mercoledì 28 novembre 2007

In Birmania un popolo in lotta al di là dei militari e di Aung Suu Kyi.

“Mio padre lo diceva sempre: senza libertà non ci sarebbe motivo di vivere”. Parole fiere, piene di dignità quelle del colonnello Nerdah Mya, il portavoce del popolo Karen, figlio dell’eroe nazionale, che ha raccontato la sua lotta in Italia e in Europa.

Quando i monaci buddisti sono scesi in piazza a Rangoon contro il regime birmano, tutto il mondo si è svegliato e si è ricordato improvvisamente della situazione dell’ordierno Myanmar, ex-Birmania. Repressione, esecuzioni, violenza contro gli oppositori. Abbiamo visto giornalisti uccisi dai militari e centinaia di monaci arrestati. E poi, dopo poco, è tornato il silenzio della stampa internazionale. Peccato che la situazione sia ben più grave di quello che ci è stato raccontato. E c’è chi combatte da quasi sessant’anni per la propria identità.

I Karen sono una delle minoranze che compongono lo stato birmano. Da quando gli inglesi sono tornati da Sua Maestà, sono in lotta per l’autodeterminazione. Ma tanti se ne dimenticano. Come non spiegarselo, guardando i conti della Total o di tante altre multinazionali del democraticissimo ‘occidente’ che continua a colonizzare le terre birmane. Proprio per questo Nerdah ha visitato l’Europa. Per spiegare la loro condizione, la loro lotta. Il portavoce del popolo Karen, comandante operativo di quattro battaglioni del Knla (l’esercito di liberazione Karen), ha visitato le stanze del potere dell’Europa e dell’Italia. Ha visitato il Parlamento europeo di Strasburgo e il Senato italiano. Ma non si è fatto affascinare dai luoghi che contano e non ha cercato facili pietismi. Non ha richiesto a gran voce la democrazia occidentale. Non si è prostrato davanti ai signori di dollaro ed euro. “Chiediamo l’autodeterminazione, combattiamo per difendere la nostra cultura, la nostra identità, la nostra lingua”, dice Nerdah. “In Birmania esistono tanti gruppi etnici e il regime vuole che le minoranze abbandonino le proprie terre per andare a vivere in qualche campo profughi o magari fare l’emigrante in giro per il mondo. Noi combattiamo per la pace – spiega il colonnello Karen – per dare un futuro alla nostra gente, facendo in modo che possa tornare nella propria terra”.

Il colonnello Karen studia a Bangkok e poi negli Stati Uniti. Ma dopo qualche anno torna tra la sua gente, il desiderio di libertà è troppo forte. Dopo il normale cursus honorum nell’esercito, arriva in poco ai livelli gerarchici più alti. Segue, in poche parole, le orme del padre, in nome del suo popolo e della lotta per la libertà. “L’esercito del regime birmano attacca i nostri villaggi, brucia le case, stupra le nostre donne. Ci sono esecuzioni sommarie. Noi combattiamo una lunga guerra nella giungla di cui nessuno nel mondo sa nulla. Il regime militare opprime e uccide”, spiega il portavoce Karen, a chi pensa che ora la situazione in Birmania sia più semplice. Alle istituzioni comunitarie e a quelle italiane, nei dieci giorni di visita ufficiale organizzata dalla Comunità Solidarista Popoli, il colonnello Nerdah ha raccontato la situazione in cui vive quotidianamente il suo popolo. E poi ha fatto una precisa richiesta: “Bisogna fermare il regime. L’Europa, la comunità internazionale, devono intervenire per bloccare i finanziamenti, gli investimenti che vengono dall’estero, ma che da noi hanno solo l’odore del sangue. C’è bisogno di un cambiamento rapido”.

“Abbiamo la nostra lingua, la nostra cultura, la nostra identità, la nostra bandiera: vogliamo la nostra nazione. Accetteremmo anche una federazione con ampia autonomia, dopo aver avuto ampia libertà di scelta, ma il regime non vuole fare alcuna concessione”.

Parlare con Nerdah è importante, è un uomo sicuro, determinato, pieno di forza. Soprattutto è una persona che dalla giungla comprende realmente la situazione internazionale in maniera molto pragmatica. E non manda a dire nulla: “Non vogliamo essere i burattini di potenze straniere, non vogliamo una democrazia importata: noi la democrazia l’abbiamo già”. Come vengono amministrati i Karen? Con una idea pura di vero e proprio comunitarismo, che “non cambierà neanche quando raggiungeremo l’indipendenza, non ci faremo affascinare da altri modelli”. “Quando c’è il cibo, si condivide con tutti. Esiste l’aiuto reciproco – spiega Nerdah – Anche nel futuro questa sarà la nostra società”. Ogni villaggio ha un rappresentante, “è l’uomo giusto, la persona che viene riconosciuta da tutti come il più saggio”.

Chissà come la prenderanno nelle nostre famigerate democrazie occidentali. I Karen non si pongono il problema delle elezioni, è tutto scritto, senza alcun problema. “C’è un rispetto sacrale per gli anziani e la famiglia. I giovani rispettando i consigli dei più grandi”. I rappresentanti di ogni villaggio decidono quelli di ogni distretto. La nazione Karen è organizzata in sette distretti che compongono altrettanti battaglioni. Gli ‘eletti’ dei distretti vanno a comporre il congresso Karen ed esprimono il presidente. Ecco la vera democrazia che viene dal popolo. Un vero e proprio esempio per tutti noi, un esempio che non vuole essere pilotato o colonizzato da nessuno.

“I Karen – racconta il responsabile della comunità Popoli, Franco Nerozzi - sono un popolo che da 2.700 anni è in Birmania e da sessant’anni combatte per l’indipendenza. È un popolo che lotta per la propria identità e per la propria autonomia e per questo vuole abbattere il regime militare. Ma non solo, lottano anche per noi, combattendo duramente il traffico di eroina e di anfetamine. Peccato che la Birmania sia diventata un business, dove molte multinazionali di paesi occidentali e democratici sostengono e finanziano il regime militare”. Popoli dal 2001 ad oggi ha realizzato tre cliniche mobili e tre scuole elementari: le strutture mediche servono un bacino di utenza di circa 12000 persone appartenenti all’etnia Karen, minacciata di genocidio dal regime birmano.

Le scuole elementari consentono ai bambini Karen di mantenere la propria lingua e di apprendere la storia del popolo a cui appartengono. Tutte queste strutture si trovano in zone di guerra dove l’intervento di organizzazioni umanitarie è vietato dalle autorità. “I Karen – sottolinea Nerozzi – sono un esempio per tutti. In un momento in cui si parla di flussi migratori, loro combattono proprio per evitare che il proprio popolo si disperda in tutto il mondo”. “Con il progetto “Terra-Identità” – conclude il responsabile di Popoli - vogliamo cercare di far percorrere al contrario l’itinerario che ha portato questa gente ad allontanarsi dalle proprie terre”.

Il progetto, che dovrebbe partire ad aprile del prossimo anno, si svilupperà in diverse fasi: la prima prevede la bonifica, la lavorazione e la semina di un terreno di circa 30 ettari nella zona di Kler Law Seh e la costruzione di 5-10 abitazioni per ospitare i profughi intenzionati a ripopolare la zona; le successive fasi del progetto prevedono di estendere l’ampiezza dei terreni per accogliere nuove persone.

E’ chiaro, quindi, che in Birmania non c’è solo Aung Suu Kyi e il suo movimento democratico. “Adesso abbiamo un nemico comune con il premio nobel per la pace e i monaci buddisti”, dice Nerdah. La nazione Karen, “il Paese dei fiori”, lotta per la sua indipendenza e per abbattere il regime militare. Forse è arrivato il momento che l’Europa e l’occidente si rendano conto della situazione, smettendo una buona volta di pensare al business Birmania e alle multinazionali che lucrano in quei territori. I Karen vivono, combattono e muoiono anche per tutti noi. C’è bisogno di aiuto, non c’è più tempo da perdere.



Di Tommaso Della Longa, pubblicato su Rinascita.

martedì 27 novembre 2007

Gaza's Reality.

 

Periferie in rivolta. Parigi come Roma.

In Italia è da due settimane feroce caccia agli ultras del calcio. La loro colpa è stata l’aver protestato con la violenza, negli stadi e fuori dagli stadi, per l’uccisione a sangue freddo di un loro coetaneo da parte di un poliziotto. Gli arrestati vengono addirittura incriminati per “terrorismo”. Una repressione assurda, incivile, che colpisce almeno centomila giovani “delle curve”. In Francia, nella notte tra domenica e lunedì, una volante della polizia si è scontrata con una motocicletta guidata da due adolescenti: morti sul colpo. In una banlieu a una ventina di chilometri dal centro di Parigi, una folla di giovani si è riversata nelle strade e ha assaltato una stazione di polizia e un commissariato. In Francia come in Italia la polizia si difende dichiarando le uccisioni “colpa degli uccisi”. Così i giovani sembrano diventare, nei Paesi dell’eurocrazia, un cancro da estirpare, un corpo estraneo della società, teppisti da criminalizzare (e uccidere)...



Da: www.rinascita.info

Il calcio non è tutto malato.

