martedì 30 settembre 2008

Ciclo di incontri: LA MONTAGNA. [Araldo]







Il Centro Studi l'Araldo organizza un ciclo di incontri dal titolo: "LA MONTAGNA - luoghi e spiritualità"



-Venerdì 10 ottobre alle ore 21, presso la sede, "La montagna e la modernità" con Augusto Grandi (giornalista del Sole24ore, autore tra gli altri di "Baci e bastonate"), che presenta il suo libro "Lassù i primi. La montagna che vince";



-Venerdì 21 novembre alle ore 21, presso la sede, "La montagna eroica - sfida a sé stessi" con Maurizio Murelli (autore di vari saggi, curatore di "Cavalcare le vette" e animatore della Società Editrice Barbarossa, nel giugno 2004 organizzò, nel trentennale della morte di Julius Evola, un'ascesa commemorativa sul ghiacciaio del Monte Rosa, dove nel 1974 furono calate le ceneri di uno dei più importanti  testimoni della Tradizione) che parlerà della montagna come via di realizzazione spirituale;



Date da definire nel 2009:

-"La montagna come limes - le fortificazioni delle Alpi", un'excursus sulle sentinelle di pietra che dominano colli e cime delle vallate alpine;



-"La montagna come luogo della religiosità" con Mario Polia (archeologo, scrittore, storico delle religioni e docente di antropologia presso l’Università di Lima – Perù, autore anche di "Il Sangue del Condor", "Mio padre mi disse. Tradizione, religione e magia sui monti dell'alta Sabina", "Tra Sant'Emidio e la Sibilla. Forme del sacro e del magico nella religiosità popolare ascolana", "Vótornéatse. Profilo di una cultura alpina")





Per informazioni: www.araldo.info - telefono 011-3391928 (lun. e ven. 21-23, sab. 16-19) e-mail centrostudi@araldo.info – casella postale 3152, 10141 Torino

Aperture: Venerdì dalle 21:00 alle 23:00 – Sabato dalle 16:00 alle 19:00

Triskell. Agli albori del mondo celtico.

Per gli architetti e gli scultori contemporanei, il triskell non è altro che una forma decorativa, un motivo ornamentali da porre sulle facciate delle chiese. La sua origine e la sua storia sono tuttavia poco conosciute; la sua utilizzazione limitata e il suo simbolismo praticamente inesistente, anche se le sue radici affondano nel più profondo della notte dei tempi, della coscienza umana.



Per alcuni ricercatori che si applicano nel campo dell’energetica, e nella nuova disciplina della “Geobiologia” o “Geoenergetica”, il punto d’approccio risulta essere del tutto differente poiché essi considerano il triskell per la sua forma e le sue emissioni energetiche come fonte di vita. Ecco che quindi nasce una nuova Coscienza che tiene conto dell’origine antica di questo simbolo, come fu utilizzato, e del suo significato in campo applicativo.


Fu seguendo un criterio di armonia delle forme che gli antichi costruttori di cattedrali, utilizzarono il simbolosimbolo più usato in tutto il mondo, tant’è vero che fu rinvenuto non solo nell’Europa di 15.000 anni fa, ma anche in America , Australia, Indie e in Egitto, come ci testimoniano alcuni reperti archeologici all’interno di grotte votive, sui dolmen e sui menhir del continente Europeo come ad esempio a Carnac in Bretagna, Newgrange in Irlanda e Stonehenge in Inghilterra.



Ma da dove proviene, come nasce, esattamente il Triskell? Triskell proviene dal celtico triskin che significa letteralmente “tre raggi di luce” (in bretone an triskell, in francese triscèle). Con il punto e il cerchio, la spirale, da cui ha origine il triskell, è uno dei simboli più antichi che l’Umanità abbia mai conosciuto. Prima ancora di essere un simbolo, però, risponde ad una realtà funzionale che mette in comunicazione le forze cosmiche con la cassa di risonanza dell’Uomo, che è il torace. Il cerchio ha sempre rappresentato per l’Uomo antico, la perfezione, la vitalità del Sole e il segno stesso della Vita. Con la spirale, il cerchio diviene ancora più Vivo, poiché la rappresentazione dell’energia del cerchio, in rapporto ai suoi punti, diviene la rappresentazione stessa di Dio. La spirale, simbolicamente parlando, diviene il punto d’incontro tra il cerchio e la linea, aggiungendo a questi la curva. Con la spirale tutti i punti si allontanano e si riavvicinano in egual misura, in un eterno ritorno, in un eterno motivo rotatorio che non ha un centro preciso nello spazio. Con questo simbolo si voleva rappresentare l’Universo nella duplice veste di infinitamente grande e infinitamente piccolo.



Nel triskell esiste un movimento evolutivo ed uno involutivo che trovano un punto d’incontro nel movimento che equilibra le forze contrarie. Questi tre movimenti producono energia che nella realtà antica rappresentava l’essenza della Vita stessa. Il movimento involutivo rappresentante le forze telluriche congiungendosi con quella evolutiva delle forze cosmiche, non troverebbe mai un punto d’equilibrio senza una forza esterna che armonizza entrambi i movimenti. È per questo che i costruttori dei santuari e delle cattedrali hanno sempre cercato la presenza di  luoghi tellurici fortemente attivi, per la presenza sotterranea di acqua, per aver accesso a questa energia. Questa terza forza permette di equilibrare e veicolare delle forze che altrimenti si contrasterebbero e produrrebbero una dispersione di energia.



È per un bisogno di energia cosmica, di attrazione spirituale che l’Uomo cerca di uscire dalla materia, ed è per un bisogno di incarnare tutte le cose nella materia, che  l’energia cosmica scende in terra. Nell’edificazione delle cattedrali come quella di Milano e di Chartres, la terza forza, il terzo movimento, veniva rappresentato dall’edificio stesso che con la sua altezza, faceva da cassa di risonanza per intercettare e veicolare al meglio le due forze in gioco.



Il principio trinitario lo ritroviamo in tutte le antiche Tradizioni ed anche in quella cattolica. Presso le popolazioni celtiche era l’espressione dell’increato, che si manifesta in tre principi fondamentali che sono l’Acqua, l’Aria ed il Fuoco, dai quali traggono origine tutte le forze create dell’Universo. Sono tre principi che la tradizione celtica ha simboleggiato in tre raggi, tre linee, che rappresentavano il Divino. Secondo la concezione celtica la manifestazione di queste forze passa per il Verbo e il Suono, una unità trinaria che espande se stessa tramite la manifestazione energetica vitale del numero tre.



Le divinità che discendono da Dio, rappresentano queste manifestazioni terrene e nella Tradizione Celtica, vengono rappresentate da Lugh, Ogmios e Taranis/Nuada.



Lugh viene spesso associato al Mercurio romano, dio della ruota (sue rappresentazioni le ritroviamo sparse per il nord Italia); manifestazione triplice che viene rappresentata anche da tre teste. È il dio più importante dei Celti perché è il dio della Creazione, degli scambi e delle comunicazioni. Realizza l’unione di ciò che sta in alto con ciò che sta in basso, lo spirito della materia col pensiero e con l’azione.



Ogmios è l’equivalente del Giove romano, padre dell’eloquenza e del verbo, colui che libera tramite la parola. È l’inventore dell’alfabeto sacro e magico Ogham. È il dio della giustizia e dell’equilibrio per eccellenza.



