martedì 30 ottobre 2007

CiaoEuropa.

E’ in distribuzione “Ciaoeuropa” del 28 ottobre 2007 (Anno XVI n. 11)

Sommario:


L’antifascismo di Oscar Aldo Marino;



Bagattelle americane di Fabio Calabrese;



La Fortezza di Harm Wulf;



Identità, immagine, comunicazione di Paolo Signorelli;



“Il latino non piace” di Franco Damiani;



Il problema è sociale di Antonio Greco;



Società confusa di Antonio Greco;



La gentrificazione della Grecia di Nicolaus Stavrou;



Il “MONDO” visto “dal basso” di Antonino Amato;



A fianco del popolo Karen di Comunità Militante Perugia;



La “verità”? E’ “democraticamente proibito” dirla di Antonino Amato;



Tempi moderni di Paolo Del Prete;



“Fascista”/”Antifascista”: cui prodest di Paolo Del Prete;



Intervista ad Antonio Mazzella di Antonella Ricciardi;



Egitto e Palestina di Giancarlo Chetoni;



“Onore” ai Militari, “Vergogna” ai Politici di Antonino Amato;



Uranio impoverito, nuova Hiroscima di Massimo Fini;



Se l’America è pronta per l’attacco a Teheran di Lucio Manisco;



Rubriche varie.



L’abbonamento costa 20 Euro, si possono sottoscrivere 5 abbonamenti x 70 Euro, 10 abbonamenti x 130 Euro. Inviare a: conto corrente postale: 10658920 intestato a: Ciaoeuropa, casella postale 82, 92100 Agrigento, Italia.



Per riceverlo nella zona di Perugia, contattarci a controventopg@libero.it

Sovranità Nazionale - Sovranità Monetaria.

In streaming la conferenza del 27 Ottobre a Milano. Da vedere.




lunedì 29 ottobre 2007

Ramiro Ledesma Ramos.

Settantuno anni fa, il 29 Ottobre 1936, Ramiro Ledesma Ramos, Sindacalista Rivoluzionario, veniva assassinato dai suoi carcerieri.





"Tagliate tutti i ponti con le illusioni internazionaliste, con quelle liberal-borghesi e con il parlamentarismo. Dovreste sapere che, in fondo, queste non sono che le bandiere dei privilegiati, dei grandi proprietari terrieri e dei banchieri, perchè tutta questa gente è internazionale quanto il loro denaro ed i loro commerci. Liberali, perchè la libertà permette loro di edificare come un feudo il loro grande potere contro lo Stato Nazionale del Popolo. Paralamentaristi perchè la macchina elettorale è nelle loro stesse mani: la stampa, la radio, gli incontri e la propaganda".

Da "Scritti politici" di Ramiro Ledesma Ramos (1935-1936), pagina 213.



«Noialtri riteniamo più salutare questa marea di scioperi perché essa contribuirà a squilibrare dei falsi equilibri. D’altra parte, sono mobilitazioni rivoluzionarie, di cui oggi il nostro popolo ha più che mai bisogno. La battaglia sociale alla base di scioperi e di collisioni con la reazione parlamentare, può fornirci l’occasione di confronti decisivi. Di fronte ai borghesi timorati che prendono paura del coraggio del popolo, noi plaudiamo all’azione sindacale che rinnova almeno le virtù guerriere ed eroiche della razza».

Ramiro Ledesma Ramos, citato in Fascismo rojo, Colectivo Karl-Otto Paetel, Valencia, 1998.






Ramiro Ledesma Ramos: "Itinerarìo di un nonconformista" di Erik Norling.




Ramiro Ledesma Ramos nasce ad Alfaraz de Sayago (Zamora) il 23 Maggio del 1905, figlio di un maestro di scuola. A 16 anni si trasferisce a Madrid dove lavora come impiegato delle Poste, ricoprendo vari incarichi in diversi uffici periferici fino alla destinazione definitiva a Madrid. La sua origine sociale, classe medio bassa, lo segnerà profondamente per tutta la sua breve vita. Autodidatta, non ebbe mai una famiglia che lo potesse sostenere economicamente agli studi né un aggancio per essere introdotto nel regime politico, della sua gioventù, caratterizzato dalla dittatura primoriverista. Studierà e leggerà intensamente tutto ciò che gli capiterà tra le mani, filosofia francese in special modo. Inizierà ad interessarsi della filosofia tedesca e per poter tradurre direttamente dai testi originali i suoi autori preferiti imparerà il tedesco, da solo. Acquisterà una tale perizia tanto da tradurre in castigliano i vari autori ai quali si interesserà per delle riviste madrilene. Quest'ultimo aspetto gli farà preferire al fascismo meridionale la sobrietà del nazionalsocialismo, anche se, per la verità, appare molto difficile inquadrarlo in questa corrente ideologica. Tra il 1923 ed il 1925 le sue inquietudini letterarie giovanili lo porteranno a cimentarsi nella scrittura. Di questi anni sono: "Il vuoto", "Il giovane suicida", "Il fallimento di Eva", lavori che non verranno mai pubblicati. Nel 1924 vede la luce il suo primo libro, grazie al finanziamento di uno zio, pubblicato dalla Casa Editrice Reus di Madrid: "Il sigillo della morte". Fu un testo di chiaro riferimento esistenzialista ed irrazionalista, conseguente al suo pensiero ed ai suoi studi (Ramiro legge, in questo periodo, Nietzsche, Bergson, Kierkegaard) che lo porteranno a scontrarsi con tutti i movimenti di pensiero positivistici e razionalistici del suo tempo. Nello stesso anno, scriverà "Il Chisciotte ed il nostro tempo", un omaggio al vecchio maestro di Salamanca, Unamumo. Questo testo rimarrà inedito fino al 1971 quando verrà pubblicato seppur lievemente censurato. Nel 1926 si iscrive alla facoltà di lettere e filosofia dell'Università di Madrid ed a quella di scienze esatte. Nel 1930 terminerà i suoi studi universitari. Il 1930 ed il 1931 saranno anni di intenso studi, che non interromperà nemmeno per assolvere il servizio militare tra l'Agosto 1930 e l'Ottobre 1931. Collaborerà con Ernesto Giménez Caballero e con César Arconada, segretario, quest'ultimo, della Gazzetta Letteraria. Gli si apriranno, pertanto, le porte della Gazzetta Letteraria e della Rivista d'Occidente, riviste all'avanguardia in campo culturale e filosofico del tempo. Nell'Ateneo di Madrid Ramiro, con i suoi scarsi vent'anni , e gia una figura conosciuta, una promessa intellettuale ammirata da tutti. Ortega y Gassett lo introdurrà, come suo insegnante, nel complesso mondo della filosofia tedesca. Cosi avrà modo di leggere Ottogaard, Hegel, Scheler, Meyerson, Rickert, Hartmann, Heidegger, Fichte, ecc.ecc. La sua passione per la matematica e la sua conoscenza del tedesco gli saranno di grande aiuto nello studio. Tradurrà diversi autori e ne introdurrà in Spagna altri come Einstein, Heidegger, Scheler. Mentre studia e si sommerge nel mondo della filosofia, senza dimenticare la matematica, scopre i movimenti avanguardisti nel campo artistico e letterario. Come in Italia, il futurismo di Marinetti si unì al fascismo per cercare di rovesciare, una volta per tutte, il decadente stato italiano, cosi in Spagna i giovani della Gazzetta Letteraria e della Rivista d'Occidente cercheranno di fare la stessa cosa. In questo modo dall'arte alla politica attiva non gli mancherà che percorrere un passo. Molti dei membri della Gazzetta Letteraria si convertiranno al comunismo, altri al fascismo. Purtroppo la profonda amicizia che li unì attorno all'arte ed alle lettere fu troncata dalla realtà di queste due Spagne che venivano a prefigurarsi ed alle quali si riferiva, tristemente, Machado. L'anno 1931 fu decisivo per la sua vita. Ha appena compiuto 25 anni e decide di dare un giro radicale alle proprie abitudini e stili di vita. Si converte decisamente in un attivista ed in un militante politico. Si è perso un gran intellettuale per l'effimero della politica? Chissà se Ramiro fosse rimasto uno studioso oggi, molto probabilmente, troveremmo il suo nome nelle enciclopedie. "tutto per il tutto", il suo motto giovanile; Mussolini definì, in quegli anni, il fascismo come "la malattia del XX° secolo" e Ramiro, come tanti altri giovani della sua epoca, ne fu contagiato. Riuscirà a teorizzare la teoria del nazionalsindacalismo che diverrà la base ideologica della Falange Spagnola e, almeno, anche se solo di facciata del Franchismo. Con "La Conquista dello Stato", settimanale politico, e poi con la J.O.N.S. cercherà di dar forma politica al suo pensiero filosofico (anni 1932-1933). Si relazionerà con i gruppi non conformisti francesi degli anni '30, i quali influenzeranno il suo pensiero politico. Ci riferiamo, in particolare, al gruppo dell'Ordine Nuovo francese, alla rivista Progetti ed a tutti i gruppi non conformisti francesi che innoveranno il mondo della cultura e della politica. Ramiro Ledesma Ramos può considerarsi come il rappresentante spagnolo di quei gruppi che, secondo una fortunata definizione dei cattedratico svizzero Armin Moehler, verranno chiamati i fautori della "Rivoluzione Conservatrice". Con questo termine si comprederanno tutti quei giovani che, usciti dalla crisi della Prima Guerra Mondiale (in Spagna la crisi della dittatura primoriverista), penseranno a coniugare il nazionalismo con la necessità di una rivoluzione sociale. I più attivi esponenti di quei gruppi, predecessori del nazionalsocialismo e del fascismo, finiranno per dividersi, molti aderiranno al comunismo, molti altri al fascismo. Ramiro era fascista? Evitò sempre l'eccessiva utilizzazione di questa etichetta, che tra l'altro non respingeva, anche se intendeva il fascismo come una concezione innovatrice della società, capace di confrontarsi col marxismo e col sistema democratico liberalborghese. Fu sicuramente il rappresentante più genuino che ebbe la Spagna della "Rivoluzione Conservatrice". Si separò dalla Falange Spagnola della JONS all'inizio del 1935 perché giudicava la sua linea politica eccessivamente reazionaria e non adeguata strategicamente ai compitivi che sognava per la sua Spagna. Negli ultimi due anni di vita scrisse il famoso “Discorso alla gioventù di Spagna” vero e proprio compendio dell’ideologia nazionalsindacalista, poi scrisse “Fascismo in Spagna?” che firmò con lo pseudonimo di Roberto Lanzas, lo stesso che utilizzava quando scriveva per la rivista della JONS. Con “Fascismo in Spagna?” intese ripercorrere ed analizzare tutte le tappe politiche anteriori per dimostrare i motivi veri e propri che impedirono la formazione di un movimento politico di autentico stampo fascista in Spagna. E’ un Ramiro oramai disimpegnato con la realtà Spagnola anche se continua a seguirla politicamente. Nella solitudine seguente all’abbandono della Falange Spagnola della JONS si preoccupa di pubblicare “La Patria Libera”, un settimanale che ebbe la pretesa di unire tutti i jonsisti che non accettavano la disciplina falangista, però dopo alcuni numeri dovette chiudere per mancanza di fondi. Nell’estate del 1936 decise di lanciarsi di nuovo nell’avventura pubblicitaria e fondò “Nostra Rivoluzione”, che uscì nei primi di luglio 1936. Una settimana prima dell’insurrezione armata contro la Repubblica spagnola. Successivamente venne arrestato ed imprigionato nel carcere centrale di Madrid. Il 29 ottobre dello stesso anno viene ucciso dai miliziani del Fronte Popolare e seppellito in una fossa comune di Aravaca, nella periferia di Madrid. Il suo maestro Ortega y Gasset, conosciuta la notizia, non poté che esclamare: “Non hanno ucciso un uomo, hanno ucciso un’idea”. Mitificato ma, soprattutto, validamente censurato durante il franchismo (la Chiesa Cattolica pretese che i suoi testi fossero inclusi nell’elenco degli autori proibiti), Ramiro Ledesma Ramos sarà considerato il fondatore del nazionalsindacalismo, nella propaganda del regime, ma nei fatti nessuno cercò di approfondire la sua ideologia. Grazie alla Casa Editrice Tecnos di Madrid, ed all’impegno della famiglia Ramos, nel 1983 furono pubblicati e validamente diffusi tutti gli scritti di Ramiro Ledesma Ramos.

