sabato 30 gennaio 2010

QUELLA DOMENICA DI SANGUE A DERRY.

Per non dimenticare i caduti per la libertà.



Siamo nel cuore dell’Europa, quella democratizzata, in una fredda domenica del 30 gennaio del 1972 a Derry, Irlanda del Nord, quando, nel pomeriggio, era indetta dalla Nothern Ireland Civil Rights Association la manifestazione per protestare contro la sostanziale mancanza dei diritti civili causate dalle nuove norme di polizia che autorizzavano la reclusione preventiva per un tempo indefinito per chiunque fosse solamente sospettato di essere un militante repubblicano. La situazione era drammatica, centinaia di irlandesi repubblicani, erano detenuti in carcere con poca possibilità di essere rinviati a giudizio o di essere rilasciati. Tale prassi, che veniva chiamata internment, era stata varata non da molto dal governo di Londra. Questa marcia, completamente pacifica, era sorvegliata dal primo battaglione del reggimento dei paracadutisti britannico armato di fucili ad alta velocità, calibro 7,62, che sparavano pallottole capaci addirittura di bucare lastre di ferro. Paura, terrore, urla e pianti sono le scene che fanno da protagonista a questa giornata, oltre che, alla furia con la quale i soldati di sua maestà iniziarono ad aprire il fuoco contro civili inermi. Paddy Doherty, 15 anni venne colpito ai glutei nel fuggi fuggi generale e fu soccorso, mentre agitava un fazzoletto bianco in segno di pace, da Barney McGuigan che ha sua volta fu colpito, alla schiena, a morte. A Derry, quel 30 gennaio di trentotto anni fà, persero la vita tredici persone e molti furono i feriti - uno dei quali perse la vita quattro mesi dopo-. Cinque dei tredici repubblicani furono colpiti alle spalle. Il Bloody Sunday, ancora oggi, non ha colpevoli ufficiali perché si preferì premiare la tesi secondo la quale i paracadutisti britannici – mai usati fino a questa data per manifestazioni del genere – risposero al fuoco dei dimostranti. Nella prima inchiesta del Widgery Tribunal, i militari e l’autorità, vennero largamente prosciolti da ogni colpa compreso l’ex capo di gabinetto di Tony Blair, Jonathan Powell. Testimonianze di persone comuni, giornalisti e fotoreporter presenti, invece, affermarono più volte che i manifestanti erano tutti disarmati. Questa triste data, segnò anche una svolta nella tragica storia del conflitto nord-irlandese, costrinse infatti molti giovani patrioti repubblicani ad una scelta tanto drammatica quanto inevitabile: rispondere con la violenza a chi, con le armi da fuoco, negava loro la libertà e voleva lo sradicamento dell’identità del loro popolo. E’ così che nascono storie tanto tristi quanto straordinarie come quella di Bobby Sands e di tanti altri militanti dell’esercito repubblicano irlandese che, pur di far sentire la propria voce all’opinione pubblica mondiale, hanno preferito lasciarsi morire. Dal 31 luglio del 2007 è stato formalizzato il ritiro delle truppe militari britanniche nelle sei contee dell’Irlanda del Nord ingiustamente occupate e a seguito delle elezioni dell’8 marzo 2007 a Belfast si è istaurato un nuovo governo di coalizione, composto da repubblicani e unionisti. Tutti gli anni, la data del 30 gennaio, viene ricordata con una manifestazione di commemorazione a Derry, dove, oltre a migliaia di irlandesi, partecipano rappresentanze di varie nazione europee e di tutto il mondo a significato che, nonostante una pacificazione di facciata all’orizzonte, ancora oggi, c’è chi ricorda e lotta per la propria terra e per le proprie tradizioni. Lunga vita, dunque, al popolo irlandese, quello vero, quello puro, che ancora combatte e non si scorda dei propri caduti. Tiochfaidh àr là!



Fabio Polese, Il Fondo Magazine

venerdì 29 gennaio 2010

I controrivoluzionari colorati. Intervista a Claudio Mutti.

Proponiamo l'interessante intervista realizzata a Claudio Mutti da D. D'Amario, uscita sul quotidiano Rinascita il 16 Gennaio 2010.


Prof. Mutti, lei si è interessato agli sviluppi della Rivoluzione Islamica in Iran fin da quando, trent’anni fa, pubblicò alcuni scritti dell’Imam Khomeini nelle Edizioni all’insegna del Veltro. Lei attualmente segue gli sviluppi della politica iraniana dall’osservatorio della rivista di studi geopolitici “Eurasia”, della quale è redattore. Quale posto occupa oggi l’Iran nel contesto geopolitico?



Nonostante sia circondata da potenze ostili (i regimi wahhabiti e filoamericani della penisola arabica) e da paesi sottoposti all’occupazione militare occidentale (Iraq, Afghanistan, Pakistan), la Repubblica Islamica dell’Iran ha aumentato il proprio peso geopolitico, sicché essa esercita attualmente un’influenza regionale che si estende dal Tagikistan ai movimenti di liberazione del Libano e della Palestina, mentre Turchia e Siria rientrano nel novero dei suoi paesi amici. Infine, è fondamentale il fatto che l’Iran occupi una posizione geografica di enorme valore per la sicurezza della Russia e disponga di un patrimonio petrolifero di vitale importanza per lo sviluppo economico della Cina. In tal modo la Repubblica Islamica dell’Iran può contare sulla solidarietà delle due maggiori potenze del continente eurasiatico.



Chi sono in realtà quei manifestanti che la stampa occidentale designa come “studenti”, “riformisti”, “onda verde”, “rivoluzionari” e così via?



Più che di rivoluzionari, si tratta in realtà di veri e propri controrivoluzionari, come dimostrano senza possibilità di equivoco le loro stesse parole d’ordine, la più esplicita delle quali, “Morte alla vilayat-e faqih“, auspica la fine del governo islamico. Molto significative sono poi le parole d’ordine concernenti la loro collocazione internazionale: “Né Gaza né Libano, mi sacrifico solo per l’Iran!” e “Morte alla Russia e alla Cina!” Interessante, infine, che i manifestanti abbiano resuscitato il motto “Repubblica iraniana”, che era quello dell’usurpatore Reza Shah. Le rivendicazioni espresse da queste frasi non appartengono a semplici frange estremiste del movimento controrivoluzionario, ma anche ai loro caporioni, tant’è vero che Mir Hosseyn Mussavi (il candidato sconfitto alle ultime elezioni presidenziali) si è rifiutato di sconfessarle.



E’ noto, d’altronde, che l’opposizione è una coalizione multicolore che raggruppa individui di vario orientamento politico: reazionari nostalgici della dinastia pahlevi, residui di quei gruppuscoli marxisti che l’Imam Khomeini chiamava sprezzantemente “comunisti made in USA”, terroristi democratici dell’organizzazione Mogiahedin-e khalq.



Se ben ricordo, però, le Edizioni all’insegna del Veltro pubblicarono una raccolta di documenti dell’organizzazione Mogiahedin-e khalq…



Quel libro (Documenti della guerra sacra) fu pubblicato nel 1979, ossia in un periodo in cui i Mogiahedin-e khalq lottavano contro il regime collaborazionista dello Scià assieme ad altre componenti politiche del popolo iraniano. Fu solo in seguito che i militanti di tale organizzazione rivolsero le loro armi contro i loro compatrioti, rendendosi responsabili di sanguinosi attentati commissionati da centrali straniere e meritando l’epiteto ignominioso di monafeqin (“ipocriti”).



Quali sono le centrali straniere che ispirano le azioni dei attuali oppositori del governo iraniano?



