giovedì 10 novembre 2011

11-11-07 / 11-11-11: PERUGIA RICORDA GABRIELE SANDRI



ERA ORA!




VENERDì 11 NOVEMBRE 2011 alle ore 12.00 BADIA AL PINO EST (AREZZO)



Lungo l’A1 – Autostrada del Sole, sul luogo nell’area della stazione di servizio dove 4 anni fa morì Gabriele Sandri.



Cerimonia di inaugurazione della stele commemorativa, recante la dicitura In ricordo di Gabriele Sandri, cittadino italiano. Mai più 11 Novembre.



Nel nome di Gabriele, per la preservazione della memoria.



Come monito per il futuro.



www.fondazionegabrielesandri.it


mercoledì 9 novembre 2011

Repubblicani pronti a protesta con le tende ai cancelli di Maghaberry.


Il carcere di sicurezza dell’Irlanda del Nord potrebbe andare in crisi quando centinaia di repubblicani svolgeranno un grande raduno e digiuno di 24 ore davanti ai cancelli. A fine mese i manifestanti dormiranno fuori dalla prigione di Maghaberry, alla periferia del villaggio lealista nella Contea di Antrim, in tende e camper. Una banda musicale suonerà canzoni repubblicane, unendosi alla protesta, che sarà un incubo per la sicurezza PSNI.Tutti i prigionieri paramilitari sono ospitati nel carcere. I lealisti, furenti, dovrebbero inscenare una contro-protesta. Crescono i timori che gli eventi possano finire fuori controllo, provocando gravidisordini sia all’interno che all’esterno della prigione.Il raduno di alto profilo raduno è il segno che i repubblicani vogliono incrementare la pressione sul ministro della Giustizia di Stormont, David Ford, in un aspro confronto sulle condizioni carcerarie. Oltre 30 prigionieri repubblicani stanno eseguendo la dirty protest a causa delle strip search (perquisizioni corporali forzate) e della chiusura nelle celle fino a 23 ore al giorno. Alcuni stanno imbrattando le celle con gli escrementi, altri li gettano fuori dalla finestra o sul pavimento dei corridoi.Nel ritorno ai giorni peggiori della storia carceraria in Irlanda del Nord, i detenuti hanno smesso di radersi e di tagliarsi i capelli, ottenendo l’aspetto dei blanketmen degli H-Block (i Blocchi H di Long Kesh/Maze). L’ex-prigioniero della Real IRA Martin Rafferty, ora portavoce del gruppo di familiari ed amici dei prigionieri di Maghaberry (Family & Friends support group for republican prisoners Maghaberry), ha dichiarato: “La situazione si sta deteriorando rapidamente. Ora siamo al punto di rottura. Stiamo andando ai cancelli della prigione per farci vedere e ascoltare”. Rafferty ha detto che nell’accordo dell’anno scorso, le autorità avevano promesso di introdurre la tecnologia per porre fine alle perquisizioni corporali.“Hanno infranto questo accordo”, ha dichiarato. “Abbiamo pazientemente dato tempo ai politici, al clero e ai sindacalisti per risolvere il problema. Adesso, faremo la nostra mossa”.I manifestanti repubblicani si riuniranno con i coperchi dei bidoni della spazzatura – un simbolo della resistenza repubblicana dai tempi dell’internamento – e gli altoparlanti. Una banda musicale ed altri musicisti forniranno “divertimento” per tutta la notte.Lealisti e delinquenti comuni, alloggiati vicino alle porte del carcere, sentiranno tutto. “Abbiamo intenzione di tenere una veglia tranquilla. Non vogliamo creare problemi”, ha detto Rafferty.“Ma il modo più semplice per le autorità di evitare potenziali conflitti è quello di attuare l’accordo e mettere fine alle perquisizioni corporali forzate”.Gli attivisti repubblicani sostengono che una sedia BOSS – una macchina a raggi-x già presente in carcere – renderebbe superflua la perquisizione corporale. Per loro i prigionieri in uscita e di ritorno in carcere dalle aule di tribunale o dalle cure ospedaliere potrebbero accomodarsi sulla sedia ed essere “scansionati” piuttosto che perquisiti corporalmente.Il rapporto della scorsa settimana prodotto dalla Dama Ann Owers – commissionato da David Ford – ha dichiarato che le strip search sono “invadenti” per i prigionieri e ha consigliato di prendere in considerazione eventuali “strumenti elettronici più efficaci”, se disponibili.Lorraine Murphy da Coalisland, Contea di Tyrone, il cui marito Kevin è a Maghaberry per accuse paramilitari, ha affermato: “Ann Owers è una figura dell’establishment e anche lei dice che le strip-search sono disumane. La sua relazione fornisce a David Ford un modo per porre fine a questa pratica obsoleta. “Portlaoise (la prigione di massima sicurezza nela Repubblica d’Irlanda, Ndt) ospita prigionieri repubblicani e utilizza la scansione elettronica, non le perquisizioni corporali. La sicurezza non è compromessa lì. Perché a Maghaberry non è possibile fare lo stesso?” La Murphy ha affermato che il marito ha subito “brutali” strip-search. “Un cappellano del carcere ha detto che vive in una cella non adatta neanche per un cane”, ha concluso. Un portavoce del servizio carcerario ha detto: “Le sedie BOSS servono come aiuto, non come alternativa o sostituzione, ad una perquisizione corporale completa”. Le autorità negano con forza le accuse di brutalità.