Le splendide parole di Firmani dopo aver segnato per “Gabbo”.



«Gabriele ha voluto che segnassi proprio io…». Mentre lo dice quasi si commuove Fabio Firmani. Detta così, può sembrare una frase strappalacrime, una cosa che tutti si aspettano che lui dica. Invece, non è così, anche perché Firmani conosceva bene Gabriele Sandri ed è stato molto scosso dalla sua morte. Per tutta la settimana, nonostante avesse qualche acciacco muscolare, il biancoceleste si è preparato a dovere per la partita proprio perché ci teneva in modo particolare. E’ stato lui a preparare le t-shirt con l’immagine di Gabriele e probabilmente la maglietta che si è tenuto tanto gelosamente la consegnerà alla mamma, al papà e la fratello di Gabriele. Non solo. Poco prima della partita lui e Lorenzo De Silvestri si erano scambiati la promessa: siamo romani come Gabbo e oggi segni tu o lo faccio io. E così è avvenuto. «Già so che non rivivrò mai più un’emozione simile perché questa rete va oltre al calcio giocato anzi quasi non c’entra nulla. Pensate che il Walter Pela (il magazziniere) alla fine del primo tempo mi ha detto: ammazza che jella. Io l’ho tranquillizzato dicendogli che Gabbo voleva che segnassi sotto la Nord. E’ stata senza dubbio la giornata più bella della mia vita. Per me questo gol varrà sicuramente di più di uno fatto alla Roma o al Real Madrid e non sto dicendo questo perché ho segnato proprio io contro il Parma. Lo dico perché è così che stanno le cose».


Pensare che Fabio Firmani, uno di quelli che non ha avuto tante occasioni per giocare dal primo minuto, insegue il gol in modo spasmodico da quando è arrivato alla Lazio. Ed è curioso che l’abbia segnato nella giornata di ieri. «Quando ho segnato non ho capito più niente, so solo che volevo correre sotto la curva e andare da Gabriele, un po’ per abbracciarlo di nuovo, anche se lui sarà sempre con noi e non lo dimenticheremo mai. E’ andato via un angelo, un fratello che non c’è più».

Si è commosso anche Lorenzo De Silvestri, rimasto in panchina per tutta la partita nonostante avesse un piccolo problema al ginocchio (si pensa sia solo una contusione ndr). Non è potuto andare sotto la curva con Firmani, ma i due si sono abbracciati a metà strada. Il ragazzo di Monteverde ha giocato con gli scarpini con il nome di Gabbo: «E’ un pensiero, anche perché quei pochi gol che farò, li realizzerò insieme a Gabriele. E’ stato bello vedere Fabio andare ad “abbracciare” Gabbo e anche vedere tanti striscioni per lui, sarà stato contento da lassù. Io non lo dimenticherò mai e parlerò sempre di lui e andrò a trovarlo spesso insieme alla sua famiglia».



Da: www.noreporter.org

domenica 25 novembre 2007

Leggi, compra e sostieni.

Rinascita – Quotidiano di Liberazione Nazionale



Rinascita è un quotidiano unico, in Italia, nel suo genere, perchè antagonista del regime nel suo insieme, perchè aperto ad ogni contributo fuori dagli schemi imposti ai mezzi di comunicazione di massa dai manipolatori del pensiero umano, e perchè, soprattutto, sta diventando lentamente ma ineluttabilmente il luogo geometrico d’incontro di chi, ancora e nonostante tutto, ritiene di non avere condotto il suo cervello all’ammasso del Verbo liberaldemocratico, della globalizzazione economica della miseria, del pensiero unico che ogni cosa e ogni persona livella e rende schiava di una società senza memoria e priva di avvenire. Non è merito nostro. Indubbiamente abbiamo colto il momento propizio, il momento giusto, per dare inizio alla nostra felice avventura. Ma se fosse mancata – e non è mancata - l’immediata comprensione e trasmissione orizzontale del senso politico, culturale, di questo impegno, se fosse mancata la collaborazione tra la nostra pattuglia e chi con questa ha immediatamente dialogato, costruito, inventato un cammino comune, ebbene questa iniziativa avrebbe perso mordente, fiducia, si sarebbe ripiegata su se stessa, isterilita, si sarebbe purtroppo spenta.



Così non è stato e di questo dobbiamo ringraziare in particolare i nostri lettori. Quei lettori che hanno offerto con lo slancio le loro impressioni, il loro incitamento, i loro contributi alla costruzione della nostra rete di informazione alternativa, naturalmente contro il regime, quei lettori che sono diventati volontari punti di riferimento "interni" al quotidiano, con le loro rubriche, con le loro osservazioni, con le loro lettere, con i loro documenti… Quei lettori che, al mattino, sono andati ad acquistare questo giornale "scomodo", infilato in spazi invisibili nei punti vendita; quei lettori che si sono visti propinare – per sfregio o per ignoranza - altri periodici di fazione e li hanno rifiutati, pretendendo l’unico giornale che si denomina Rinascita; quei lettori che si sono improvvisati agit-prop, ispettori, diffusori del nostro quotidiano; quei lettori che hanno telefonato, faxato, inviato per posta elettronica, i loro commenti, le loro sollecitazioni, le loro richieste di abbonamento, le loro collaborazioni.



Rinascita non è dunque esclusivamente una serie di fogli di carta stampata. E’ diventato, sta diventando, una potente cinghia di trasmissione del pensiero antagonista alla liberaldemocrazia. Ovunque e nonostante i mille ostacoli frapposti - per disorganizzazione, per malafede - al suo sviluppo. Dobbiamo, adesso, subito, sfruttare l’occasione così conquistata. Dare inizio ad una seconda fase. Migliorare la distribuzione nazionale, costruire lo scheletro di una diffusione certa sulla direttrice nord-sud della nostra penisola, raccogliere gli abbonamenti nelle città; nei territori al momento più periferici. Organizzare le redazioni principali, le "antenne" di corrispondenza locali, una linea tecnologicamente avanzata di colloquio quotidiano tra tutte le realtà;i Rinascita presenti e nascenti in Italia. Non è cosa da poco. E’ un obiettivo ambizioso. E’ la nostra nuova sfida. Chiediamo il sostegno di tutti: cioè di ognuno di noi. Ad majora.



Direttore: Ugo Gaudenzi



Direzione e redazione: Via G. Vasari 4 , 00196 Roma



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sabato 24 novembre 2007

NERDAH MYA TORNA AL FRONTE DOPO IL "TOUR" EUROPEO.

Il colonnello Nerdah Mya è rientrato in Birmania subito dopo aver lasciato l'Italia, al termine del suo viaggio iniziato il giorno 11 di questo mese. Ci ha chiamati questa sera, dal comando del 203° battaglione, pregandoci di ringraziare di nuovo tutti quelli che lo hanno incontrato ed ascoltato durante il "tour" europeo.



Ricordiamo le tappe della visita di Nerdah Mya:



Domenica 11: Roma. Radio Centro Suono Sport, intervista in diretta con Mario Corsi.



Lunedì 12: Interviste per il TG2 delle 20.30 e per l'approfondimento di RaiNews24.



Martedì 13: Conferenza Stampa al Parlamento Europeo a Strasburgo.



Giovedì 15: Conferenza Stampa a Casa Pound a Roma.



Giovedì 15: Conferenza Stampa presso il Senato della Repubblica.



Giovedì 15: Conferenza con i sostenitori di "Popoli" presso l'Hotel Ripa, Roma.



Sabato 17: Conferenza Stampa al Comune di Verona e incontro con il vicesindaco.



Sabato 17: Conferenza con i sostenitori di "Popoli", Verona, e cena di raccolta fondi.



Domenica 18: Trento, Conferenza con i sostenitori di "Popoli".



Lunedì 19: Milano, Conferenza presso il Circolo Città Movimento.



Terminata la parentesi dedicata alle parole e ai racconti circa la situazione del suo Popolo, ora per Nerdah riprende la fase delle armi. La rivoluzione ha bisogno di entrambe.



La Comunità Solidarista Popoli ringrazia i numerosi amici e sostenitori che hanno contribuito a rendere la visita del colonnello Nerdah fruttuosa e piacevole. Quelli che hanno cercato (inutilmente) di distoglierlo dalla sua rigida autodisciplina a colpi di "Amarone" e quelli che gli hanno fatto sentire la sincera partecipazione alla lotta per l'autodeterminazione del suo Popolo, quelli che hanno fatto arrivare generose offerte per la continuazione delle nostre attività umanitarie nello stato Karen e quelli che hanno promesso di fare tutto il possibile per farci ottenere le risorse necessarie allo sviluppo di nuovi progetti.



Comunità Solidarista Popoli

CiaoEuropa.







E’ in distribuzione “Ciaoeuropa” del 18 novembre 2007 (Anno XVI n. 12)



L’abbonamento costa 20 Euro, si possono sottoscrivere 5 abbonamenti x 70 Euro, 10 abbonamenti x 130 Euro. Inviare a: conto corrente postale: 10658920 intestato a: Ciaoeuropa, casella postale 82, 92100 Agrigento, Italia.