Già il 19 giugno 2009, nel discorso pronunciato in occasione della Preghiera del Venerdì, l’Ayatollah Khamenei stabilì un chiaro collegamento tra gli eventi postelettorali iraniani e la cosiddetta “rivoluzione delle rose” orchestrata da Soros in Georgia. L’accusa dell’Ayatollah Khamenei è stata confermata da una notizia apparsa sulla “Stampa” del 28 giugno 2009 in un articolo di Maurizio Molinari: il Dipartimento di Stato USA ha messo a disposizione degli attivisti “riformisti” fondi federali per 20 milioni di dollari. Nel 2006 Condoleezza Rice aveva stanziato 66 milioni di dollari per i “dissidenti” iraniani. Per non parlare del denaro verosimilmente elargito dalle centrali sovversive che puntualmente intervengono a sostenere le cosiddette “rivoluzioni colorate”: il Center for International Private Enterprise, il National Democratic Institute for International Affairs, l’International Republican Institute ecc.



Secondo lei, Khamenei ha i giorni contati? Il presidente Ahmadinejad cadrà?



Per rendersi conto dell’enorme consenso di cui gode l’Ayatollah Khamenei, è sufficiente dare un’occhiata ai filmati delle manifestazioni popolari in suo sostegno. Si confrontino i milioni di persone che scandiscono il suo nome con le poche migliaia di teppisti “dirittumanisti” reclutati per lo più nei quartieri settentrionali di Teheran.Quanto al presidente Ahmadinejad, la solidità della sua posizione è confermata dal consenso elettorale recentemente decretato a suo favore dal popolo iraniano.

giovedì 28 gennaio 2010

SI INTENSIFICA L'ATTIVITA' DELL'ESERCITO BIRMANO.

Diamo qualche aggiornamento sulla grave situazione nello stato Karen. Quelli che seguono sono scarni resoconti che arrivano da diversi distretti in cui operano le truppe birmane in questi giorni. 5 giorni fa : il villaggio di Keh Der viene attaccato dal 367° Battaglione di Fanteria Leggera. 10 case vengono date alle fiamme. Due abitanti vengono assassinati: Saw Mya Kaw Htoo, e Saw Ey Moo . Il primo lascia una moglie e sei figli. Buona parte degli abitanti riesce a fuggire dal villaggio prima dell'arrivo dei soldati. 4 giorni fa: raid dell'esercito nel villaggio di Hti Aw Top. Al loro arrivo i soldati birmani sparano sulla popolazione. Vengono catturate due donne assieme ad un uomo: di Saw Poe lae, Naw Gu Htoo, Naw Day Poe non si hanno più notizie. 3 giorni fa: uomini del 427° Battaglione di Fanteria Leggera sparano agli abitanti di Kaw Htoo Toe (distretto di Toungoo). Saw Htoo Nay Wa viene ferito gravemente, ma la presenza dei soldati impedisce che gli venga prestato soccorso. Il giorno seguente, gli abitanti tornano nel villaggio dopo che i militari se ne sono andati. Trovano il corpo decapitato dell'uomo. Nell'ultima settimana: 10 villaggi sono stati attaccati. 2000 civili si sono aggiunti al flusso di profughi interni che cercano nascondiglio nella giungla. Nel distretto di Dooplaya, quello dove è più attiva la Comunità Solidarista Popoli, è stata sensibilmente incrementata la forza armata birmana, e i comandi hanno raddoppiato il numero dei battaglioni che operano nell'area. Ora sono 20. Scopo: "ripulire" tutto il distretto dai reparti dell'Esercito di Liberazione Nazionale Karen guidati dal Colonnello Nerdah Mya e tenere sotto controllo i gruppi di resistenza Mon che si sono rifiutati di essere inquadrati nella Guardia di Frontiera alle dipendenze di Rangoon.



www.comunitapopoli.org

Licenziare per una fetta di formaggio? Succede solo da Mc Donald's.

"E' solo una fetta di formaggio". Il pronunciamento del giudice di Leeuwarden, nel nord dei Paesi Bassi, passerà probabilmente alla storia: è con questa frase, infatti, che il magistrato ha sancito la sconfitta del colosso della ristorazione veloce Mc Donald's, che nei mesi scorsi aveva licenziato una propria impiegata ritenuta colpevole di avere danneggiato la società aggiungendo, appunto, una fetta di formaggio al panino preparato per un collega. Un gesto compiuto probabilmente in buona fede ma che è stato considerato una violazione delle regole interne della catena americana di fast food che prevedono appunto il divieto di trattamenti di favore nei confronti di amici, famigliari o degli stessi colleghi.

L'UPGRADE DEL PANINO - La commessa che si era resa “colpevole” dell'arricchimento “indebito” del panino destinato ad un altro lavoratore come lei - sostanzialmente un semplice hamburger era stato trasformato in un cheeseburger e quindi per l'acquisto sarebbe stato necessario pagare una somma maggiore, seppure se di pochi centesimi - non era stata semplicemente richiamata. Il suo capo l'aveva messa direttamente alla porta, interrompendo con cinque mesi d'anticipo il contratto a tempo determinato che la legava alla società. Non aveva voluto sentire ragioni e per questo la ragazza aveva poi deciso di rivolgersi alla magistratura ordinaria. Il giudice ha approfondito il caso e alla fine ha ritenuto davvero spropositata la misura del licenziamento per una violazione di così lieve entità. Secondo il tribunale, un semplice avvertimento sarebbe stata una misura più che sufficiente per quella che evidentemente è stata giudicata solo una violazione della policy interna e non un vero danneggiamento nei confronti dell'azienda. Al punto che Mc Donald's è stata condannata a risarcire la propria ex dipendente con una somma di circa 4.200 euro, ovvero la somma corrispondente ai cinque mesi di lavoro persi.



www.corriere.it

Un aperitivo a Milano, il giorno 30, per i prigionieri dimenticati.


Prigionieri del Silenzio, vi ricorda un importante appuntamento per il 30 Gennaio prossimo.

Lo Staff ofrirà un aperitivo parlandovi del libretto “legami” basato sul capo di accusa del caso “Parlanti” .

Lo staff ricorda che l’incontro è organizzato esclusivamente dall’associazione Prigionieri del Silenzio senza alcun appoggio e coinvolgimento politico, come dovrebbe essere la salvaguardia dei diritti umani. Abbiamo esteso l’invito anche a tutte le rappresentanze politiche auspicando per l’occasione di avere risposte su programmi di tutela per gli italiani in difficolta’ all’estero e soprattutto per quelli privati della libertà, abbiamo ricevuto qualche conferma ma ne attendiamo altre, augurandoci di portare l’attenzione su questa problematica sociale che interessa almeno 30 mila italiani che in modo diretto o indiretto ne sono colpiti.

E’ interessante conoscere come la classe politica italiana di qualsiasi schiaramento, soprattutto in questo clima di elezioni ed eventuali cambiamenti, e’ intenzionata a trattare l’argomento “scomodo” della detenzione oltreconfine.

Siete i ben venuti, nell’occasione conoscerete piu’ dettagli dello spettacolo che si terra’ il 26 Febbraio prossimo di cui trovate gia indicazioni al link http://www.carloparlanti.it/barrios.htm


Potete contattarci per informazioni in merito

email: info@prigionieridelsilenzio,it

tel. +39 347 4170814


www.prigionieridelsilenzio.it

sabato 23 gennaio 2010

UNA VITA TRA LE VETTE.

Era considerato il mago del ghiaccio per l'abilità con cui riusciva a salire anche sui più piccoli ritagli di qualsiasi terreno gelato. Ma alle spalle aveva anche grande esperienza di alta quota, con tanti chilometri e tante scalate ''nello zaino''. Luca Vuerich, 34 anni, uno degli alpinisti di punta del panorama nazionale, è morto oggi pomeriggio all'ospedale di Udine dove era giunto in fin di vita dopo un incidente sopra Kranjska Gora, sul confine tra Friuli Venezia Giulia e Slovenia. Mentre scalava una cascata di ghiaccio con un amico sloveno, verso le 11, è stato investito da una valanga che lo ha trascinato a valle lungo un canalone. Quando gli uomini del soccorso alpino di Cave del Predil lo hanno recuperato per lui c'era ben poco da fare. La morte è sopravvenuta poche ore dopo.