 



www.lesenfantsterribles.org


Traditori dello Stato. (No. Non gli “8”: tutti).




Questo giornale, proprio lo stesso che state leggendo, in tempi evidentemente non sospetti: 1993/1996, dichiarava a tutta prima pagina “La moneta unica senza guida politica è un errore”, “Occorre più Europa e meno Maastricht”, “Inutile l’Iri, pleonastico l’Eni, nuove tasse, rigore economico in ossequio a Maastricht”, “Sull’Europa rullano i tamburi di una nuova Grande Crisi”, e così via. E, senza soluzione di continuità, fino alla vigilia dell’introduzione dell’euro e dell’abbandono della lira, e tuttora oggi, ha dichiarato sempre e continua a denunciare il disastro dell’abbandono della lira.

Tanto che - nonostante la velenosa e frustrante censura delle rassegne stampa televisive pilotate dai Signori Camerieri dell’euro, di centrodestra e di centrosinistra e oltre, soltanto una volta (sic) rotta da un intervento a “Uno Mattina” - la sua martellante campagna contro le svendite dei gioielli industriali strategici per la Nazione, contro il signoraggio, contro la privatizzazione della Banca d’Italia, contro la globalizzazione, in una parola: contro il monetarismo liberista, ha comunque in qualche modo fatto breccia.

Tanto che chi scrive è ancora sotto la spada di Damocle di una denuncia (con richiesta di risarcimento danni!) di Mario Draghi, invelenito dalla nostra continua pubblicizzazione della sua gita sul Britannia (1992) e dalle continue critiche alle sue azioni di depauperamento della ricchezza nazionale, frutto della congiura degli Andreatta, dei Ciampi, degli Amato e dei Prodi. E comunque è un fatto: fino a qualche mese fa, fino a un anno e mezzo fa, l’Italia non aveva messo ancora tutti e due i piedi nel baratro.

Poi, attenti come siamo agli eventi internazionali, ci accorgemmo nell’inverno 2010 dell’inizio dell’attacco ai “pigs” - ai Paesi maiale, come gentilmente noi e i portoghesi, e gli irlandesi, e gli spagnoli e i greci siamo stati definiti dagli albionici - e notammo subito come ad accompagnare la Grecia per mano nel baratro dell’usura della speculazione bancaria internazionale fosse stata la benemerita Goldman & Sachs, guidata in Europa dal solito Draghi. E, soli nel deserto, dichiaravamo come la falsa Europa (“Unione”, la chiamano) non fosse altro che l’anticamera di servizio della Banca centrale europea, della Bri, della Banca Mondiale, del suo Fmi. Degli strozzini internazionali.

Nel mondo da noi analizzato troneggiavano i Signori del denaro e i loro accoliti, anche domestici, tutti agenti delle banche di usura d’Occidente. Ma emergevano anche delle possibili vie d’uscita. Come accaduto con la Russia di Putin, riuscita a troncare la spirale di svendita dell’ex Urss alle banche e alle finanziarie atlantiche. Come accaduto con l’Argentina dei Kirchner. Come accaduto anche con la piccola ma orgogliosa Islanda.