Per riceverlo nella zona di Perugia, contattarci a controventopg@libero.it

venerdì 23 novembre 2007

Lotta di Popolo.

Le cose si muovono velocemente. I nani-oligarchi che indegnamente governano l’Italia da oltre mezzo secolo, fiutato l’odore del vento che cambia, hanno ripreso a manovrare alambicchi e veleni per far fuori i loro colleghi-compliciavversari e aprire qualche varco ad una propria sopravvivenza. L’ultima miscela venefica è quella che riguarda quella presunta “Spectre” organizzata da Berlusconi per controllare Rai e Mediaset, una manovra evidentemente mirata a far saltare il dialogo fra Veltroni e il Cavaliere, o comunque a mettere una sbarra in mezzo ai raggi delle ruote del bipartitismo all’americana che il Pd neonato e il Ppl nascituro vogliono fortemente perseguire con la riforma elettorale del proporzionale con crauti o con il risultato prevedibile del referendum. Una manovra di “sciacalli” e “jene”, secondo Berlusconi. Niente di nuovo però sotto il sole d’Italia. Di veleni e alambicchi sono vissuti (e sono morti: dal delitto Montesi alla morte di Moro e di Craxi o da Mattei a Calvi), generazioni di partitocrati italiani. Spettacolo indegno per una nazione civile, ma è anche quanto hanno scelto per noi mandrie e macrie di sudditi-elettori con il voto per i loro padri-padroni. Ma non è questo che ci interessa. E’ comunque un fatto che le proposte antipartito - o “apartito” - miste a demagogia, o a qualunquismo, o a populismo, siano stati nei decenni, nel bene o nel male, gli unici squilli di tromba uditi in Italia. Con i Radicali per il divorzio, con i Verdi per bloccare le centrali nucleari, con la Lega per il localismo, con Forza Italia per il liberismo-populista, e ora con l’Antipartito di Grillo. Quello che conta però oggi, per tutti noi, è che la nuova accelerazione bipolare del Cavaliere impone una riflessione rapida e fredda.

In estrema sintesi:

1) nell’Italia prossima rapida ventura - quale che sia il cammino dei prossimi mesi, riforma elettorale, istituzionale, elezioni, referendum - verrà ancora più ristretto lo spazio politico rappresentativo, diciamo così, costituzionale. Una già sicura conventio ad exludendum renderà più problematico l’emergere di forze nuove e, anzi, determinerà la fine (per fusione da incorporazione) di gruppi e gruppetti partitocratici vecchi o nuovi di zecca.

2) occorre identificare, quindi, una nuova terra di battaglia. E lì cucire una “tela” antagonista: una sinistra nazionale che sia già, negli stessi suoi termini e per antonomasia, l’unico possibile motore contro i due partiti-schieramenti-veline esistenti in Italia). Una tela della sinistra nazionale contenitrice e diffusore di grandi idee forza costruttive: di rinascita della giustizia sociale e della sovranità nazionale, culturale ed economica della nostra Patria.

3) far partire subito la prima locomotiva con qualche vagone: calamiterà immediatamente mezzi e uomini liberi. La “tela” sarà così l’unico, vero, movimento di popolo. Perché la lotta di popolo è il motore della storia. Quella di ieri, quella di oggi e quella di domani.



Ugo Gaudenzi



da Rinascita del 23/11/2007

giovedì 22 novembre 2007

Quanto ci costa la sudditanza a Washington.







Cambia l'ubicazione della Ederle2 ed i costi, ovviamente, cadono sulle tasche degli italiani. Spostando di circa cinquanta metri la base infatti Vicenza si troverà a dover rivedere la viabilità, nello specifico bisognerà rivedere la nuova tangenziale nord che lo Stato si è impegnato a valutare come misura compensativa a fronte dell'impegno con la comunità locale - Impegno in pratica imposto dalla Casa Bianca - ad ospitare la nuova base americana al Dal Molin, obbligo che dalle stime dovrebbe costare circa 500 milioni di euro.




Insomma gli Usa ci invadono militarmente e noi paghiamo. Effettivamente, visto il bilancio del Paese, non si tratta di una grande cifra ma sicuramente sarebbe stata più utile per rafforzare quello Stato sociale sempre più bistratto dai nostri governanti.



Da www.rinascita.info

mercoledì 21 novembre 2007

Occhio alla banca-sciacallo.

C'era una volta il direttore di banca.

Quando un artigiano, commerciante o impresa chiedeva un fido, andava a vedere di persona le gru, i capannoni, i magazzini del potenziale debitore. Era un personaggio ben inserito nella realtà economica locale. I profitti della banca venivano in parte notevole da questa attività. E non erano piccoli: dopotutto, ricavava interessi da denaro che per il 90% era creato dal nulla, e per il 10% apparteneva non alla banca ma ai depositanti, che di interessi non ne vedevano.

Oggi non più.Come spiega un doloroso articolo su Libero Mercato (1), il bancario deve «vendere» a qualunque malcapitato entri in banca assicurazioni, «prodotti finanziari» che puzzano, «derivati» e «strutturati» col trucco, e di cui il cliente non ha bisogno.

Vuoi il fido?

Allora beccati anche questo swap dollaro-yen, o questa quota di hege fund con portafoglio colmo di azioni di Pechino.

Non ti occorre?

Ma la banca, per darti il fido, ti chiede di «contribuire ai profitti dell'istituto, che oggi si fanno così».

Altrimenti niente credito.

I risultati sono quelli raccontati spesso dalla Gabanelli e da Libero stesso: negozi ben avviati portati al fallimento dalla leva negativa di quegli «strutturati», su cui bisogna pagare margini che superano i fatturati; prestiti-ponte per pagare quei debiti improvvisi; colossali indebitamenti occulti di Comuni Province e Regioni.

Non è colpa dei bancari.

E' che il loro status è stato cambiato: parte del loro stipendio oggi dipende dai «risultati», ossia da quali schifezze e truffe hanno rifilati ai clienti.

Ridotti a promotori finanziari senza preparazione specifica, assillati «dagli uffici-marketing che dettano quale cliente chiamare, a quale ora e per quale prodotto» e dalla telefonata del capo-area che vuole «risultati», altrimenti niente «incentivi» e premio annuale.

La condizione dei bancari è quella delle prostitute albanesi nelle grinfie del racket, e come tali devono comportarsi.

E i vecchi direttori hanno perso la «delega»: non sono più loro a dire se quell'artigiano o impresa meritano di essere affidati, ma «processi automatizzati», decisi da lontani computer con software irreali, «made in USA».

«Processi di vendita massificati», dice Libero, «non serve pensare: tutto è pianificato» dagli arroganti neo-banchieri che imitano Wall Street.

Dice Libero: tra i risultati, c'è che crescono le perdite delle grandi banche «sui crediti di piccola dimensione».

E che i clienti, non trovando più il direttore che li conosceva da anni, ripiegano sulle piccole banche locali, che «tengono e crescono» nonostante l'arretratezza tecnologica, e che erano state date per spacciate «perché non hanno le dimensioni».

Ma non è questo il punto.

La vera tragedia è che la banca, prima, era almeno una ausiliaria dell'economia reale, dell'industria e del commercio.

Oggi ne è il parassita distruttore.

Gli avvoltoi, almeno, mangiano cadaveri già putrefatti.

Le «nuove» banche divorano imprese vive e vegete, rifilando loro prodotti fallimentari, «strutturati» incomprensibili che aggraveranno i conti fino alla bancarotta.

Libero Mercato, che è il miglior giornale economico in circolazione per il fatto che è meno colluso dei «grandi» (peccato solo che Oscar Giannino, così chiaro quando parla, non scriva benissimo), se n'è accorto e denuncia.

Fra un anno o due - magari - se ne accorgerà anche il genio, il venerato maestro Mario Draghi, lo dirà con parole criptiche nella relazione annuale; rimprovererà le banche col ditino alzato, «non si fa così».

E i Profumo, Bazoli, Geronzi ed altri avvoltoi di carne fresca assentiranno.

E tutti gli ipocriti di 24 Ore, Repubblica e Corriere saranno in estasi: come ha ragione!

Che genio Draghi!

Ha ragione, non si fa così.

Così si fa invece, sull'esempio e il modello della speculazione purissima, di Wall Street, degli hedge fund, che però almeno hanno a che fare con multinazionali, mica con artigiani e negozi di calzature.

E' il dogma del liberismo senza freni né controlli: profitti finanziari comunque ottenuti, anche a prezzo della morte della pecora da tosare.

E' un cambiamento di «cultura», come si dice: dal credito come ausiliario al credito-marketing predatorio.

Fra due anni, quando Draghi parlerà, magari non ci saranno più piccole imprese da salvare dai predatori.

Invece è urgentissimo cambiare subito quella «cultura», magari con punizioni esemplari e penali. Perché ora viene la recessione, le occasioni di profitti finanziari diminuiscono, e gli avvoltoi speculativi hanno preso di mira l'ultimo settore dell'economia reale: l'agricoltura, quella che ci dà da mangiare, che soddisfa i primari bisogni umani.

«Di colpo, gli investitori [leggi: speculatori] sono interessati più al rame e al minerale di ferro che ai derivati sul credito», leggo sul Telegraph (2).