Taranis/Nuada, si può identificare col Sole e con Marte: è il dio Re, simbolo delle anime, della conoscenza e della saggezza. È all’origine di tutte le forme di Vita, la forza motrice che anima il mondo e che veicola l’energia creatrice. Viene spesso associato al mistero della foresta, al mito dell’albero “asse del mondo” e simbolo di fecondità tra cielo e terra. Nella veste di Taranis rappresenta l’energia del Cielo che si trasmette tramite i fulmini, i tuoni, nella sua forma più attiva. È il maestro del cielo e del fuoco, la ruota cosmica simbolo dei giorni e delle notti, delle stagioni.



Ecco che il triskell riunisce le sue tre energie in una sola, in un perpetuo moto di rinnovamento e Vita. L’energia del tre permette di canalizzare l’energia primordiale nella materia, poiché funziona sui tre livelli della coscienza manifesta: piano fisico, energetico e spirituale. È un’energia capace di attivare, di dare vigore a tutto ciò che incontra. Sulle nostre cattedrali come quelle di Milano e Como, per fare solo alcuni esempi, il triskell viene sempre rappresentato come simbolo dei campi d’energia. Fra i costruttori delle cattedrali, i Maestri Comacini, erano profondi in quest’arte, perché conservavano il segreto delle “Onde di Forma” che sono alla base dell’edificazione sacra e magica.



Notiamo, però, una curiosità: sulla facciata principale del Duomo di Como, oltre al triskell viene rappresentato anche il triskell a quattro braccia, simbolo del ritorno dell’energia in terra. Questo perché il triskell è un principio di emissione indotta delle forme, forma frattale che funziona con il quarto stadio della materia, cosicché il triskell a quattro braccia consolida l’energia veicolata dal triskell. Il triskell, con l’energia che riesce a liberare, ci permette di agire e lavorare su molteplici stati della coscienza, molteplici livelli che si richiamano ai modelli che Madre Natura ci ha messo a disposizione.



Da: www.centrostudilaruna.it

venerdì 26 settembre 2008

Ennesimo inganno. Siamo in Itaglia.

Ieri si sarebbe dovuto svolgere ad Arezzo il processo all’uomo senza volto, l’agente scelto della Polizia di Stato Luigi Spaccarotella, accusato dell’omicidio del giovane Gabriele Sandri, avvenuto – senza un perché - l’undici novembre scorso all’Autogrill di Badia al Pino (AR). L’udienza preliminare però non si è tenuta, è stata rinviata per un vizio di forma; a quanto è stato riportato, uno degli avvocati dell’agente non aveva ricevuto la notifica dell’avviso di chiusura delle indagini. E così, come se non fosse già passato tanto, troppo tempo dal quel maledetto giorno, per il processo – se mai inizierà – bisognerà aspettare ancora un mese e mezzo o due. Spaccarotella ieri mattina non si è presentato in aula per paura delle brutali minacce delle quali - a dire del suo avvocato che però non ha mai sporto denuncia - è vittima costantemente. Noi – al contrario di altri - ricordiamo ancora le parole che il Capo della Polizia, Antonio Manganelli, esprimeva nei giorni che seguivano la scomparsa di Gabriele: "La Polizia si assumerà le proprie responsabilità". Ci sarebbe veramente piaciuto che almeno per una volta tutto questo potesse accadere. Ci sarebbe veramente piaciuto che un ragazzo, che come noi amava la vita e gli amici, potesse avere giustizia. Ma si sa, siamo in Itaglia e ormai noi non ci stupiamo più di nulla… Martedi ventitre settembre Gabriele avrebbe compiuto 27 anni se un personaggio che ora dovrebbe, come tutte le persone normali, pagare per i suoi errori, non si fosse divertito a giocare a fare il cowboy. Gridiamo forte al Cielo i nostri migliori auguri e senza sonno continueremo a chiedere giustizia.



Controvento

giovedì 25 settembre 2008

Obbligazioni e vasellina.

Lo avevo già predetto nel Maggio del 2006, il miglior investimento per gli anni a venire sarebbe stato l'acquisto di azioni di società che producono vasellina, perchè ve ne sarebbe stata una fortissima richiesta nel successivo biennio. Andate a rileggervi quello spiritoso redazionale per capire perchè adesso la vasellina è ampiamente richiesta dai piccoli risparmiatori italiani. Iniziamo con lo svegliare tutte quelle persone che dormono nell'innocente torpore accompagnato dalle affermazioni rassicuranti delle nostre autorità istituzionali che non sanno più come tranquillizzare il pubblico risparmiatore italiano. Secondo autorevoli, quanto discutibili,  fonti mediatiche, l'attuale crisi finanziaria (la peggiore di sempre) non contagierà più di tanto il vecchio continente ed il nostro paese: questo perchè le banche italiane ed europee non sono avventate e spudorate come quelle statunitensi che adesso si scontrano con il mostro che loro stesse hanno creato (il profitto indiscriminato). Infatti le banche italiane, per fare un esempio, non hanno erogato mutui al 100 % a persone che non hanno un reddito certo come in America, e nemmeno hanno cartolarizzato posizioni di debito ipotecario quando si sono rese conto che anche in Italia si stava verificando una sistematica incapacità di onorare i propri debiti nel lungo termine in seguito al progressivo rialzo dei tassi di interesse.

 

Secondo le fonti istituzionali, a farla grande, forse saranno state un paio di banche nel nostro paese ad aver erogato mutui ad intervento integrale, gonfiando le perizie di valutazione degli immobili pur di rendere congrua la rata del mutuo con il reddito mensile percepito e riuscire così a fare budget. Di cosa vi stupite ! Ormai si cerca all'inverosimile di nascondere anche quello che è stato palese agli occhi di tutti per numerosi anni pur di evitare una crisi di fiducia da parte del sistema. Crisi che molto presto si riverserà anche sulle tasche di ignari risparmiatori che avevano investito in prodotti a capitale protetto e rendimento garantito, come le polizze index linked o le obbligazioni strutturate, nella speranza di almeno riprendersi l'integralità del proprio conferimento qualora i mercati avessero subito perdite o fossero state colpite da un andamento sfavorevole rispetto a quello pronosticato. E a questo punto si apre un vaso di pandora: infatti adesso si profilano rischi non indifferenti che vanno dall'impossibilità di smobilizzare la propria posizione fino alla perdita anche totale di quanto investito, nonostante la garanzia del capitale.

 

Prima di proseguire oltre è opportuno spiegare che cosa sono e come sono costruiti questi prodotti di investimento, in parte strumenti finanziari ed in parte assicurativi. Sostanzialmente, per semplificare al massimo, una obbligazione strutturata rappresenta l'unione di due strumenti finanziari a se stanti: una obbligazione tradizionale (emessa da un emittente con rating elevato) ed un prodotto finanziario derivato (come ad esempio, un'opzione su un indice di borsa). Quanto sopra esposto possiamo avallarlo anche per una polizza index linked (il cui capitale assicurato dipende dal valore di un indice azionario o di un altro valore di riferimento). Passiamo adesso a descrivere le operazioni finanziarie che effettua la banca che vi ha proposto l'obbligazione strutturata di turno: supponiamo che abbiate conferito 100.000 euro. Con questo importo viene sottoscritto l'obbligazione tradizionale che fa da sottostante alla polizza index linked, una obbligazione diciamo emessa da una primaria banca internazionale il cui rating è indiscusso. Questa obbligazione paga una cedola annuale del 4 % pari a 4.000 euro annui di interesse. La vostra banca a questo punto anticipa di tasca propria i 4.000 euro che percepirà alla fine dell'anno e li investe in prodotti finanziari sofisticati, come le opzioni su un indice di borsa, confidando in un rialzo di quell'indice per gli anni successivi. Il vantaggio di investire acquistando opzioni è duplice: infatti se il tal indice si muove al rialzo come si prevedeva, i 4.000 euro investiti potrebbero anche raddoppiare o triplicare, nel caso in cui invece questo non si verifichi, ovvero l'indice di riferimento scende piuttosto che salire, i 4.000 euro svaniscono in quanto il valore delle opzioni sugli indici si riduce a zero.

