sabato 29 settembre 2007

Auguri Luigi!

C'è chi può...


Continuano i bombardamenti dell'artiglieria israeliana contro le città di Gaza e di Beit Hanoun.



All’alba di oggi, a Beit Hanoun, l'esercito israeliano ha bombardato un gruppo di combattenti palestinesi che cercava di impedire l'invasione di forza speciale. Nell'attacco sono rimasti uccisi 2 attivisti delle Brigate al-Qassam.



Fonti palestinesi hanno riferito che le vittime sono Raji Nabil Hamdan e Mohammad Abu Rukba. Sono stati colpiti da un missile terra – terra lanciato dalle forze di occupazione.



Le fonti hanno aggiunto che le ambulanze sono giunte sul posto dopo molte difficoltà, a causa delle violenti sparatorie in corso.



Altri due militanti sono rimasti feriti, di cui uno gravemente. Le vittime si trovano negli ospedali di Beit Hanoun e Kamal Odwan.



Testimoni oculari hanno confermato che membri delle Brigate al-Qassam si sono scontrati a distanza ravvicinata e per più di mezz’ora con una forza speciale israeliana all’ingresso di Beit Hanoun. I combattenti che si sono ritirati hanno confermato che ci sono vittime anche nelle fila dell’esercito di occupazione.



La notte scorsa, fonti mediche hanno reso certificato la morte di Thaer Abdelwahab Bassiuni, avvenuta a seguito delle ferite riportate. Era membro delle Brigate al-Quds, ala militare del Jihad Islamico.



E' salito così a 9 il numero delle persone uccise ieri nella Striscia di Gaza durante i bombardamenti di cielo e di terra.



Con le vittime di oggi, il numero di morti è salito a 11.


Da: www.infopal.it

I Karen pronti alla battaglia.

Ore decisive per la Birmania. Quello che avverrà poi, lo vedremo in seguito.









Il mondo si accorge che esiste la Birmania. Uno dei meriti della protesta sacrosanta dei monaci della capitale e delle principali città del Myanmar è innanzitutto questo. L’attenzione del mondo si concentra su questo angolo del sud est asiatico, scosso dalla più imponente manifestazione degli ultimi venti anni. E per tutti gli attori, diventa così più difficile agire senza dare nell’occhio, senza scatenare reazioni nelle coscienze delle “pubbliche opinioni” delle nazioni democratiche.


Fare pronostici su chi vincerà questo pericoloso braccio di ferro (i rigorosi monaci interpreti dell’esasperazione di un intero popolo o i paranoici gerontocrati in stellette rinchiusi nella finta capitale Naypidaw) è difficile.





C’è chi sostiene che vinceranno i generali, soffocando la rivolta nel sangue, nella repressione di cui sono maestri, o semplicemente facendo valere il peso delle minacce nei confronti di gente che conosce la brutalità e la capillare efficienza della macchina poliziesca del regime. C’è chi è invece certo della vittoria dei manifestanti, forti appunto di una solidarietà ideale del resto del mondo e dello spettro di nuove sanzioni economiche prospettate dall’Occidente al regime.





“Popoli” guarda con attenzione all’evolversi della situazione. E’ normale che chi si occupa da qualche anno di portare aiuti umanitari ad una etnia perseguitata dalla giunta militare speri che l’aggressore venga indebolito, messo in crisi, ridimensionato dalla dissidenza interna. A “Popoli” interessa innanzitutto la sicurezza e la libertà per i Karen, che in questo momento sono ancora negate dai generali birmani.





Ma siamo consci del fatto che questa sfida, chiunque ne sia il vincitore, porterà probabilmente nuovi drammi per le orgogliose genti delle colline dell’est.





Personalmente, e forse troppo ottimisticamente, ho la sensazione che il regime abbia il tempo contato. Ci sono due motivi per cui mi lascio andare a tale speranza (conscio però di poter essere smentito nelle prossime ore da qualche decisione forsennata dei vecchi di Naypidaw). Il primo è l’atteggiamento dell’esercito in questa fase della protesta. Straordinariamente pacato negli interventi. Cinque, dieci morti, forse venti e qualche centinaio di arresti dopo diversi giorni di agitazioni sono un bilancio incredibile, in un paese in cui quotidianamente le forze armate investono i villaggi dell’est incendiando, stuprando e uccidendo.





La grande manifestazione del 1988, alla quale parteciparono soprattutto studenti universitari e lavoratori di Rangoon, venne stroncata immediatamente dai fucili dei soldati: allora non si sparò in aria per disperdere i manifestanti. Si mirò alle teste dei birmani che osavano chiedere maggiore libertà. Diverse centinaia di vittime, c’è chi parla addirittura di 3000 morti. L’ odierna cautela dell’esercito potrebbe essere il prezzo pattuito per un passaggio di potere che risulti indolore per i vecchi generali.





L’altro elemento che mi fa sperare in un non lontano cambiamento ai vertici dello stato è la presa di posizione della Cina, principale e indispensabile angelo custode della giunta militare.





Pechino ha auspicato una ragionevole soluzione della crisi, invitando di fatto il governo di Rangoon ad evitare eccessive violenze. Non credo che la raccomandazione sia scaturita dal fastidio della leadership cinese per la vista del sangue (chiedete ai tibetani o ai dissidenti interni), quanto dalla considerazione che la Birmania, rappresentando un buon partner commerciale e un alleato strategico importante, va resa “presentabile” agli occhi delle altre potenze, USA in testa, con cui Pechino ha interesse a dialogare. Non va scordato che le Olimpiadi sono alle porte, e che l’ormai capitalista Cina cura molto il “look”.





Il business, credo, vincerà la sfida. India, Cina, Tailandia, Singapore, Israele, più alcune importanti multinazionali occidentali hanno grandi interessi nel “paese delle mille pagode”.





Il rischio di incontrare ostacoli di carattere diplomatico, problemi di immagine e legali (sanzioni) è forte, d’ora in avanti. Prima della marcia dei monaci tutti facevano quel che volevano, all’ombra del potente “Tatmadaw”, l’esercito birmano.





La Unocal (l’azienda californiana amica dei Talebani durante la guerra che le milizie filo pachistane, foraggiate dal Dipartimento di Stato USA, conducevano contro il comandante Massoud) è da molti anni socia dei generali birmani. Il gasdotto di Yadana, costruito in partnership con la Total, attraversa territori “ripuliti” dalla presenza dei legittimi abitanti (Karen e altre etnie) grazie a violente azioni dei soldati di Rangoon.





Israele da circa venti anni vende armi e “servizi” a esercito e sbirri birmani: si vede che la solidarietà, tra massacratori di popoli originari, è d’obbligo.





New Delhi sta riempiendo gli arsenali del Myanmar in cambio del gas birmano, di cui la frenetica economia indiana ha estremo bisogno.





Singapore ha stipato le sue banche di narcodollari provenienti dalle tasche dei trafficanti birmani e dei loro protettori in divisa. E la Tailandia (fedele alleato degli Stati Uniti) firma con Rangoon accordi milionari per costruire dighe e impianti idroelettrici sui fiumi che attraversano le terre dei Karen, destinate ad essere sommerse dalle acque.