«E il Credit Suisse ha stilato uno studio eccellente sulle opportunità offerte dai mercati agricoli».

Il settore schifato per decenni (i crediti ai coltivatori non rendono niente, meglio l'hi tech e l'ingengneria finanziaria) diventa di colpo appetibile alla speculazione.

Il trasporto delle derrate dall'altra parte del mondo costa sempre più (caro-petrolio, mancanza di offerta di flotte), sicchè l'autarchia agricola può ridiventare conveniente.

Anche in recessione, la gente deve mangiare.

I cinesi cominciano a mangiare più carne.

Parte delle preziose granaglie sono consumate per il demente sogno del bio-carburante, e sottratte all'alimentazione umana e animale.

Soprattutto, la domanda è superiore all'offerta, e tale resterà per decenni.

Occorrerà che la produzione globale di cibo cresca del 3,3% l'anno, ha scoperto lo studio del Credit Suisse: in tempi di recessione, di economia a crescita negativa, è una pacchia per la speculazione.

I prezzi cresceranno per decenni, perché i terreni agricoli non sono sufficienti, anche la rimessa a cultura delle terre che la UE ha voluto lasciare incolte dando incentivi alla non-coltura («sovrapproduzione», sancivano gli oligarchi di Bruxelles) aggiungerà solo l'1% annuo alla terra arabile.

Naturalmente, la speculazione vede subito l'affare in questo modo: «investire direttamente in queste materie prima attraverso exchange traded funds», ossia altri strumenti finanziari esoticamente strutturati.

«Ma ci sono altri modi di profittare della imminente rivoluzione agricola, e molti sono meno volatili dei mercati della soia e del frumento», dice il Telegraph.

Per esempio, si profitterà del fatto che saranno i Paesi produttori a tenere per le palle i Paesi consumatori.

E non sia mai che i produttori ci guadagnino, dopo aver coltivato.

Investire subito nelle vaste tenute del Brasile, come già fa la Bunge - una delle sei sorelle del Cartello del Grano - che vende soya brasiliana alla Cina, ed è il massimo esportatore.

I coltivatori brasiliani sono tenuti per le palle dalla Bunge: vuoi crediti?

Ti compriamo la soya in erba.

Naturalmente con uno sconto…

«Un altro modo» gradito agli avvoltoi è «investire nel credito bancario, nelle banche che finanziano il settore agricolo. Più di un terzo dei prestiti del Banco do Brasil sono fatti agli agricoltori»: presto, portarglieli via, prendiamoceli noi, i genii della finanza globale.

«Altre aree che attrarranno nuovi investimenti sono quelle della genetica: imprese come Tyson in USA, Genus in Inghilterra, Nutreco e Monsanto che sono all'avanguardia nello sforzo di aumentare le rese».

Il che significa che tutta la finanza sarà a spingere, con la sua nota potenza, per i cibi geneticamente modificati: non è soddisfare un bisogno umano che le interessa, ma il profitto finanziario, l'ultima riga del bilancio.

Certo, gli avvoltoi vedono bene che conviene «investire in irrigazione, infrastrutture, macchinari, fertilizzanti», perché l'irrigazione aumenta la produzione del 30%, e la Cina ha solo il 2,8% di terre irrigate modernamente, contro il 100% di Germania e di Israele.

Bisogna dunque comprare azioni delle aziende che operano in questi settori.

Ma, ancora una volta, con «quella» cosiddetta «cultura» trionfante nel mercato libero globale.

Non serve, dice il Telegraph, studiare quelle aziende, andare a vedere le loro fabbriche, pensare dove e perché sia meglio investire.

Troppo difficile.

La soluzione è «pagare qualcun altro per farlo».

Per esempio rivolgersi al CF Eclectica Agricolture Fund britannico, che già investe in queste «opportunità», ed è «aperto a investitori al dettaglio».

Ancora una volta, vogliono i vostri soldi: e vi fanno balenare il sogno di fare profitti stando in poltrona, mentre milioni nel mondo faticano sulla terra strozzati dal credito, e altri milioni chiedono di mangiare.

Naturalmente è il solito inganno.

Vogliono rifilarvi un altro prodotto strutturato, un altro derivato, un incomprensibile bond o future dell'Eclectica Fund.

Beccatevi questo «prodotto», c'è dentro il credito al contadino, il nuovo subprime!

Con questa «cultura» dominante, non ausiliaria ma predatoria, questi affameranno il mondo.

Esattamente come le banche italiote hanno già fatto portare i libri in tribunale a piccole imprese prospere, così faranno a quelli che ci stanno dando da mangiare.

Perché l'agricoltura, anche la più «efficiente», non si presta ai profitti rapidi e monetari richiesti.

Nessuna tecnologia, nessun alimento gonfiato o ormonizzato, indurrà una mucca ad accelerare il parto del vitello - richiederà sempre dieci mesi.

Nessun fertilizzante Monsanto aumenterà del 30-40% la produzione di granaglie.

Il segreto dell'agricoltura è «risparmiare» investimenti al minimo necessario per la produzione naturale, non aumentarli a dismisura e a credito.

Quelli renderanno sterili terre, e strozzeranno contadini, per accalappiare un profitto semestrale da mostrare a Wall Street.

Quelli stanno mettendo i loro becchi dentro l'ultimo, cruciale settore dell'economia reale; e in piena recessione.

Draghi se ne accorgerà due anni dopo.

A lui, il cibo non mancherà.

Di quella «cultura» è maggiordomo, per quello l'hanno messo dov'è.



Maurizio Blondet - Effedieffe.

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Note

Jack Free, «Il vecchio bancario? Condannato a morte», Libero Mercato, 13 novembre 2007.

Tom Stevenson, «Backing agriculture could reap a rich harvest», Telegraph, 13 novembre 2007.

Verità e giustizia per la strage di Bologna.

martedì 20 novembre 2007

DAL POPOLO PER IL POPOLO.







A cura di  Andrea Fais


Ufficio di Corrispondenza di Perugia

Pubblicato su Rinascita il 20 novembre






Pochi giorni dopo il nostro articolo sul tema “sicurezza&dintorni nel capoluogo perugino”, abbiamo deciso di ingranare una marcia decisa e ponderata che indirizzi tutti i nostri sforzi editoriali e pratici verso un progetto sociale autenticamente tale. Un progetto che parta dal popolo per giungere all’opinione ed alla coscienza pubblica e ritornare al popolo, affinchè possano ben vedersi realizzate ogni lecita retribuzione ed ogni compatibile aspirazione dei nostri cittadini meno abbienti, attraverso un iter in grado di riscoprire l’azione della politica virtuosa ed onesta e di far riscoprire il più alto senso dello Stato… quello reale, quello concreto, ovvero quello che oggi latita nella nostra malridotta Italia.


Partire dal popolo non significa “contattare” nè “andare verso”, come va di moda asserire in quei sospetti mega-movimenti dell’oggi politico; significa, altresì, semplicemente agire in suo favore facendone già parte.



E così noi, cittadini con carta e penna alla mano, intendiamo dar voce e spazio ad altri cittadini come noi, che vorrebbero esporre i loro problemi ma che regolarmente non possono farlo, né possono contare sulla ormai dimidiata rappresentatività che la rappresentanza parlamentare dovrebbe serbare in sè.





In questo primo evento abbiamo stabilito un incontro molto importante con un anziano ma battagliero cittadino, cioè Adelio Gagliardi, presidente del Comitato del Cittadino, che raccoglie tutti i comitati civili per la sicurezza, ormai ampliamente diffusisi in città.




 






1) Anzitutto buongiorno e benvenuto nel nostro ufficio di corrispondenza di Perugia… ci dica chi è e cosa svolge nella vita, per quanto concerne il suo impegno pubblico?




“Salve, sono un cittadino pensionato, cresciuto ideologicamente a sinistra ma che, vista la condizione in cui versa la politica ufficiale dei palazzi e deluso da tutti i partiti di qualunque colore, ha deciso circa due anni fa di fondare un comitato per i cittadini assolutamente autonomo”





2) Chi siete, come lavorate e attraverso quali azioni si concretizza il vostro lavoro?




“Il nostro percorso comincia nel 2005, allorquando autenticammo il nostro statuto ufficiale da un notaio e lo presentammo per la prima volta pubblicamente in una riunione avvenuta in Via Caprera, presso la parrocchia del quartiere di Madonna Alta. Tutti i presenti accolsero con favore la mia iniziativa, decidendo di prendervi parte, con l’eccezione di due individui che, dandomi del ‘fascista’, cominciarono a farmi capire che aria avrebbe tirato da lì in poi.



Il nostro primo atto pubblico fu una lettera del 18 agosto 2005, indirizzata a tutte le istituzioni locali principali (Comune, Regione, Provincia, Prefettura, Questura eccetera…), in cui denunciammo nella nostra solita maniera pacata e rispettosa, tutte le problematiche legate al nostro quartiere, dallo spaccio alla sporcizia, dalla prostituzione alla cementificazione più selvaggia.



In seguito al nostro crescente impegno sul territorio, si unì a noi anche un altro comitato, quello di Via della Pescara, che con una lettera e ben cinquecento firme dei propri residenti, decideva di entrare a far parte del nostro Comitato.