 

Con questa architettura è possibile pertanto investire anche su mercati molto volatili come gli indici azionari, mantenendo comunque la garanzia sul capitale in caso di andamenti avversi alle proprie aspettative, infatti trascorso un anno la vostra banca incassa l'interesse dell'obbligazione che ha per voi sottoscritto e copre la perdita dei 4.000 euro anticipati per effettuare la speculazione sull'indice di borsa. Naturalmente si può verificare che l'andamento degli indici si manifesti secondo le proiezioni ed analisi della vostra banca: in questo caso l'interesse percepito su base annua dalla vostra obbligazione strutturata o dalla vostra polizza index linked diventa significativa, anche oltre il 10 %.  Per come vi è stato descritto il tutto potete capire che volendo ognuno si potrebbe costruire da solo la propria obbligazione strutturata acquistando un titolo obbligazionario di first standing come il Bund (titolo di stato tedesco con scadenza decennale). E qui ora arriviamo al cuore di quanto vi voglio svelare con questo redazionale: le tecniche di marketing per vendere questi prodotti spingono molto sulle caratteristiche esplicite del prodotto ovvero il capitale protetto ed il rendimento garantito.

 

Tuttavia in pochi, temo, si soffermino a leggere quanto riportato nelle offerte di sottoscrizione o nei documenti di sintesi di queste obbligazioni strutturate o di queste polizze unit linked. Alle voci "Rischio Emittente" o "Garanzie" quasi tutti i modelli riportano la stessa frase di rito ovvero "il contraente assume il rischio di credito connesso all'insolvenza degli emittenti del portafoglio finanziario strutturato: pertanto, esiste la possibilità che il contraente ottenga, al momento del rimborso, un ammontare inferiore al capitale nominale". Questa clausola viene riportata molto spesso anche in grassetto, per far capire a chi sottoscrive il prodotto che la famosa frase fatta "capitale protetto e rendimento garantito" vale solo in teoria, infatti qualora l'emittente andasse in default o fallisse, il proprio capitale andrebbe a gonfiare le fila di penose vicende finanziarie stile Argentina o Cirio. 

 

Sappiate che in quest'ultima settimana molti prodotti a capitale protetto (obbligazioni strutturate o polizze index linked) si sono polverizzati in quanto avevano come sottostante una obbligazione tradizionale di Lehman Brothers !

Inutile raccontarvi di quante banche italiane ora facciano a gara a ritirare la raccolta per la tal obbligazione strutturata di turno sapendo benissimo il marcio del sistema ed i rischi per chi le sottoscrive. Chi invece avesse sottoscritto in passato prodotti di questa fattezza è vivamente invitato ad informarsi quanto prima sulla consistenza del sottostante della propria polizza od obbligazione strutturata (per conoscere chi è l'emittente che dovrebbe garantire loro almeno il capitale versato), e qualora fosse ormai troppo tardi, di procurarsi una abbondante confezione di vasellina con relativo applicatore per sopportare con maggior serenità il dolore che avvertiranno dall'ennesima sodomia finanziaria.



Di Eugenio Benetazzo, www.eugeniobenetazzo.com

martedì 23 settembre 2008

Impressioni di settembre (con tante scuse alla PFM).

È brutto da dire, ma anche settembre si avvia a diventare un mese noioso come aprile.








Avremmo anche fatto volentieri a meno di parlarne se non fosse che ne parlano tutti; e siccome questo è uno di quei frangenti in cui si è più notati quando si arriva in ritardo, eccoci anche noi a parlare dei vari 8 e 11 settembre, nel silenzio improvvisamente calato sulle celebrazioni di rito.




Giorni  che sono sempre gli stessi. Perché è da anni che su queste date fatidiche si riversano e si rimasticano puntualmente le medesime considerazioni, proprio come accade per il soporifero 25 aprile.




E pensare, invece, che sarebbe così bello per una volta lasciarsi alle spalle la lettura manieristica di quell’8 settembre che — immarcescibile — schiera ogni anno e con rivoltante prevedibilità i soliti “fascisti” da un lato e i soliti “antifascisti” dall’altro. Sarebbe così bello, per una volta, fare mente locale (mai espressione fu più appropriata) e soffermarsi sulla Sicilia: su quello che era allora e su quello che sarebbe diventata poi. Si finirebbe per scoprire che in quell’8 settembre non si verificò soltanto il tradimento di un generale e di un monarca (visto da destra), né soltanto si udì il vagito della riscossa antifascista verso una nuova Italia (visto da sinistra). No. No: perché l’8 settembre 1943 segna il punto di convergenza di almeno un paio di catastrofi, i cui effetti su questo paese che fu nazione sovrana permangono disastrosi benché criminalmente ignorati: 1) un forte sentimento antifascista e in ultima istanza anti-italiano diffuso particolarmente nelle classi dirigenti siciliane; e 2) una vergognosa alleanza fra servizi segreti americani  e malavita siciliana, mirante a ottenere la vittoria in guerra senza curarsi delle ripercussioni che tale alleanza avrebbe avuto sul  già disastrato tessuto sociale italiano e preoccupandosi anzi di come volgere a proprio favore la rovina di una nazione.




Del pari, sarebbe non bello ma bellissimo, per una volta, lasciarsi alle spalle la commozione e l’esecrazione e lo sdegno per le vittime dell’11 settembre — che ci sono state, per carità, e non chiederti per chi suona la campana. Al fine di (con mente lucida e spirito critico) interrogarsi sulle molte verità sottese al crollo delle Twin Towers e delle speranze di un mondo multipolare. E magari, con un ardito esercizio metalogico che farebbe invidia a Pindaro, giustapporre l’attentato in cui il 9 settembre 2001 fu ucciso il comandante afghano Ahmad Shah Massoud e l’attacco alle Torri dell’11 settembre 2001 e l’invasione dell’Afghanistan da parte degli Usa il 7 ottobre 2001: e leggere gli eventi del 9 e dell’11 settembre come prodromo e giustificazione per un attacco all’Afghanistan accuratamente pianificato in precedenza.




Macché. Prendiamocela col terrorismo islamico, leviamoci tutti per la difesa dell’Occidente e soprattutto non chiediamoci mai perché ci odiano. Sarà anche noioso, ma al momento è più comodo: e noi, qui nel Primo mondo, siamo abituati a tutti i comfort.






Di Alessandra Colla, tratto da www.oriononline.info

lunedì 22 settembre 2008

Equinozio d’autunno.

La morte annuale della natura e il risveglio delle forze interiori di volontà si bilanciano nell’equinozio d’autunno. Esso segna un’inversione di polarità nella manifestazione delle forze divine, che nei mesi precedenti si erano espresse principalmente nelle forme della natura, nella luce trionfante del giorno e che ora incominciano a pervadere la libera volontà dell’uomo. Quando la luce del mondo declina, l’uomo inizia a percepire sé stesso come portatore di una luce invisibile, non soggetta a tramonto. In tal senso il “dramma spirituale” dell’equinozio ricapitola e sintetizza la vicenda della storia sulla Terra: fine dell’età dell’oro, oscuramento del divino nella natura, sorgere dell’autocoscienza, senso individuale di solitudine cosmica e di responsabilità.