UNA VITA TRA LE VETTE - Nato e cresciuto a Tarvisio, compagno di cordata di Nives Meroi (la più grande alpinista italiana e una delle top al mondo) e del marito Romano Benet, Luca Vuerich ha consumato la sua vita in alta montagna: a tre anni scalava già, a nove  aveva salito tutte le cime del Tarvisiano, a 10  aveva messo il piede su una vetta di quasi 4.000 metri. Una passione che, con il passare degli anni, lo ha portato in giro per le Alpi (circa 600 salite con 30 vie nuove sulle Giulie) e poi fino in Himalaya, dove ha collezionato cinque Ottomila (Broad Peak, Gasherbrum I e II, Lhotse e Manaslu). LA MEROI: POTEVA SCALARE ANCHE SUL VETRO - “Una tappa fondamentale e una fortuna per me - scriveva sul suo sito - è stato conoscere Romano e Nives, che nel 1993 non avevano ancora salito nessun Ottomila ma erano i più forti alpinisti della zona. Eravamo ad una festa su un monte e il giorno dopo ero già sulle Dolomiti con loro”. Nel libro a lei dedicato da Erri De Luca, “Sulla traccia di Nives”, la Meroi evidenzia l'eccezionale capacità di Vuerich sul ghiaccio, “tanto che potrebbe scalare anche sul vetro'”. Sci (agonista fino a 17 anni), arrampicata, cascate di ghiaccio, alpinismo, scialpinismo, tutto quello che era montagna per Luca Vuerich era il "pane quotidiano". Aveva persino scelto di diventare guida alpina ''per cercare di trasmettere le sensazioni che si provano''. E poi la valanga fatale a pochi chilometri da casa, proprio nelle ''sue'' montagne.



www.corriere.it

venerdì 22 gennaio 2010

Iran. Avanti con Ahmadinejad.

Non siamo certo sostenitori di teorie complottistiche che vedono la presenza di inesistenti Spectre internazionali in ogni avvenimento politico del mondo. Siamo però scettici per natura e questo, talvolta, ci porta a farci delle domande. Per esempio, come mai più nessun media occidentale parla dell’Iran? Che fine ha fatto la presunta ondata di rivolta giovanile che avrebbe dovuto spazzare via i rappresentanti della Repubblica Islamica?



Ma torniamo un attimo indietro e vediamo cos’è successo. Circa un mese fa, come già nel giugno scorso a seguito della vittoria elettorale del presidente Ahmadinejad, alcune centinaia di studenti hanno manifestato lungo le strade di Teheran per chiedere maggiore democrazia e la tutela dei propri diritti individuali. Ma chi c’è dietro questi novelli pseudo-rivoluzionari? A capo di questo fronte democratico e principale avversario di Ahmadinejad c’è Hossein Moussavi, dipinto da tutti i media come un convinto riformatore che vuole fare uscire l’Iran dall’incubo dell’islamismo oscurantista e medievale. Eppure il suo curriculum vitae ci dice esattamente l’opposto.



Nominato nel 1980 premier dell’Iran, si ergeva a paladino dell’Islam sciita, opponendosi alla liberazione degli ostaggi dell’ambasciata americana e promuovendo addirittura, dalle colonne del principale quotidiano nazionale, Jomhuri-e-islami, la messa al bando del gioco degli scacchi. Roba da far rabbrividire anche il più moderato dei talebani agfhani! E dopo la fatwa di morte contro lo scrittore Salman Rushdie, che aveva pubblicato il libro I versi satanici, considerato blasfemo nei confronti del profeta Maometto, Moussavi annunciò che i fedeli della Rivoluzione avrebbero preso «misure necessarie» per portarla a termine. E decise anche di indire un giorno di lutto nazionale contro «la cospirazione sporca e sinistra del Grande Satana nel pubblicare materiale velenoso che insulta l’Islam, il Corano e il benedetto Profeta». Ma, adesso, si dichiara convinto democratico e vuole riformare il proprio paese.



Come se  l’Iran non fosse già un paese a struttura democratica. Perché, anche se nessuno ha l’onestà di dirlo, la Repubblica Islamica non è certo una dittatura, basterebbe analizzarne senza pregiudizi la Costituzione che ne delinea la struttura statale. La più alta carica è rappresentata dalla Guida Suprema, attualmente l’Ayatollah Ali Khamenei. Viene eletto dall’Assemblea di Esperti e rimane in carica a vita, ma l’Assemblea supervisiona l’adempimento dei doveri della Guida ed ha il potere di destituirlo. I membri di quest’ultima vengono eletti dal popolo, spettando al Consiglio dei Guardiani un semplice potere di veto, situazione non certo molto dissimile dalla nostra, dove tale potere spetta alle segreterie dei partiti, che stabiliscono unilateralmente le persone da inserire nelle proprie liste elettorali. E anche la prima carica esecutiva è eletta dal popolo, ed il presidente è sia capo dello Stato che del governo, cosa che farebbe ben felici i fautori nostrani della Repubblica Presidenziale.



Come si vede, nulla di particolarmente scabroso o antidemocratico nella struttura statale dell’Iran. Ovviamente il discorso cambia per quanto riguarda i contenuti normativi della Repubblica Islamica, che essendo tale, si conforma alla Sharia, cioè la Legge di Dio. Ma su questo punto, nessun paese straniero può arrogarsi il diritto di intervenire. Nel 1979 il popolo iraniano ha destituito lo Scià di Persia, che agiva unicamente secondo gli interessi americani, e ha appoggiato l’Ayatollah Khomeini e la Rivoluzione Islamica, che ha permesso al’Iran di riprendere la propria sovranità nazionale e la propria identità culturale. Perché è su questo campo che in realtà si sta svolgendo l’attuale conflitto interno. Da una parte Ahmadinejad, i pasdaran e la maggioranza assoluta del popolo che vuole continuare ad osservare la legge islamica e le regole di Dio, secondo una precisa visione spiritualistica dell’esistenza. Dall’altra, Moussavi e i suoi, i cui progetti politici sono alquanto vaghi, a prescindere dalla richiesta di maggiore libertà, che in Iran è un concetto assai diverso da quello dei diritti civili occidentali.



Al momento però stanno vincendo i primi, anche se la lotta sarà lunga e difficile, perché gli Stati Uniti sono fortemente impegnati a fianco dell’opposizione. Non a caso, negli ultimi anni Ahmadinejad ha stretto rapporti di amicizia politica con il Venezuela di Chavez, di cui condivide la lotta antiamericana in Sud America. Che stia per nascere, anzi che sia già in atto, una nuova Guerra Fredda tra Usa e paesi non allineati?



Di Alessandro Cavallini tratto da Il Fondo Magazine

mercoledì 20 gennaio 2010

Uscire dalla gabbia della falsa informazione.

La crisi che stiamo vivendo non è solo di carattere finanziario, ma anche politico, culturale e spirituale. Siamo alle soglie di un’epoca nella quale i rapporti economici, sociali e geopolitici risulteranno radicalmente differenti da quelli che abbiamo vissuto negli ultimi sessant’anni.

Saranno tempi migliori? L’Europa riuscirà a saltare sul treno dei cambiamenti per indirizzarlo verso la riconquista di quella sovranità che sinora le è stata impedita?

Perché i nostri figli e nipoti possano sperare in tempi migliori, la nuova classe dirigente dovrà essere formata da uomini liberi. Da chi sarà riuscito a comprendere gli equivoci generati dalle grandi menzogne del XX secolo, e conseguentemente avranno la possibilità di muoversi su differenti livelli, verso nuovi obiettivi, sensibili a quei valori che, pur essendoci congeniti, per oltre mezzo secolo ci sono stati dipinti come negativi o, nei migliori dei casi, obsoleti.

Sinora – come in un’avventura della letteratura fantasy – per ottenere legittimità e cittadinanza, per acquisire il diritto di ricoprire ruoli di primo piano, per usufruire degli strumenti di informazione e, attraverso questi, esprimere opinioni, formulare analisi e cercare consenso, è stato pregiudizialmente necessario superare quattro «porte». Quella della democrazia, per cui – nonostante tutta l’evidenza che ci offre lo spettacolo di una libertà e di una partecipazione  ridotte ai minimi storici – questa deve rappresentare l’unico sistema politico possibile: il migliore, lo zenith della civiltà politica e l’eden dei popoli.