Da allora capimmo che la nostra azione sociale stava andando espandendosi in maniera sempre più rilevante, tanto che cominciammo a collaborare, seppur autonomamente, con il comitato di Via della Pallotta, sponatenamente sorto pochi mesi dopo il nostro.



Il 2006 è forse stato l’anno più importante per le nostre attività: in pochi mesi il nostro comitato ha preso parte a diverse manifestazioni, tra cui una in Piazza Italia, a Perugia, assieme ad un sindacato di Polizia. Arrivammo persino a Roma, in cui partecipammo alla manifestazione di un’associazione di non-vedenti, giunta sino alla Piazza di Montecitorio.



Elementi comuni di tutti quegli episodi furono la condizione dettata da noi, che in questi cortei non fossero presenti uomini di alcun partito politico, e ahimè la totale indifferenza con cui sono state recepite dai palazzi della politica ufficiale, al di là di singoli e personali attestati come quelli di Casini e di una parlamentare di Rifondazione, in occasione della manifestazione romana.



Ma tornando alla nostra città, continuammo ad essere invisibili per le autorità locali ed i numerosi incontri con il Sindaco Renato Locchi, avevano portato tuttalpiù alla realizzazione di una minicaserma in Piazza del Bacio (vicino alla Stazione centrale di Fontivegge, nda), alla fine del 2005, inaugurata in pompa magna, alla presenza di tutte le autorità del capoluogo, ma a conti fatti assolutamente inefficace, in quanto formata da cinque vigili.



Facemmo pressione sul Sindaco anche per quanto riguarda altre situazioni di impunità e di       illegalità diffusa, come in Via del Macello. Ci promise di promuovere un vertice straordinario per la sicurezza, pur non rientrando nelle sue competenze: un’ennesima promessa non mantenuta.



Di recente, precisamente lo scorso 25 ottobre, abbiamo scritto nuovamente al primo Cittadino della nostra Perugia, per ribadire le nostre rivendicazioni e per ottenere un incontro resosi ormai urgente, anche in relazione agli ultimi eventi che hanno caratterizzato la cronaca locale. Il 26 novembre teoricamente ci dovrebbe ricevere nel suo ufficio, a Palazzo dei Priori.”





3)   Quali sono le effettive condizioni di sicurezza e di vita in città, e cosa ha potuto osservare attraverso il ruolo che Lei svolge?




“Come si è già detto, ormai la sicurezza è una condizione quasi del tutto scomparsa nel nostro capoluogo, ma questo non solo per quanto concerne la criminalità più o meno organizzata. Vorrei infatti ricordare che il nostro comitato ha diversi settori di azione sociale. Il nostro impegno per i cittadini coinvolge la parola ‘sicurezza’ a tutto campo: e questo significa essere impegnati in prima linea contro la criminalità, e allo stesso tempo osservare e denunciare le disfunzioni della pubblica amministrazione, della viabilità e dell’edilizia, in relazione sia al suo impatto sociale che a quello ambientale-ecologico. Possiamo osservare numerose cose che non vanno in città. Lo spaccio ed il consumo di stupefacenti ha raggiunto livelli impressionanti, e il degrado che coinvolge persino i nostri giovani non pare essere combattuto attraverso progetti seri per la realizzazione di strutture adeguate e compatibili, in cui possano ritrovarsi i sani valori dell’esistenza umana, mentre il denaro viene sperperato dalle istituzioni solo per la costruzione di enormi centri commerciali, dannosi sia per l’impatto economico nei confronti delle attività minori sia per la viabilità, sia per l’ambiente. Nel mio quartiere di Madonna Alta, ad esempio, i giovanissimi possono disporre di un solo centro ricreativo aperto esclusivamente dalle 15:30 alle 19:30 e la scuola di Via Chiusi, da poco aperta, non ha nemmeno una palestra. Contemporaneamente però, nel giro di pochissimo tempo abbiamo assistito alle cementificazione selvaggia di due ettari di terreno tra Via Settevalli e Ponte della Pietra (vicino a Madonna Alta, nda), nell’ambito della costruzione del nuovo centro commeriale Emisfero, che ha aumentato il traffico a livelli di diecimila auto al giorno.”





4) Dal quadro che ne emerge, come quantifica e qualifica la distanza tra percezione pubblica e amministrazione politica?




“Noi siamo stati ignorati molte volte, dalle autorità sia locali sia nazionali, e da ciò che sentiamo attraverso il parere dei nostri aderenti e di tanti altri cittadini in generale, non possiamo che notare una distanza sempre più abissale tra la politica partitica e la gente bisognosa. Tanti sono stanchi e stufi di questo sistema e spesso purtroppo la loro rabbia si potrebbe incanalare in direzioni inopportune. I nostri metodi non sono mai trascesi nell’arroganza né – e ci mancherebbe altro – nell’illegalità. Abbiamo sempre portato il nostro rispetto alle cariche istituzionali alle quali ci siamo rivolti, non facendo mai mancare i giusti modi garbati e riconoscendo i titoli di ognuno. Sarò ‘ignorante’ (sul piano tecno-politico, nda) ma non maleducato. Questo mai. Ripeto e ribadisco che noi siamo e vogliamo restare un comitato di semplici cittadini senza scopo lucrativo, totalmente autofinanziato e senza nessun coinvolgimento dei partiti; necessariamente va da sé che la nostra è un’attività politica in quanto incentrata sulle necessità dei cittadini, ma assolutamente priva di indirizzi partitici. Questo non ci ha ovviamente impedito di rivolgerci a chiunque comprenda le nostre numerose iniziative, qualunque siano le sue referenze, le sue opinioni e le sue idee. Ma é evidente che il nostro carattere popolare, sociale, autonomo e di base risulta scomodo a coloro i quali fanno finta di non vederci. Noi comunque andiamo avanti.”





5) Quali sono in concreto le vostre proposte e richieste alle autorità competenti in materia?




“Sappiamo bene che un comitato civile è un impegno serio. Non si pensi, come qualcuno superficialmente potrebbe fare, che il nostro unico scopo è lamentarci. Il nostro progetto è serio e nasce anzitutto da proposte costruttive molto precise.



Fare parte di un comitato cittadino significa essere attivi e lavorare in prima persona per osservare, analizzare e stimolare la società. Solo così possiamo giudicare le istituzioni ed eventualmente porre l’indice sulle disfunzioni amministrative.



Le nostre proposte partono da bisogni effettivi, da studi ed analisi serie, applicati sul campo e ci avvaliamo di statistiche e dati autonomamente rilevati nei vari quartieri.





Il nostro statuto si propone di combattere la criminalità e l’accattonaggio, l’inquinamento e lo sfruttamento urbanistico delle nostre aree, di tutelare le forze del lavoro e del piccolo commercio, attraverso un progetto sociale consociativo che investa e integri compatibilmente anche quegli stranieri in possesso di un lavoro onesto e di buona volontà. Le accuse di razzismo e xenfobia da parte di certi individui non ci toccano, pur offendendoci. Siamo aperti ad ogni seria collaborazione con comitati simili al nostro, sia della nostra regione che di tutta Italia. La nostra e mail è comitatodelcittadino@infinito.it ed il mio recapito telefonico è 348/7547918

Kosovo: i narco-atlantici di Pristina puntano all’indipendenza.

Dopo la vittoria del Partito democratico del Kosovo (Pdk), il suo leader - il ben noto terrorista e narcotrafficante albanese - Hashim Thaci fa la voce grossa, sostenendo ancora una volta l’indipendenza di Pristina da Belgrado.



Già poche ore dopo la chiusura delle urne l’ex capo dell’Uck aveva osservato che “con la nostra vittoria oggi comincia un nuovo secolo”. “Abbiamo dimostrato che il Kosovo è pronto ad andare avanti verso la libertà è l’indipendenza”, aveva aggiunto il leader del Pdk, dopo aver ottenuto il 35% dei voti ed esser così salito all’onore della cronaca come vincitore delle elezioni politiche. Idee e proclami indipendentisti sono stati confermati anche ieri, da Thaci, nel corso di un’intervista al quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung. “Non mi aspetto un compromesso tra Kosovo e Serbia, ma rispetteremo l’agenda della Troika fino al 10 dicembre”. Dopo il 10 dicembre, il Kosovo avrà una propria agenda, ha annunciato: “Prenderà una decisione sulla propria indipendenza e mi aspetto un appoggio internazionale”. Quanto alle soluzioni proposte dai mediatori della Troika (Ue, Russia, Usa), tra cui l’ipotesi di un modello Hong Kong, per Thaci “tutte queste idee sono prive di sostanza”. Il Kosovo peraltro, ha spiegato al giornale tedesco il terrorista albanese, non può aspettare l’approvazione generale per andare avanti: “Non possiamo aspettare fino a quando tutti i Paesi saranno pronti a riconoscerci”. Un atto intimidatorio messo in atto dagli occupanti forti del sostegno di Washington che è il primo fautore di questo gesto assurdo minacciato dagli albanesi. Thaci ha affermato poi di aver parlato con molti leader Ue: “Sono tutti dell’opinione che una decisione debba essere presa. E tutti sanno ciò che anche la Serbia sa: che l’indipendenza è l’unica soluzione”. Il narco-atlantico ha affermato quindi di aspettarsi che il Kosovo diventi presto un membro ufficiale delle organizzazioni internazionali quali il Fondo Monetario e la Banca Mondiale. “Ma quello che è importante per noi prima di tutto è essere indipendenti ed avere nel Paese una missione internazionale civile e la Nato”, ha osservato il leader albanese.