Quel sentimento di malinconia, suggerito dalle foglie che ingialliscono e cadono, deve essere energicamente bandito. La nostalgia del passato, il lamento “tradizionalista” non si addicono all’uomo nobile (all’“arya”): egli sa che nel cosmo ciò che declina e muore è bilanciato secondo giustizia da ciò che sorge e si afferma. Nell’equinozio di autunno si celebra l’affermazione della volontà, la capacità “faustiana” di porsi obiettivi e di perseguirli.




L’elemento alchemico dell’autunno è il Ferro: al ferro materiale che ha forgiato la nostra civiltà tecno-industriale deve corrispondere il ferro spirituale della volontà, concretamente – e razionalmente – esercitata.




Gli Dei benedicono l’azione concreta, la volontà che si afferma in progetti ben definiti o che si volge alla formazione di sé (alla Bildung).




* * *




In autunno, gli spiriti di natura fanno ritorno alla Terra. Riaspirati alle radici del terreno si sottopongono alle forze della gravità. La festa d’estate svanisce, ma nell’animo dell’uomo libero non vi è spazio per la malinconia.




Quando la natura si spegne bisogna volgersi alla coscienza di sé. La festa dell’equinozio che apre l’autunno è la festa dell’autocoscienza forte e libera, è la festa dell’iniziativa piena di energia, della liberazione da ogni timore e da ogni condizionamento dell’animo. Quando la natura esteriore si spegne e la vegetazione appassisce, cresce in compenso tutto ciò che si lega all’iniziativa interiore. Forze di volontà si liberano, l’Anima del Mondo esorta l’individuo a diventare più coraggioso.





Nel giorno dell’equinozio si celebra la festa del forte volere. Al culmine dell’estate erano divenuti visibili i grandi stormi meteoritici che contengono il ferro cosmico. Quel ferro piovuto dal cielo in direzione della terra contiene l’arma degli Dei contro il drago-Ahrimane che vuole rubare agli uomini la luce animica, avvincendoli tra le sue spire. Allora il sangue umano si pervade di ferro: milioni di sfavillanti meteore turbinano nel sangue donando all’organismo l’energia per combattere ogni paura, ogni terrore, ogni forma degradante di odio. Come il volto dell’uomo quando corre diventa rosso vermiglio, così il corpo sottile dell’uomo irradiato di ferro cosmico comincia a emanare energia.




Nelle antiche mitologie ricorrono figure di divinità solari, giovani divinità dorate che abbattono un drago o un serpente che sale dalle viscere della terra. Quando le giornate di autunno si rabbuiano e si rinfrescano, quando cadono le foglie e le prime piogge, evoca nella fantasia queste figure divine mentre abbattono il drago: esse sono il simbolo della autocoscienza vittoriosa, che si sveglia dal sonno dell’estate, pronta a realizzare con decisione i propri obiettivi.




Si immagini il drago, il cui corpo è formato dalle correnti sulfuree che salgono dalla terra accaldata d’estate: queste correnti gialle e azzurrognole formano le squame, le placche, le spire del drago. Ma ecco sul drago librarsi il dio dal volto di sole: egli brandisce la spada, in una atmosfera satura di saettanti stormi meteoritici. In virtù della luce dorata irradiante dal cuore del dio le meteoriti si fondono in una spada di ferro, che penetra nel corpo dell’antico serpente e lo distrugge. Alimenta con l’immaginazione la corrente che scorre dalla testa verso l’organismo, verso il basso: come uno stormo di meteoriti dal cielo stellato piove sulla terra, così una cascata di energia si riversa dal capo al cuore e seguendo le vie del sangue giunge agli organi e agli arti. Ovviamente all’immaginazione deve accompagnarsi l’azione: se qualcosa è in disordine deve essere ordinato, se qualcosa era stato lasciato in sospeso ora deve essere portato a termine, se qualche timore irretisce il nostro animo bisogna mettersi alla prova e con accortezza superare il timore, se ancora qualche fede, qualche credenza domina l’anima è tempo di dissolverla con la forza della razionalità, se qualche malumore aveva offuscato il rapporto con una persona è tempo di chiarire le cose con cordialità e amore. Così, agendo con energia, si onora lo Spirito dell’Autunno, tanto simile all’Arcangelo Solare venerato dagli antichi Persiani.




Tutta la nostra civiltà è costruita col ferro. Da quando i nostri antenati irruppero da Nord sui loro carri di battaglia brandendo asce di ferro, la nostra civiltà ha trasformato il volto della terra battendo il ferro, forgiando l’acciaio. Si pensi agli aerei che sfrecciano in cielo, ai ponti sospesi tra le sponde, alle strade ferrate, alle grandi navi. Grazie all’elemento del ferro si afferma il dominio della tecnica. Ma ciò che sulla terra si manifesta come ferro, nell’interiorità dell’uomo si esprime come volontà. Per questo si dice: “volontà di ferro”.




Nell’aria dell’autunno, quando le piogge spazzano via la sensualità dell’estate, si compie un processo alchemico: Ferro scaccia Zolfo. La corrente di ferro, fredda e metallica, che piove dal cielo smorza la corrente sulfurea che era fuoriuscita dalle viscere della terra nei mesi caldi d’estate. Respirando la fresca aria dell’autunno l’uomo prende parte a questo processo. Bisogna percepire questa corrente alchemica e alimentarla con la volontà. La divinità solare dallo sguardo metallico, col suo gesto indicante accompagna l’uomo nel cambio di stagione.



Da www.azionetradizionale.com

Campo d'Azione 2008



(clicca sull'immagine per vedere il programma)



Tre giorni di dibattiti, conferenze, analisi, riflessioni, musica e cameratismo.



Il Fascismo e il mondo arabo - Intervista a Stefano Fabei

Da www.azionetradizionale.com un interessantissima intervista a Stefano Fabei, uno degli storici maggiormente esperti sul rapporto tra il Fascismo e il mondo arabo - tema in gran parte trascurato dalla storiografia ufficiale e non, ma di notevole interesse storico e politico, soprattutto se si pensa alla tragica attualita’ dei difficili rapporti tra Occidente e Islam, che qualcuno vuol propinarci come scontro tra due diverse civilta’ - .



Come ha avuto inizio, e quali sono stati i caratteri salienti dei rapporti tra il Fascismo e l’Islam?



Già prima della marcia su Roma posizioni filoarabe e filoislamiche erano presenti all’interno dei fasci di combattimento: derivavano dalle molteplici esperienze politiche confluenti nel movimento fondato da Mussolini il 23 marzo 1919: da quella socialista a quella repubblicana, dall’anarchica alla sindacalista rivoluzionaria, dall’arditismo al futurismo avanguardista.



L’idea di un’Italia «nazione proletaria», nemica naturale di quelle plutocratiche e imperialiste era molto diffusa in questo primo fascismo «di sinistra», repubblicano e rivoluzionario, ed in quel periodo essa emerse con un certo vigore anche nel corso dell’esperienza fiumana. Tra la fine della Prima guerra mondiale e l’avvento al potere di Mussolini una serie di fatti e circostanze politiche, interne ed internazionali, permisero all’Italia d’essere, o almeno apparire, la nazione in grado di fare da tramite, da intermediaria tra l’Oriente e l’Occidente. Un mese prima della marcia su Roma Gabriele D’Annunzio, scoperte le grandi e molteplici affinità tra il Vangelo e il Corano, affermò che proprio dall’Oriente sarebbe venuta «la forza nuova per l’Italia nuova: di questa Italia che il destino ha voluto costituisse geograficamente e spiritualmente il ponte tra l’Occidente e l’Oriente.»