Nel 2008 raddoppierà la spesa per le basi militari Usa nel mondo

Ventuno miliardi e trecentotrentamilioni di dollari. È quanto richiesto al Congresso degli Stati Uniti dal Dipartimento della Difesa per i programmi di costruzione o ampliamento delle basi USA con il

bilancio di previsione dell'anno fiscale 2008. L'ingente cifra che conferma le odierne strategie di proiezione globale delle forze armate statunitensi viene fuori dalla lettura del "Construction Programs 2008" presentato dall'Ufficio del Sottosegretario alla Difesa nel febbraio di quest'anno e consultabile in internet al sito www.dod.mil/comptroller. Il piano finanziario per le basi militari in patria e all'estero prevede in particolare una spesa di 8 miliardi e 391 milioni per le operazioni di "riallineamento e chiusura" avviato nel 2005 con la riduzione di piccole e dispendiosi infrastrutture e la concentrazione di comandi e reparti in "grandi basi operative". Altri

8 miliardi e 648 milioni dovrebbero essere destinati alle "principali costruzioni", metà dei quali di proprietà dell'US Army, ed il resto per l'ampliamento e il miglioramento delle basi della Marina e dell'Aeronautica. Duecento milioni di dollari andranno invece al "programma di investimenti per la sicurezza in ambito NATO". A

conferma delle finalità prettamente operative del potenziamento infrastrutturale delle basi le scarse risorse destinate di contro al "Family Housing", alla costruzione cioè di alloggi per il personale militare e familiari al seguito: 171 milioni di dollari. Per ciò che riguarda invece le aree d'intervento finanziario, le richieste del Dipartimento della Difesa per il prossimo anno sono di 5 miliardi e 510 milioni per basi vecchie e nuove negli Stati Uniti, un miliardo e 165 milioni per le basi estere, mentre il resto andrebbe "per installazioni in località non specificate". L'elenco dei Paesi in cui

le forze armate potenzieranno le loro basi è conforme alle direttive strategiche della penetrazione militare statunitense. Ad interpretare

la parte del leone le "Mariana Islands", il gruppo di isole dell'Oceano Pacifico dove sorge il complesso aereonavale di Guam. Ad esso sono destinati 346 milioni di dollari per la costruzione di

impianti di potabilizzazione, reti infrastrutturali e centrali elettriche, e per l'ampliamento della pista dell'aeroporto. Segue poi la Germania, dove si prevede di spendere 274 milioni di dollari per completare il complesso militare US Army di Grafenwoher, creare nuove infrastrutture operative nelle basi aeree di Ramstein e Weisbaden e realizzare un nuovo complesso medico nella base di Spangdahlem.

L'Italia si conferma una pedina fondamentale nelle strategie belliche delle forze armate USA. Una fetta consistente del budget a disposizione dell'esercito, 173 milioni di dollari, viene infatti destinata per i centri operativi e i dormitori della nuova brigata in arrivo all'ex aeroporto Dal Molin di Vicenza. Seguono poi il piccolo Qatar (75 milioni per un comando operativo, una pista, gli hangar e un centro manutenzione per i velivoli aerei); la Bulgaria (61 milioni per la nuova base e il poligono di Nevo Selo); la Gran Bretagna (58 milioni per il potenziamento della stazione di telecomunicazioni di Menwith Hill e la realizzazione di un nuovo deposito munizioni per lo

squadrone F-15C dispiegato nella base della Royal Air Force di Lakenheath); la Corea del Sud (57 milioni per nuove caserme a Camp Humphreys, installazione US Army); Bahrain (54 milioni per facility navali a disposizione del Comando per le operazioni speciali nell'Asia Sud-occidentale); Afghanistan (13 milioni e 800 mila per "uffici amministrativi per la US Army"); Romania (12 milioni e 600 mila per infrastrutture "varie" per la fase 2 di allestimento della base dell'esercito); Giappone (8 milioni e 750 mila); Diego Garcìa (7 milioni per la base aerea di Sewage Lagoon); Belgio (6 milioni per la Scuola americana presso il comando di Casteu, Bruxelles); Honduras (2 milioni e 250 mila per infrastrutture ricreative a favore dei reparti dell'esercito); Spagna (un milione e 800 mila per la base aerea di Moròn). Quattordici miliardi e 637 milioni sono destinati a basi estere "non specificate", mentre 15 milioni e 440 mila dollari

andranno a basi militari rigorosamente mantenute "segrete". Nel budget di previsione del Dipartimento della Difesa assume una rilevanza la

destinazione di 21 milioni di dollari per il potenziamento della pista aerea e del deposito carburanti della costruenda base di Djibouti, ex

protettorato francese in Corno d'Africa. Un passaggio della relazione presentata al Congresso dal comando della US Navy per giustificare le