Non è escluso quindi che tutte le componenti della ambigua economia birmana premano sul governo perché questo inizi a considerare la possibilità di un negoziato con le forze democratiche. Per evitare danni alle loro redditizie imprese. E per continuare, in regime liberale, a rapinare le ricchezze del Myanmar, questa volta con altri complici.





Infatti, i monaci stanno forse porgendo (più o meno inconsciamente) su di un piatto d’argento il Paese alle fameliche oligarchie britanniche, statunitensi e apolidi. C’è un forte legame che unisce la principale figura della dissidenza, Aung San Suu Kyi, alla Gran Bretagna. I circoli influenti, quelli della “esportazione della democrazia” a tutti i costi, sono particolarmente eccitati, in queste ore.





E anche questo ci piace poco. Non ci pare infatti che le democrazie occidentali siano istituzioni particolarmente attente alle istanze fondamentali dei popoli che desiderano vivere preservando la propria specificità culturale.





Se la piazza dovesse vincere, se il regime si dichiarasse disponibile a trattare con l’opposizione, se si preparasse un graduale cambiamento degli assetti politici, probabilmente nel giro di alcuni mesi verrebbe disegnata una “road map” verso la democrazia. Immaginiamo folle di “esperti” occidentali indaffarati a ristrutturare il sistema giudiziario, legislativo, economico del Paese. Sarebbero molto probabilmente ex dipendenti della Unocal e della Total, ex funzionari dell’antidroga statunitense impiegati per molti anni in Birmania in finte campagne di distruzione dell’oppio. O magari vecchi importatori svizzeri di rubini color “sangue di piccione”.





Cosa succederebbe ai Karen in cerca di autonomia ? Verrebbero forse bloccati i progetti milionari che violentano la loro terra ? Verrebbero forse chiuse le fabbriche di eroina e di anfetamine contro le quali si sono così coraggiosamente battuti per tanti anni ? Verrebbe riconosciuto loro il diritto di chiamarsi “nazione” ?





Temo che se dovessero continuare ad avanzare le loro legittime rivendicazioni, rifiutandosi magari di deporre le armi, da “combattenti della libertà”, come vengono ora definiti poiché si oppongono ad una dittatura, diventerebbero, per il baraccone mediatico internazionale governato dai soliti sovrani senza patria ne’ etica, dei “signori della guerra”, ovvero elementi terroristici che incomprensibilmente rifiutano le allettanti promesse della democrazia. Autodeterminazione, identità, tradizione: cosa sono per i freddi burocrati del parlamentarismo d’assalto ?





Ma lasciamo la dimensione dei pronostici fantasiosi e torniamo ad oggi.





I Karen, dimostrando ancora una volta una indole saggia e poco incline allo sciacallaggio, sono fermi, nella giungla, in attesa dello sviluppo della situazione. Agire subito con le armi avrebbe significato provocare i generali, costringere il regime ad una risposta violenta, avrebbe esposto i manifestanti al rischio di un bagno di sangue. Hanno invece fatto sapere che sono pronti (l’ordine è già arrivato ai comandanti operativi del KNLA), assieme alle truppe di altri gruppi etnici, a scatenare una grande offensiva contro il Tatmadaw in caso di repressione violenta della protesta dei monaci, nelle prossime ore.





Non resta, per il momento, che attendere. Da parte nostra auspicando intanto la fine di una casta di macellai, trafficanti di droga, avidi affaristi senza scrupoli che ha affamato il suo popolo. La democrazia non c’entra. Vi sono stati nella storia regimi non democratici che hanno goduto del reale consenso popolare. Che hanno creato stati etici. Che hanno messo al primo posto il bene della nazione. Che hanno sfidato e combattuto le oligarchie criminali. Non è certo il caso della giunta birmana. Ne’ delle nazioni che in queste ore alla giunta stanno facendo la ramanzina, fingendo di non vedere quanto in fondo le assomiglino.





Quel che verrà poi, è un’altra pagina di storia. Che “Popoli” spera verrà scritta dai Karen con lo stesso rigore, la stessa onestà e chiarezza di ideali che hanno accompagnato durante gli ultimi sessant’anni la loro lotta per la libertà.







Franco Nerozzi (Comunità Solidarista Popoli)




Che figura.

NEW YORK - Il giorno dopo Ahmadinejad, in USA: titoli bassi sui giornali.

L'evento relegato alle pagine interne, o in coda ai TG.

I commenti della grandi firme, imbarazzati, in tono minore.

Io non c'ero; ma a giudicare dai commenti e dalla laconicità dei resoconti, i grandi media americani sono assaliti dal dubbio: aver fatto una figura del Katz.

Traditi dalla frenesia di superarsi in zelo per Sion, di mostrare che, per amore di Israele, sono pronti ad esagerare e a diventare infantili.

A cominciare dal povero rettore della Columbia University, Lee Bollinger.

Ha avuto lui l'incauta idea di invitare Ahmadinejad a risponder alle domande degli studenti; si trattava di dimostrare la superiore libertà di parola americana (free speech).

Una pioggia di furenti deplorazioni, telefonate e minacce esplicite deve avergli fatto passare le notti più insonni della sua placida vita di professore.

I titoli dei giornali («Il Male è atterrato», New York Post), ma soprattutto la folla rumoreggiante davanti all'università («Altro che farlo parlare, arrestatelo!», «L'Iran finanzia Hamas», «Terrorista» «Hitler»): e specialmente il fatto - che le TV non hanno potuto nascondere - che quegli «studenti e comuni cittadini» ostili portavano quasi tutti la kippà e sventolavano bandiere con la stella di David.



(Continua...)

giovedì 27 settembre 2007

Autarchia, socialismo, nazionalismo. Intervista a Hugo Chavez.

MARACAIBO - "Spari la sua prima domanda". Hugo Chavez Frias, il presidente, il caudillo, il dittatore, l'ex colonnello dei parà, il nuovo Simon Bolivar del Venezuela o più direttamente il Comandante, come ama invocarlo lo stuolo di camicie rosse assiepate sotto questo enorme tendone bianco, abbassa gli occhi, si stringe nelle spalle, si contrae come si preparasse davvero a ricevere una fucilata. Il presidente del Venezuela non ama farsi intervistare. Ama semmai far pesare la propria assenza. Come quando annuncia che ha deciso di disertare, unico capo di Stato, l'assemblea generale delle Nazioni Unite: "Ho troppi impegni qui fra la mia gente, manderò il ministro degli esteri". Il ministro leggerà in suo nome a New York un durissimo discorso anti Bush, lui invece resta qui in questa pianura, arsa da una temperatura che sfiora i 50 gradi. Davanti a ministri, ambasciatori, osservatori, e cento tra operai, impiegati, dirigenti della "Pequiven", la più grande industria petrolchimica del paese.



Presidente, gran parte del mondo si chiede il senso della nuova riforma della Costituzione. Essa prevede, tra l'altro, la sua rielezione a tempo indeterminato, il controllo da parte del governo della Banca centrale, forti limiti alla libertà di stampa. Sono cambi che alterano la democrazia.

"Lo spiego da due anni, lo spiegherò ancora. La nostra Costituzione compie 8 anni. E' una buona Magna Carta. Sicuramente migliore di quella che ha regolato il paese per 38 anni. Ha fatto compiere enormi progressi alla rivoluzione bolivariana. Ma, come tutte le Costituzioni, ha bisogno di essere riadattata alle esigenze di una società in evoluzione".