Poi, però, nei primi otto anni di potere Mussolini non portò avanti un’autonoma politica araba perché la politica estera italiana aveva come fondamentale punto di riferimento quella inglese, e dall’andamento dei rapporti con Londra dipendeva la politica di Roma nei confronti degli arabi. Essendo in corso la «riconquista» della Libia, era poi difficile per Mussolini avviare un vero e proprio dialogo con il mondo arabo. Inoltre gli impulsi ad una politica estera veramente rivoluzionaria, anche nei confronti dei Paesi arabi, sostenuta dai fascisti più dinamici, venivano soffocati dalla eccessiva influenza che avevano nel regime nazionalisti e cattolici conservatori. Solo all’inizio degli Anni Trenta la nostra politica araba cominciò a caratterizzarsi in maniera più autonoma e dinamica, presentando l’Italia come «ponte» tra l’Est e l’Ovest, un punto di riferimento, un «faro di luce» per le nazioni islamiche. Non a caso tra il 1930 e il 1936 Roma cercò di accentuare la sua azione culturale ed economica nel Medio Oriente e nell’area arabo-islamica in generale. Pensiamo all’inizio a Bari della Fiera del Levante nel 1930; ai convegni degli studenti asiatici organizzati a Roma sotto il patrocinio dei Gruppi Universitari Fascisti nel 1933 e nel 1934; a Radio Bari, che iniziava le sue trasmissioni in lingua araba nel maggio del 1934; all’attività di penetrazione nella stampa araba con sovvenzioni a giornali e giornalisti; all’Istituto per l’Oriente e l’Istituto Orientale di Napoli, centri di attività culturale che svolgevano una proficua azione politica. Secondo Said Sciartuni, un collaboratore arabo della «Vita italiana», la rivista di Giovanni Preziosi, a prescindere dai rapporti economici e commerciali esistenti, tra mondo arabo e l’Italia fascista esisteva un legame ideologico che avrebbe avuto il suo peso effettivo nei loro rapporti futuri. Il mondo arabo secondo lui era un fertile campo per l’espansione del fascismo, che esso considerava come un mezzo essenziale per la sua rinascita nazionale. L’Italia era quindi chiamata a svolgere una propaganda per lo sviluppo del fascismo in Oriente; così avrebbe potuto combattere il comunismo nel mondo arabo conquistandosi ampie simpatie. Ai valori dell’Islamismo (ma anche del Buddismo) si sarebbe poi rifatto, subito dopo l’inizio della campagna razziale, il presidente dei CAUR (i Comitati di Azione per l’Universalità di Roma, la cosiddetta «internazionale fascista»), Eugenio Coselschi, nel messaggio rivolto, nel settembre 1938, al Congresso antibolscevico ed antigiudaico di Erfurt, per contrapporre alle «nefaste dottrine che propongono l’assoggettamento di tutte le nazioni e di tutte le razze alla tirannia di un’unica razza sottomessa alle prescrizioni del Talmud la santità della croce cristiana, la saggezza del Corano e la chiaroveggenza di Budda» e per esaltare «l’idea universale di Roma» e la sua battaglia spiritualista in nome di tutti i «credenti, e i devoti, sia a Cristo, a Maometto o a Budda» contro il vile materialismo.



Mussolini e la spada dell’Islam. Quale la storia? Alla base del legame che si instaurò, vi era solo una visione di realpolitik del Duce?



È questa la terza fase della politica arabo-islamica del fascismo, quella relativa alla seconda metà degli Anni Trenta, gli anni dell’Asse, il giorno prima della cui nascita, il 24 ottobre 1936, Hitler aveva dichiarato a Galeazzo Ciano, ministro degli Esteri del Duce, che il Mediterraneo era un mare italiano e che qualsiasi modifica futura nell’equilibrio mediterraneo si sarebbe dovuta fare a favore dell’Italia, così come la Germania avrebbe dovuto avere libertà di azione verso l’Est e verso il Baltico. Orientando i dinamismi delle due potenze fasciste in queste direzioni esattamente opposte, non si sarebbe mai potuto avere un urto di interessi tra Germania e Italia. In altri termini, secondo Hitler, i Paesi arabi sotto controllo francese e inglese, quasi nella loro totalità, facevano parte della sfera d’influenza di Roma. L’anno dopo, il 18 marzo 1937, il Duce, durante il suo viaggio trionfale in Libia, assunse il titolo di «Spada dell’Islam». Mussolini era il protettore dei musulmani, in Libia, in Etiopia, dove li aveva sottratti alle vessazioni del Negus, in Palestina e un pò ovunque nel Mediterraneo. A prescindere dai rapporti economici e commerciali esistenti tra mondo arabo e Italia fascista, la politica mediorientale e la questione araba divennero argomento della stampa di regime.



Quale è stato il ruolo svolto dalla Gran Bretagna nelle relazioni tra Italia e mondo arabo?



Come ho già detto, la Gran Betagna è stata sempre la grande antagonista dell’Italia nel Mediterraneo, ma, come nella politica araba della Germania, così in quella dell’Italia si tese a non pregiudicare i rapporti con Londra, almeno fino al momento in cui, con lo scoppio della Seconda guerra mondiale, la rottura divenne irreversibile. Dall’andamento delle relazioni con gli inglesi dipese l’appoggio al nazionalismo arabo e ai movimenti di liberazione dell’area mediorientale, come quello palestinese.



L’ Italia fascista e la resistenza palestinese. Appartiene davvero all’internazionalismo di sinistra, come una certa interpretazione della storia sostiene, il primato storico nell’aver dato supporto alla causa palestinese?



Assolutamente no. Fu l’Italia il primo Stato europeo a sostenere in modo concreto la lotta di liberazione del popolo palestinese dal mandato britannico e dal progetto sionista in Terrasanta. Tra il 10 settembre 1936 e il 15 giugno 1938 l’Italia versò al Gran Mufti di Gerusalemme, che guidava la rivolta del popolo palestinese contro le forze militari della Gran Bretagna e contro l’immigrazione ebraica, circa 138.000 sterline, una somma di tutto riguardo per quei tempi (ai valori attuali circa 10 milioni di euro)… Questo contributo finanziario fu deciso dal Duce all’indomani della guerra d’Etiopia, non solo in ragione della posizione assunta dall’Italia nei confronti del nazionalismo arabo, e «per dar fastidio agli Inglesi», ma anche in omaggio alle posizioni anticolonialiste del Mussolini socialista rivoluzionario e del primo fascismo. Oltre al denaro, il ministero degli Esteri decise di inviare ai mujâhidîn palestinesi un consistente carico di armi e munizioni, in principio destinato al Negus ma acquistato in Belgio tramite il SIM. Questo materiale, depositato per quasi due anni a Taranto, sarebbe dovuto giungere, tramite intermediari sauditi, ai palestinesi impegnati nella prima grande intifâda per abbattere il regno hascemita di Transgiordania, porre fine al protettorato britannico, bloccare l’arrivo di altri ebrei e il progetto sionista in Terrasanta.



Qual è stato il contributo materiale – in uomini e mezzi – offerto dal mondo islamico alle forze dell’Asse durante la Seconda guerra mondiale?