richieste di stanziamento lascia intendere che proprio Djibouti è stata scelta per installare il nuovo comando operativo USA per le operazioni in Africa. "Lo scorso anno – vi si legge - la Marina ha assunto il comando delle missioni di detenzione a Guantanamo Bay, Cuba, e a Camp Bucca, una prigione di alta sicurezza in Iraq. In aggiunta, un Ammiraglio della Marina ha assunto il comando della GWOT – relazionato al Combined Joint Task Force Horn of Africa (CJTF HOA) a Djibouti. La nostra presenza nel Corno d'Africa, che è una parte impoverita del mondo che combatte con sforzo il traffico di droga e di esseri umani, l'ingresso e le sacche degli estremismi, è un punto chiave per assicurare che il terrorismo non prenda piede nella regione. CJFT HOA è stato costituito inizialmente nel novembre 2002 come una forza itinerante finalizzata a bloccare i terroristi

provenienti dall'Afghanistan. Subito dopo, la task force si è installata nell'area e la sua missione si è diretta alla cooperazione, all'addestramento militare e all'assistenza umanitaria per otto paesi

della regione. La Marina è impegnata adesso ad aiutare a portare stabilità, sicurezza e speranza nella regione. Queste missioni si aggiungono alla lotta contro le operazioni di pirateria nella regione

orientale dell'Africa. L'odierno Comando della Spedizione di Guerra della Marina (NECC) aiuterà ad affrontare le difficili sfide del 21° Secolo". La Marina USA nella sua proposta di budget, nel capitolo dedicato alla "lotta al terrorismo", accenna pure ad una spesa straordinaria per il Fiscal Year 2007 di 27 milioni e 665 mila dollari e ad un ulteriore stanziamento per il 2008 di 7 milioni per "facilities di supporto" nella base navale di Point Loma (California) e nelle stazioni aeronavai di Sigonella e Napoli ("ristrutturazione della rete perimetrale e riconfigurazione del sistema di barriera velivoli del Naples Main & Capo West Gate"). Nel budget di previsione per il FY 2008 c'è pure la richiesta di 13 milioni e 869 mila dollari per migliorare nelle basi di Sigonella e di Sasebo (Giappone) il cosiddetto MHA Program (Material Handing Equipment) per le operazioni della US Navy a livello mondiale. Comparata al 2007, la richiesta del Dipartimento della Difesa per il potenziamento delle basi nel 2008 è di quasi 9 miliardi di dollari in più. Quest'anno il paese più "beneficiato" dalle spese di guerra delle forze armate USA è stato

l'Italia con 319 milioni di dollari finalizzati all'avvio del programma di raddoppio della base di Vicenza e con l'installazione a Sigonella del terminale terrestre del nuovo sistema di telecomunicazione satellitare MUOS (Mobile User Objective System). Settantasei milioni di dollari sono stati destinati per la Germania (caserme e depositi nella base di Grafenwoher), 84 milioni per la Corea del Sud, 46 milioni alla Gran Bretagna, 44 per il Qatar, 23 per la Spagna (stazione aeronavale di Rota), 46 milioni per la Gran retagna (stazione di telecomunicazioni della NSA National Security Agency di Menwith Hill), 44 milioni per il Qatar (Comando speciale per

le operazioni aeree), 7 milioni e mezzo per le Isole Marshall (potenziamento dell'infrastruttura di lancio missilistico nell'atollo di Kwajalein). Ottanta milioni di dollari sono invece serviti per realizzare un complesso per la manutenzione dei velivoli senza pilota Global Hawk della US Air Force nella base di Guam. Sempre per accogliere i Global Hawk, altri 26 milioni di dollari sono stati

destinati ad una base europea tenuta "segreta". Come tuttavia è stato rivelato lo scorso mese di maggio da Terrelibere.org e successivamente confermato dal comando dell'aeronautica USA di Kaiserslauten (Germania), i micidiali velivoli senza pilota per il teatro europeo giungeranno alla stazione aeronavale di Sigonella.



di Antonio Mazzeo, Redazione Terrelibere.org

domenica 28 ottobre 2007

28 ottobre 1922 - 28 ottobre 2007.







Ottantacinque anni fa i Fascisti con la Marcia su Roma davano inizio al rinnovamento dell'Italia sconquassata dalla corruzione, dal caos, dal frazionismo dei partiti, dalla inefficienza della democrazia parlamentare.


Benito Mussolini con la sua volontà e la sua intelligenza,  univa politicamente e moralmente tutti gli italiani, riaffermava la sovranità nazionale e restituiva all'Italia un  posto d'onore nel consesso delle nazioni.


Il Fascismo con la sua febbre creativa, additando lo Stato Nuovo dell'Ordine e della Giustizia, affermando il primato della politica sull'economia, mettendo al guinzaglio l'alta finanza,  conquistava i giovani di tutta Europa  e dava inizio ad una  splendida rivoluzione delle coscienze che ancora oggi appare come il traguardo essenziale di chi si batte per la salvezza e la liberazione del nostro paese da ogni sudditanza.

giovedì 25 ottobre 2007

Ungheria: "Ferenc Gyurcsàny lèvati di torno!"

Che il 23 ottobre sarebbe stata un’altra occasione per protestare contro l’attuale governo di centro-sinistra non può destare sorprese. In Ungheria l’atmosfera è caldissima, ed il rapporto tra cittadini ed istituzioni locali è ai ferri corti.

Da quando venne diffusa la registrazione del “discorso di BalatonOszod” (località sul Balaton), nel quale Ferenc Gyurcsàny, il leader del Partito socialista ungherese, ammetteva di aver mentito agli elettori per poter vincere le elezioni (aprile 2006) (Mszp), ogni ricorrenza storica del Paese vede masse popolari, più o meno numerose, manifestare contro il capo di governo. Anche lo scorso 23 ottobre era stata organizzata, dai principali movimenti d’opposizione del nazionalismo ungherese, una manifestazione di protesta (non autorizzata dalla polizia) nei pressi del Teatro dell’Opera di Budapest dove Gyurcsàny ha tenuto un discorso.

Il principale gruppo si chiama Hatvannégy Varmegyék Ifjusàgi Mozgalom (Hivm), ovvero Movimento della Gioventù delle 64 Province (o contee), fondato da Toroczkai Làszlò, un attivista non ancora trentenne che ha già alle spalle una lunga attività politica e giornalistica. Riferendosi ai territori che l’Ungheria ha perso dopo la Prima Guerra Mondiale con il trattato di Trianon, il gruppo si propone la difesa delle minoranze ungheresi all’estero, se non proprio il ritorno di quei territori alla madrepatria. L’Hivm, su posizioni anti vetero o neo comunismo, è stato in prima fila negli scontri con la polizia avvenuti durante le manifestazioni del 2006 – sessantesima ricorrenza della rivoluzione ungherese contro il comunismo - di fronte alla Televisione di Stato MTV. Abbandonata la presidenza dell’HVIM, il giovane ungherese ha fondato un nuovo movimento chiamato Mi Magunk (Noi Stessi), di chiara ispirazione irlandese (Sinn Fein).

Toroczkai Laszlo, che ha avuto l’interdizione d’accesso in Paesi come la Repubblica Slovacca (5 anni), la Romania (3 anni) e la Serbia (1 anno), è stato arrestato martedì per aver condotto centinaia di manifestanti nei pressi del Teatro dell’Opera, i quali, vedendo lo schieramento della polizia impedire loro l’accesso, hanno cominciato a lanciare sassi e bottiglie incendiare contro coloro, che lo scorso autunno, utilizzarono proiettili di gomma contro la folla, causando il ferimento anche di persone inermi e pacifiche. Demonizzato come gruppo xenofobo, il Movimento di Toroczkai ha attratto attorno a sé anche famiglie, stanche di sopportare sulle loro spalle le riforme ultraliberiste del governo socialista.

Un altro movimento sempre in prima fila in queste manifestazioni antigovernative, è quello del Lelkiismeret 88 (Coscienza 88), anch’esso presente all’occupazione della Televisione di Stato e nelle contestazioni di Piazza Kossuth, antistante al Parlamento ungherese.

Considerato revisionista, il gruppo ha idee che lo ricollegano al movimento parafascista delle Croci Frecciate di Szalasi. Una protesta di Coscienza 88 si è svolta nei pressi del castello di Budapest quando, estradato dal Canada, lo studioso Ernst Zuendel finì in prigione e subì un processo della polizia del pensiero per i suoi scritti che mettono in dubbio il cosiddetto olocausto. Tra gli altri obiettivi del Lelkiismeret 88, il ritiro delle truppe ungheresi dai teatri delle guerre “umanitarie” avviate dagli atlantici e l’uscita dell’Ungheria dall’Unione europea.

Oltre a questi due movimenti troviamo il Magyar Nemzet Bizottsag 2006 (comitato della nazione ungherese), il Szeptember Tizennyolcadika csoport (gruppo del 18 settembre), il Magyar Nemzet Mozgalomért (Movimento per la nazione ungherese) e tanti altri nazionalisti o di destra radicale (ovviamente... brutti e cattivi), che si oppongono alla figura di Ferenc Gyurcsàny, il quale ormai incarna tutti i mali del Paese.