Fatto sta che nella padella è ormai finita anche l’Italia, è anche finito il nostro popolo.

Ricapitoliamo.

E’ un fatto che l’euro fu disegnato precisamente per affossare gli Stati europei la cui forza produttiva - coadiuvata da svalutazioni competitive (Italia, Spagna) o da defiscalizzazioni (Irlanda) - era invisa alle economie neo-mercantili. La predazione prima delle ricchezze industriali strategiche e quindi della sovranità monetaria agli Stati nazionali, è servita così a rendere le nostre Nazioni più deboli. Ormai l’Italia, come tutti i pigs, non ha più la capacità pubblica - collettiva, nazionale e cioè di tutto il suo popolo - di emettere la propria moneta sovrana. Ogni Stato è dunque obbligato a “prendere in prestito dai mercati di capitali privati - il proprio fabbisogno di denaro.

L’euro va dunque lasciato, abbandonato.

Le estreme misure di austerità per pagare - si badi bene - soltanto gli interessi sui prestiti “concessi” dai Signori del denaro alla nostra economia pubblica, non possono che distruggere le possibilità di crescita della nostra Nazione, dei nostri popoli europei sotto attacco.

Il debito pubblico (che banche, fondi e finanziarie hanno predato per lucrare interessi) va congelato, non pagato, agli usurai.

Per opera di una congrega alla guida di una macchina infernale, l’Italia - aggressione alla Libia docet - sta sprofondando nella miseria, nel sottosviluppo e nel ruolo di sguattera degli atlantici manovrati da Wall Street e dalla City, dalla “plutocrazia” che ora vuole mettere le mani su Eni, Enel, Finmeccanica e sulle riserve auree virtualmente detenute dal nostro Paese.

Gli Italiani devono unirsi, fare fronte comune, combattere contro questi odiatori dei popoli.

Prima che sia veramente troppo tardi.



Di Ugo Gaudenzi, www.rinascita.eu


Iran, Ahmadinejad: Non ci serve arma nucleare per affrontare Usa.


L'Iran "non ha bisogno della bomba nucleare" per far fronte agli Stati Uniti e i suoi alleati: lo ha detto oggi il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad alla vigilia della pubblicazione del rapporto dell'Aiea sul presunto programma nucleare militare di Teheran. "Gli Stati Uniti che hanno 5.000 bombe atomiche ci accusano con impudenza di fabbricare l'arma atomica, ma devono sapere che se vogliamo tagliare la mano che hanno allungato sul mondo non abbiamo bisogno della bomba atomica", ha dichiarato Ahmadinejad.


domenica 6 novembre 2011

Libia: la vera guerra italiana.


Le nostre forze armate hanno scaricato almeno 800 tra bombe e missili, distruggendo più di 500 obiettivi. E' stato il massimo volume di fuoco mai usato dalla Seconda Guerra Mondiale. E gli attacchi della Nato sono partiti all'80 per cento dalle nostre basi. Il tutto, paradossalmente, senza aver alcun peso nelle scelte.

 




Dicono che abbiamo combattuto come gli altri e forse più degli altri. Solo francesi e britannici ci hanno superato come numero di raid e ordigni sganciati per spazzare via il regime di Gheddafi. Non ci sono bilanci ufficiali, ma le fonti più attendibili rivelano dati impressionanti: i nostri caccia hanno individuato 1.500 obiettivi e ne hanno distrutti oltre cinquecento con almeno ottocento tra bombe e missili. E' il massimo volume di fuoco scatenato dall'Aeronautica sin dal 1943: gli arsenali sono stati svuotati, impegnando contro le postazioni dei "lealisti" l'intera scorta di armi di precisione con puntamento laser o satellitare.



I vertici delle forze armate sono certi che le azioni non abbiano inflitto danni collaterali: ogni incursione è stata pianificata con cura, per evitare di colpire la popolazione. In alcuni casi, è stato persino posto una sorta di veto agli attacchi degli alleati, quando si è ritenuto che lo scenario fosse troppo confuso per distinguere tra guerrieri e abitanti. Perché è dalle nostre basi che è partito l'80 per cento degli aerei: senza gli aeroporti italiani la campagna della Nato in Libia non ci sarebbe mai stata.