Si tratta di un contributo molto significativo, difficile da quantificare numericamente. Volendo azzardare qualche cifra diremo prudentemente che oltre 300.000 furono i musulmani delle regioni islamiche dell’Unione Sovietica (caucasici, turchi di Crimea, tartari del Volga, turkestani, azeri, ecc.) che si arruolarono con i tedeschi per combattere contro l’Armata Rossa di Stalin; 117.000 i caduti. Per quanto riguarda gli arabi, tra il 1941 ed il 1945, si calcola che 500 siriani, 200 palestinesi, 450 iracheni, e 12.000 circa tra algerini, tunisini, marocchini ed egiziani si unirono attivamente all’Asse. 6.300 fecero parte d’unità militari del Reich, poche centinaia combatterono con le mostrine del Regio Esercito o della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, altri ancora militarono nelle unità della Francia di Vichy. Emanuel Celler, membro del Congresso degli Stati Uniti, il 10 aprile 1946 dichiarò che duemila soldati arabi dell’Asse prigionieri di guerra erano ospiti del campo di prigionia di Opelika, nell’Alabama. Nei Balcani poi, oltre 30.000 volontari della Bosnia, dell’Albania e di altre regioni musulmane entrarono nelle Waffen SS, cui bisogna aggiungere quelle migliaia di fedeli di Allah che combatterono in milizie e formazioni autonome.



Perché questa pagina di storia che riguarda il rapporto tra Fascismo e mondo arabo è rimasta, fino ai giorni nostri, così poco conosciuta?



In effetti si tratta di un capitolo molto trascurato dagli storici, non solo da quelli dei movimenti filofascisti, che allora nacquero e si svilupparono un pò in tutto il mondo, ma anche, lacuna ancor più grave, dagli storici del colonialismo e della decolonizzazione; infatti il fenomeno filofascista di certi Paesi e gruppi politici, nel mondo arabo-islamico in particolare, fu anzitutto un corollario della resistenza al colonialismo. E poi c’è stata la tendenza ad assimilare, senza i necessari distinguo, il fascismo al colonialismo, per non parlare dell’imbarazzo che la simpatia e il sostegno di molti musulmani del cosiddetto Terzo Mondo alla guerra dell’Asse suscitavano in certi ambienti politici e culturali.



Cosa direbbe ai giovani di destra che tendono a seguire le correnti di chi vuole a tutti i costi vedere uno scontro tra due diverse culture, quella «occidentale-crisitana» e quella araba-musulmana?



Io ritengo che il cosiddetto scontro di civiltà non esista e che questa tesi sia sostenuta da chi cerca di impedire la conoscenza e la collaborazione tra realtà umane, culturali e politiche certamente differenti ma non per questo necessariamente antagoniste. Le diversità sono a mio giudizio una ricchezza e una risorsa necessaria in un mondo in cui il processo di globalizzazione tende ad omogeneizzare tutti nell’american way of live. Chi basa la propria identità su solide radici non teme il diverso, ma cerca di conoscerlo e collaborarci, se possibile, in vista del raggiungimento di un comune obiettivo… ma il discorso è estremamente complesso…



Domanda di rito: i suoi progetti per il futuro, ha pubblicazioni in cantiere?



Al momento ho in cantiere la storia di un soldato del Novecento e delle sue guerre; si tratta della biografia del generale Niccolo Nicchiarelli, Capo di Stato Maggiore della Guardia Nazionale Repubblicana durante la RSI.











    Bibliografia di riferimento


  1. S. FABEI, Una vita per la Palestina (Storia del Gran Mufti di Gerusalemme), Mursia, 2003.



  1. S. FABEI, Mussolini e la resistenza palestinese, Mursia, 2005.



  1. S. FABEI, Il fascio, la svastica e la mezzaluna, Mursia, Milano, 2002.





Parliamoci chiaro, gentile assessore Tibaldi: il Campo della Memoria è un cimitero di guerra italiano.