Tutti questi gruppi hanno partecipato alle manifestazioni di Piazza Kossuth (e per questo vengono soprannominati Kossuth tériek, “Quelli di Piazza Kossuth”, anche se con slogans e parole d’ordine diverse.

I partiti dichiarati di estrema destra Miép e Jobbik, per alcuni mesi uniti in un unico movimento, non sembrano tanto vicini al centro-destra del Fidesz o del Forum, ma alla ricerca di una “Harmadik ùt” (Terza via).

Tra l’altro chi contesta l’attuale governo ungherese non è a tutti costi un simpatizzante del centro-destra o della destra radicale.

Alle manifestazioni dello scorso autunno parteciparono anche persone vicine all’estrema sinistra ungherese, appartenenti ai gruppi ultras dell’Ujpest, gli acerrimi rivali dei tifosi del Ferencvaros, tra le quali fila figurano, invece, elementi del Movimento delle 64 province. Oltre a loro,  vi erano presenti anche zingari e senzatetto, che non hanno visto la loro situazione migliorarsi con i governi socialisti che si sono succeduti dopo la caduta del Muro di Berlino. Anzi, si può dire che oggi un povero ungherese è ancor più povero di quello di 25 anni fa. Guardando un senzatetto di Budapest si può notare come molto spesso indossi dei vecchi vestiti di fattura pregiata. Non che questo sia molto significativo per molti, ma un occhio critico potrebbe arguire come queste persone non siano nate povere, ma che lo siano diventate negli ultimi anni. E nella maggior parte dei casi è proprio così.

Per questo, assieme alle decine di migliaia di persone aderenti al Fidesz, il principale partito d’opposizione ungherese guidato da Orban, erano presenti anche delusi del Partito di Gyurcsàny ed ex nostalgici del vecchio Partito comunista ungherese. Per finire, anche nuovi adepti della Budapest comunitaria, rimembrando le gesta dei loro storici eroi, si sono uniti alle sommosse antigovernative. Insomma i manifestanti appartengono a tutte le classi sociali dell’Ungheria contemporanea.

All’interno della stessa destra, non tutti si trovano nelle stesse posizioni. Vi sono anche dei favorevoli all’Unione europea, per i quali l’Ue è sinonimo di prosperità e di sentimento nazionale europeo (ovvero di appartenenza alla cultura europea), ed alla Nato, in chiara visione antirussa ed anticomunista (le ragioni storiche sono note a tutti).

Ferenc Gyrcsàny viene visto come un comunista, non importa se le sue siano politiche liberticide o suggerite o benvolute da Bruxelles.

Ma lo spirito degli ungheresi è sempre quello che lo ha contraddistinto nella storia: fiero e ribelle.

In ogni caso il fatto che le contestazioni abbiano coinvolto centinaia di migliaia di persone è un segno evidente di malcontento.

Le sollevazioni popolari, e l’attivismo politico dei vari partiti e movimenti, non sono ancora riusciti nel loro intento, ma la tenacia mostrata dai nazionalisti magiari negli ultimi mesi ha portato l’Ungheria nelle prime pagine dei giornali di tutto il mondo. Un Paese di poco meno di dieci milioni di abitanti, di grande cultura ma sconosciuta alla stragrande maggioranza delle persone del suo stesso continente, è potuto uscire dall’anonimato soltanto attraverso le violente proteste giovanili. Pochi avrebbero conosciuto, o si sarebbero interessati alla situazione politica dell’Ungheria se questi fatti non fossero accaduti: repressione durissima della polizia, centinaia di arresti e feriti, anche tra le persone indifese.

Il comportamento della polizia ungherese – ovviamento guidatp dal governo postcomunista - ha suscitato le proteste di alcune organizzazioni a difesa dei diritti umani senza riscontrare molto spazio nei mass media asserviti del mondo occidentale. Alcuni leader del Partito di estrema destra Jobbik hanno deciso, allora, di fondare una Guardia Nazionale in difesa dei cittadini dalle violenze delle forze dell’ordine. La guardia sta prendendo sempre più forma e può contare oggi su centinaia di membri.



Articolo di Giovanni Lanza, tratto da www.rinascita.info

martedì 23 ottobre 2007

23 ottobre 1915 - 23 ottobre 2007.

Filippo Corridoni, l'Arcangelo dei Sindacalisti Rivoluzionari.



Novantadue anni fa, il 23 ottobre 1915, alla Trincea delle Frasche, sul Carso, cadeva eroicamente Filippo Corrdioni, grande figura del sindacalismo rivoluzionario che insieme a De Ambris e a Mussolini aveva scelto l'interventismo e si era recato volontario al fronte mettendosi sempre in evidenza per lo slancio e l'entusiasmo.











"Io rimarrò sempre il Don Chisciotte del sovversismo; ma un Hidalgo senza ingegno, pieno soltanto di fede. Morirò in una buca, contro una roccia, o nella corsa di un assalto, ma – se potrò – cadrò con la fronte verso il nemico, come per andare più avanti ancora!"



Filippo Corridoni

lunedì 22 ottobre 2007

Azione Futurista.





ROMA - C'é anche un attacco alla Festa del Cinema che si è inaugurata ieri a Roma nella rivendicazione di Azione futurista dell'atto vandalico che ha colpito Fontana di Trevi. "Voi solo un tappeto rosso - è scritto nel volantino - noi una città intera color rosso vermiglio. "Rieccoci...". Questo l'inizio della rivendicazione che è stata trovata accanto al monumento progettato e costruito da Nicola Salvi e finito da Giuseppe Panini nel 1762. I toni riecheggiano il linguaggio dei Futuristi. Il documento é lungo una trentina di righe e termina con il grido 'Eja! marciare per non marcire, lottare per non morire, e la firma azione Futurista con una piccola riproduzione di un'opera d'arte futurista".



Nel testo c'é anche un riferimento alla lotta contro il lavoro precario e contro una società "mercatocentrica". "Inizia così - annuncia azione Futurista 2007 - per noi futuristi un nuovo millennio, una nuova adesione alle evolute tecniche e ai nuovi mezzi espressivi, interpretando un rinnovamento totale". Il finale del volantino ha gli stessi toni retorici "Dare forza alla lotta contro gli scialacquamenti del regime, il precariato, l'usura, il mercimonio della bellezza, la falsità della legge, la provvisorietà della vita dei lavoratori, l'incertezza del domani e per la libertà dei popoli". Sull'altro lato lo slogan "Una macchia di colore vi tumulera". Ed ancora un cenno al precariato: "Noi precari, disoccupati, anziani, malati, studenti, lavoratori, stiamo arrivando con il vermiglio per colorare il vostro grigiore". E infine l'attacco alla Festa del Cinema. "Ancora la festa del Cinema viene sintetizzata in 15 milioni di euro scialacquati, 2,5 milioni di euro solo per pagare il conto degli alberghi, e la chiamano festa". Infine uno sberleffo al cinema di Roma: Quattro cortigiane, una vecchia gallinaccia e un puffo - è scritto nel volantino - questo è il Cinema di Roma".



Da: www.ansa.it

domenica 21 ottobre 2007

La trappola.

Era prevedibile.



De Magistris, il PM di Catanzaro aveva i giorni contati per avere osato scavare nel lerciume del potere che si chiama massoneria  e che coinvolge politica, magistratura, forze armate, banche ed alta finanza.



La maggior parte dei magistrati ha capito da tempo, sin da prima di tangentopoli, fino a dove è possibile spingersi nelle inchieste che passano dal loro tavolo, senza correre il pericolo di giocarsi  la carriera quando non addirittura la vita e sa stare alle regole non scritte che riservano l’impunità alla casta/cosca del potere, quello vero, quello dei “pupari” che tirano le fila del gioco.



Ma ogni tanto, qualcuno, qualche sconsiderato che ha preso ingenuamente sul serio il giuramento, fatto all’atto dell’entrata in magistratura, di difendere la Legge e la costituzione in ogni caso e senza guardare in faccia nessuno, non ci sta e si permette di ficcare il naso in faccende che trascendono l’ordinaria amministrazione dell’abigeato, della rapina, dell’omicidio, del furto con scasso o della piccola truffa e ha l’impudenza di scoperchiare le trame che reggono la struttura di un potere occulto che gioca in grande, che è strutturato ed organizzato, che gode di appoggi inimmaginabili e potenti da parte della politica perché anche essa è complice occulta di quella stessa trama truffaldina.



Ci sono in gioco miliardi e miliardi di euro da sottrarre agli scopi per cui sono stati ufficialmente stanziati e deviarli in profitti privati e una manovra di tale entità e di tale natura è irrealizzabile senza l’appoggio e la complicità del potere politico, né è plausibile che, proprio per l’entità delle operazioni, esse possano essere completamente sconosciute a quella parte politica che non è direttamente coinvolta e che quindi è almeno complice morale delle malefatte..!