Dal punto di vista militare, gli alti comandi atlantici hanno riconosciuto la rilevanza del nostro intervento. Ma sono bastate le parole di Barack Obama per far capire che l'Italia questa guerra l'ha persa. Il presidente americano ha ignorato Roma nei ringraziamenti per il successo dell'operazione, sottolineando invece il peso dell'asse franco-britannico. E' come se si fosse chiuso un ciclo, cominciato nel 1999 con il conflitto in Kosovo che aveva dato un credito nuovo alle capacità italiane: poi c'erano state Iraq, Afghanistan e addirittura la leadership in Libano nel 2006. Adesso l'Italia di Silvio Berlusconi torna in un angolo, con un crescente sospetto di inaffidabilità. E questo accade proprio in Libia dove si trovano risorse fondamentali per l'economia nazionale ed esiste un rapporto privilegiato che, nel bene o nel male, va avanti da un secolo.



Il generale Leonardo Tricarico è stato un protagonista di queste vicende: ha coordinato le missioni Nato sulla ex Jugoslavia, è stato comandante dell'Aeronautica e consigliere militare dei premier D'Alema, Amato e Berlusconi. Oggi è uno dei promotori della Fondazione Icsa, il primo think tank italiano di questioni strategiche, ed è critico nei confronti del governo "che è riuscito a perdere la guerra nonostante i successi dei suoi militari". A partire dal silenzio imposto alle forze armate: "Non si riesce a capire perché si è scelto di non comunicare l'attività compiuta dai nostri aerei sulla Libia. L'informazione è stata ridicola, quasi una presa in giro. I nostri reparti hanno avuto un ruolo importante dal punto di vista quantitativo e qualitativo. Chi sa che gli aerei italiani hanno sganciato centinaia di bombe? Il cittadino deve conoscere cosa fanno i militari, nel rispetto dei vincoli di segretezza, e come vengono spesi i suoi soldi".



Tricarico si sofferma sul ruolo dei cacia Tornado attrezzati per accecare e distruggere la contraerea libica: sono stati decisivi nelle prime settimane di conflitto. E sui ricognitori senza pilota Predator di ultima generazione, che solo Italia e Stati Uniti hanno schierato. "E' stato proprio uno di questi velivoli robot statunitensi a scoprire il convoglio di Gheddafi e permettere la cattura del dittatore. L'Aeronautica li ha usati contemporaneamente sulla Tripolitania e sull'Afghanistan, teleguidandoli da una bunker pugliese. Io penso che questo conflitto debba fornire la base per riflettere sul futuro delle forze armate. C'è la necessità di potenziare il numero di aerei senza pilota e, cosa che penso avverrà in un tempo ridotto, dotarli di missili. Così come il Parlamento deve chiedersi quale missione vuole affidare ai nostri stormi: la campagna di Libia giustifica investimenti in mezzi d'attacco come il super-caccia F35, progettato proprio per azioni del genere".



Al di fuori degli aspetti tecnici, la coalizione contro Gheddafi ha mostrato un'altra novità di cui bisognerà tenere conto nel futuro: il ritiro americano. Per la prima volta, gli Usa si sono fatti da parte lascendo agli europei la gestione della guerra. "Il primo attacco francese, lanciato da Sarkozy senza consultare gli alleati, poteva provocare il caos: il presidente francese ha voluto fare da direttore d'orchestra imponendo agli altri i tempi e modi del conflitto. Lì gli americani hanno in qualche modo tamponato la situazione, inventando una struttura di comando che ha gestito la crisi per circa tre settimane prima dell'entrata in scena della Nato. Ma i loro interessi vitali non sono in Libia.



Di Gianluca Di Feo,

http://espresso.repubblica.it/dettaglio/libia-la-vera-guerra-italiana/2164889




La guerra dell’oro, da Bretton Woods ai giorni nostri.



(ASI) Ettore Negro, professore in pensione, ha scritto recentemente “La guerra dell’oro – Dalla truffa di Bretton Woods alla globalizzazione a stelle e strisce”. Agenzia Stampa Italia lo ha incontrato per fargli qualche domanda.