Perché la necessità di tante modifiche, così vicine nel tempo?

"Prima, ai tempi delle grandi oligarchie, non si sapeva neanche cosa contenesse la Costituzione. Oggi, l'abbiamo spiegata a tutto il paese distribuendo 24 milioni di libretti. E' accessibile a tutti. Il popolo la conosce a memoria, ne parla per strada, la sera in casa, negli uffici, nelle fabbriche, nei piccoli villaggi della giungla. I governi precedenti hanno preferito dividersi il potere, mascherandosi dietro un'apparente alternanza frutto di un accordo fatto a tavolino".



Il Venezuela ha avuto momenti di grande sviluppo. E' un paese ricco, c'è il petrolio.

"Sì, certo, c'era il petrolio, un ottimo petrolio, e questo bastava a arricchire le tasche dei pochi, a scapito dei tanti. La massa restava chiusa nelle baracche, privata dell'istruzione, analfabeta, slegata da ogni decisione del potere. Era trattata con fastidio, in modo razzista, perché indigena, creola, negra. Erano nati poveri e tali dovevano rimanere. Ho proposto di cambiare la Costituzione, che verrà sottoposta a tre referendum, per rafforzare il potere popolare. Per far trionfare la rivoluzione".



L'opposizione grida alla dittatura. Vive con crescente allarme lo stretto legame con Cuba. Non c'è il rischio di un isolamento?

"I nostri amici e compagni di Cuba ci hanno aiutato inviando migliaia di medici. Sono arrivati qui insegnare a curare la gente. Hanno tamponato le falle di un sistema sanitario pubblico, mai realizzato dai vecchi regimi più sensibili alle esigenze delle cliniche private, veri templi della chirurgia estetica, che al diritto alla salute. Hanno dato un contributo vitale al popolo venezuelano. Oggi sono tornati a casa, anche se il rapporto con l'Avana rimane intenso e stretto su molti altri settori".



Fra due giorni, riceverà qui il presidente iraniano Ahmadinejad.

Quali tipi di rapporti avete con Teheran?

"Rapporti economici e scientifici. I dirigenti della repubblica islamica dell'Iran sono interessati a studiare il nostro sistema di produzione del polietilene. Ci forniscono la tecnologia. Ma sono sicuro che qualcuno speculerà anche su questa visita. Lo vede quel silos? Servirà ad aumentare l'estrazione del gas e alla sua trasformazione. Ebbene: diranno che si tratta della bomba nucleare, che stiamo complottando con l'Iran per minacciare il mondo".



Chi lo dirà, signor presidente?

"Lo dirà il Male, quello che regge l'Impero, il Vampiro che protegge gli oligarchi. Non serve fare nomi. Tutti sanno chi è il vero nemico della pace nel mondo".



Ma proprio la comunità internazionale resta perplessa davanti alla sua rivoluzione bolivariana. Sembra di essere tornati al passato.

"La rivoluzione socialista e bolivariana dà fastidio a molti. E' l'alternativa al neoliberalismo che ha dominato gli ultimi vent'anni. E' la dimostrazione che esiste un'alternativa, più umana, meno crudele. Noi, non vogliamo convincere nessuno. Siamo aperti a tutti. Abbiamo rapporti con Russia, Bielorussia, Cina. Ma anche con Bolivia, Brasile, Argentina. Abbiamo lavorato con Chirac, adesso inizieremo con Sarkozy".



E con l'Italia?

"Abbiamo fatto delle proposte alla vostra Eni, abbiamo avuto incontri con il governo Berlusconi".



Cosa è accaduto?

"C'è un paradosso che mi fa male. Riusciamo ad avere scambi e rapporti con governi di destra, che non ci sono certo amici, mentre quelli di sinistra ci evitano e ci guardano con sospetto".



Colpa delle menzogne diffuse dai vostri media?

"I giornali e le tv del paese mi attaccano ogni giorno. Io non li ho certo chiusi, continuano a pubblicare. Questa è democrazia, non dittatura".



Come giudica la revoca delle concessioni a Rctv, la più antica televisione del paese?

"Erano scadute. Oggi è ben visibile su altre frequenze. Un presidente deve essere sensibile ai messaggi che passano attraverso il video: assistere a programmi spinti, volgari, non fa parte della nostra cultura. Noi vogliamo la crescita del nostro popolo, non il suo declino".



Il presidente si alza, ci precede dentro un grande tendone bianco dove c'è una vera esposizione di oggetti comuni che mostrerà nella sua trasmissione "Alò presidente". Il suo programma, costruito come momento di dialogo con la popolazione. Afferra degli occhiali da lavoro. "Plastica", indica, "Questi oggetti, oggi, sono fatti dalla nostra industria. Possono essere utilizzati nelle campagne, nelle coltivazioni, per i fertilizzanti. Ma anche nelle costruzioni. E che dire della sanità? Siringhe, strumenti, provette, contenitori. Per anni le oligarchie che dominavano il paese li importavano, li compravano a prezzi esorbitanti. Ma questi stessi oggetti potevano essere prodotti in casa. Invece c'era chi preferiva succhiare il petrolio, venderlo sotto costo, e lasciare morire il popolo per una setticemia, ignaro perfino dell'esistenza dei medici".



E oggi?

"Oggi è il paese intero che decide e programmna".



Senza l'opposizione.

"L'opposizione ha fatto le sue scelte. E' un dialogo impossibile. Siamo diversi: noi siamo disposti a morire per il paese. In loro cova l'odio, la rabbia per i privilegi che hanno perduto. Non sopportano vedere un indio, un negro, il "mono", la scimmia, che guida il paese".



Come pensa di conciliare il suo modello con i mercati internazionali?

"E' un dilemma antico, costante. Pianificazione e mercati. L'America Latina è ricca di gas, petrolio e materie prime: abbiamo creato l'Alba, il nuovo mercato comune, per soddisfare le necessità del nostro Continente. Ci riusciremo nel giro di pochi anni.".



C'era bisogno di un golpe per prendere il potere?

"Il paese era al collasso. Ho evitato un bagno di sangue, mi sono arreso, ho fatto un anno di carcere, sono stato espulso dall'esercito. Ma ho dato una scossa e il paese ha risposto nelle elezioni del 1998. Non ha pagato invece chi ha fatto il golpe nel 2002. L'ex presidente della Confindustria assieme alla Centrale dei sindacati, che tutto era tranne un sindacato dei lavoratori. La nostra Repubblica bolivariana è uscita dalle urne. Una maggioranza schiacciante. E' l'oligarchia che non accetta questa realtà democratica".



Quanto pesa il ruolo dei militari nel futuro del Venezuela?

"Su questo sono stato chiarissimo. Niente partiti e niente militanza politica per chi indossa una divisa".



Paura di un golpe?

"Ce ne sono stati tanti, troppi. Oggi il popolo vuole solo vivere in pace e con dignità".



Da: www.noreporter.org



martedì 25 settembre 2007

Via dall’Afghanistan!