Ed allora era prevedibile che De Magistris finisse per essere umiliato dalla esclusione dall’inchiesta che aveva avuto il coraggio e l’imprudenza di iniziare.



Il giochino è stato semplice ed efficace e, dal lato formale, non presenta alcuna irregolarità.




  1. Mastella ha notizia informale di essere indagato.

  2. Mastella manda una ispezione ministeriale e deferisce DE Magistris al CSM

  3. All’iscrizione ufficiale di Mastella nel registro degli indagati, scatta una “Incompatibilità” tra De Magistris che indaga e Mastella che lo ha deferito al CSM



Il gioco è fatto, De Magistris è fuori dalle scatole, l’inchiesta è affidata ad altro PM che, male che vada, non sarà così pazzo come De Magistris e capirà come si deve cantare nel coro…



In un Paese civile la gente si arrabbierebbe e scenderebbe in piazza per difendere il diritto e la giustizia e per cacciare dai loro scranni coloro che li infangano e li disonorano con i loro comportamenti mafiosi, ma in Italia, siamo facili profeti, non succederà e tra sei mesi nessuno più si ricorderà di un magistrato ingenuo e coraggioso che si chiama De Magistris!



Alessandro Mezzano

sabato 20 ottobre 2007

Regime.

L’articolo 21 della costituzione recita: "...Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.  La stampa non può essere soggetta ad  autorizzazioni o censure..."

Riccardo Franco Levi; ricordatevi bene questo nome del braccio destro di Prodi che è l’autore della proposta di legge che vuole “regolamentare”  e cioè imbavagliare tramite tutta una serie di burocratizzazioni, di obblighi, di spese (bolli, iscrizioni e quant’altro) la libertà assoluta che faceva di internet e dei blog un qualcosa di nuovo nel panorama dell’informazione drogata ed addomesticata, complementare al potere istituzionalizzato.


Quella che viviamo è la civiltà della comunicazione per cui  la comunicazione è potere e controllare la comunicazione è controllare il potere!


Basta vedere a chi fanno capo i grandi mezzi di comunicazione, dalle TV ai giornali, alle grandi case editrici ed alle stesse agenzie di stampa per rendersi conto che il grande interesse che essi dimostrano per i mezzi di comunicazione giustifica appieno la nostra tesi, stante che, nella maggior parte dei casi, queste imprese non hanno bilanci particolarmente appetibili, ma che sono, sempre, degli strumenti per formare e dirigere la pubblica opinione laddove è l’interesse di una globale strategia del potere.


Ebbene, in questo contesto, il potere non si era accorto, o se ne era accorto troppo tardi, che un mezzo come INTERNET in cui regna una libertà assoluta che sfiora l’anarchia, era come ghiaia nei ben oliati ingranaggi della comunicazione istituzionale e che rischiava di vanificare tutto il lavoro di sottile condizionamento che aveva sinora permesso di gestire le masse con opinioni prefabbricate e pensieri precotti e surgelati...


Riccardo Franco Levi è lo strumento con cui il potere sta tentando di chiudere la stalla, senza capire che ormai i buoi sono fuggiti e, soprattutto, che avendo assaporato il profumo acre ed inebriante della libertà, non sono disposti a rientrare.


Il progetto di legge è passato alla commissione giustizia della camera quasi senza opposizione a significare che quando è in pericolo il controllo del potere e gli interessi di cosca, nessuno più fa distinzione tra governo ed opposizione, ma TUTTI sono solidali.


Tra l’altro, la frenesia della paura ha impedito al governo di pensare perché se no avrebbe capito che un simile provvedimento colpirà essenzialmente i piccoli, mentre i più organizzati non dovranno far altro che spostare sede e server all’estero per sfuggire alla legge liberticida.


E’ necessaria una generale mobilitazione, un sollevamento civile, ma determinato per impedire che il disegno di legge di Riccardo Franco Levi possa passare in parlamento.


Ne va della nostra libertà, ne va della costituzione, ne va del nostro futuro di cittadini liberi!


Alessandro Mezzano


giovedì 18 ottobre 2007

Sovranità Nazionale - Sovranità Monetaria.





Giovanni Di Martino

introduzione



Giorgio Vitangeli

da Bretton Woods alla crisi petrolifera, all'inconvertibilità del dollaro, al trattato di Maastricht, agli strumenti derivati



Eugenio Benettazzo

relazione sulle fusioni bancarie, sui rapporti del sistema banche e sulle truffe finanziarie ai danni dei risparmiatori



Mario Consoli

poteri forti e consenso popolare, il ruolo della B.R.I.



Furio Artoni

critica al monetarismo, le ricerche del prof. Auriti, la moneta di popolo



Ernesto Ferrante

conclusioni

martedì 16 ottobre 2007

Italia: paese a sovranità limitata.

Appena cerchiamo su un motore di ricerca “Basi Nato Italia” troviamo subito una cartina che molto mi ha colpito per la sua esplicita eloquenza:






Possiamo subito notare che tutte le regioni, fatta eccezione per la Valle d’Aosta, l’Umbria, l’Abruzzo ed il Molise, sono costellate di basi militari Nato.



In tutto sono 113 le basi che, a vario titolo, sono radicate sul (ex) “suolo patrio”.



Da poche settimane una delle più famose è stata smantellata: la base della Maddalena, un’isoletta a nord della Sardegna ed inserita in un paradiso naturalistico che molte associazioni da svariati anni denunciavano “violato” da inquinamento nucleare. Non è neppure un caso, credo, il fatto che la popolazione civile dell’isoletta ha uno dei più elevati tassi di tumori della nazione.


Altra base famosa, riguardo alla recente cronaca, è la base di Vicenza: gli invasori chiedevano – imponevano – allo Stato Italiano l’allargamento della superficie… Cosa puntualmente ottenuta, a dispetto di chi credeva che un governo di sinistra… Tutte fandonie. Addirittura sono riusciti a blaterare di “problemi urbanistici” e “impatto ambientale”: questi furono i tentativi di opporsi, niente popò di meno…, invece di dire che il suolo patrio appartiene alla  Nazione e che non è più tollerabile che delle potenze straniere abbiano degli avamposti militari all’interno di Stati legittimi e sovrani. Banali scusette di circostanza, ma poi tutti si affrettano a prostrarsi dinnanzi all’invasore d’oltreoceano che occupano da 60 anni la nostra Patria per conseguire solo ed esclusivamente gli interessi delle loro lobbies, ovviamente il tutto contro i nostri interessi, che li ospitiamo. Non dimentichiamo, infatti, che proprio la base di Vicenza fu logisticamente fondamentale per bombardare Belgrado, dove morirono migliaia di fratelli serbi.



Oggi da queste basi si alzano in volo centinaia di aerei che, con molta probabilità, semineranno morte e distruzione per i fratelli irakeni e afgani, popolazione civile e resistenti armati indistintamente.



Il momento di gloria patria, forse veramente l’unico dal secondo dopoguerra,  è oramai lontano. E' lontano quell’11 ottobre 1985 in quel di Sigonella, dove i nostri Carabinieri alzarono le armi contro i militari USA, su ordine del Presidente del Consiglio, l’allora Bettino Craxi.



E che dire di Camp Derby, uno dei più imponenti avamposti militari dell’intera Europa? Vi risiedono un migliaio di soldati. In tutta Italia sono stati stimati circa 14000 militari, tra Americani e provenienti da un po’ tutti i paesi aderenti all’Alleanza Atlantica, più comunemente chiamata Nato.



14000 persone, l'equivalente alla popolazione di un grosso comune, distribuiti su centinaia di Km di terreno dove vige la normativa internazionale.



Come se tutto questo non bastasse… C’è da dire pure che i soldati Nato non sono processabili dalla giustizia italiana, in caso di reati commessi su territorio italiano, ma solo dalla giustizia militare del proprio paese. La extra-territorietà non impera solo all’interno delle basi, quindi, ma anche sui soldati invasori. Tutto questo lo abbiamo imparato con il nostro sangue, sangue italiano, per il famoso “caso Cermis”: la cabina della funivia precipitò nel vuoto perché un aereo Nato tranciò il cavo nel corso di un esercitazione finita in “sfida” tra i soldati… Il prode top gun è stato giudicato negli USA… Ma per i familiari delle  vittime, giustizia, come troppo spesso avviene, non è stata fatta.  



Di recentissima attualità è da segnalare, per la cronaca “Sovranità limitata”, il caso della famigerata Moschea di Bologna. Non voglio entrare nel merito dello sterile “moschea si / moschea no”… I fatti parlano chiaro: la Nato si è espressa per impedire la costruzione della moschea e la moschea non verrà fatta (sembra che proprio su quel posto sarebbe dovuto passare un gasdotto per rifornire alcune basi militari, e si sa, i musulmani sono terroristi e non si sa mai…). Non il sindaco, il presidente della Regione, della Provincia, del Consiglio o la volontà popolare, ma un organismo straniero.