Deve essere superata poi la «porta» del male assoluto, attraverso la quale sovrapporre l’icona del demonio a quella dell’Europa sconfitta nella Seconda Guerra Mondiale. Apoditticamente il bene deve sovrapporsi con l’immagine dei vincitori, quindi degli attuali padroni del mondo.

Terza porta da attraversare è stata quella del Libero Mercato. Ogni realtà economica doveva articolarsi rispettando strettamente le regole di questa moderna religione. E in nome di questa poteva operare, con tutto agio, il folle monetarismo che, partendo dal conio privato, attraverso l’invenzione del denaro virtuale, è approdato a quelle bolle finanziarie oggi, a caro prezzo, finalmente conosciute.



Quarta – ma non meno importante – «porta» è quella dell’Olocausto. Attraverso questa si è ottenuta l’immunità per lo stato di Israele, offrendogli un lavacro anticipato per qualsiasi crimine, pur se considerato intollerabile per ogni altro stato della terra. L’effetto del battage mediatico imperniato sul-l’Olocausto è servito anche per mettere sotto scacco psicologico le società europee e consentire una facile, incontrastata scalata ai posti di controllo degli strumenti di potere e di informazione a un numero sproporzionato di esponenti del mondo ebraico.



Per chi ha superato le prove delle quattro «porte», qualsiasi colore politico avesse e da qualsiasi area culturale provenisse, tutto è stato legittimato e facilitato. Chi invece non ha accettato queste Forche Caudine è stato trafitto dalle mille frecce avvelenate che il sortilegio prevede.

La società mondialista nella quale ancora viviamo ha dimostrato infatti di poter perdonare tutte le colpe, giustificare ogni cosa, «affettuosamente» comprendere ogni deviazione, ma nessuna clemenza è stata prevista per chi, rifiutandosi di attraversare le quattro «porte», ha dimostrato di non voler accettare le «regole del gioco».

Appaiono così significativi i pellegrinaggi di tutti i politici in carriera, a Londra, New York e Washington e, immancabilmente, a Gerusalemme, al Museo della Shoah. Ugualmente sintomatici, d’altra parte, sono i recenti casi del vescovo Richard Williamson e dell’avvocato Horst Mahler.

Il vescovo lefebvriano è stato «perdonato» per tutte le sue affermazioni in campo teologico e dottrinale – bazzecole, tipo l’aver bollato come eretico tutto il Concilio Vaticano II  – e riammesso a pieni titoli all’interno della Chiesa cattolica e della comunità culturale europea. Ma il prelato si è fatto poi sorprendere in una dichiarazione di tipo «negazionista» a proposito delle «camere a gas». Null’altro che un’opinione, espressa a un giornalista svedese, ma che gli è costata – questa volta sì, senza appello – la condanna universale, l’allontanamento dal Sud America, dove esercitava i propri uffici religiosi, e il rientro in Europa, dove l’attendono provvedimenti repressivi da parte dei Tribunali.

L’avvocato Mahler fu, negli anni Settanta, componente della RAF – la Banda Baader-Meinhof, le Brigate Rosse tedesche – che ha firmato innumerevoli attentati, rapine e uccisioni. Dopo un periodo di approfondita autocritica, si è allontanato dalle posizioni marxiste e terroristiche e ha effettuato analisi revisioniste che lo hanno indotto a dichiarazioni di tipo «negazionista». Per le sue attività legate alla RAF è stato scarcerato da quasi trent’anni. (Peraltro anche in Italia si possono tranquillamente incontrare per strada, nelle università e nelle redazioni dei giornali i brigatisti a piede libero.) Ma Mahler è diventato un revisionista, e questo non rientra nel novero delle cose tollerabili o perdonabili; per reato d’opinione, il 25 febbraio 2009, all’età di 73 anni, è stato condannato e rinchiuso nelle carceri tedesche nelle quali è presumibile che resti almeno per un decennio. «Praticamente un ergastolo» ha commentato Mahler uscendo dall’aula del Tribunale.

Uscire dalla gabbia della falsa informazione – abbattere le quattro «porte» e tutti i sortilegi ad esse legati – è dunque la conditio sine qua non perché possa prender corpo una nuova, libera classe dirigente. È assai incongruo infatti pensare di poter combattere una guerra senza sapere chi, in effetti, sia il nemico.

Non ci si può impegnare per la piena sovranità se non si comprende con esattezza quali sono state le forze che, provocando e vincendo la Seconda Guerra Mondiale, si sono impadronite del potere sull’intero globo.

E non si possono delineare nuove soluzioni economiche se non si ha il coraggio di guardare attraverso i vetri smerigliati dell’informazione inquinata e affrontare i problemi della crisi sin dalle sue fondamenta.

È questo il compito arduo – ché vuol dire battersi contro sessant’anni di imbonimento e di lavaggio dei cervelli – cui ci siamo dedicati, sin dalla sua nascita, noi de l’Uomo libero.

Il lettore è avvertito. Per individuare la verità, per uscire dalla gabbia della falsa informazione, occorre armarsi di pazienza, curiosità e umiltà. «Non troverai mai la verità – scrisse Eraclito da Efeso – se non sei disposto ad accettare anche ciò che non ti aspettavi».


Di Mario Consoli, da www.uomolibero.com

Intervista a Francesco Mancinelli.

Domanda a bruciapelo: quali sono i miti, gli autori e le esperienze che consideri parte integrante del tuo bagaglio politico-culturale?





Domanda quanto mai complessa. Diciamo che accanto al pantheon tradizionale dei vari Nietzsche, Evola, Jünger, Guénon, nella mia formazione convivono stranamente elementi di neo-cripto-catarismo (alcuni li chiamerebbero anarchici o comunisti spirituali, ma solo per coloro che non hanno occhio nel capire), approfonditi ad esempio attraverso la poesia musicale di De André e Guccini, ma presenti anche in tutta la canzone d’autore degli anni ’70; pesco anche nella visione profonda ed essenziale di P. P. Pasolini. Il tutto viene poi condito dal riferimento assoluto ai temi della «Paganitas», soprattutto quella romano-italica, nonché alle tematiche esoteriche, uno degli amori di gioventù.



Poi, per chi semplicemente riesce a ricavare dagli sguardi e dall’intuizione «la propria via», il proprio destino, direi che Codreanu e «Che» Guevara rappresentano, nei loro sguardi essenziali, la sintesi perfetta del mio background politico e culturale. Comunque, andando a scavare c’è dentro veramente di tutto, ed è quasi impossibile anche per me farne una organica sintesi. Anzi direi che sono in-organico per definizione.





Risorgimento italiano. Ultimamente ferve il dibattito su questa pagina controversa della nostra storia. Tu hai parlato spesso di «Risorgimento tradito», potresti approfondire il concetto?





Di Risorgimento tradito ne parla ampiamente uno dei massimi cronisti della Storia Risorgimentale (protagonista oltreché cronista): Giuseppe Cesare Abba. Uno che capì molto prima di molti altri (prima dello stesso Gramsci e anche di Carlo Alianello) il binario morto su cui si era avviato il nostro moto di liberazione. Si stava codificando dal 1849, dopo la fine della Repubblica Romana, il teorema velenoso del trasformismo delle nuove classi dirigenti, per mancanza e volontà di strappi tragici ed irreversibili all’interno del tessuto sociale e culturale della nazione nascente.