Lo abbiamo ripetuto fino allo stremo. E continueremo a farlo. Chi gioca sulla pelle dei militari italiani non è degno di rispetto. In Afghanistan è in corso una guerra di occupazione, sotto la falsa e ridicola bandiera della lotta al terrorismo, ed è purtroppo appoggiata da tutte le forze politiche italiane. Originariamente contrabbandata dall’ex ministro Martino come “missione umanitaria”, la presenza italiana in territorio afghano viene ora definita dall’attuale ministro Parisi “necessaria per il mantenimento della pace”. Sofismi ipocriti: via gli italiani dall’Afghanistan. Non per codardia ma perché è un’occupazione militare ingiusta.



Da: www.rinascita.info

Un messaggio da Luigi Ciavardini.





(Perugia, 2 Agosto 2007)




Da Luigi Ciavardini: “Saluto tutti e ringrazio tutti coloro che organizzano iniziative, nonostante sia passato un anno da quando sono a Poggioreale, fa piacere sapere che in tanti non hanno dimenticato; Vi invito, oltre che appunto a trattare gli argomenti legati alla strage di Bologna ed al relativo processo, ad approfondire tutte le tematiche legate al problema “giustizia” in generale ed al dramma carcerario in particolare; tutti devono impegnarsi su tali tematiche indipendetemente dalle bandiere.



Vi invito a ricordarvi del 5 ottobre (Nanni De Angelis).

per il 29 settembre, faccio gli auguri all’unico “grande presidente Silvio Berlusconi”.



(ndr) “Il 29 settembre sarà il compleanno di Luigi”

La Birmania di male in peggio.

La rivolta dei monaci buddisti può condurre al varo di un governo democratico che gestirà il Triangolo d'oro e avrà allora il via libera per massacrare i Karen.



All'indomani della più grande manifestazione contro il regime militare del Myanmar degli ultimi 20 anni, e nonostante le minacce di repressione, una nuova imponente marcia di protesta è partita oggi nell'ex capitale birmana, Yangoon. Centinaia di migliaia di persone tra monaci e civili manifestano intorno alla millenaria pagoda di Shwedagon contro la giunta militare, al potere da 45 anni, per chiedere una maggiore partecipazione della collettività alla vita politica e economica del paese. Molte le bandiere, alcune con l'immagine del pavone che fu utilizzata dagli studenti nella rivolta del 1988 a favore della democrazia, stroncata nel sangue dal militari. AVVERTIMENTO - Dai furgoni militari in circolazione nelle strade continuano gli avvertimenti alla popolazione a interrompere le proteste antigovernative: chi «violerà l'ordine - è la minaccia- verrà perseguito». Intorno alla pagoda scelta per la protesta sono parcheggiati numerosi blindati. La televisione di stato ha poi fatto nuovamente un appello ai monaci a mettere fine alla protesta e a tenersi a distanza dalla politica. PROVOCAZIONI - Intanto si diffonde negli ambienti dell'opposizione il timore che i militari ricorrano ancora una volta all'impiego massiccio di agenti provocatori per far scoppiare disordini e violenze. L'allarme è stato lanciato da un'organizzazione umanitaria, la Burma campaign UK, che ha detto di aver saputo da propri informatori che la giunta ha ordinato 3.000 tonache da monaco e ha ordinato a alcuni soldati di raparsi a zero: il sospetto è che i militari vogliano infiltrare soldati con funzioni di provocazione nei cortei che reclamano da giorni la fine della dittatura che dura ormai da 45 anni. Già nel 1988, l'ultima volta che nel Paese c'è stata una rivolta di massa contro il regime militare e per la democrazia, la giunta adoperò agenti provocatori per innescare violenze e giustificare così l'intervento repressivo dell'esercito..... Niente da ridire sulla rivolta, ma bisogna guardare anche in prospettiva. Nulla di positivo all'orizzonte. La rivolta dei monaci buddisti può condurre al varo di un governo democratico che gestirà il Triangolo d'oro e, per via della sua morfologia doc, avrà allora il via libera per massacrare i Karen
.



Preso da: www.noreporter.org

sabato 22 settembre 2007

Vivere l'esempio dei Karen.

Nel cosidetto sud-est asiatico, terra di conquista per abili affaristi occidentali, si sta combattendo dal 1948 (…sessant’anni…NdA…) in un territorio sottoposto al dispotico governo della giunta militare birmana, il Karen State, per l’autodeterminazione di un popolo: i Karen appunto. Come mi è stato ricordato più volte nella giungla da essi stessi, i Karen sono un popolo di abili guerrieri ma anche di grandi valori umani e spirituali oltre ad eccellenti contadini, molte volte i militari stessi coltivano la loro terra… ed è qui il punto centrale: questa terra è il simbolo della loro lotta per l’autodeterminazione, nel nome della tutela della loro identità e della loro tradizione.

I villaggi Karen vivono sotto continui attacchi e minacce da parte dell’esercito birmano, il quale se può massacra donne, bambini, anziani e contadini inermi; contro tutto questo ogni giorno l’esercito Karen (un esercito regolare e gerarchizzato, non bande di terroristi…NdA) svolge la sua funzione di difesa della popolazione, e i soldati combattono coraggiosamente (…e volontariamente… NdA) dedicando la vita e il suo eventuale sacrificio a ideali che da noi sembra siano scomparsi, quando non male interpretati.

Tra le cose che colpiscono sicuramente ci sono la naturalezza con cui affrontano la loro vita di tutti i giorni, la dignità con cui si rapportano a chi porta loro aiuto e l’orgoglio di essere quello che sono, un popolo in lotta per la libertà.

Per fortuna ci sono alcuni personaggi che si muovono senza voglia di protagonismo e senza ipocriti individualismi per dare una mano, ma anche loro lottano contro una situazione sempre controversa e in cui ultimamente si è imposto un protagonista non indifferente: gli Stati Uniti.

Il paese che non dà la cittadinanza nemmeno a pagarla oro (…o forse a pagarla si?) di colpo ha scoperto di avere un cuore… si, fatto di dollari però: ufficialmente le frontiere statunitensi sono aperte a tutti i Karen, nei campi profughi in territorio tailandese campeggiano poster con case all’americana, macchine all’americana… naturalmente tutto è possibile, ma pagando… cosi chi arriva negli USA, già indebitato per il biglietto aereo, si indebita anche per avere una casa, una macchina e cosi via nel vortice del consumismo… ma non finisce qui, perchè il vero fine di questa immigrazione è un’altro, perchè indebitati da quando scendono la scaletta dell’aereo i Karen vengono costretti a lavorare come schiavi nelle fabbriche che li aspettano a braccia aperte per sfruttarli come nuova forza lavoro, a basso costo ovviamente… quanto sono buoni…

Naturalmente a nessuno è venuto in mente che in questo modo oltretutto si sta cercando di sdradicare un popolo dalla sua terra, annacquandolo nel mondialismo globalizzato occidentale.

Non posso infine non scrivere che vedere quello che ho visto è stata un’esperienza particolare, e il mio pensiero non può certo fare a meno di notare quanto possiamo imparare da questo popolo che lotta unito per dare un futuro ai propri valori, alla propria terra, ai propri figli.