Questo è solo un libero sfogo, ma la realtà dei fatti è molto peggiore di un articolo. La realtà è che con l’attuale classe politica schiava, il popolo è schiavo. Il popolo sarà finalmente libero dall’oppressione straniera solo quando prenderà coscienza di se stesso e in quel momento si libererà degli orpelli che la recludono. Solo allora ci sarà la vera, grande Patria: l’Europa dei Popoli e l’Italia libera dallo straniero invasore. Tutte le Nazioni saranno allora libere e tutti i Popoli saranno in grado di auto-determinarsi.



Comunità Militante Perugia

lunedì 15 ottobre 2007

Popoli e Nerozzi scoperti dalla stampa cittadina.

“I volontari di Popoli sono tornati a Rangoon con medici e aiuti. Un veronese tra i villaggi rastrellati dall’esercito”



Quello dell’informazione è un mondo bizzarro, si appassiona a ondate agli argomenti. La Birmania è sparita dai titoli dei tg, nella pagine è diventata notizia breve. Eppure la situazione nel Paese non è migliorata da quando una quindicina di giorni fa, sui video, scorrevano immagini impressionanti.


Lo testimoniano i racconti di Franco Nerozzi, presidente di Popoli onlus, che attualmente è in Birmania. Lo testimoniano i cronisti di Peacereporter che annunciano che sono state accertate 31 violazioni dei diritti umani. Secondo le indagini, nell’ultimo anno la minoranza degli Shan ha perduto 18 villaggi. Sono introvabili dai satelliti sui siti dove erano stati fondati, mentre i rapporti di associazioni umanitarie come Human Rights Watch sulla distruzione di villaggi Karen non ha trovato conferma dalle immagini dall’alto.

stato invece dimostrato come i militari costringano alcuni Karen ad abbandonare i loro abitati per trasferirsi a ridosso di caserme create all’occasione, in modo da poterli tenere sott’occhio con più facilità.

Ed è proprio nel Karen State che si trova Nerozzi, tornato in Birmania proprio per controllare da vicino che cosa stesse accadendo nei villaggi che Popoli aiuta, e renderlo noto.

“Ci siamo spostati da un villaggio all’altro assieme ai medici”, dice Nerozzi, “è così che si chiamano qui dottori e infermieri, zaino di farmaci in spalla, accompagnati dai soldati abbiamo portato gli aiuti nei villaggi dove non vanno medici. Molti di questi villaggi quando siamo arrivati sembravano disabitati, ma è bastato che il monaco richiamasse la popolazione con un piccolo altoparlante perchè arrivassero centinaia di persone”. Villaggi fantasma, perché la gente ha paura dei rastrellamenti dei birmani.

Nerozzi racconta che i militari di Rangoon lanciano messaggi agli avversari: “Non sparateci, forse qualcosa sta cambiando, forse non saremo più costretti a spararci, ma i militari del Knla, l’esercito di liberazione Karen non si fidano. Qui la gente sa che il mondo per alcuni giorni si è interessato alla vicenda birmana, ma avvertono anche che l’interesse è scemato e che per la ferra logica del sistema della comunicazione fino a quando non ci saranno nuove manifestazioni e tante vittime tutto tornerà come prima, avvolto nel silenzio”.

I Karen, minoranza etnica perseguitata da sessant’anni, non si fanno illusioni. Ricordano che la giunta è forte perché ha creato un apparato militare che ha privilegi che nessun cittadino birmano può sognare. “La giunta ha i soldi delle multinazionali occidentali e asiatiche della Chevron, della Total, della Petronas, della Daewoo, fanno affari con Cina, India, Russia, Israele e Singapore. Qualcuno in Itali”, aconclude Nerozzi, “si ostina a chiamare quello birmano un regime comunista, invece ci troviamo di fronte a un comitato d’affari che conduce una partita su più tavoli, all’interno di perfette logiche mondialiste”.A.V.



Articolo de L'arena di Verona, preso da www.noreporter.org



sabato 13 ottobre 2007

Messaggio di Luigi Ciavardini.

Luigi Ciavardini, a mezzo dei propri legali, ha inviato un saluto a tutti i sostenitori del comitato “l’ora della verità”:

“Voglio ringraziare tutti quelli che non si sono dimenticati di me.

Ogni giorno ricevo lettere di affetto che mi aiutano a reagire, con la dovuta compostezza, all’ingiustizia che sto subendo. Desidero invitare chiunque creda in questa battaglia di verità, a non intenderla come un gesto di solidarietà personale nei miei confronti. Conoscere finalmente verità sulla strage di Bologna è un diritto di tutti gli italiani, non solo mio. Credo che il nostro paese abbia bisogno di un grande impegno civile per una giustizia veramente giusta ed imparziale. La vicenda che mi ha visto protagonista, mio malgrado, è solo l’esempio lampante di un problema più ampio che continua ad affliggere la nostra società. Le battaglie personali sono sempre limitate e forse anche sbagliate. Se ci sono persone come voi, che non sono disposte ad ignorare la condanna di un innocente, anche per me è possibile sperare in un’Italia più giusta.

Vi abbraccio tutti”.



Luigi Ciavardini

giovedì 11 ottobre 2007

IL PENSIERO GHIBELLINO.

Pensieri non conformi contro il “villaggio globale”.



Gli eserciti si fronteggiano, sta per scatenarsi la battaglia che segnerà il futuro dell’Italia e dell’Europa. Da una parte l’esercito fiorentino assieme agli alleati della Lega Guelfa, dall’altra gli aretini assieme agli alleati della Lega Ghibellina. Due fazioni, due ideologie.



I primi combattevano per imporsi sui vicini, per disgregare il potere centrale e dar vita alle autonomie dei primi Comuni.



I Ghibellini, invece, scendevano sul campo di battaglia per difendere la città di Arezzo e, al contempo, l’integrità e il potere dell’Impero. L’intento dei Guelfi, difatti, era offensivo: già da un anno i venti di guerra spiravano nel contado aretino, con rapide incursioni di piccoli gruppi di cavalieri fiorentini che, devastando le campagne, erano arrivati fin sotto le mura della città.



Di lì a poco, un anno dopo, la dichiarazione di guerra: i fiorentini ponevano le insegne dell’esercito a pochi chilometri dalla città di Arezzo, tenendole ben spiegate per otto giorni, affinché gli aretini potessero scorgerle e prepararsi a rispondere, in armi, alla sfida.



Stiamo parlando della famosa battaglia di Campaldino.



A capo delle schiere guelfe vi era Amerigo di Narbona, capitano francese concesso da Re Carlo di Francia al nascente libero comune toscano assieme a 100 fanti ed alle insegne reali. Quest’esercito era composto  da quasi 3000 cavalieri e 12000 fanti e fu senz’altro il più poderoso esercito che Firenze avesse mai avuto.



Ad Arezzo, invece, capo della contea era Guglielmino degli Ubertini,  vescovo della città e “amante più della spada che del pastorale” , fedelissimo al Sacro Romano Imperatore nonché esponente di spicco del ghibellinismo italiano, tanto da essere onorato, il giorno della battaglia, della presenza del Vicario Imperiale Princivalle del Fiesco. Inoltre, il vescovo guerriero si assicurò non solo la confederazione di tutte le genti ghibelline della Toscana, ma anche l’appoggio dei grandi capi marchigiani e romagnoli come Buonconte da Montefeltro.



Il giorno della battaglia, l’Ubertini mise assieme 800 cavalieri e 8000 fanti. Nonostante lo squilibrio numerico delle forze in campo, la fazione ghibellina, si battè con gran valore e questo ce lo conferma anche Dante, presente come fante tra le fila fiorentine. Il vescovo, dal canto suo, pur affetto da zoppìa e avente circa 70 anni, avrebbe potuto trovar scampo nella fuga ma, scrive l’Ammirato, “[….] non fece così, il vescovo, il quale rincorando i suoi, e facendo per tutto ufficio di capitano e di soldato, né volendo – poiché vide tagliare a pezzi le sue genti – sopravvivere a tanta rovina, si cacciò nel mezzo dell’ardor della battaglia e ivi valorosamente restò ucciso […]”.




Il resto è storia. Tutti conoscono l’esito della famosa battaglia di Campaldino, ma occorre fare un’analisi di ciò che la vittoria di quella fazione, la guelfa, comportò nella storia dei secoli successivi, poiché, per dirla con G.B. Vico, la storia è fatta di corsi e ricorsi, è sempre un andare avanti ed ogni epoca ha in sé i segni del passato e i germi dell’avvenire.



La fazione guelfa, fomentata dagli interessi papali, voleva la dissoluzione del Regnum Italicum per far decadere il potere dell’Imperatore.