 

Oggigiorno le monete non sono coperte da riserve d’oro e di conseguenza non sono convertibili…

 

Nel 1944 gli stati Uniti si erano resi conto che ben presto non avrebbero più posseduto gli strumenti finanziari necessari per procedere ad un ulteriore ampliamento del loro impero. Le autorità monetarie americane giunsero quindi alla decisione di creare un nuovo ordine monetario mondiale, di passare cioè dal Gold Standard al Dollar Exchange Standard. A Bretton Woods gli Stati Uniti si impegnarono solennemente di garantire la piena convertibilità  del dollaro in oro sulla base di 35 dollari per oncia Troy. Considerato che i paesi invitati a partecipare alla conferenza di Bretton Woods  furono soltanto 43, risulta chiaro che questo trattato costituisce il tipico esempio  di trattato iniquo o meglio di vera e propria truffa. A partire dalla sua ratifica gli Stati Uniti autoinvestitosi del potere di creare quantità via via crescenti di dollari al di fuori e al di sopra di qualsiasi controllo, si attribuirono il ruolo di veri e propri banchieri  globali e finirono ben presto col trasformarsi nel più grande debitore di tutti i tempi, un vero e proprio parassita planetario definito da molti come stato canaglia per antonomasia.

 

La cartamoneta, ormai costituisce solo l’8% di tutto ciò che usiamo come denaro. Il grosso di ciò che usiamo per fare tutti i nostri acquisti, ossia l’82%, è costituito da promesse di pagamento emesse dalle banche e da carte di credito/debito. Come si è arrivati a questo? E perché?

 

L’emissione incontrollata di carta moneta è ulteriormente aumentata dopo la dichiarazione  di inconvertibilità  del dollaro in oro del 15 agosto 1971 che, a detta di molti, è da considerare la data più nefasta del secolo scorso. Questa data segna il passaggio dal Dollaro Exchange Standard al Dollaro Standard. Questo nuovo sistema monetario incentrato esclusivamente sul dollaro ha finito col far prevalere definitivamente la finanza sull’economia reale  ed è responsabile di quella “cultura dell’indebitamento” che sta alla base della emissione incontrollata di derivati, titoli di spazzatura e di prodotti finanziari di ogni genere.

 

Ci vuole parlare di signoraggio bancario?

 

Gli stati Uniti, a seguito dell’imposizione del dollaro Exchange Standard e, a maggior ragione, con l’unilaterale, fraudolento passaggio al Dollaro Standard in cui ci troviamo attualmente, si sono praticamente arrogati il diritto di emettere una moneta di riserva internazionale, diritto non dissimile da quello dei signori feudali e degli stati nazionali.

 

Nel suo libro sostiene che gli Stati Uniti, dopo essersi assicurati grazie al trattato di Bretton Woods, la disponibilità di risorse finanziarie illimitate, il loro obiettivo finale sarebbe la conquista dell’egemonia globale e la instaurazione della “pax americana”. Secondo lei, potrebbe esserci questa sua affermazione dietro le “guerre umanitarie” degli ultimi tempi e le così chiamate “rivolte arabe”?

 

È del tutto evidente che gli Stati Uniti si servono del dollaro come di una vera e propria arma , un’arma non meno letale delle armi di distruzione di massa. Non a caso si parla del imperialismo del dollaro. Non a caso il dollaro è letteralmente  idolatrato dagli americani. È grazie al dollaro che gli americani si possono permettere di comprare, umiliare, corrompere, minacciare, distruggere l’economia di intere nazioni e, non ultimo, di condurre le cosiddette famigerate  guerre di peace keeping  o umanitarie ipocritamente giustificate con l’intento di promuovere la pace, il progresso, la libertà, la democrazia e quant’altro.

 

In questo contesto, qual è il ruolo dell’Europa?

 

Il ruolo dell’Europa,  priva, tra l’altro, di un esercito proprio e di una di una propria politica estera,  è sempre stato ed è tuttora quello di semicolonia. Contrariamente alle aspettative degli ingenui neppure la creazione  dell’euro l’aiuterà ad affrancarsi dal penoso stato di sudditanza determinato dall’imperialismo del dollaro.

 

E quello della Cina? Ormai super-potenza grazie al suo enorme bacino economico e industriale?

