti, capitalisti compresi!



Eppure è di pochi giorni fa la notizia, pubblicata dai giornali Americani, che il presidente Bush ha fatto manipolare i dati sull’inquinamento e sul riscaldamento dell’atmosfera per favorire la Lobby del petrolio di cui fa parte..



Siamo francamente sgomenti, non tanto dalla scorrettezza, quanto dalla stupidità di certi atteggiamenti.



Sono il frutto avvelenato di una mentalità che è figlia del materialismo che antepone il denaro all’Uomo, il profitto alla società, invertendo quelle che sono le priorità naturali.



Anche a Bali, nonostante l’allarme gettato, si è rimasti sull’interlocutorio senza la presa di un qualsiasi impegno concreto, a causa dell’opposizione di Paesi in via di sviluppo come Cina ed India e di quelli ipercapitalisti come gli USA.



E’ ora di cambiare registro prima che la natura, di cui l’umanità è solo un episodio marginale, si vendichi e cancelli l’Uomo come una infezione da debellare.




Alessandro Mezzano