Gentile Dottoressa,

come Voi sarete senz’altro al corrente, nelle scorse settimane, l’Italia dell’8 settembre 1943 e del 25 aprile 1945 si è di nuovo “infiammata” per le dichiarazioni politicaly incorrect degli attuali Sindaco di Roma e Ministro della Difesa. Vista la situazione che perdura in Italia sin dalla mia tenera infanzia, non era assolutamente mia intenzione mischiarmi in questo genere di polemiche. Siccome, però, Voi avete sentito il dovere di esprimerVi, in nome e per conto dell’attuale Sindaco di Roma e del Ministro della Difesa (in seguito all’invito che l’Ausiliaria della Decima MAS Raffaella Duelli aveva rivolto a questi ultimi), mi vedo anch’io costretto a scendere in campo. In particolare, per prendere le difese di chi, purtroppo, essendo morto, non è più in grado di difendersi. Oppure, la Vostra celebre “Guerra di liberazione” l’avete fatta da soli, senza nessuno sull’altro fronte? Essendo un assiduo frequentatore del Campo della Memoria, considerandomi un uomo libero e ritenendomi personalmente offeso per le Vostre dichiarazioni, mi sono deciso a risponderVi con una lettera aperta, in modo che tutti possano giudicare il significato ed il senso delle Vostre parole. L’articolo in cui erano riportate le Vostre dichiarazioni, si apriva con un Vostro invito al Sindaco di Roma e al Ministro della Difesa a non visitare il Campo della Memoria. Chi era colei che si rivolgeva al Sindaco di Roma e al Ministro della Difesa, per quel tipo di “invito”? Da quale pulpito veniva la “predica” e, soprattutto, da quale poltrona “democratica” venivano espressi certi “consigli”? Quando ho letto il Vostro nome – scusatemi l’ignoranza – mi sono chiesto: e chi è Alessandra Tibaldi? Continuando a leggere l’articolo, la mia curiosità veniva soddisfatta: la Tibaldi è, nientepopodimenoché… l’Assessore al lavoro, alle pari opportunità e alle politiche giovanili della Regione Lazio. Ma che strano! Pensavo che un Assessore a cotante difficili ed impegnative problematiche si occupasse esclusivamente di lavoro, di pari opportunità, di politiche giovanili. Invece, no: dissertava liberamente su quello che un Sindaco ed un Ministro della Repubblica – secondo il suo soggettivo ed arbitrario punto di vista – dovevano o non dovevano fare. Si sa, in “democrazia”, ognuno fa quello che gli pare… (anche se questo caso di figura – secondo Aristotele – è piuttosto l’anarchia!) e, quindi, tali parole non dovevano più di tanto suscitare o provocare la mia meraviglia, né tanto meno la mia reazione. Se il Vostro problema personale, che Vi angoscia così tanto, al punto da dover emettere un accorato e lancinante comunicato stampa, era quello dell’eventuale visita del Sindaco di Roma o del Ministro della Difesa al Campo della Memoria, non dovrebbe preoccuparVi più di tanto. Come avrete senz’altro letto, le immediate e fulminati reazioni del Presidente della Camera erano già state sufficienti, di sé per sé, a rimettere immediatamente in riga i due estemporanei e momentaneamente sediziosi aspiranti “colonnelli”. Parliamoci chiaro, gentile Assessore. Il Campo della Memoria è un cimitero di guerra italiano. E’ gestito dal Ministero della Difesa, in applicazione della Legge 204 del 9 Gennaio 1951, che attribuisce al Commissariato per le Onoranze ai Caduti in Guerra, il compito di raccogliere e sistemare le salme degli appartenenti alle Forze Armate della RSI. Voi potete essere d’accordo o meno con quanto sopra ma, credetemi, intessere una polemica politica su un fatto della Storia, è davvero fuori luogo. Oppure, “qualcuno” Vi chiesto di farlo? Voi affermate che il riconoscimento del Campo della Memoria, come cimitero di guerra, “è una vergogna senza fine, che offende la coscienza civile e democratica del popolo italiano”. Tali parole, agli occhi di qualsiasi Italiano, degno di questo nome, suonano come un’offesa gratuita verso quei Caduti. Qualcosa che non si può far allegramente passare, senza fare delle opportune precisazioni. Ripeto, repetita iuvant… Voi potete pure considerare l’applicazione di una legge italiana “una vergogna” o quant’altro ma, nessuno, in nessun caso, Vi autorizza a pontificare sulla “coscienza civile e democratica”. Ignorando, infatti, chi foste, mi sono permesso di verificare la Vostra appartenenza politica. E, come avevo immaginato, ho potuto constatare che siete una dirigente del Partito della Rifondazione Comunista. Senza essere scortese. Non Vi sembra che parlare di “coscienza civile e democratica”, dal vostro “pulpito”, sia, quanto meno, una contraddizione in termini? Per convincersene, è sufficiente rileggere la storia del Comunismo e quella della nostra Patria. Vedete, affermare che Anzio e Nettuno – anzi, storicamente si dovrebbe parlare di Nettunia –vennero “martoriate dalla guerra più sanguinosa che la storia ricordi (io, avrei messo una virgola…), prodotta dall’orrore dei regimi nazista e fascista”, è una semplice operazione di propaganda menzognera! A parte il fatto che quella Guerra, per noi Italiani (non alleati dell’URSS!), fu “la lotta dei popoli poveri e numerosi di braccia contro gli affamatori che detenevano (e continuano a detenere) ferocemente il monopolio di tutte le ricchezze di tutto l’oro della Terra”… Ed a parte ugualmente il fatto che la Vostra parte politica scelse proprio quel “campo”… Non Vi sembra fuori luogo – con tutti gli scheletri che albergano nei Vostri “armadi” – parlare di orrori? Nettunia, in particolare, caro il nostro Assessore al femminile (che dovrebbe ristudiarsi la Storia prima di pretendere insegnarla), venne massacrata, per il semplice motivo che i Vostri “liberatori” anglo-americani avevano scelto, tra le altre, queste specifiche contrade, per effettuare uno dei loro sbarchi d’invasione. Furono loro – i Vostri “Alleati”… – e non “altri”…, a portare l’orrore e la distruzione nelle nostre città. Il fatto che vi furono più nettuniani uccisi dagli Alleati che dai Tedeschi, forse, dovrebbe farVi capire tante cose. Ma, forse, sono troppo ottimista. Del resto, in passato, a conferma del Vostro consueto modo di fare e d’agire, ragazzi mossi da sicura “coscienza civile e democratica” hanno più volte profanato il Campo della Memoria, insozzando lapidi e sepolcri con le tristemente celebri stelle rosse a cinque punte e le classici falci e martello, simbolo di regimi – questi sì! – i più orribili che la storia ricordi. Ora, ditemi: essere antifascista e antinazionalsocialista – in quanto, quei regimi sarebbero stati “regimi dell’orrore” – e, allo stesso tempo, continuare a sfilare all’ombra delle bandiere rosse, non Vi sembra un po’ incongruo ed incoerente? In tutti i casi, è qualcosa che sfugge al mio senso razionale del giudizio! Parlatemi, allora, se proprio ci tenete a riempirVi la bocca per auto-referenziarVi, del Vostro Comunismo, della Vostra “Resistenza”, invece di bollare come “ignominia” la visita che periodicamente fanno le Istituzioni del nostro Paese ad un cimitero di guerra italiano. Capisco che per una Comunista, “le religioni siano l’oppio dei popoli” – con tutto quel che ne è conseguito nei regimi del Socialismo reale – ma pensare che un gesto di pietà umana o cristiana nei confronti di un caduto per la Patria, sia una “ignominia”, credetemi, non mi sembra davvero un modo coerente, per poi tentare di auto-definirsi umanitaristi.



Con i miei più cordiali saluti.




Nettuno, lì 21 settembre 2008




Dott. Pietro Cappellari



Ricercatore Fondazione della RSI – Istituto Storico

domenica 21 settembre 2008

Birmania: quale verità?







27.09.2008:

Convegno sulla drammatica situazione della Birmania, stretta nella morsa del commercio mondiale della droga.


A seguire cena per conoscere al meglio i relatori del convegno, da anni sono impegnati in Birmania nell'aiutare concretamente la popolazione Karen che si batte contro la produzione della droga.

E' possibile partecipare solamente al convegno o alla cena o ad entrambi, a propria discrezione.

Per la cena è necessaria la prenotazione entro e non oltre sabato 20 settembre.



Birmania: quale verità?

Volano, 27 settembre 2008 ore 18 presso casa Legat in via Roma

- ingresso libero -



Interventi di:

Walter Pilo - Presidente Onlus "L'Uomo Libero"

Franco Nerozzi - Presidente Onlus "Popoli"



A seguire:

Cena presso il ristorante "Silvana"

Info e prenotazione cena: mail: associazione_torre@yahoo.it cell: 389.0764592



Verrà analizzata l'attuale situazione della Birmania oppressa dalla dittatura del governo di Rangoon.

Verrà altresì sancita l'adesione dell'associazione culturale  "La Torre" al progetto umanitario "Terra e Identità" indetto dalle Onlus "L'Uomo Libero" e "Popoli" volto al risollevamento sociale della popolazione Karen.



Organizzano:

Associazione La Torre - Comunità Solidarista Popoli - Associazione L'Uomo Libero - Comune di Volano

venerdì 19 settembre 2008

Aviditalia.

Anatomia di una trattativa condotta in un quadro sgretolato. Prospettive per i nuovi scenari.



L'annunciato fallimento delle trattative per l'acquisto dell'Alitalia può avere esiti diversi. Il più probabile è che la nuova proprietà, la cordata della Cai, che ha poi deciso per il ritiro, si trovi ugualmente a comprare a prezzi ancor più stracciati la compagnia in liquidazione per poi rivenderla con ampio ricavo. La Cai, o qualunque altro soggetto nazionale o internazionale al suo posto, non avrà più obblighi giuridici e potrà assumere alle sue condizioni senza dover assorbire nessuno per motivi di anzianità o altro. I lavoratori andranno in cassa integrazione o per strada e i costi ricadranno sulla collettività, così come già è avvenuto per quelli delle passività pregresse. Lo scenario più probabile, economia occidentale permettendo, è che sorga una compagnia che operi seguendo il modello del fallimento della Swissair (2001) che, liquidati i problemi, è stata poi acquistata dalla Lufthansa e rappresenta ora un modello di efficienza e di attivo. Insomma un'operazione capitalistica e una prova di efficientismo in piena regola. Chiunque subentri alla proprietà farà un affare ancor più grosso di quello che avrebbe realizzato fino ad oggi.