Da Mosca intanto è giunto il duro monito del Cremlino, diretto contro chiunque abbia intenzione di sostenere le scelte atlantiche degli albanesi. La Russia ha chiesto infatti ai politici europei di non sostenere le forze indipendentiste del Kosovo. “L’appoggio che alcuni politici della Ue offrono ai separatisti del Kosovo sta portando il processo negoziale in una via senza uscita”, ha dichiarato il Presidente della commissione Affari esteri della Duma, Konstanin Kossachov, parlando all’agenzia di stampa russa Interfax. L’esito del voto ha accresciuto il pericolo di una proclamazione unilaterale di indipendenza da parte della provincia ormai a maggioranza albanese, un passo che non deve essere sostenuto dalla comunità internazionale, ha sottolineato il rappresentante russo.

Da Bruxelles intanto i ministri degli Esteri europei hanno messo in dubbio - ieri durante una riunione - la legittimità di qualsiasi ultimatum dei kosovari albanesi, dichiarandosi preoccupati per le parole minacciose espresse dal vincitore del Pdk e cercando così di attenuare i pericoli espressi attraverso gli ostili proclami. Tuttavia, nonostante le dichiarazioni concilianti provenienti da Bruxelles, il mediatore Ue Wolfgang Ischinger, poco prima di incontrare i ministri degli Esteri dell’Unione, si è espresso a favore delle scelte atlantiche degli occupanti albanesi senza più rinvii di sorta. La Troika sul Kosovo - ha osservato Ischinger - ha “esplorato tutte le opzioni umanamente conosciute” per giungere ad un compromesso tra serbi e kosovari sullo status finale del Kosovo. “Abbiamo offerto - ha proseguito il mediatore - alla delegazione serba la possibilità, che pensavano di non aver concesso in modo completo prima d’ora, di avere dei colloqui diretti e profondi con i kosovari”. “Nessuno - ha aggiunto - potrà dire che i negoziati non siano stati significativi e intensi: abbiamo davvero scavato a fondo. Lo dico perché alcuni potrebbero essere tentati di dire: continuiamo i negoziati”. All’ultimo momento però le agenzie di stampa hanno battuto le dichiarazioni del capo della diplomazia di Berlino, Frank-Walter Steinmeier, che ha sottolineato come il mediatore europeo sul Kosovo proporrà a serbi e kosovari albanesi un accordo di cooperazione senza precisare però lo status della provincia indipendentista. Tutto questo però - a detta di Steinemeier - se la Russia accetterà di metterla sul tavolo. Responsabili serbi e kosovari incontreranno oggi i mediatori a Bruxelles per la penultima sessione di colloqui, per trovare un compromesso sul futuro status della provincia indipendentista serba, prima della conclusione prevista per il 10 dicembre. È questo forse l’ultimo tentativo messo in atto dalla Troika, prima del crollo finale. Il Cremlino come la Serbia ha fatto sapere che non ha intenzione di cedere ai diktat ma l’Europa nonostante i proclami per la pace è divisa, e una parte di essa è prona ai voleri di Washington.



Andrea Perrone



http://www.rinascitabalcanica.com/?read=2646

giovedì 15 novembre 2007

PERUGIA, UNA CITTA’ NELL’ABISSO.

Una tragedia alle porte del centro storico di Perugia, colpisce improvvisamente al cuore della città. Ma, malgrado in molti prevalga lo sgomento, è sentire comune una non meglio identificata sensazione che porta immediatamente a ritenere che un pò tutti ce lo saremmo aspettato.



L’omicidio brutale della studentessa inglese Meredith Kercher, ventidue anni, trovata seminuda e sgozzata all’interno del casolare in cui risiedeva con altri universitari fuori sede nella zona del Bulagaio, appena fuori le mura medievali della parte nord del capoluogo perugino, è un caso tanto macabro quanto inspiegabile. Un’altra vittima della furia cieca e della degenerazione dei “soliti” loschi figuri che, al di là di etnia o religione d’appartenenza, sembrano sempre pateticamente in cerca di chissà quale allucinata fuga dalla realtà ed in preda al più totale delirio edonistico e vizioso. Arrivata nel nostro capoluogo tramite il progetto di studi Erasmus, da anni noto ponte di interscambio culturale tra gli atenei di tutta Europa, da circa due mesi aveva trovato alloggio in quell’isolata residenza, lungo la strada che collega la periferia nord-ovestUniversità per stranieri. Una zona franca, tanto ai piedi ed in prossimità dell’acropoli quanto buia ed abbandonata, in cui i pochi italiani rimasti, da tempo denunciano un degrado crescente che coinvolge non solo quel lungo viale ma tutto il rione di Porta Sant’Angelo, dal Tempio Pagano sino alle zone dell’ex Policlinico Monteluce. Un teatro di spaccio e consumo di stupefacenti e violenza sin dalla metà circa degli anni Ottanta, ma che ha conosciuto solo negli ultimi dieci anni un peggioramento impressionante, in relazione all’aumento della popolazione immigrata. della città alle zone dell’



E seguendo le direzionali che costeggiano a mò di ipotetica sezione aurea la collina su cui si erge la nostra città, partendo da lì, non è difficile intraprendere un cammino attraverso quartieri ed aree ad altissimo rischio. A cominciare dal nucleo suburbano Elce - Ponte Doddi - San Marco, dove i domicili degli studenti fuori sede, spesso chiassosi e viziosi, superano quelli degli italiani, percorrendo poi il vialone di San Galigano che ci porta sino alla Stazione Centrale di Fontivegge, autentico scenario di ogni più bieco istinto delinquenziale, dove ad ogni angolo si rischia di trovarsi a tu per tu con un tossico, di imbattersi in spacciatori o in extracomunitari poco affidabili, se non in prostitute di ogni risma (orientali, africane, balcaniche e così via…). Da qui, potremmo provvisoriamente abbandonare la via immaginaria che ci permette di costeggiare la città, per addentrarci nell’intimo della Seconda Circoscrizione, che è – appunto – seconda per densità di abitanti solo alla Prima (centro storico) e superiore alle altre undici (eh sì, perché il Comune di Perugia è stato così geniale nell’escogitare un’ennesima strategia di clientela, da far sì fittiziamente che una città di appena centosettantamila abitanti avesse ben tredici circoscrizioni!). Dalla Stazione, passando per l’enorme edificio di Piazza del Bacio, che un tempo ospitava la Perugina (quando non era ancora stata svenduta alla Nestlè) e che oggi ospita principalmente gli uffici della Regione e il primo McDonald che la città abbia mai avuto, possiamo arrivare alle soglie di un parco che, dalla sera alla mattina diventa praticamente inavvicinabile: si tratta della Verbanella. A dire il vero non è il più grande che esista in città e nemmeno uno dei più belli, ma la sua vicinanza tanto alla Stazione quanto al centro storico lo rende un perfetto luogo di incontro per spacciatori, tossici e ucraini in preda a “misticismo alcolico”, nello sfondo paesaggistico offerto da montagne di sporcizia e pavimenti di siringhe usate.



Il via vai in certi mesi diventa impressionante e si estende anche alle ore diurne, nella più completa impunità e carità pelosa, tanto che il Comune ha riservato anche un bagno mobile ad apertura elettrica per consentire ai “poveri criminali” di espletare le loro pratiche organiche, mentre la diocesi di sant’antonio lì a due passi, in forza della tipica tradizione cristiano-clericale, riserva accoglienza alla peggiore feccia.



Riprendendo frastornati il nostro cammino, pur restando nella medesima zona, giungiamo nella chilometrica via della Pallotta, da circa otto anni al centro di infinite polemiche legate principalmente all’immigrazione sudamericana e balcanica. Come da copione, al centro della vicenda c’è ancora di mezzo un prete: don Leonello Birettoni, ex parroco della chiesa di quartiere, ha già subito numerose denunce per sfruttamento dell’immigrazione clandestina, usura e truffa, organizzando inspiegabilmente e nel giro di pochissimi anni, un esodo di massa di circa cinquemila ecuadoregni, inizialmente stipati in alloggi oltre il limite dell’umanità, in condizioni oltre il limite della dignità, con modalità oltre il limite della decenza, e poi pian piano integrati e arricchiti da pesantissime agevolazioni fiscali ed iniziative, di cui il Comune e le sue associazioni non hanno perso tempo a farsi portavoce. Pur tra le polemiche, e nonostante i processi subiti, questo figuro è sempre riuscito nei suoi intenti e tutt’ora svolge liberamente la sua professione di “uomo di pace e accoglienza” (come suole definirsi). I numerosi spazi verdi presenti nella zona sono in gran parte preda di clandestini e spacciatori, come l’area a fianco dell’Hotel Grifone, dove persino la fermata del piccolo treno della linea MUA è diventata luogo di spaccio, specie nelle prime ore serali. Anche parchi apparentemente più tranquilli, come quello di Sant’Anna, diventano così luoghi impraticabili al tramonto del sole, pur in assenza di chiari segnali di pericolo, per la paura generale ormai insita nel cittadino medio, foriera di atteggiamenti di rinuncia e di difesa preventivi.