Serviva un sacrificio iniziale di purificazione, alla Romolo e Remo per capirci, la famosa guerra civile di liberazione anziché le false guerre Internazionali teleguidate da potenze straniere (tre guerre d’Indipendenza che non hanno costruito niente in termini di coscienza civile e nazionale). Ma purtroppo tra noi italioti, estranei perfino alla rivoluzione protestante, i Giacobini non sono mai stati veri Giacobini, ed i legittimisti del vecchio ordine (a parte le frange eroiche dell’ultimo Brigantaggio borbonico post-unitario) erano già imborghesiti e pronti per un salto di ricollocamento nella nuova gestione post-unitaria, ed in chiave moderata-liberale. Potremmo dire che i due laboratori controrivoluzionari per eccellenza (Vaticano e Savoia piemontesi) hanno ucciso lo spirito «Pagano-Insurrezionalista» di Pisacane e di Mazzini, dei fratelli Bandiera, ed infine ridimensionato ed esiliato il mancato console-dittatore Giuseppe Garibaldi; hanno festeggiato insomma la solita normalizzazione oligarchica: da un lato sul corpo dei nostri martiri e dei patrioti caduti, considerati come feccia eversiva, e dall’altro sul genocidio ed il massacro premeditato del Sud Italia.



Se si vuole capire come si arriva a Caporetto, a Badoglio, e poi Fini o Alemanno in Sinagoga, bisogna partire da Cavour, dal Piemonte e dalle sue lobby illuminate, e/o dal potere millenario e conformista del Vaticano. Neanche il Fascismo riuscì a sradicare la controrivoluzione dei gattopardi trasformisti, degli ordini autocratici antinazionali (gesuiti e massoni in testa), il cancro atavico delle nostre classi dirigenti riconvertite all’apparato e alla decadenza.



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giovedì 14 gennaio 2010

Razza che ramazza.

Adesso mi è tutto più chiaro. Al momento in cui sto scrivendo mi trovo allo Space Needle di Seattle, ormai saranno più di trenta giorni che sto girovagando per gli States con l'intento di realizzare un videodocumetario sulla crisi finanziaria e quella immobiliare: Boston, New York, Miami, Atlanta, Phoenix, Las Vegas, Los Angeles, Seattle e Chicago. L'economia americana è collassata per motivazioni razziali: il suo destino sembra ormai segnato da un lento ed inesorabile declino economico e sociale. Chi confidava in un miglioramento con l'avvento di Obama, mitizzandolo come il nuovo Kennedy, ha iniziato a  ripensarci. L'America di Obama non è l'America di Kennedy: alla metà degli sessanta, la popolazione americana era costituita per circa l'80% da bianchi caucasici (europei ed anglosassoni) e per il il 20% da svariate minoranze etniche (afroamericani, ispanici, orientali). Oggi è tutto cambiato: il 30% sono bianchi caucasici, il 30% sono ispanici, il 30% sono afroamericani ed infine il 10 % sono orientali. L'America come vista nei serial televisivi con i quali siamo cresciuti, da Happy Days a Melrose Place, non esiste più.



Questa trasformazione del tessuto sociale  ha comportato un lento e progressivo cambiamento negli stili di vita, nella capacità di risparmio, nella responsabilità civica e soprattutto nella stabilità e sicurezza economica. La cosiddetta crisi dei mutui subprime trova fondamento proprio in questa constatazione. Mi permetto di aprire una parentesi per accennare al meccanismo del credit scoring (necessario per comprendere il fenomeno dei subprime): in America ad ogni contribuente viene assegnato un punteggio di affidabilità utilizzando una scala valori che va da un minimo di 300 ad un massimo di 850 punti (è un modello matematico sviluppato da una società quotata al Nyse, Fair Isaac Corp.). All'interno di questo range possiamo individuare tre categorie di soggetti: prime consumer (750-850 punti con excellent credit), midprime consumer (720-750 con good credit) ed infine subprime consumer (660-720 con fair credit). Evito di soffermarmi nelle categorie con il rating inferiore (low and bad credit) per limiti di esposizione.  In base alla categoria di appartenenza varia la disponibilità di accesso al credito ed il costo dello stesso. Sostanzialmente il credit scoring è un modello di valutazione che consente di comprendere chi affidare e per quanto, oltre al fatto di selezionare i buoni pagatori da quelli cattivi, il tutto rapportato alla propria posizione debitoria e disponibilità reddituale.



Più carte di credito utilizzate, più fido richiedete, più le rate dei prestiti pregressi pesano in percentuale sul vostro reddito mensile, più ritardi nei pagamenti avete nel vostro track record personale, più il vostro credit scoring tenderà ad essere di basso livello. Sulla base di questo sistema, il 20% della popolazione americana è un soggetto prime, un altro 25% midprime ed infine quasi il 30% è un soggetto subprime. Il livello medio di credit scoring per un cittadino americano si attesta intorno ai 680 punti (subprime). Dal punto di vista statistico, troviamo tra i soggetti fair e low credit, per la stragrande maggioranza, gli appartenenti alle classi sociali legate alle ondate immigratorie degli ultimi decenni (per quello che ho potuto vedere non penso sia casuale).



Ma torniamo a noi. Durante la metà degli anni novanta, con l'intento di mitigare le tensioni e le disparità sociali della popolazione, nella constatazione che solo il 20% degli afroamericani ed il 30% degli ispanici erano proprietari della loro casa contro il 60% della popolazione bianca, vennero istituite delle piattaforme di ammortizzazione sociale che avrebbero consentito l'acquisto facilitato di un'abitazione a soggetti con capacità di redditto e disponibilità limitate. In buona sostanza il governo federale avrebbe garantito attraverso le varie GSE (Government Sponsored Enterprise come Fannie Mae e Freddie Mac) la remissione dei debiti concessi alle fasce sociali più deboli. Fu così che le banche iniziarono lentamente, ma con le pressioni del governo, a prestare denaro quando qualche anno prima non lo avrebbero mai fatto.  La ratio su cui poggiava questa scelta politica era identificata nella volontà di rendere i poveri meno poveri in quanto se “possiedi” un'abitazione puoi pensare di pianificare la tua vita e stabilizzare il tuo nucleo familiare, oltre a questo non dimentichiamo le motivazioni politiche volte a conquistare nuove fasce di elettorato grazie a proposte molto popolari.



Quello che è successo dopo a distanza di anni, dalla Lehman Brothers alla Fannie Mae, ormai fa parte della storia, senza dimenticare anche la complicità o incompetenza della FED. Una politica immigratoria troppo liberale e la mancanza di protezionismo culturale hanno presentato un conto impossibile da pagare per l'America che oggi inizia a comprendere cosa significa aver perso la propria originaria identità etnica. Lo scenario macroeconomico che caratterizza adesso il paese è tutt'altro che confortante e a detta di molti analisti indipendenti americani il peggio deve ancora arrivare. La disoccupazione è ovunque con disperati (non gli homeless) che chiedono l'elemosina di qualche dollaro e accampamenti di tende sotto i ponti delle freeway nelle grandi città. Obama ha subito una perdita di popolarità devastante, persino le persone di colore che lo hanno votato girano per le città con cartelli appesi al collo con la dicitura “Obama, dovè il mio assegno ? Allora quando arriva il cambiamento ?” In più occasioni mi sono sentito dire che la colpa è riconducibile ad un eccesso di liberalità immigratoria e ad una insensata politica di sostegno alle fasce sociali più deboli, che ha innescato il fenomeno dell'”overbuilding in bad areas”. Si è costruito troppo ovunque in area residenziali scadenti, prestando parallelamente denaro a chi non lo avrebbe mai meritato in passato.



Troppi messicani ed orientali entrati nel paese, legalmente e clandestinamente, hanno consentito l'abbassamento medio dei salari, mentre le concessioni, i sussidi ed il credito facile ai neri hanno distorto l'economia statunitense, rendendola drogata ed artefatta, portandola a basarsi esclusivamente sul consumismo sfrenato, il ricorso al debito e sulla totale incapacità di risparmio. Non lo avrei potuto immaginare, ma vi è un risentimento ed un odio trasversale tra le varie etnie che popolano il paese che mi ha più volte intimorito: bianchi contro afroamericani, ispanici contro afroamericani, orientali contro ispanici, insomma tutti contro tutti. In più occasioni per le strade di Miami e Chicago ho assistito ad episodi di tensione razziale stile “Gran Torino”. Chi parla con ingenuità evangelica di integrazione razziale per questo paese, probabilmente ha studiato per corrispondenza all'Università per Barbieri di Krusty (noto personaggio della serie televisiva The Simpsons)..