 

La Cina che, in termini di PIL,  ha superato in breve tempo tanto la Germania che il Giappone, si avvia a diventare la prima potenza mondiale. I cinesi non si sono limitati ad imitare i prodotti occidentale e ad esportare merci contraffatte. I loro obbiettivi sono molto più ambiziosi. Essi mirano a sostituirsi agli Stati Uniti a tutti i livelli, soprattutto nel ruolo di banchieri mondiali. Per il momento, forti degli oltre 3000 miliardi di dollari detenuti nelle loro riserve essi potrebbero distruggere gli Stati Uniti in qualsiasi momento. Non lo fanno, perché essi vivono in uno stato di simbiosi  con il rivale d’oltre Atlantico. Non è difficile comprendere che distruggere gli Stati Uniti nella situazione attuale equivarrebbe a “darsi”, come si suol dire, “la zappa sui piedi”. Con il dollaro i cinesi procedono tra l’altro all’acquisto delle industrie occidentali tecnologicamente più avanzate, di miniere e terreni nei paesi in via di sviluppo ecc. Consapevoli delle mire egemoniche e del neocolonialismo della Cina gli Stati Uniti hanno da tempo proceduto ad accerchiarla militarmente.

 

Come possiamo difenderci?

 

È una domanda alla quale mi è molto difficile rispondere. A mio parere, per quanto la cosa possa sembrare una mera utopia, si dovrebbe seguire l’esempio dell’Argentina e dell’Islanda, paesi che però non hanno avuto la disavventura di dover fare i conti con una follia di nome euro. L’Argentina dopo la dichiarazione di default nell’arco di solo 6 anni si è totalmente ripresa e procede a gonfie vele. La stessa cosa, ne sono certo, succederà  in Islanda. L’Italia dovrebbe prima di tutto uscire dall’euro, rinnegare i debiti contratti con tutte le banche che, essendo “too big to fail” si sono trasformate in veri e propri stati negli stati e che si sono distinte per avere capitalizzato gli immensi profitti e socializzato le altrettanto immense perdite. L’Italia dovrebbe inoltre uscire da quella “legione straniera” al servizio degli Stati Uniti che si chiama NATO, e dichiarare la più totale neutralità sul modello della Svizzera  o della Costarica. A questo punto il Bel Paese dovrebbe procedere a realizzare l’ultima utopia: dotarsi di una moneta coperta in parte da oro e/o argento sperando così di lanciare un segnale al mondo intero al fine di bonificare la finanza e l’economia a livello globale.



di Fabio Polese,


http://www.agenziastampaitalia.it/index.php?option=com_content&view=article&id=5624%3Aeconomia-la-guerra-delloro-da-bretton-woods-ai-giorni-nostri&catid=3%3Apolitica-estera&Itemid=35


venerdì 4 novembre 2011

L’Italia nella Libia che verrà.


(ASI) Cento anni dopo la nostra impresa coloniale la Libia è ufficialmente persa. Per anni Roma aveva accettato i ricatti ed i diktat di Gheddafi solo per portare a casa petrolio e gas a basso prezzo ma oggi dopo la guerra scatenata dal neo colonialismo franco-inglese avallato da Washington quelle posizioni faticosamente guadagnate in più di 40 anni sono andate perse. Ora bisogna cercare di capire quali relazioni potrà avere Roma con la nuova Libia, anche perché tra le mille occupazioni, più o meno legittime, dell’esecutivo la ridefinizione dei rapporti con l’ex colonia non appare tra le priorità.



Il nostro paese con Tripoli, come già accennato, poteva vantare dei rapporti privilegiati grazie soprattutto all’amicizia di Gheddafi con Berlusconi, ma anche con vari esponenti della sinistra: il nuovo regime potrebbe anche decidere di farci pagare questo passato penalizzando le nostre imprese anche se prima bisognerà vedere come evolverà la situazione in loco.



Allo stato attuale l’alternativa più realistica sembrerebbe essere il consolidamento di un certo numero di componenti, più su base etnico-tribale, e quindi prevalentemente territoriale, ma a macchia di leopardo, che in base a criteri di classe sociale o di ideologia un modo come un altro per dare un contentino a tutti coloro che hanno dato vita alla guerra civile senza rafforzare troppo nessuno.



Tutto però si giocherà quando si inizierà a parlare concretamente di petrolio, che non è distribuito uniformemente nel sottosuolo libico e per di i confini delle varie tribù non sono delimitate in modo preciso ma anzi, molto spesso, in alcuni si sovrappongono.