Davide Ciotola

Associazione Culturale Libertà e Azione

www.avamposto.org

mercoledì 19 settembre 2007

Letture per una cultura alternativa. (Prima parte)






Ray Bradbury, Fahrenheit 451



Léon Degrelle, Militia


CZ Codreanu, Il capo dei cuib



Maurizio Murelli e Omar Vecchio, Cavalcare le vette



George Orwell, 1984



Rutilio Sermonti, L'Italia nel XX secolo



Ernst Jünger, Il trattato del ribelle



Julius Evola, Cavalcare la tigre



Ernst Jünger, L’Operaio



Massimo Fini, Il Ribelle



Julius Evola, Contro il mondo moderno



Oswald Spengeler, Per un soldato



Franco G. Freda, La disintegrazione del sistema


Maurizio Blondet, Selvaggi con telefonino


lunedì 17 settembre 2007

CONCLUSA CON SUCCESSO LA MISSIONE TRA I KAREN.







La missione di "Popoli", svoltasi tra la fine di agosto e gli inizi di settembre, si è conclusa
con successo. I volontari della Comunità hanno visitato diversi distretti dello Stato Karen allo scopo di verificare la situazione delle nostre cliniche e di portare aiuto alla popolazione che vive nel circondario. I medici di "Popoli", Roberto Maggi e Rodolfo Turano, hanno potuto visitare numerosi pazienti: una parte delle visite si è svolta nella clinica "Carlo Terracciano". Sebbene il villaggio di Kler Law Seh, dove sorge la clinica, sia una sorta di città fantasma poiché gliabitanti sono fuggiti durante gli attacchi militari dei birmani dello scorso marzo, i nostri medici hanno faticato per riuscire a vedere tutti i pazienti che affollavano ogni giorno la struttura. La maggior parte di essi arrivava dai villaggi del circondario, o da insediamenti di nuova costruzione sorti in zone nascoste dopo la fine dell'offensiva birmana. I volontari, scortati dagli uomini dell'Esercito di Liberazione Karen guidati dal colonnello Nerdah Mya, si sono anche recati in alcuni villaggi che si trovano a ridosso delle posizioni birmane. Qui hanno svolto il loro lavoro tra decine e decine di bambini che attendevano in ordine il loro turno di visita. Per motivi di sicurezza, la permanenza in questi villaggi si limita a poche ore. Già in passato era capitato che durante le visite in alcuni di questi insediamenti di "prima linea", reparti dell'esercito birmano e delle milizie filogovernative del Democratic Karen Buddhist Army, avessero cercato di avvicinarsi per attaccare i villaggi e per catturare i volontari. Azioni di questo tipo hanno ispirato gli sceneggiatori del nuovo episodio della saga di "Rambo", ambientato proprio nelle giungle della Birmania. A dispetto però di quanto di incredibile immaginiamo riuscirà a fare con disarmante facilità il muscoloso Stallone in due ore di fiction, l'attività di sostegno ai patrioti Karen in queste aree è lavoro complesso e delicato. Il villaggio di Kler Law Seh, e il vicino campo militare del KNLA (Karen National Liberation Army), portano ancora oggi i segni evidenti dell'attacco sferrato dai birmani lo scorso marzo. Infiltratisi di notte tra le maglie delle difese Karen, 200 militari di Rangoon erano arrivati a circa 300 metri dalla clinica dedicata a Carlo Terracciano. La battaglia che era seguita si era conclusa con la vittoriosa resistenza dei Karen e con il ritiro delle truppe birmane. Ma era costata morti da entrambe le parti, e la fuga precipitosa di centinaia di civili costretti a riversarsi in Thailandia alla ricerca di un temporaneo e precario rifugio. Ogni spostamento della nostra equipe deve essere sempre preceduto da un accurato lavoro di ricognizione da parte dei resistenti Karen, che si assicurano che il tragitto verso i villaggi in cui siamo diretti non presenti insidie. Di fatto è impossibile garantire la totale sicurezza delle visite, in quanto sono molto frequenti gli episodi di imboscate da parte dei militari birmani e delle milizie filogovernative lungo i sentieri della regione. Inoltre, il massiccio uso di mine antiuomo (la Birmania, o Myanmar, è uno dei più minati paesi al mondo) rende insicuri i percorsi nella giungla o lungo i campi coltivati. La situazione dei distretti visitati è al momento abbastanza buona: la stagione delle piogge porta di solito con sé una attenuazione dello scontro bellico, dovuta alla difficoltà di far muovere le truppe sulle piste fangose.





Nonostante numerose "scaramucce" quotidiane tra
KNLA e esercito birmano, gli abitanti dell􀂶area coperta dalle tre cliniche di "Popoli" vivono uno stato di relativa calma (si parla sempre di gente che vive in guerra fin dalla nascita, e che quindi considera "pace" il fatto di non dover fuggire di corsa dalle proprie case). Più a nord invece, gli scontri sono molto duri, e si concentrano nelle zone interessate dai progetti di costruzione di dighe sul fiume Salween, progetti multimilionari che interessano molto alla giunta birmana e a vari affaristi che saranno coinvolti nello sfruttamento dell'energia idroelettrica prodotta. Da un punto di vista sanitario, abbiamo rilevato con estrema soddisfazione un notevole calo dei casi di malaria, e vogliamo pensare, concedeteci questa presunzione, che a questo dato positivo abbia contribuito in parte la distribuzione di un migliaio di zanzariere famigliari, impregnate di repellente, avvenuta nel corso della nostra precedente missione, nel marzo di quest'anno. Malnutrizione, infezioni alle vie respiratorie e infezioni gastrointestinali restano problemi rilevanti, contrastabili però grazie ai farmaci che riusciamo ad acquistare grazie ai fondi raccolti in diverse iniziative in Italia. A conclusione della missione, a ridosso dell'anniversario del RITORNO AGLI DEI di Carlo, abbiamo partecipato alla cerimonia di inaugurazione ufficiale del nuovo, grande edificio sorto nel complesso "Terracciano" per ospitare la nuova clinica. Ricordiamo che i fondi necessari alla costruzione del solido ospedale sono stati donati dall'ANACT, Associazione Nazionale Allevatori del Cavallo Trottatore, che ringraziamo a nome degli abitanti dei villaggi che usufruiranno dei servizi della struttura. Nel corso della cerimonia, il Colonnello Nerdah Mya ha ringraziato la Comunità Solidarista per il costante sostegno fornito al popolo Karen e alla causa dell'autodeterminazione e ha annunciato l'inizio di un nuovo progetto. "TERRA - IDENTITA'" è il nome dato a questo progetto, indirizzato a garantire la autosufficienza alimentare alla popolazione che vive nelle aree coperte dall'attività delle nostre tre cliniche. Acquisteremo sementi e attrezzi per lavorare e coltivare ampie fette di territorio, da cui verranno ricavati prodotti che stanno alla base della alimentazione dei Karen, come riso, zucche, cetrioli e altri ortaggi. "I miei soldati cercheranno di proteggere queste coltivazioni" - ha detto Nerdah alla folla riunita nel nuovo ospedale - "perché una lotta di liberazione non può che essere condotta dal proprio territorio, senza dipendere esclusivamente da aiuti esterni o dall'elemosina dei campi profughi". Il valore rivoluzionario di questa iniziativa sta proprio nel tentativo di riportare in patria le migliaia di profughi ospitati nei campi tailandesi, ponendosi quindi in contrasto con la tendenza mondialista di favorire l'emigrazione. La nuova minaccia contro cui Nerdah deve combattere è rappresentata proprio dall'apertura delle frontiere statunitensi nei confronti dei profughi registrati presso i campi tailandesi. Funzionari del Dipartimento di Stato offrono ai profughi Karen la possibilità di emigrare negli USA: viene pagato loro un biglietto aereo e garantita assistenza per i primi mesi di permanenza negli States. Ma poi􀂳 "I Karen non si rendono conto di cosa significhi vivere negli Stati Uniti" dice Nerdah, che proprio in USA ha studiato prima di rientrare in patria per dedicarsi alla causa del suo popolo. Infatti, pochi mesi dopo il loro arrivo, i profughi Karen si vedono richiedere il rimborso del prezzo del biglietto aereo, e si trovano a dover  provvedere da soli alla propria sopravvivenza nel paese ospitante. "Non c'è assistenza sanitaria gratuita negli Stati Uniti" prosegue Nerdah, "e la vita può essere molto, molto difficile". Ai Karen non resta che diventare "schiavi" della macchina produttiva statunitense, lontani si dalla guerra, ma anche dalla propria famiglia, dalla propria terra, dagli abituali canali di solidarietà comunitaria. Una vera e propria emorragia per un paese come la Nazione Karen, che invece ha bisogno di tutti i suoi figli per ricostruirsi un futuro. "Terra - Identità" vuole dare una risposta a questo problema: cibo per i patrioti Karen, cibo per chi ha deciso che vale la pena di lottare per la propria terra.