Sotto la spinta guelfa verrà ad esplodere quel fenomeno che la storiografia chiamerà “periodo comunale”, peraltro già presente dal XII secolo con il Barbarossa nell’Italia settentrionale.



Il Comune, auto-ergendosi ad autorità territoriale, non riconobbe più l’autorità imperiale e feudale. Per questo motivo l’Italia non può vantare la secolare unità politica degli altri paesi europei. Aprendo una piccola parentesi sui giorni nostri, non è un caso, infatti, che la Lega Nord celebri le sue “oceaniche” (!!!) adunate a Legnano, luogo dove il Barbarossa venne sconfitto nel 1176 dalla Lega, appunto, dei Liberi Comuni; come, allo stesso modo, non è un caso che usino come loro simbolo il “carroccio”, emblema medievale della libertà comunale.



Il periodo comunale rappresentò la fine dell’Era di mezzo e da quell’indipendenza politica, e soprattutto economica, sorse una nuova realtà sociale che rappresentò un unicum storico: la classe dei mercanti.



Questi, vuoi per la spinta culturale di quel tempo, vuoi per il fermento economico diffuso un po’ ovunque, divennero mano a mano sempre più l’élites della società fino a prendere i posti di comando, distruggendo così la tradizionale divisione tripartita (lavoratori, guerrieri, sacerdoti).



A questo punto, oltre a non esserci più un’autorità centrale, se non formalmente, il potere civile non è più mantenuto per lignaggio ma per influenza politica dovuta al censo.



Nascono così le Signorie, giungiamo al Rinascimento e l’opera di destrutturalizzazione è ormai quasi completata.



Sarà poi la stessa classe sociale, quella dei mercanti, che, adeguandosi ai tempi, nel XVIII secolo formerà la borghesia, dalla quale, nel secolo successivo, nascerà la vera eresia materiale nelle sue note due forme: il marxismo e il capitalismo. L’opera di destrutturalizzazione è adesso completata.



Tale classe politica, nelle sue due forme, ha sempre perseguito, forse proprio per i viaggi che sempre ha fatto e per il guadagno che da essi ne ha contratto, un progetto di internazionalizzazione, o meglio, di trans-nazionalizzazione: paradossalmente, tra tali progetti, vi è anche quello “federalista”, inteso come secessionismo da un potere forte e centrale.



Un progetto di trans-nazionalizzazione prevede, come è ovvio, l’abbattimento di tutti i confini fino ad arrivare ad un “villaggio globale” ; chiaramente il progetto di secessione prevede l’innalzamento di nuove, ulteriori barriere ma è assolutamente funzionale al primo progetto, in quanto, come avvenuto per i comuni, frantuma la legittima autorità.



In due parole, un potere forte, centrale e possibilmente autarchico (“L’Europa, una volontà unica, formidabile, capace di perseguire uno scopo per migliaia di anni” F. Nietzsche) sarebbe d’ostacolo ai mercanti di oggi come quelli di ieri.


E noi saremo felici di essergli d’ostacolo!



Alessandro Pallini

lunedì 8 ottobre 2007

"SCAMPAGNATA" IN BIRMANIA.





Domenica. C'è il sole, Dopo giorni e giorni ininterrotti di pioggia il monsone ci concede una tregua. Non poteva capitare in una giornata migliore. Oggi dobbiamo andare a Bla Thoo, villaggio di cento abitanti ad un􀂶ora di marcia dalla "Carlo Terracciano". E' il turno della visita degli infermieri di "Popoli" al piccolo centro del distretto di Dooplaya. Venti giovani volontari del KNLA (Karen National Liberation Army) marciano con noi tra campi coltivati a granoturco e riso su di una pista che alla metà dello scorso marzo era stata percorsa da un battaglione di birmani per dare l'assalto alla "Terracciano" e al vicino campo dell'esercito di liberazione Karen. L'assalto si era concluso con il ritiro dei soldati di Rangoon dopo una battaglia di tre ore che aveva lasciato sul terreno 14 birmani e 4 Karen. Mentre si cammina a passo spedito verso Bla Thoo, sulle colline circostanti altre due sezioni del KNLA sorvegliano, dalla notte precedente, il territorio che si estende fino alle posizioni birmane, distanti ora soltanto tre chilometri. La tensione tra patrioti Karen e esercito occupante è salita dopo che pochi giorni fa i guerriglieri del 103° e del 201° battaglione si erano scontrati con una colonna birmana diretta verso Rangoon. Ancora una volta i Karen avevano avuto la meglio e i birmani si erano portati via 4 caduti. L'insostituibile Ba Wha, allegro capo infermiere con alle spalle qualche decennio di esperienza di chirurgia di guerra e di medicina di emergenza guida la squadra sanitaria: sei giovani "medics" (così vengono chiamati qui questi infermieri/medici alla cui formazione hanno contribuito i corsi di "Popoli") carichi di farmaci, stetoscopi e misuratori di pressione, che marciano ridendo, quasi fossero in passeggiata. Arriviamo a Bla Thoo trovando il solito scenario, a cui ci siamo ormai abituati. Il villaggio sembra deserto, come se i suoi abitanti lo avessero abbandonato di corsa di fronte a qualche minaccia incombente. Ma basta una voce nell'altoparlante del piccolo monastero buddista posto sulla collina a chiamare a raccolta donne e bambini del paese: "Chiunque voglia farsi visitare, chiunque abbia dei problemi di salute, venga subito qui, ci sono i medici".



(Continua...)

Quarant'anni fa veniva ucciso Ernesto Guevara de la Serna.

sabato 6 ottobre 2007

Dicendo Myanmar non dicono niente.

Perché non ci parlano dell'Unocal, della Total, della Gran Bretagna, d'Israele, dell'antidroga statunitense e di tutti quelli che fanno parte del gioco?



Solidarietà da tutto il mondo stanno ricevendo, in questi giorni, i monaci birmani e coloro che, in quella terra, si stanno mobilitando contro il locale regime militare. Correttamente s’è detto che questo governo pseudomarxista viene da anni sostenuto dalla Cina. In passato e recentemente, alcuni dei nostri militanti si recarono, con la Onlus “Comunità Solidarista POPOLI” (www.comunitapopoli.org, che da ormai 7 anni agisce con il proprio volontariato in quella zona), in Birmania ad aiutare quell’etnia Karen (in lotta contro il governo centrale) che, oggi come in passato, è volutamente ignorata da media e potenze occidentali. Al di là delle legittime marce e testimonianze di solidarietà occidentali, dunque, qualcuno di noi in merito può parlare… e domandarsi: - per quale motivo all’opinione pubblica non viene detto che, dietro al governo di Rangoon, oltre a Pechino, vi sono importanti multinazionali, quali la californiana Unocal (sempre quella presente in Afghanistan quando i Talebani non erano proprio nemici degli Usa…) e la francese Total, autrici di quel gasdotto di Yadana, che attraversa i territori dei Karen e di altre etnie e che è stato realizzato grazie a violente azioni dei soldati di Rangoon? - perché non viene rivelato che la giunta militare birmana da anni è fornita di armi ed intelligence da Israele? - come non sottolineare il legame tra la nuova paladina del mondo occidentale, Aung San Suu Kyi, e la Gran Bretagna? - come non vedere, recandosi in quelle terre, che da anni funzionari dell’antidroga statunitense sono lì impiegati i in Birmania in finte campagne di distruzione dell’oppio, tutelando, al contrario, gli interessi occidentali sull’illecito commercio di stupefacenti? Vedremmo allora la situazione birmana in un’altra ottica, e non solo non combatteremmo inutili battaglie ideali anticomuniste e libertarie in nome della democrazia occidentale (che sanno tanto di sostegno a quel sistema mondialista esportatore di quell’ormai triste “libertà” per molti popoli), ma capiremmo anche che non esiste un “male maggiore” ed uno “minore”, una “padella” ed “una brace”… …poiché “padella” e “brace”, “bene” e “stati canaglia”, ancora una volta, sono la stessa identica cosa, da ben prima della coraggiosa protesta dei monaci buddisti birmani.



Da: www.alternativa-antagonista.com

venerdì 5 ottobre 2007

Il "nostro" sindaco....

...Vediamo come risponde al programma d' italia uno "Le Iene"...



www.video.mediaset.it/video.html



Noi, da tempo avevamo posto il problema, l'articolo che segue, inviato e mai pubblicato dalla stampa locale, è datato 19 aprile 2007.




T-Red: il malcontento aumenta, i ricorsi pure!



Ecco gli effetti negativi di una politica poco accorta da parte dell' Amministrazione Comunale che invece di tutelare e educare i cittadini, li reprime.



Infatti, in poco più di due mesi, da quasi 2.000 ricorsi sulle multe causate dal famigerato T-Red a Perugia, siamo arrivati a oltre 4.000, complimenti!