A complicare il tutto poi il fatto che i ribelli continuano a rimanere armati avendo deciso per il momento di non riconsegnare le armi e di tenersi quelle sottratte ai lealisti. Quando la spartizione del petrolio inizierà a creare le prime crepe tra i ribelli probabile che quelle armi torneranno a farsi sentire.



Finché non sarà chiara la situazione per l’Italia sarà difficile capire con chi interloquire anche a causa di un ministero degli Esteri troppo appiattito su posizioni filo statunitensi e filo israeliane che ne limitano fortemente la libertà d’azione.



Sarebbe consigliabile che la Farnesina iniziasse da subito a intavolare trattative con le varie etnie per tutelare gli interessi delle nostre aziende anche se difficilmente la Francia ci lascerà spazio vista la grande speculazione che sta compiendo sulla nostra bistrattata economia.



La guerra di Libia ha visto vincere gli interessi francesi e inglesi nella regione penalizzando oltre misura le posizioni di Italia e Russia. Da questo assunto dovrà ripartire il nostro governo per tentare di salvare il salvabile.



Di Fabrizio Di Ernesto,

http://www.agenziastampaitalia.it/index.php?option=com_content&view=article&id=5608:litalia-nella-libia-che-verra&catid=3:politica-estera&Itemid=35


Israele. Addestramenti aviazione a Decimomannu in Sardegna


(ASI) Dal 24 al 28 ottobre l'aviazione israeliana si è addestrata presso la base italiana di Decimomannu, in Sardegna, in un'esercitazione che ha preso il nome di "Vega 2011". Il fatto, secondo una procedura ormai consolidata da anni, non è stato reso noto alle autorità italiane sebbene il teatro delle esercitazioni fosse territorio italiano.



 


L'obiettivo dell'esercitazione Vega 2011, avevano spiegato dallo Stato Maggiore Aeronautica con una nota diffusa il 28 ottobre scorso, è stato quello di condividere conoscenze ed esperienze a livello tattico nell'ambito di scenari del tipo Crisis Response Operations (Cro). Durante l'esercitazione sono stati impegnati circa 20 velivoli, per un totale di 200 ore di volo."Vega 2011 - hanno spiegato i responsabili dell'esercitazione - ha costituito un'ottima opportunità addestrativa in quanto condotta con Paesi che vantano eccellenze nel campo della Difesa, attraverso l'integrazione delle capacità difensive e della mutua conoscenza delle relative tecniche e procedure. Sono stati raggiunti gli obiettivi delle attività fra i quali il rafforzamento dell'interoperabilità dei reparti impegnati con il miglioramento della capacità di cooperazione e la standardizzazione e lo svolgimento di attività tattica simulando operazioni in aree di media scala in un ambiente ad alta minaccia".Dallo stesso Stato d'Israele provengono perplessità circa la reale natura di queste esercitazioni; in molti, soprattutto nell'ambito mediatico, sospettano che ciò costituisca la preaprazione di un attacco ai siti nucleari iraniani, anche alla luce delle recenti dichiarazioni del ministro degli Esteri Lieberman: "Il mondo - ha affermato il leader nazionalista - deve prendere decisioni e far rispettare le sanzioni contro la banca centrale iraniana. La comunità internazionale deve interrompere gli acquisti di petrolio dall’Iran".



http://www.agenziastampaitalia.it/index.php?option=com_content&view=article&id=5606%3Aisraele-addestramenti-aviazione-a-decimomannu-&catid=3%3Apolitica-estera&Itemid=35

giovedì 3 novembre 2011

Dal Maze a Maghaberry. Le prigioni britanniche simbolo dell’oppressione.