I bianchi benestanti che fanno gli executive (dirigenti, funzionari o colletti bianchi ben pagati) si autoghettizzano da soli in quartieri residenziali che assomigliano a paradisi dentro a delle prigioni, con videosorveglianza e servizi di sicurezza privati degni del Pentagono. Di contrasto dai fast food, ai jet market, alle pompe di benzina, a qualsiasi altro retail service a buon mercato, trovate tutte le altre razze che ramazzano i pavimenti, servono ai tavoli, lavano le vostre auto, consegnano pizze a domicilio o guidano i taxi per uno stipendio discutibilmente decoroso.  L'America per alcuni aspetti (opportunità di lavoro per i giovani che hanno indiscusse capacità) può sembrare superficialmente un buon paese, ma se ti soffermi ad osservarla con un occhio critico, sotto sotto è un paese marcio e primitivo da far schifo, a me si è rivelato per quello che è realmente ovvero un calderone multirazziale con la maggior parte delle persone (bianchi compresi) che hanno il senso di autocoscienza di uno scarafaggio. L'americano medio (che sia un bianco, cinese, messicano o afroamericano) se ne frega assolutamente dei problemi ambientali del pianeta, della sofferenza inaudita degli animali nei loro allevamenti intensivi, delle carestie in Africa o dei conflitti in Medio Oriente, si interessa solo che possa ingozzarsi di hotdog, bere fiumi di coca cola, guardarsi il superbowl e guidare il suo megatruck dai consumi spropositati. Pur tuttavia, nel lungo termine sono piuttosto dubbioso che si possa riprendere dal processo di imbarbarimento ed impoverimento sociale che lo sta caratterizzando, per quanto potenziale bellico possa vantare, questo non lo sottrarrà dalla sorte che lo attende, prima il collasso economico e dopo quello sociale, scenario confermato anche da molte fonti di informazione indipendente che non si mettono a scimmiottare a turno a seconda della corrente politica che vince le elezioni, tipo la CNN o la FOX.



Di Eugenio Benetazzo, www.eugeniobenetazzo.com





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mercoledì 13 gennaio 2010

Una rassicurante menzogna.




"II debito pubblico è un falso problema perché è un debito che lo Stato ha verso i propri cittadini portatori dei titoli del debito pubblico, ossia un debito che il paese ha con se stesso, una mera partita di giro".






Con questa tesi diversi politici hanno cercato di rassicurare l'opinione pubblica rispetto al colossale e crescente indebitamento pubblico. La tesi è clamorosamente falsa, come in pieno appare ora che abbiamo spiegato il meccanismo triangolare con cui i padroni della Banca Centrale, scontando i titoli del debito pubblico, si arricchiscono a spese della nazione, senza dare alcunché, attraverso l'uso accorto dello Stato.



    Ricapitoliamo:





1. Lo Stato ha bisogno di 100 milioni di Euro per finanziare il proprio deficit di bilancio.





2. Emette BOT o altri titoli di stato per 100 milioni di Euro.





3. La Banca Centrale li acquista (un tempo direttamente, dopo la riforma del 1992 mediante le società autorizzate di intermediazione) pagandoli con 100 milioni di Euro emessi ad hoc a costo zero (in realtà lo sconto è, come dice la parola stessa, inferiore al 100% del valore nominale del titolo, ma fingiamo che sia totale per semplicità).





4. La Banca Centrale è ora creditrice di 100 milioni senza aver speso alcunché o dato allo Stato alcunché, se non impulsi elettronici e carta stampata.





5. Poi la Banca Centrale vende ad altri (banche commerciali, fondi di investimento, risparmiatori. Banche Centrali straniere) questi 100 milioni di BOT e incamera il ricavato.




6. Questi 100 milioni sono il suo guadagno da signoraggio, che non figura nel bilancio.



7. In quanto ai BOT, via via che scadranno le rate di interesse e le date di rimborso del capitale, lo Stato dovrà pagarli ai vari portatori con denaro perlopiù tolto ai cittadini sotto forma di tributi.





8. Quindi, mentre il rapporto di credito cittadini-Stato di cui al punto 7 è effettivamente un rapporto di debito-credito interno al paese (tranne che per quei titoli che sono stati venduti a stranieri), i 100 milioni di cui al punto 6 sono il valore che i banchieri centrali hanno sottratto al popolo e tengono per sé in cambio di nulla.





9. Inoltre, poiché lo Stato avrà bisogno di ulteriori erogazioni di denaro per pagare gli interessi sui titoli del debito pubblico, essi lucreranno anche su questo.





10. Ancora, poiché il guadagno da signoraggio solo in parte viene reimmesso nel circuito produttivo industriale nazionale, il paese dovrà indebitarsi ulteriormente verso la Banca Centrale per pagare i titoli del debito pubblico alla scadenza.





11. In questo modo molti paesi occidentali hanno avuto una crescita esponenziale del debito pubblico e ora soffrono di una pressione fiscale intorno al 50% (che scoraggia gli investimenti e il lavoro, inducendo recessione o stagnazione), mentre gli Stati devono destinare quote ampie e crescenti del bilancio pubblico al pagamento di debito e interessi, rinunciando alle spese infrastrutturali, sociali etc., nonostante abbiano un bilancio attivo, al netto degli interessi passivi sul debito pubblico.





12. Il risultato è che la gente finisce per vivere male lavorando sempre più per pagare i profitti dei banchieri privati proprietari delle Banche Centrali.





13. In prospettiva questa situazione tende ad aggravarsi: lo Stato dovrà raccogliere sempre più tasse per i banchieri e sempre meno spenderà per la società, mentre la crescente pressione fiscale spingerà i prezzi al rincaro; e questo rincaro, mendacemente spacciato per inflazione da governi e "Autorità Monetarie", verrà invocato per aggravare la tassazione e alzare i tassi di interesse al fine di "combattere l'inflazione".





Nessuno apparentemente si è chiesto come mai lo Stato non abbia stampato le sue banconote in modo da ottenere il 100% del signoraggio (che oggi, sulle monete fisiche, vale circa 147 milioni di Euro al giorno). Prima della strage di Piazza Fontana, lo Stato aveva provato a emettere cartamoneta (le 500 Lire cartacee) che aveva la denominazione "Biglietto di Stato a corso legale". Ogni emissione portava nelle casse statali 150 miliardi di signoraggio. Nessuno apparentemente si è chiesto come mai lo Stato non abbia stampato tutti i tagli di banconote in modo da ottenere il 100% del signoraggio. Forse lo Stato ci ha provato, ma forse, anche, ha interpretato come un cattivo auspicio le bombe dei terroristi, e ha finito per rinunciare alla propria libertà.





La scusa ufficiale è: la Banca d'Italia (detta anche, ingannevolmente, "le autorità monetarie") sola può stabilire quanta moneta occorre immettere nel mercato. Altri suggeriscono che lo stabilisca la Banca d'Italia, ma che lo Stato si tenga la funzione di emettere il denaro e di trattenersi il signoraggio. Ma poi perché dovrebbe stabilirlo la corporazione dei banchieri privati proprietari della Banca d'Italia? Quelli fanno l'interesse loro, non del Paese.





Perché lo Stato deve emettere titoli di debito per coprire il valore nominale di banconote che potrebbe stamparsi da solo, ammettendo an­che che debba attenersi alle quantità stabilite dai prestigiatori della Banca Centrale?





È facile calcolare quanto signoraggio di emissione sia sottratto in questo momento (senza tener conto del passato) a ogni cittadino: debito pubblico diviso numero di abitanti, che da circa € 26.000 a testa.







Ma questa è solo il signoraggio primario, quello di emissione del contante. Il signoraggio secondario, quello di emissione delle scritture bancarie, è almeno nove volte tanto.



Marco Della Luna, Antonio Miclavez


      Euroschiavi, Arianna editrice, 2008



Per ordinare il libro potete contattarci a: controventopg@libero.it

domenica 10 gennaio 2010

DIETRO GLI SCENARI DI AL-QAIDA, UN CHECK POINT STRATEGICO DEL TRANSITO DEL PETROLIO.