La convivenza risulta difficilissima, soprattutto per l’arroganza e la delinquenza mostrate in questi anni da una parte degli immigrati, che hanno recentemente spinto gli italiani (qui comunque numerosi) a formare un comitato cittadino autonomo per la sicurezza.



Da qui possiamo proseguire il nostro iter e passare alla periferia sud della città, quella dei ponti: Ponte San Giovanni, Ponte Pattoli e Ponte Felcino sono tre dei più vasti sobborghi ai piedi dell’acropoli, nati circa due secoli fa, sulle rive del fiume Tevere. Noti quali uscite del tratto forse più trafficato della E45 – quello che va dal Verghereto ad Orte –, sono da anni periferici scenari di delinquenza a causa di meridionali pregiudicati trapiantati, stranieri e tossici, dove il tasso di extracomunitari incide in maniera destabilizzante sulla popolazione: basti pensare che fino al 2004, dei diciottomila abitanti di Ponte San Giovanni, ben tremilaseicento erano stranieri, e che dei novemila di Ponte Felcino circa duemila erano gli immigrati. Quote sproporzionate già allora, che ora stanno toccando probabilmente punte del 35%, venendo a determinare ovvi disagi ed altrettanto ovvi settarismi etnici, per cui ogni comunità pare avere la sua strada, sulla base del fallimentare e catastrofico modello americano di società multirazziale, sponsorizzato e veicolato, specie tra i più giovani, da media addomesticati e pericolosi come Mtv.



Proseguendo per riallaciarci dall’altra parte, entriamo in zona Ferro di Cavallo - Monte Malbe - Madonna Alta, dove attorno allo stadio del nostro eroe Renato Curi, in cui tutti i perugini ancora legati ai simboli della propria città sono cresciuti, da molti anni pare non avere mai termine la presenza sulla strada di prostitute, principalmente africane, costrette sul marciapiede da chissà quali orrendi neo-schiavismi. La Questura è giusto poco più giù, oltre il vasto parcheggio appena rimesso a nuovo dal Comune per preparare tutto al meglio in vista dell’inaugurazione di uno dei più orripilanti aborti meccanici mai costruiti: il minimetrò. Anni di reperimento liquido (quasi del tutto pubblico, dacchè la quota privata di tale progetto proviene per la maggior parte dalla società del trasporto pubblico e da quella della gestione parcheggi a pagamento), anni di lavoro e di devastazione ambientale, dalle zone dello stadio Curi fino al centro storico, nel più totale e strisciante silenzio della cosiddetta “sinistra ambientalista” che sostiene la maggioranza a Palazzo dei Priori e nella più ridicola complicità dell’ex Ministro berlusconiano Lunardi e, ovviamente, dell’attuale Di Pietro, per un progetto che ha portato alla realizzazione di una rotaia sopraelevata lungo gran parte del tratto, che si incanala a livello terra all’altezza di via Cortonese per poi risollevarsi ed infine addentrarsi nel sottosuolo all’altezza del Parcheggio della Cupa, un luogo geologicamente e morfologicamente impraticabile, immediatamente sotto al centro storico. Un autentico delirio infrastrutturale, chiaramente incompatibile con il territorio locale sia per l’impatto ambientale assolutamente catastrofico, sia per l’inutilità in relazione allo scopo preposto. Le dichiarazioni del Sindaco, Renato Locchi, a proposito di un grande progetto per lo snellimento del traffico e per il miglioramento della viabilità, suonano quasi come una presa in giro dal momento che questo trabiccolo ha una capienza di venti persone. E non oso immaginare quanto possa costare il biglietto per una corsa. Ad ogni maniera, anche aumentando la frequenza delle navette all’ennesima potenza, appare subito chiaro da semplici calcoli che in giorni come il sabato, non sarebbero sufficienti a trasportare nemmeno un decimo delle persone che affollano le vie del centro storico, oltrechè risultare eccessivamente e pesantemente onerose per quanto concernerebbe le spese di manutenzione di un sistema sfruttato a un tale livello.



In realtà la posta in palio è molto più alta e tutte le aree che spiccano intorno a questa rotaia – aree spesso rimaste “stranamente” degradate ed inutilizzate per decenni –  in virtù di tale progetto hanno aumentato il loro valore e dovrebbe aver fatto gola a molti la concessione di appalti per due nuovissimi centri residenziali dall’aspetto radical-chic altoborghese (uno in via Cortonese e uno in via Mario Angeloni) e ben due centri commerciali unidirezionali posti uno all’inizio e l’altro alla fine del percorso, causando addirittura squilibri commerciali insostenibili anzitutto per i piccoli e piccolissimi commercianti (completamente ignorati dalle autorità) che ogni settimana animavano lo storico Mercato Coperto, costruito dal Fascismo nel ventennio e da molti decenni emblema e punto di ritrovo per tutti i perugini, ma ormai destinato alla chiusura.



Fa sorridere pensare che dalla nostra Regione è prontamente partita una carovana di gente per il Piemonte a dar man forte ai sedicenti “compagni” nei cortei politici contro la Tav, mentre sotto il loro naso le autorità locali realizzavano uno scempio ben maggiore e ben meno legittimo.



Si potrebbe andare avanti nel nostro viaggio: mancano ancora parti di città e su tutte, il centro storico, ormai terra di conquista di delinquenti, clandestini e tossici ed irraggiungibile ed invivibile per i molti perugini costretti negli ultimi dieci anni ad abbandonarlo in cambio di più umani mutui od affitti nei cordoni periferici.



Per ora preferisco concludere qui questo immaginario viaggio minuzioso e dettagliato ma necessariamente generale e d’insieme, intorno e dentro le mura di quella che un tempo era una delle dodici lucomonie etrusche, una delle principali roccaforte dell’Impero di Roma, una delle più autorevoli terre medievali e una delle più nobili e colte città rinascimentali.



Impegnato nel suo monopolio urbano a costruire centri commerciali mega galattici e quartieroni o residence radical-chic per noti professionisti, e a garantire lo sballo settimanale ai giovani più stupidi, attraverso luoghi di alienazione mentale come centri sociali “addomesticati” e discoteche, il Comune lascia in balìa di questo far west odierno i cittadini meno abbienti e più onesti, costretti a subire e a stare zitti di fronte alle più gravi ingiustizie, alle iniquità sociali e alle paure con cui devono convivere appena usciti dal portone di casa.


Di Andrea Fais, Perugia.

Pubblicato su Rinascita sabato 10 novembre.


mercoledì 14 novembre 2007

Aldo Bianzino, che venga alla luce la verità.


















Aldo Bianzino era un falegname che risiedeva a Pietralunga, un piccolo paese tra Città di Castello e Gubbio. Il 12 ottobre, a seguito di un’operazione delle forze dell’ordine di Città di Castello, Aldo Bianzino insieme alla sua compagna di vita Roberta Radici, viene arrestato per detenzione e coltivazione di piante di marijuana. Vengono portati in un primo momento al commissariato di Città di Castello e poi trasferiti al carcere di Capanne (Perugia); qui, ovviamente si separano. Il 13 ottobre, l’avvocato d’ufficio vede entrambi, prima lui, poi lei, e Aldo Bianzino sembra apparire in condizioni di salute normali.Domenica 14 ottobre, alle ore 08.15, Aldo viene trovato morto nella sua cella d’isolamento. La prima versione, e ovviamente quella “ufficiale”, dice che Aldo Bianzino è deceduto per un infarto tra la notte di sabato e domenica. Aldo Però aveva diverse lesioni alla schiena e all’addome, costole rotte e lesioni alla testa. Il PM ordina l’autopsia sul cadavere, che conferma la presenza delle lesioni e che da queste sia derivato il suo decesso. Al momento dell’arresto l’avvocato della coppia, Massimo Zaganelli, precisa: “Furono portati in carcere in perfetta salute e durante il viaggio non fu torto loro un capello”, e ancora: “Per quel che sappiamo il decesso è verosimilmente riconducibile a un trauma, ma non a un trauma accidentale”. Di solito un arrestato resta nella cella d’isolamento fino a quando non incontra il Giudice per le indagini preliminari e dunque, Aldo Bianzino, non dovrebbe essere venuto a contatto con nessun altro detenuto.





Una vicenda triste, che ha veramente del surreale, e soprattutto è surreale il fatto che ad un mese dalla sua morte, ancora non si conosca né un colpevole nè le motivazioni di una morte così assurda. Molte cose vanno riviste nel sistema carcerario italiano.




Chiediamo verità per Aldo e per tutti quelli che, come lui, non hanno ancora avuto una giustizia giusta. Per tutti quelli che stanno scontando, senza prove certe, anni e anni di detenzione.



Tacere la verità vuol dire aver sbagliato due volte.