www.comunitapopoli.org


domenica 16 settembre 2007

Gold bless Amerika. Sessant'anni di colonialismo USA.





Primo DVD della serie Good Bye Amerika.



Documentario di denuncia politica realizzato da Ugo Gaudenzi e Siro Asinelli.



Distribuito da Ranascita, quotidiano di liberazione nazionale.



Per ordinarlo: redazione@rinascita.net o controventopg@libero.it

giovedì 13 settembre 2007

Italia al freddo e al buio?

Il fabbisogno di energia nel mondo sta crescendo continuamente ed in modo sempre più frenetico. L’industria ha sempre più bisogno di energia, ma anche la vita quotidiana è sempre più legata alla possibilità di avere la disponibilità continua di energia elettrica e di gas. Le nazioni che dispongono sul loro territorio di vasti giacimenti petroliferi o di gas naturale non hanno problemi, chi non è autosufficiente, se non ha affrontato il problema per tempo costruendo centrali nucleari civili, come la Francia, ora è sempre più schiavo di un rubinetto che porta l’energia e quindi la vita,: è il caso dell’Italia.

L’allarme black-out è serio ed è stato lanciato ieri dall’amministratore delegato dell’Enel, Fulvio Conti, durante un seminario sull’energia dei deputati dell’Ulivo.

“Siamo ancora a rischio di rimanere al freddo e al buio. Siamo ancora più fragili di due anni fa” – ha spiegato Conti. Due anni fa il sistema energetico italiano ha corso rischi di approvvigionamento a causa della crisi russo-ucraina. Lo scorso anno, ha spiegato ancora Conti “ci siamo salvati ma non so se potremo salvarci quest’anno. Siamo ancora più fragili di due anni fa perchè‚ aumentano i consumi e perchè si sono ridotti gli stoccaggi per una errata interpretazione del ministero dell’Ambiente”. Il Ministero ha infatti bloccato lo stoccaggio di circa 500 milioni di metri cubi di gas.

Anche se non rimarremo al buio ed al freddo siamo sicuramente destinati a pagare un conto energetico più salato perché i prezzi della materia prima sono destinati ad aumentare. “Il gas costerà sempre di più, sarà sempre più legato al petrolio, e non è possibile immaginare che anche con i rigassificatori si stacchi dal prezzo del petrolio. Non sta succedendo in Francia dove ne stanno facendo quattro, né in Spagna dove ne stanno facendo sette” ha spiegato Conti. I rigassificatori, ha detto ancora mettendo in guardia da pericolose derive falso ambientaliste, sono comunque “importanti perché‚ riducono i rischi fisici di approvvigionamento da soli tre tubi”.

L’Italia ha una sola strada da seguire, quella dell’energia nucleare, pulita e praticamente inesauribile. Il tempo perso per colpa di ecologisti da operetta (qualcuno probabilmente prezzolato proprio da chi aveva interesse a lasciare l’Italia senza sovranità energetica, non a caso in prima fila contro il nucleare c’erano i radicali da sempre emanazione diretta yankee) non potrà essere recuperato, ma bisogna muoversi subito e senza indugi per svincolare l’Italia (sia l’economia legata all’industria sia la qualità della vita dei cittadini) da quel rubinetto sempre più insicuro.



Da: Rinascita

lunedì 10 settembre 2007

Azione Tradizionale.





Disponibile in versione .pdf



Azione Tradizionale




Anno VI numero 7 Luglio/Agosto 2007



Periodico di Informazione, supplemento alla rivista Raido.


Firma!

Un'articlo di qualche mese fa, sempre attuale, tratto da Rinascita.

La morte delle idee.



Quello che sta succedendo nei partiti e nella società italiana sta allontanando un gran numero di persone dal mondo della politica che i più ritengono oramai che un ricettacolo di disoccupati e frustrati.

Lontani i tempi in cui i giovani arrivavano a rischiare e a perdere la vita per difendere le proprie idee, oggi tutto è in vendita.

Nonostante ciò, la violenza politica, l’astio, l’odio tra le cosiddette Destra e Sinistra è ad un livello senza precedenti. Una cosa incredibile in quanto mai come ora sono impercettibili le differenze tra i due schieramenti politici: ambedue filoatlantici e filosionisti, ambedue turboliberisti, tolleranti in materia di illegalità, sempre più distratti socialmente (è di questi giorni la dichiarazione di Illy, presidente di centrosinistra del Friuli secondo il quale la reversibilità pensionistica andrebbe tolta), ambedue laici, Prodi e Berlusconi sono ormai una coppia di fatto, interessata solo alla legge elettorale e quindi agli interessi dei loro rispettivi schieramenti.

La polemica e lo scontro tra pseudodestra e pseudosinistra vertono ormai quasi esclusivamente su questioni affettive, simboliche, sessuali, come le battute sui trans di Sircana, lo scandalo di “Vallettopoli” che ha coinvolto il portavoce di Fini, le svastiche allo stadio o le vignette idiote sul Papa. L’attività principale delle due ibride ammucchiate è quella di ingigantire queste vuote espressioni simboliche suscitando emozioni, litigi furibondi, risse da condominio che vengono alimentate ad arte dai due gruppi per farsi concorrenza, per crearsi un alibi di diversità, per suscitare interesse in una platea sonnecchiante ed estranea a questo teatrino. Immaginate quanto gliene può fregare di questi “problemi” al dipendente che non arriva a fine mese, ai commercianti strangolati dagli ipermercati, ai piccoli imprenditori costretti ad emigrare all’estero.