Le carceri, in Nordirlanda, sono tristi monumenti alla repressione del regime britannico contro i repubblicani. Sono simboli attivi e concreti, come la prigione di Maghaberry, nella quale in questi ultimi mesi i Pow repubblicani stanno mettendo in atto proteste e disobbedienze per attirare l’attenzione sulle violazioni dei diritti dei prigionieri fatte delle autorità penitenziarie, che non hanno mai rispettato gli accordi sottoscritti con i detenuti nell’agosto 2010. E poi ci sono i simboli “antichi”, quelli che ricordano la repressione degli anni bui dei troubles e sul cui destino si sta discutendo negli ultimi tempi. C’è la prigione di Crumlin Road, a Belfast, costruita nel 1845 e oggi unica struttura carceraria di epoca vittoriana rimasta in Nordirlanda. È stata ufficialmente dismessa nel 1996 e la sua storia macabra e sanguinosa: vi sono stati impiccati e seppelliti diciassette prigionieri. L’edificio ospitava infatti anche una sala per le esecuzioni, l’ultima delle quali avvenne nel 1961 per Robert McGladdery, un comune assassino. Il suo corpo, come quelli dei giustiziati che lo precedettero, è sepolto in terra sconsacrata vicino al muro del carcere. Negli anni dei troubles, le sue 450 celle hanno ospitato circa 30.000 detenuti, per la grande maggioranza cattolici, simpatizzanti o appartenenti all’Ira. Nel 1991, alcuni detenuti cattolici riuscirono a far entrare una bomba che fu fatta esplodere nella mensa del carcere uccidendo due carcerati unionisti. Ora questa prigione verrà utilizzata per attività di ben altro tipo: un portavoce dell’Ofmdfm (Office of the First and Deputy First Minister) ha annunciato in settimana che il carcere di North Belfast riaprirà l’estate prossima come centro conferenze, struttura di cui la città sente la mancanza. Fra i piani illustrati dall’Ofmdfm per il pieno recupero della struttura c’è anche quello di vagliare l’interesse dei privati per l’ala A, dove venivano rinchiusi i sospetti di attività paramilitare. Tutto parte da un progetto di restauro da 2,5 milioni di sterline varato nel 2010. L’allora vice premier Martin McGuinness aveva dichiarato: “Il carcere è un grande bene comunitario e questi miglioramenti saranno di beneficio per la comunità di North Belfast e anche oltre i suoi confini, sia come attrazione turistica che come beneficio per le popolazioni locali”. “Questo sistema di restauro assicura un certo numero di posti di lavoro per l’imprenditore in questione, nonché la creazione di nuovi posti di lavoro durante la fase di costruzione e anche quando il progetto sarà completato”, aveva affermato il primo ministro Peter Robinson. Il restauro si è aggiunto ad una serie di progetti di conservazione già intrapresi in precedenza per preservare il carcere. Il problema, come sempre, è quello della possibilità che con un nuovo utilizzo venga cancellata la memoria di quello che per anni è accaduto in questa struttura, della repressione e violenza subita dai detenuti repubblicani. È lo stesso problema del quale si sta animatamente discutendo in questo periodo a riguardo dell’ancora più tristemente noto Maze. Si tratta del famigerato carcere di Long Kesh, i cui H Blocks (foto) furono teatro della tragedia dell’Hunger Strike del 1981 nel quale si lasciarono morire di fame Bobby Sands e 9 suoi compagni di lotta. È scontro, difatti, fra i membri dell’Assembly - riunitasi per discutere della proposta di trasformare ciò che rimane del Maze e degli H-blocks in un centro per lo sviluppo della pace e per la risoluzione del conflitto. In molti tra gli unionisti non gradiscono la possibilità che l’edificio divenga un ricordo perenne dei martiri nordirlandesi: Jim Allister, leader del Tuv (Traditional Unionist Voice), ha accusato il Dup (Democratic Unionist Party) di star “capitolando” di fronte allo Sinn Féin, e che “la comunità unionista non potrebbe accettare di vedere l’ala ospedaliera del carcere e altre aree trasformate in santuario”. Il primo ministro Peter Robinson ha risposto a Allister accusandolo di essere un “sabotatore”, e paragonandolo al un soldato giapponese rimasto nella giungla nonostante la fine della Seconda Guerra Mondiale: “Prova soddisfazione a lasciarsi sommergere dalla melma del passato”, ha commentato. L’accusa di capitolazione rivolta da Allister al Dup dipende dal fatto che il partito unionista ha appoggiato un emendamento del Sdlp (Social Democratic and Labour Party), che suggerisce di “tenere conto delle vittime e dei sopravvissuti” progettando per l’edificio piani di sviluppo che siano “sensibili”. Ad esprimere dubbi sul progetto sono stati anche, con una mozione, i membri dell’Uup (Ulster Unionist Party) Tom Elliott e Mike Nesbitt.

 

di Alessia Lai, http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=11254