Quando mancano le alternative



Ci troviamo, quindi, in uno scenario di capitalismo assoluto; ma questa non è una novità come non lo è che una compagnia allo sfascio, non solo ma anche per gli sprechi e per la cultura egoistica e menefreghista diffusa che ha fatto marcire e morire lo stato sociale italiano, si trovava comunque in un vicolo cieco e non aveva altre prospettive se non quelle capitalistiche. Tanto che le proposte di nazionalizzazione giunte da alcuni settori politici marginali sono demagogiche e grottesche; senza entrare nel merito delle imposizioni europee, l'eventuale nazionalizzazione di una compagnia allo sbando avrebbe avuto il solo esito di moltiplicare le perdite pubbliche, tra l'altro senza un tesoro cui attingere, per trascinare i resti dell'azienda nel gorgo di un'agonia senza fine; non esistono oggi le condizioni economiche, morali e politiche per poter prendere in considerazione una proposta che, purtroppo, non è che uno slogan appiccicato frettolosamente ai comunicati di politici che non hanno nulla da dire.



Nessuno ne esce bene



I dati salienti di questa tragicommedia dovrebbero balzare agli occhi di tutti, eppure non è così. Perché si assiste, non solo tra le parti in causa ma ovunque, allo scaricabarile. Un gioco dal quale nessuno esce bene - governo, proprietà, opposizioni, sindacati - ma da cui solo gli ultimi escono stritolati. E questo non solo per la straordinaria prova di ridicolo della Cgil che è passata oscillando dal sì al ni al no al ni al no al sì al no come una banderuola ubriaca ma perché è stato dato un segnale inequivocabile, per chi ne avesse avuto ancora bisogno, dell'assoluta impotenza, inconsistenza e mancanza di prospettiva dei sindacati che oggi non hanno alcun ruolo e senso se non quello di succhiare soldi come parassiti. Difatti, benché la questione fosse nota da un pezzo, non c'è stato uno straccio di proposta sindacale, né come alternativa, né come ammortizzamento, né come forma di lotta. Ed è sbalorditivo che la sola proposta sociale (la socializzazione del 7% degli utili per le maestranze) non sia venuta dai sindacati ma dal ministro del lavoro. Il quale ne esce ancora bene mentre lo stesso non può dirsi per quello delle infrastrutture, scuro in volto come i santoni della triplice; ma viene da dire che ben gli sta: proprio alla vigilia Matteoli aveva fatto appelli stonati all'antifascismo e speriamo che si sarà reso conto che porta sfiga.



Un modello allo sfascio



Il modello sindacale è allo sfascio. Non lo è soltanto perché ci troviamo in un periodo di capitalismo avanzato (eppur scricchiolante) ma in quanto è erede di una concezione opportunistica, consociativa, subalterna e di filtro che ha avuto un'enorme responsabilità nella distruzione delle concezioni e delle istituzioni sociali che provenivano dal Ventennio nonché una complicità imbarazzante con le multinazionali americane per il nostro disastro economico. Ma non è finita; non solo i sindacati sono una costosa appendice economica, sempre più sfiduciata dai lavoratori, uno strumento desueto, inefficace e senza idee, ma tutta la cultura sociale si va bavabeccarisizzando. Sicché se, secondo le leggi tipiche del capitalismo, sono i più deboli a cadere e sono i salariati, i produttori e i risparmiatori a pagare i conti, gli egoismi personali e di categoria imperano ed impazzano. Un'ulteriore prova la si è avuta nella vertenza perché i piloti, piuttosto che accettare condizioni non privilegiate, hanno optato egoisticamente per la cassa integrazione nella convinzione di avere comunque un mercato. Andate in ordine sparso le maestranze, i danni li subirà il personale meno qualificato, quello precario, quello che non ha sufficiente moneta di scambio.



Disgregati



Per dirla marxianamente è venuta a mancare coscienza di classe (anche se è difficile che piloti e precari si possano accomunare classisticamente al di là della contingenza). E insieme alla coscienza di classe mancano le organizzazioni di classe; ergo pagano i deboli. Per superare lo schema marxiano in un quadro più ambizioso e maestoso servirebbero coscienza di popolo e organizzazioni di popolo ma siamo ben lungi da ciò; l'individualismo atomizzato, l'egoismo becero dominano il quadro e non solo nel mondo del lavoro. Ed ecco che la questione dell'Alitalia diviene semplicemente paradigmatica. Va ben al di là dello specifico e rientra in un disagio generale, in una disarticolazione sociale, in una paralisi dei lavoratori e, soprattutto, in una cultura atomizzante e ricattatrice fatta di precariato e di “flessibilità”, di mobilità extracomunitaria, di concorrenza e guerra tra poveri. Che la finanziarizzazione ci avrebbe progressivamente proletarizzati lo sapevamo e lo abbiamo sempre sostenuto; che questa proletarizzazione atomizzata avrebbe prodotto frantumazione e disperazione lo abbiamo sempre affermato.




Adattarsi al nuovo scenario




A questo punto si può passare il tempo a lanciare anatemi, a lamentarci o a tranquillizzarci, restando sempre e comunque ostaggi della realtà e comparse di un reality show in cui tutti, chi prima chi poi, finiscono con l'essere nominati. Oppure si può iniziare a cambiar registro e a proporre modelli nuovi; modelli di organizzazione sociale snelli, autonomi ma coordinati che abbiano la capacità di non isolare ma di fornire sponde e strumenti ai precari, d'intervenire strategicamente sulle questioni centrali del lavoro. Che operino sia localmente (perché si va verso le contrattazioni aziendali) sia a vasto raggio. Per far ciò servono però una cultura sociale, che manca, uno spettro di proposte organiche e pragmatiche (che se ci sono sono frammentarie ed episodiche) e soprattutto un posizionamento chiaro. A mio parere in Italia come altrove (Francia, Spagna, Russia) la tendenza è quella del superamento della democrazia delegata. Ebbene è possibile volgere a vantaggio dei lavoratori l'impasse degli intermediari, la neutralizzazione delle burocrazie sindacali. La cultura si può dispiegare sulla prassi dell'azione diretta, della dismissione delle figure professionistiche dei sindacalisti (si possono estrarre a sorte di volta in volta i rappresentanti) e, soprattutto, sulle trattative improntate direttamente verso l'esecutivo forte. Avocando a sé tratti monarchici il neo-presidenzialismo, il neo-dirigismo, ha anche la funzione di ammortizzamento e di soluzione. Probabilmente è tempo di far tramontare i cadaveri elefantiaci del sindacalismo dell'ultima metà del secolo scorso e puntare all'affermazione di un'autonomia dinamica e cosciente che si articoli verso la politica nella logica del tribunato del popolo.



Disponibile



Di sicuro i tempi non sono ancora maturi, ma personalmente – e sono convinto di parlare anche a nome di quelli che condividono non a chiacchiere la medesima Idea e sensibilità – sono disponibile sin da ora per ogni riflessione e tentativo costruttivo, realmente trasversale, integralmente sociale (nella piena etimologia del termine) che punti a dare cittadinanza e peso a chi oggi brancola nel buio e paga i costi delle Lehamn brothers di turno. E' possibile farlo, seguendo uno schema peronista che renda gli aculei a chi è stato spillato giorno dopo giorno, dal capitale ma anche, se non soprattutto, dalla cosca sindacale. E' possibile farlo a patto di fornire, insieme, una convergenza a componenti assolutamente diverse ma animate da animus pugnandi e da intenzioni sane e comunitarie. Sono disponibile e fin da ora m'impegno a fare tutto il possibile per agire in quella direzione, sia sul piano dell'analisi, dell'approfondimento e delle proposte che in quello delle verifiche e dei confronti che sono indispensabili all'edificazione.



Di Gabriele Adinolfi, www.noreporter.org