Destra e Sinistra, quando esistevano come contenuti e non, come ora, come identità vuote, esprimevano progetti diversi per incidere positivamente sulla società. Oggi, al contrario, come hanno scritto Marino Badiale e Massimo Bontempelli (“La sinistra rivelata”, p.197), Destra e Sinistra non sono che “cordate contrapposte di specialisti dell’amministrazione del consenso, il cui ruolo è quello di gestire, nel modo più soffice possibile, le conseguenze generate dai meccanismi, non soggetti a discussione, dell’economia odierna. La politica in senso proprio, intesa come contrapposizione di opzioni diverse sulle scelte fondamentali della società, non esiste più”.

E guai a chi non sta al gioco ricordando i trascorsi fascisti di Gianfranco Fini o il passato stalinista di un Presidente della Repubblica che plaudeva all’invasione e ai massacri sovietici in Ungheria.

Finiti i tempi dello “Yankee go home”, la sinistra che voleva mandare a casa gli americani ora che è al governo arriva addirittura, in pieno accordo con la destra, ad ampliare le basi USA in Italia. E chi rimane coerente viene preso a sberle, come il compagno on. Rossi; o deve far le valigie, come il sen. Turigliatto e come tanti altri di diversa fede politica.

Amen.



Antonio Serena

giovedì 6 settembre 2007

La bolla immobiliare: Camelot è crollata.

Ecco che cosa sono la Fed e la Bce: chiacchiere e distintivo. Innanzi al più grande bubbone finanziario degli ultimi anni che sta ormai per esplodere, se ne escono con affermazioni del tipo, state tranquilli, non vi preoccupate tanto l'economia è sana, l'Europa non rischia nulla!

Più grande è la bugia, più la gente la crederà. Le recenti iniezioni di liquidità per sostenere le attività bancarie, ormai in pieno default finanziario causate da uno stato di insolvenza generalizzato (solo nella mia provincia vi è una nota banca di modeste dimensioni che ha qualcosa come 1.500 contratti di mutuo di ultima generazione in sofferenza) ne sono la prova. La crisi che ha colpito i mercati statunitensi, avrà conseguenze tutt'altro che irrisorie sui mercati europei, che hanno voluto scimmiottare i fratelli d'oltre mare.

Lungi dal gongolare per le disgrazie altrui, ma l'analisi sviluppata ed elaborata in BEST BEFORE e contemplata anche durante il tour di BLEKGEK ha trovato in questi giorni una loro evangelica materializzazione: alla faccia di tutti quei cosidetti economisti laureati in prestigiose università fabbriche di cloni replicanti che davano il ricorso al debito a bassi tassi di interesse come la linfa della globalizzazione.

In ogni caso, alla fine Camelot è crollata: il castello di debiti costruito su fondamenta di altri debiti cartacei (coperti a loro volto da un fiume di strumenti derivati: l'altra bolla che dovrà scoppiare) ha dimostrato tutta la sua fragilità. Ecco che cosa ha sostenuto l'economia, il PIL, gli indici di borsa ed il rally immobiliare: il ricorso al debito sfrenato. Tutto a tutti, anche senza garanzie o per dirla all'americana, tutto a tutti grazie ai NINA (acronimo di none income, none assets) ovvero prestiti rilasciati anche a chi non ha reddito certo e non dispone di garanzie reali (fate attenzione comunque perchè anche in Italia li abbiamo, solo che si chiamano con un altro nome, di solito il nome delle finanziarie che li erogano !).

Particolarmente in Europa in queste ultime ore stanno tentando di rincuorare gli animi e le speranze di investitori e risparmiatori, affermando che la situazione in Eurolandia non è così grave come in USA: è vero non è grave, è gravissima! Nonostante vi dicano il contrario!

Le differenze sostanziali le possiamo anche individuare sulle diverse dinamiche di escussione del sistema giudiziario anglosassone rispetto a quello europeo, qualche mese in USA contro qualche anno in Europa, in Italia addirittura anche cinque! Questo significa che una banca italiana che ha prestato ad una coppia di giovani precarizzati il 100% per l'acquisto di un miserabile appartamento da 40 mq può aspettare anche 5 anni prima di riavere la disponibilità finanziaria che ha prestato.

Non da meno si aggiunga che in Europa il ricorso all'acquisto di immobili con finanziamento integrale è stato adeguatamente coperto e suggellato da perizie immobiliari stragonfiate (che consentissero di rendere congruo il possibile valore di ipotetico realizzo in caso di escussione).

Purtroppo i debiti si pagano e si estinguono solo con il denaro (denaro che ora sembra non esserci più), ed è per questo che ci aspetta uno scenario veramente senza precedenti: una bolla economica che avrà dinamiche tutt'altro che prevedibili. Rammentate a tal punto che le azioni le vendete in tre minuti con una telefonata alla banca o con un click di mouse, mentre una abitazione o un appartamento (ammesso che trovate in questo momento il compratore) potrebbe richiedere anche alcuni mesi.

Per tale considerazione questa volta ad essere profondamente esposte oltre ai mutuatari ed investitori ci sono anche le stesse banche, i cui patrimoni in questi ultimi quattro anni si sono sempre più spesso cristallizzati: basta molto poco adesso per compromettere la loro solidità. E se il sistema bancario vacilla, quello industriale (stretto ad esso da un cordone ombelicale) e tutt'altro che rincuorante.

Non penso che ci siano molte soluzioni: semplicemente stiamo andando incontro all'implosione del sistema turbocapitalistico in cui il solo ricorso al debito ha consentito il sostentamento dei consumi. Per questo motivo il sistema non è sano, quanto stramaledettamente marcio ed allo stadio terminale: un conto è spendere perchè si è risparmiato negli anni precedenti, un altra cosa è continuare a consumare ed acquistare beni di consumo perchè qualcuno presta il denaro facilmente.

La storia si ripete: voglio ricordarvi che Giovedì 24 Ottobre 1929, cinque giorni prima del famoso Martedì Nero, in seguito alle prime avvisaglie di panic selling sui listini, intervennero tre banche nazionali per sostenere le quotazioni e limitare l’emorragia di vendite: la National Bank, la Chase Manhattan e la Banca Morgan. Il giorno successivo, Venerdì 25 ottobre, molti banchieri di prestigio si affrettarono ad effettuare dichiarazioni ancora rassicuranti circa lo stato di buona salute dell'economia, persino il famoso Charles Schawb (fondatore della omonima casa di brokeraggio) e lo stesso presidente Hoover affermavano che la situazione era sostanzialmente sana ed i fondamentali economici dell’industria americana proiettavano una vigorosa e stabile prosperità per il futuro. Sappiamo tutti comè andata a finire tre giorni dopo: un crollo drammatico delle quotazioni, la giornata di negoziazione più catastrofica, sino ad allora, della storia di Wall Street: il famoso Martedì Nero del 29 Ottobre 1929.

Fateci caso che la storia si sta ripetendo! Istituzioni e banche centrali che garantiscono che il peggio è passato e soprattutto che l'Europa più di tanto non subirà le conseguenze della crisi di liquidità del sistema bancario statunitense. Peccato però che i fatti contraddicano le loro incoraggianti affermazioni: sappiate a tal fine che la BCE ha effettuato interventi di liquidità molto più corposi rispetto alla FED, in buona sostanza ha immesso molto più denaro di quanto ne ha reso disponibile la stessa FED.