Questa è la migliore gestione della "cosa pubblica" che tartassa i cittadini.



Dopo la sentenza del Giudice Angelo Iuliano del 18 Aprile che ravvisava una violazione da parte del Comune della procedura prevista dagli articoli 201 Codice della Strada e 385 del regolamento di Esecuzione.



Non è cambiato nulla! Ancora multe e ancora inevitabili e doverosi ricorsi.



Infatti queste norme prevedono una rigorosa procedura ai fini della compilazione e della notifica del verbale che sostanzialmente deve essere svolta esclusivamente dall'amministrazione. Il Comune si è avvalso di un soggetto esterno all'amministrazione, fatto questo che inficia la procedura comportando la nullità del verbale.



La società Citiesse di Como, oltre ad essere la fornitrice delgi impianti, è l'unico garante della corretta funzionalità del T-Red. La sopracitata società, infatti, si legge nella convenzione stipulata con il Comune di Perugia, incassa  ben 25 € per ogni contravvenzione.



Per non parlare delle modalità di funzionamento, che cambiano a seconda degli incroci semaforici, hanno ridotto i tempi di permanenza della luce gialla a 4 secondi prima di far scattare la luce rossa.



E non si parli di sicurezza stradale, perchè, con la riduzione del tempo di permanenza della luce gialla, sono aumentati i tamponamenti, per non parlare poi dei patema d'animo che la gente è costretta a subire quando si avvicina all'incrocio.



Non scordiamoci, che, una multa equivale a
151 euro con decurtazione di 6 punti dalla patente (25 € dei quali, come gia detto prima, vanno nelle tasche della società Citiesse che è una ditta privata che, ovviamente, avrà tutto l'interesse affinchè le multe siano sempre di più...).



Bisogna imparare a chiamare le cose con il proprio nome, altro che sicurezza stradale, bensi "rapina legalizzata" a scapito delle tasche dei cittadini onesti. Questa azione negativa è la maniera più rapida ed ingiusta per nascondere le loro incapacità amministrative e tappare buchi di bilancio che "essi stessi" hanno creato!



Siamo stanchi di rimanere in silenzio, dopo una prima documentazione, datata 19 Aprile 2007, non è cambiato nulla. Il malcontento aumenta e i ricorsi raddoppiano ma, le macchinette, sono sempre al loro posto. Questa è la palese dimostrazione di come viene considerato il cittadino perugino.



Invitiamo i lettori a inviarci documentazioni e ricorsi alla nostra e-mail, per iniziare una vera battaglia contro chi vuole punire i cittadini onesti, che hanno sempre pagano per i loro errori, ma, che non possono più tacere quando le contravvenzioni vengono fatte in maniera non conforme alle leggi del Codice della Strada sopra citate.



SMETTIAMOLA DI TACERE, FACCIAMO VALERE I NOSTRI DIRITTI!



Comunità Militante Perugia

controventopg@libero.it

giovedì 4 ottobre 2007

5 ottobre 1980 – 5 ottobre 2007.





"Cadrò una volta, due volte e mille volte ancora.

Ma ogni volta mi rialzerò per tornare all'assalto! Da uomo libero."



NANNI


COLPIREMO I BIRMANI OGNI GIORNO.

"Non è certo questo il momento di mollare. Ogni giorno colpiremo qualche reparto birmano". Così Nerdah Mya, "Operational Commander" del KNLA risponde a chi vorrebbe l'esercito di liberazione in una fase di difficoltà, dopo la mancata partenza della offensiva annunciata nei giorni scorsi. "Le offensive della guerriglia non sono quelle di un esercito normale" - prosegue il colonnello - Non vedrete divisioni di fanteria muoversi in massa, vedrete imboscate, colpi di mano, assalti a postazioni. Continueremo, con una maggiore frequenza, le operazioni che abbiamo condotto per tanti anni, e che hanno permesso al nostro popolo di sopravvivere. Dobbiamo far sentire ai Generali che non potranno reprimere le proteste impunemente". Nerdah ordina ai suoi di prepararsi. Dovranno uscire dal villaggio di Boe Whay Hta, attaccato due sere fa dall'esercito birmano, e controllare palmo a palmo la giungla circostante. Non vede molto chiaro nel tentativo di penetrazione compiuto martedì dai militari di Rangoon. Forse un'azione per "saggiare" le difese di questa cittadella fortificata, attorno alla quale, protetti dai guerriglieri karen, si stringono oltre 4000 persone. Sono profughi interni, gente che ha dovuto lasciare i propri villaggi investiti dai rastrellamenti dell'esercito birmano. Una cittadella in cui lavora Ba Wha, il nostro responsabile per la clinica che da sette anni presta assistenza sanitaria alla gente di qui. "No problem Mister Franco, no problem". Ba Wha ride, con i suoi denti colorati del rosso della noce di Bethel che mastica in continuazione. "Nessun problema" per questo instancabile ometto che da più di trent'anni conduce con il sorriso sulle labbra la sua guerra contro i birmani e contro le conseguenze dell'occupazione dello Stato Karen. "Hanno provato ad entrare" -sghignazza il "dottor Ba Wha", esperto in amputazione degli arti colpiti dalle migliaia di mine antiuomo sparse a Kawthoolei - "ma se ne sono dovuti andare di corsa. Per un po' non torneranno". In questi giorni tutti guardano a cosa succede a Rangoon, dove i vecchi generali sembrano incerti sulle mosse da compiere. Qualcuno di questi vorrebbe usare il pugno di ferro, qualcuno pare più incline alla ricerca di un dialogo con l'opposizione. Da questa miscela è uscita la repressione, tutto sommato contenuta, delle marce di protesta. Sembra quasi che Tan Shwe, numero uno della giunta, cominci a credere veramente alle voci che circolano in queste ore su presunti preparativi di golpe nei suoi confronti da parte di altri ufficiali. Sembra quasi che per scongiurare il colpo di mano contro di lui, voglia "accontentare" qualche colomba che ha fatto sentire la sua voce tra i falchi del regime. I Karen non si fanno illusioni. Sessant'anni di guerra li hanno resi immuni da facili entusiasmi. Ricordano che la giunta è forte, perché ha creato un apparato militare cui concede i privilegi che il resto della popolazione birmana nemmeno può sognare. Con i soldi delle multinazionali occidentali e asiatiche ( Chevron, U.S.A., Total, Francia, Petronas, Malesia, Daewoo, Corea del Sud per citarne alcune), degli affaristi senza patria e dei trafficanti di droga, con le armi di Cina, India, Russia, Israele e Singapore, con i contratti commerciali con Giappone, Thailandia e Germania, ha costruito un esercito efficiente, bene armato, ben pagato. Qualcuno in Italia si ostina ad usare per il regime birmano l'aggettivo "comunista", quando invece ci troviamo di fronte ad un comitato d'affari che conduce, all'interno di perfette logiche mondialiste, una partita su più tavoli. L'importante è che la posta in gioco, il gruzzolo di dollari, resti ai piani alti della società birmana, dove i più stretti collaboratori di Tan Shwe sono ricchi businessmen, e dove sua figlia può pagare 300 mila dollari per una festa di matrimonio. Se i governi occidentali che in queste ore chiedono un cambiamento a Rangoon avessero veramente voluto agire in modo disinteressato, per il bene della popolazione e non semplicemente per sostituire una avida oligarchia in divisa con una avida oligarchia in giacca e cravatta, avrebbero ormai da molti anni aderito alle richieste di fornitura di equipaggiamenti lanciate dagli eserciti delle minoranze etniche. "Gli Stati Uniti ad esempio, sostengono il movimento birmano per la democrazia" - dice Nerdah - "ma non hanno mai aiutato le minoranze". Meglio così, vorremmo dire a Nerdah, meglio non avere conti in sospeso con certi ambienti. Ma resta il fatto che i complessivi 30.000 uomini degli eserciti di liberazione Shan, Karen, Chin e Karenni, oggi non hanno i mezzi per portare fino ai quartieri della capitale la loro azione. E così qui, nelle regioni orientali della Birmania, a 500 chilometri da Rangoon, l'eco della rivolta dei monaci rischia di farsi sempre più tenue. "Un altro grave problema in questo momento" - prosegue il comandante - "è la mancanza di coordinamento con chi protesta nelle città. Rischiamo di fare due battaglie parallele, che alla fine potrebbero risultare scarsamente efficaci". E anche questa volta non diciamo a Nerdah che forse la povera coordinazione tra il movimento per la democrazia e le minoranze etniche potrebbe essere la conseguenza di una decisione presa al di fuori e al di sopra delle rispettive leadership. Temiamo che anche nella Birmania del futuro la battaglia per l'identità e l'autodeterminazione dei popoli resterà per l'elite al potere, la solita, spiacevole e noiosa "seccatura".



Franco Nerozzi

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