Il 25 dicembre scorso le autorità statunitensi hanno arrestato un nigeriano di nome Abdulmutallab a bordo di un volo della Northwest Airlines da Amsterdam a Detroit, con l’accusa di aver tentato di far saltare in aria l’aeromobile con degli esplosivi di contrabbando. Da quel momento sono state trasmesse notizie dalla CNN, dal New York Times e da altre fonti che fosse “sospettato” di essere stato addestrato nello Yemen per la sua missione terroristica. Ciò a cui il mondo è stato assoggettato è l’emergenza di un nuovo bersaglio per la ‘guerra al terrorismo’ americana, ossia un desolato stato della penisola araba, lo Yemen. Uno sguardo più approfondito al quadro generale suggerisce che il Pentagono e l’intelligence americana abbiano un ordine del giorno segreto nello Yemen.



Da alcuni mesi il mondo ha assistito ad una costante escalation del coinvolgimento militare americano nello Yemen, una terra deprimentemente povera, confinante a nord con l’Arabia Saudita, prospiciente ad un’altra terra desolata di cui si è parlato molto di recente, la Somalia.



Le prove suggeriscono che il Pentagono e l’intelligence americana si stiano muovendo per militarizzare un checkpoint strategico per i flussi petroliferi mondiali, Bab el-Mandab, e che stiano sfruttando l’incidente della pirateria somala, insieme alle teorie di una nuova crescente minaccia di Al-Quaeda nello Yemen, per militarizzare una delle rotte mondiali più importanti per il trasporto del petrolio. Inoltre, le riserve non sfruttate di petrolio nel territorio tra lo Yemen e l’Arabia Saudita sarebbero tra le più grandi del mondo.



Il 23enne nigeriano Abdulmutallab, accusato dell’attentato kamikaze fallito, stando ai resoconti avrebbe parlato, affermando di essere stato mandato in missione da Al-Qaeda nella Penisola Araba (AQAP), con base nello Yemen. Questo ha convenientemente rivolto l’attenzione del mondo sullo Yemen come nuovo centro della presunta organizzazione terroristica di Al-Quaeda.



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venerdì 8 gennaio 2010

Gianluca Freda: “Gli USA sono dietro i disordini in Iran …”

Intervista a Gianluca Freda, autore del libro "Mio Sotterraneo Mare". Laureato in lettere, indirizzo Moderno, settore filologico-letterario medioevale e moderno alla Facoltà di Lettere, sta conducendo la Scuola di Dottorato in Scienze del Testo presso l'Università degli Studi di Siena (Università degli Studi di Siena). Il tema dell'intervista: analisi su ultimi disordini in Iran.



Approposito degli ultimi avvenimenti verificatisi in Iran, Lei ha pubblicato un interessantissimo articolo nel su blog e vogliamo apprendere la sua opinione a questo riguardo. Si dice che le persone che hanno creato i recenti disordini in Iran starebbero combattendo contro un governo tirannico, Lei cosa ne pensa?

“Il fatto che le persone in Iran stiano combattendo contro il governo direi che è una cosa assodata, il problema non è tanto questo, il problema è stabilire che chi le muove, chi manovra queste folle di persone e qui direi che ci sono pochi dubbi. Nel 2007 il Congresso americano ha votato per un finanziamento di 400 milioni di dollari che aveva lo scopo dichiarato di cambiare il regime in Iran. Noi non sappiamo come siano stati utilizzati questi soldi che il Congresso americano ha destinato all’Iran ma sappiamo che sono stati destinati a tre gruppi principali: alla Famiglia Rafsanjani, alla famiglia Pahlavi e ai Mujaheddin del Popolo. Quindi che esista un progetto americano per cambiare il regime in Iran, direi non è soltanto un’ipotesi ma è qualcosa di sicuramente provato che è dimostrabile sulla base dei documenti. Dopodicchè le modalità con cui sono state manovrate le persone che oggi, sicuramente in buona fede scendono in piazza in Iran, noi le conosciamo fino a un certo punto. Sappiamo per esempio che sono stati sfruttati  dei Social Network come Twitter e Facebook che vengono utilizzati molto spesso dai servizi segreti italiani o americani allo scopo di mobilitazione delle folle. Quindi questo schema delle rivoluzioni colorate non è un qualcosa di certamente nuovo. Noi ne abbiamo viste accadere moltissime a partire dall’89 e il rovesciamento del governo cinese, poi nel 90 in Bulgaria, le conosciamo anche in Georgia e in Ucraina  e così via… Quindi diciamo che lo spettacolo a cui stiamo assistendo in Iran a mio avviso presenta alune caratteristiche, alcune modalità che rivela sicuramente una mano internazionale nella gestione delle operazioni”.



Ma secondo Lei perché questa mano internazionale agisce contro l’Iran?



I motivi sono abbastanza evidenti. L’Iran è una nazione che sta cercando con successo di acquisire una certa autonomia nella regione (un paese che sta cercando di acquisire la tecnologia nucleare sia allo scopo pacifico ma io penso anche allo scopo militare che è giusto), l’Iran è un paese ricco di petrolio e ha già aperto una borsa petrolifera internazionale nella quale il petrolio possa essere scambiato in altre valute tranne il dollaro ed e’ una nazione che sta acquistando un controllo territoriale sempre più netto nella regione sopratutto dopo l’intervento americano in Iraq, e questo naturalmente preoccupa USA e Israele che cercano di ottenere un predominio incontrastato nella regione e per questo motivo deve essere fermato; è difficile fermarlo con un attacco militare perche ovviamente l’Iran non è l’Iraq e ha strumenti e mezzi per difendersi e per questo si privilegia un’altro sistema ovvero un tentativo di rovesciare il governo dall’interno, cio che gli Stati Uniti hanno già dichiarato di aver intezione di realizzare, e se questo tentativo dovesse fallire servirà per lo meno per dare un’immagine negativa dell’Iran presso tutti gli altri paesi europei e gli altri paesi del mondo ed è questo che stanno cercando di fare in questo momento.



Lei  nel suo articolo parla di uno schema che presenta un visione del mondo completamente bipolare cioe bene-male assoluto amore-odio bello-brutto democrazia-tirrania e poi dice che l’Iran forse è un’alternativa o un qualcosa per uscire da questa visione del  mondo e poi dice che uscire da questo schema sarebbe anche a favore dell’Italia. Ci potrebbe parlare a questo riguardo?



Dopo il 1989, l’anno della caduta del muro di Berlino si è affermato quello che io lo definirei un dominio monocratico degli Stati Uniti che sono l’unica superpotenza rimasta su tutte le zone cruciali del pianeta — l’europa compresa- quel poco di autonomia di cui i paesi europei come l’italia godevano all’epoca del bipolarismo cioe’ all’epoca in cui esistevano due grandi superpotenze: Stati Uniti da una parte e Unione  Sovietica, dall’altra è andata completamente perduta. Finchè esisteva questo bipolarismo l’italia riusciva, bene o male, a mantenere un certo grado di autonomia, barcamenandosi in qualche modo  tra le due superpotenze esistenti; nel momenti in cui gli Stati Uniti hanno ottenuto il dominio totale della situazione anche l’Italia è stata costretta ad adeguarsi a quelle che erano le direttive monocratiche degli Stati Uniti. Tant’è vero che dopo il 1989 in italia c’è stato un evento come “mani pulite”. Ecco gli Italiani ricorderanno che mani pulite non è stato altro che un colpo di stato, finanziato e organizato dagli Stati Uniti per spazzare via quella che era la vecchia classe politica italiana e imporre una nuova classe politica che fosse  totalmente assoggettata agli interessi degli Stati Uniti, e questo quello che è successo. E da 20 anni noi ci troviamo in una situazione in cui la gran parte dell’Europa è assoggettata a una sorta di politica coloniale in cui tutti i governi europei e le autorità che stanno a capo dell’Unione Europea sono costrette a agire in nome degli interessi e che non sono interessi nazionali dei singoli paesi europei ma sono interessi cha fanno capo a entità economiche di oltre oceano che stanno altrove e da questa fase  monopolare, che vede gli Stati Uniti in posizione nettamente dominante, noi stiamo lentamente uscendo perchè gli Stati Uniti sono una super potenza in declino e hanno insomma un potere che va spilanciando sempre di più. Ad accellerare questo processo di declino degli Stati Uniti, potrebbe contribuire l’emergere di nuove potenze regionali; alcune gia esistono , per esempio la Russia, la Cina e ecc. L’Iran sta cercando di diventare se non proprio  una potenza per lo meno uno stato autonomo e indipendente dal potere statitunitense e  in qualche maniera in grado d’imporsi come potenza locale ed è questo il motivo per cui gli Stati Uniti sono preoccupati, questo senso che ogni nuova entita sia l’Iran, la Cina, sia la Russia, che riesce ad imporsi come nazione autonoma indipendente dagli interessi economici e commerciali  dell’unica superpotenza rimasta, accellera e facilita questo processo che ci condurrà un po alla volta verso il multipolarismo cioè verso una situazione in cui avremo non più un unica superpotenza ma tanti centri di potere, tanti centri di interesse economico che permetteranno un maggior numero di punti di riferimento e usciremo un po’ alla volta dalla situazione in cui siamo costretti a rispettare il diktat di  un’unica nazione. Questo può avvenire un po’ alla volta e l’Iran può contribuire a queste e naturalmente gli Stati Uniti sono preoccupati.