Comunità Militante Perugia – Associazione Culturale Tyr

lunedì 12 novembre 2007

Il tifoso può essere assassinato.







Questo è quanto si deduce dai media e dal Palazzo che ha inventato l'apartheid all'italiana. Onoriamo Gabriele Sandri!




Il giovane tifoso laziale Gabriele Sandri, in viaggio per Milano dove si doveva svolgere Inter-Lazio è stato ucciso nel parcheggio di un autogrill con un colpo di pistola sparatogli in testa da un agente della polizia stradale mentre era tranquillamente seduto in macchina.

Ciò è accaduto dopo un rapido e non violento alterco tra gli equipaggi di due macchine di tifosi (una laziale e una juventina).


I media – incendiari, irresponsabili, criminali - si sono messi a sputare sentenze a vanvera sul “tifo violento” salvo poi essere colti da imbarazzo man mano che la verità si veniva a conoscere.


Il Palazzo infine ha commesso l'ulteriore obbrobrio. A febbraio fu bloccato tutto per la morte accidentale del commissario Raciti (e sulla dinamica di quella morte ancora non ci è stata offerta una verità accertata); per Sandri non solo non si è sospeso il campionato ma è stato anche vietato il minuto di silenzio. Questo Palazzo “buonista” e truculento ha così inventato l'Apartheid.


La vedova Raciti inoltre ha immediatamente incassato cifre notevoli per essere ripagata della scomparsa del marito; la famiglia Sandri dovrà invece pagarsi da sola il funerale.


Benvenuti in Italia!




(Tratto da noreporter.org)

sabato 10 novembre 2007

venerdì 9 novembre 2007

L'immigrazione? Un business.

Chiusi a forbice tra opposte demenze, in ostaggio di profittatori internazionali e nazionali, non sappiamo che pesci prendere sull'immigrazione. Eppure...



Il caso Reggiani induce a riflettere. Il fenomeno dall'immigrazione è gestito come peggio non si potrebbe ed ha effetti catastrofici. Tanto per cominciare ha innescato una guerra tra poveri che rischia di non finire mai. Questa guerra è incoraggiata quotidianamente da una serie di ingiustizie, sperequazioni e favoritismi che avvantaggiano gli stranieri sugli italiani, gli stranieri irregolari sui regolari, e infine, tra gli irregolari, quelli più pericolosi socialmente.

I costi economici, sociali, culturali dell'immigrazione sono altissimi. L'immigrazione incide non poco anche sull'ordine pubblico e sulla sicurezza.


Non esiste una politica credibile – né l'ipotesi di una politica credibile – sull'immigrazione.





Trinariciuti e agghiaccianti





Le voci che si levano in proposito sono quasi sempre assurde, espressioni di logiche trinariciute, a volte agghiaccianti.


I profeti del paradiso cosmopolita ripetono incessantemente un'interminabile serie di assurdità ideologico-moralistiche facendosi così agenti patogeni di una vera e propria epidemia. Nella veste di censori morali criminalizzano la reazione normale della gente e pretendono anche manu militari che essa eviti di ribellarsi al non senso.


E' pur vero però che dal canto suo la gente ama il sensazionalismo ed è semplicistica nelle sue emozioni. E così, presa oggi da romenofobia, oltre a dimenticare che esistono non pochi immigrati laboriosi e onesti, non si accorge in questi giorni di altri reati non commessi da immigrati, come a Guidonia ieri (che sarebbe successo se a sparare a diciassette passanti fosse stato un rom?) o di altri omicidi tutti italiani. Mai un po' di misura... La gente oscilla pericolosamente tra un buonismo neo-rousseauiano e un'intolleranza ottusa.


Se si continua così, con demonizzazioni e angelizzazioni alterne, non si farà che far marcire irrimediabilmente tutto, senza che alcuna misura intelligente venga mai presa nemmeno in considerazione.





L'immigrazione? Un business





Ma qualcuno vuole prendere misure serie? Francamente ne dubito.


E' vero infatti che l'immigrazione è l'effetto di un colonialismo anomalo e intrecciato che tanto giova alle multinazionali e tanto danneggia i popoli. E' certo che un'ideologia perniciosa di cui sono imbevute le intellighenzie occidentali non fa che alimentare il meccanismo multinazionale.


E' vero, tremendamente vero, che ci sono troppe associazioni che vivono dell'immigrazione, foraggiate da fondi europei, nazionali, locali, da tasse dirette e indirette. L'immigrazione è diventata un business per associazioni clericali e marxiste, prima tra tutte Migrantes della Caritas.


Di sicuro fino a quando saranno versati migliaia di miliardi di lire a chi si occupa di frizioni sociali dovute all'immigrazione costoro si adopereranno affinché l'immigrazione resti un fenomeno socialmente devastante anziché cercare di trovare soluzioni. (E parte di questi miliardi si spreca nella manutenzione degli inutili e indegni Cpt, contrappeso uguale e contrario dell'assistenzialismo). Quella che si è venuta a creare è una ricchissima, vergognosa e pericolosa forma di tangente; una porcheria che ha un peso notevole nella gestione migratoria. E tutte le misure previste non vanno minimamente a risanare le problematiche sull'immigrazione bensì a rimpinguare ulteriormente le casse degli sfruttatori dell'immigrazione; lo si scopre chiaramente con la legge Amato-Ferrero.





Dobbiamo alzare le braccia?





Non c'è via di uscita? Dobbiamo gettare miliardi per finanziare i profittatori e rassegnarci così a un futuro letteralmente invivibile? E dobbiamo, nel frattempo, essere costantemente ingiusti verso tutto e tutti? Dobbiamo continuare a confondere l'immigrazione (che è un fenomeno) con la figura emblematica dell'immigrato?


E che dobbiamo pensare di questo fantomatico “immigrato”? Che è un criminale, un selvaggio, offendendo così decine e decine di migliaia di persone per bene e la nostra stessa dignità? O dobbiamo pensare che questo inesistente “immigrato” sia un buono, una vittima onesta da proteggere e con cui costruire un melting pot americano? E così alimenteremo ingiustizie, sperequazioni, guerre tra poveri e lasceremo crescere anche le ampie sacche criminogene, rendendoci complici, quando non vittime, di violenze e omicidi.


Dobbiamo rassegnarci a un'impotenza imbecille chiusi a tenaglia tra affermazioni ideologiche e prive di proposte? Sembrerebbe che tutti, dall'estrema sinistra all'estrema destra con esternazioni irreali e sloganistiche siano d'accordo per fare in modo che nulla si muova e che tutto contribuisca allo sviluppo incontrastato dello status quo, così come pretende – giustamente per le sue finanze – il cardinal Bertone.





Molto si può





E' certo che non si può risolvere il problema dell'immigrazione in una condizione di sovranità limitata e sottostando ai diktat del Wto e delle organizzazioni internazionali. Ma questo non significa che, pure nell'attuale limitato margine d'azione, alcune decisioni di buon senso non possano rivelarsi salutari.


Innanzitutto s'impone la chiusura totale dei rubinetti per le associazioni che incoraggiano il disagio migratorio.


Quindi si può uscire dai vincoli di Schenghen, ché non è un obbligo restarci invischiati, e regolarizzare così meglio i flussi.


Quindi è possibile passare una serie di accordi internazionali – in controtendenza rispetto al sistema multinazionale - per finanziare i Paesi colonizzati che oggi vivono in buona parte delle rimesse finanziarie degli emigrati e che, fronte a un'ipotesi più ghiotta, si adopererebbero a cambiare e far cambiare rotta.


Si dovrebbe poi smetterla di offrire la cittadinanza o la nazionalità (a me non è mai venuto in mente di chiedere quella francese benché abbia vissuto per quindici anni a Parigi e stimi a ragion veduta molto più quello Stato del nostro); si parli di permessi di soggiorno che, sia ben chiaro, offrono le medesime garanzie legali e assistenziali quando non addirittura maggiori.


Si dovrebbe infine avviare una serie di programmi di qualificazione professionale con integrazioni lavorative temporanee i cui proventi siano versati obbligatoriamente in parte  nel loro Paese in fondi destinati all'acquisto di casa e terra (ad esempio potrebbe trattarsi dei contributi che andrebbero vincolati a questo scopo).


Si agisca, insomma, per ribaltare la logica di questa dinamica.


Si può fare; si può fare in concordia e in collaborazione internazionale, si può fare rispettando la nostra cultura, la nostra intelligenza, le nostre tradizioni, i popoli e gli individui delle altre nazioni.


Ma la domanda che va posta è: si vuole fare? Perché a me non pare proprio. Nessuno, davvero nessuno, mi sembra volerlo; tutti, gli imbelli, i parassiti e gli oppositori che alzano la voce, si agitano e inseguono voti nel malcontento, sembrano soddisfattissimi della situazione com'è. Oppure sono soltanto superficiali e pressapochisti, il che di fatto non cambia. E allora ammettiamolo: abbiamo esattamente quello che ci meritiamo e andremo sempre peggio. Ma prendiamocela con noi stessi invece di ululare alla luna. Che noi siamo iene, cani, sciacalli o lupi mannari fa lo stesso: è solo una perdita di tempo.


Gabriele Adinolfi