L’ultima domanda si dice che il futuro appartiene a chi gli va incontro. Lei parla di un cambiamento forse già iniziato nell’assetto degli equilibri politici internazionali, il declino dell’unica superpotenza rimasta ,in qualche modo la presenza di nuove potenze regionali o internazionali ,Cina ,Russia, India, Brasile, Sud Africa e forse anche l’Iran. Volevo chiederLe sulla scena politica attuale italiana c’è qualche partito, qualche forza, qualche personalità che abbia compreso questo cambiamento e in qualche modo si prepari  a non venir sorpreso dai cambiamenti che verranno?



Sicuramente c’è una tendenza di alcuni elementi del governo attuale a partire dello stesso Berlusconi ad aprirsi a questa fase multipolare. Io prevedo che questi cambiamenti si verifichino – non a breve termine – ma da qui a qualche decennio. Uno è Berlusconi che ha capito che stiamo per entrare in questa fase e sta infatti stringendo accordi molto stretti con per esempio la Russia, con la Libia e con lo stesso Iran uno dei pricipali partner commerciali italiani. Quindi ci si sta dirigendo lentamente verso una situazione di apertura. Quello che naturalmente vediamo in questo momento è che tutti coloro che cercano di perseguire questa soluzione e cercano di aprirsi a potenze non gradite agli Stati Uniti vengono osteggiati in tutte le maniere. Io non sono assolutamente ammiratore di Berlusconi, tutt’altro, però è un fatto che in questo momento è uno di pochi – se non l’unico -  che ha compreso questo corso e sta cercando di favorirlo e da questo punto di vista Berlusconi e’ stato osteggiato ed è stato soggetto ad una serie di attacchi incessanti sopratutto a partire da un paio d’anni a questa parte: scandali sessuali, denunce di corruzione e io naturalmente vedo in questo una mano di coloro che stanno cercando di impedire all’Italia di crescere, perchè poi si trova in una zona strategica; e’ un nodo cruciale degli interessi europei aprirsi a questa situazione nuova.



A cura di Davood

giovedì 7 gennaio 2010

Vaccino H1N1: è tempo di saldi.

Da pochi giorni sono iniziati i saldi di inizio anno; scarpe, giacconi, cappotti… tutto al 30-40% in meno. Passato natale si sconta tutto… anche i farmaci. Dopo la grande paura e le spese folli (ma appetitose per le case farmaceutiche) anche per i vaccini, arrivano i robusti sconti.

Sono molti i governi che a seguito di una campagna economica mondiale opportunamente allarmista, ora si ritrovano con dei fondi di magazzino stracolmi di vaccino anti-H1N1. Segno forse di una presa di coscienza da parte di molti cittadini europei che vaccinarsi fa male e non solo alle casse dello Stato.

La Francia sta tentando in questi giorni di vendere l’esubero di milioni di vaccini per l’influenza H1N1. Il quotidiano Le Parisien ha riportato la notizia che il ministero della Salute ha già venduto 300.000 dosi al Qatar e che ne sta per vendere altri due milioni all’Egitto. “Siamo in contatto con altri paesi, in particolare Ucraina e Messico”, ha riferito il ministero in un comunicato. Secondo quanto riferito dalle autorità sanitarie, solo cinque milioni di francesi sono stati vaccinati contro l’H1N1, contro l’acquisto di quasi 90 milioni di dosi da Sanofi-Pasteur, GlaxoSmithKline, Novartis e da Baxter International.

La Germania non è da meno. Il ministero della Salute tedesco, dopo aver acquistato oltre 50 milioni di dosi di vaccino, ora avrebbe intenzione di rivenderne oltre due milioni di dosi. Finora solo poco più del 5% della popolazione si è vaccinata. L’intenzione di rivendere il vaccino sarebbe anche della Spagna, e così pure la Svizzera si avvia a rivendere circa 4,5 mln dei 13 mln di dosi acquistate.

E l’Italia? Per ora ci pensa… forse attende momenti più proficui. Il direttore generale Prevenzione e Sanità del ministero della Salute, Fabrizio Oleari fa sapere che “per ora non è prevista alcuna cessione o vendita delle proprie dosi di vaccino contro l’H1N1, poiché è ancora in vigore la campagna vaccinale che si protrarrà fino alla fine di febbraio”.

Al momento in Italia sono state somministrate 850.000 dosi di vaccino contro l’influenza A, contro l’acquisto di 48 milioni di dosi dall’azienda farmaceutica Novartis, per un importo pari a circa 185 milioni di euro.

E sulla svendita a prezzi di saldo degli altri Paesi europei, sull’allarme diffuso (di proposito) e sugli arricchimenti e il danno per le casse dello Stato, cominciano ad arrivare i primi malumori del governo italiano.

Maurizio Gasparri, capogruppo del Pdl al Senato, come risvegliatosi dal letargo, ha così espresso i suoi dubbi sull’affaire A H1N1: “Come ai tempi dell’epidemia aviaria, si comprano quantità ingenti di vaccini poi non utilizzati. Difficile non pensare a manovre speculative a livello planetario di spregiudicate multinazionali, così potenti da condizionare una informazione che, con il suo allarmismo, diventa scendiletto di pescicani che non godranno impuniti dei loro illeciti profitti. La sanità di tutto l’occidente ha accumulato altri debiti. Non finisce certo qui. Ne stiano certi. Bisogna capire se chi ha guadagnato senza ragione potrà restituire le risorse accumulate a colpi di bugie“.

Ma il problema è che le cose si sanno, anche se si fa finta di non saperle, come fa Gasparri.

Pochi giorni prima del 14 dicembre scorso infatti, quando Maurizio Sacconi è stato sostituito da Ferruccio Fazio alla guida del dicastero della Salute, il ministro concluse proprio l’acquisto di circa 48 milioni di dosi di vaccino contro la febbre A, per un valore, appunto, di 185 milioni di euro, un grande affare per le aziende e per Farmindustria che (udite udite) è guidata da sua moglie Enrica Giorgetti. Anche chi non ha dimestichezza con certi affari comprende che siamo di fronte al tipico conflitto di interessi all’italiana.

Volendo quindi trovare i responsabili di quest’ennesima rapina alle casse dello Stato italiano, si può.



Di Enea Baldi, www.rinascita.info

07.01.1978 - 07.01.2010: PRESENTI!









Il 7 Gennaio del 1978 Franco Bigonzetti e Francesco Ciavatta venivano assassinati davanti alla sezione romana del MSI ad Acca Larentia,  Stefano Recchioni fu ucciso da un ufficiale dei Carabinieri durante la manifestazione di lutto che ne segui. A tutti i Camerati caduti va il nostro pensiero.


Controvento