E come se questo non bastasse assistiamo al teatrino dei mass media che parlano di iniezioni di liquidità da parte delle banche centrali come se fossero un toccasana per il malato moribondo: tutt'altro. Iniettare liquidità non è di certo una manovra salutare a lungo termine, può consentire una momentanea stabilizzazione della crisi in corso, ma successivamente comporta una inevitabile aumento dell'inflazione con contestuale instabilità dei mercati: in buona sostanza si dovranno alzare ancora i tassi di interesse per raffreddare l'intero sistema, magari molto di più di quanto si era precedentemente annunciato.

L'ipotesi di un tasso di sconto al 6% in Eurolandia comincia a farsi sempre più plausibile.

Ma lasciatemi raccontare in maniera un po’ più tecnica che cosa sarebbe successo: se a fine giornata un istituto di credito ha avuto un saldo depositi/prelievi negativo, potrà allora acquistare il denaro di cui ha bisogno nel circuito interbancario, dove troverà i fondi messi a disposizione da altre banche che hanno invece avuto un saldo depositi/prelievi positivo. Questo tasso nel mese scorso era volato al 4,7 % contro un tasso di sconto ufficiale al 4%. La BCE è pertanto intervenuta dal lato dell'offerta, per riequilibrare il sistema, garantendo la liquidità necessaria a soddisfare la domanda ed infatti il tasso di mercato si è immediatamente riallineato al 4%. In buona sostanza quindi la BCE ha creato denaro dal nulla e lo ha reso disponibile alle condizioni di mercato ufficiale ad alcune banche in difficoltà, per evitare che altre potessero speculare su una presunta crisi di liquidità.

Possiamo convenire quindi che iniettare liquidità nel sistema significa dare denaro ad una ristretta elite di banche in momentanea difficoltà finanziaria a discapito del resto del mondo in modo tale che non si abbia una percezione immediata di questa operazione. Il tutto è alquanto scandaloso in quanto anziché creare denaro (dal nulla) per aiutare chi ha contratto un debito per l'acquisto della prima casa (di fatto il debitore con un bisogno sociale primario), si preferisce sostenere e supportare il sistema bancario (quindi il creditore con una finalità puramente speculativa) il quale si trova in difficoltà perché il debitore a fatica riesce a restituire il denaro preso a prestito. A mio modo di vedere, l’unico rischio reale che corre veramente il sistema bancario è quello di una rivoluzione popolare.



Articolo di Eugenio Benetazzo.

Leggi Rinascita!





Riapre la redazione di Rinascita e con essa anche il sito viene rinnovato. Il quotidiano degli uomini liberi lo trovi in tutte le edicole di Perugia.

martedì 4 settembre 2007

L'antibarbaro, vocabolario dell'italianità.







L'antibarbaro, vocabolario dell'italianità.



«La decadenza della lingua è uno dei sintomi dell'affermazione e dell'egemonia del 'politicamente corretto'»



Appare evidente, quindi, che dietro la smisurata diffusione nel mondo dell'anglo-americanismo, si nasconda il progetto politico di uniformare culturalmente il pianeta. Una colonizzazione linguistica imposta dagli americani per 3 motivi:



Il controllo sociale del mondo.



Il condizionamento culturale dei popoli.



Il rapporto di subalternità dell'Europa agli Stati Uniti.



Per cui, la difesa delle lingue europee contro l'invasione linguistica anglo-americana diventa la linea di combattimento che riguarda la nostra stessa essenza di Europei.



Questo attacco subculturale contro le lingue nazionali europee che ci viene portato dall'America (occidente), minaccia, in pratica pure tutte le lingue nazionali del mondo.



L'ANTIBARBARO vuole essere uno strumento culturale che contrasti questa pericolosa degenerazione.



Un'opera attiva di contro-informazione che risvegli le coscienze,la creatività e l'orgolgio del nostro popolo.



Un accorato appello: la libertà, la sovranità e l'identità nazionale si realizzano prima di tutto riscoprendo la nostra meravigliosa lingua italiana.



Una barricata non solo lessicale contro l'affermazione del mondialismo.



Ettore Bertolini, Comunità Militante Perugia






Per richiederlo, mandate una mail a: controventopg@libero.it


lunedì 3 settembre 2007

100% animalisti!

La ragione e i mostri.

Quel 3 settembre 1939, giorno d'inizio della Seconda Guerra Mondiale, nella regione tedesca occupata dai polacchi.



Il 3 settembre 1939, a due giorni dall'apertura delle ostilità, la popolazione tedesca di Polonia è oggetto di massacri in massa commessi in condizioni atroci per ordine delle autorità di Varsavia. Varie migliaia di uomini, donne e bambini sono sgozzati o abbattuti nel sonno. Le mutilazioni sovrabbondano. Certuni vengono smembrati vivi; hanno cuore, occhi, fegato, strappati.

L'eccidio di una sola notte è stimato a 58000 vittime, delle quali solo 12857 sono nelle condizioni di poter essere identificate.


Hitler ha ordinato due giorni prima alle truppe tedesche di passare il confine; da mesi i polacchi, protetti dall'esercito che spesso partecipa direttamente agli eccidi, stanno linciando, squartando, impalando, tedeschi; più Berlino protesta più le atrocità s'intensificano.


Proprio quel 3 settembre, giorno dell'orgia di sangue, Inghilterra e Francia danno inizio alla Seconda Guerra Mondiale dichiarandola alla Germania. “Per salvaguardare l'integrità territoriale della Polonia” si giustificheranno i guerrafondai. Dimenticano che Danzica è città tedesca, come lo sono le zone del suo corridoio e che i polacchi, dopo lo sciagurato trattato di Versailles, sono tenuti, da statuto internazionale, ad assicurare la convivenza.


Dimenticheranno anche, due settimane più tardi, di dichiarare guerra all'Unione Sovietica che il 17 invaderà la Polonia orientale annettendola per mai restituirla.


Poi la propaganda rovescerà la verità e verremo a sapere che gli Alleati sono stati tirati per i capelli in guerra dalla Germania che aveva mire espansionistiche e che la coscienza umanistica doveva fermare il sadismo tedesco perché “il sonno della ragione genera mostri”. Forse si riferivano all'aspetto di quel che restava dei tedeschi martoriati?


 


Da www.noreporter.org


Ascolta RBN!

Maledetto progresso.

Noi non siamo solo stufi di pagare le tasse. Siamo stufi di lavorare. Di essere, nella stragrande maggioranza, degli “schiavi salariati”, per dirla con Nietzsche, costretti a produrre per consumare. Stufi di essere dei tubi digerenti, dei lavandini, dei water attraverso i quali deve passare il più velocemente possibile ciò che altrettanto velocemente produciamo. Adesso siamo arrivati addirittura all’estremo paradosso per cui non produciamo più nemmeno per consumare, ma dobbiamo consumare per produrre («Bisogna stimolare i consumi per aumentare la produzione», vero?).



Dobbiamo cacare in continuazione, come scimmie, ingoiare la nostra merda e dire anche che ne siamo felici. Siamo la “variabile dipendente” del meccanismo economico, il “terminale uomo”. Anzi non siamo più nemmeno uomini, siamo stati degradati, appunto, a “consumatori”. Non c’è cosa più beffarda, concretamente e linguisticamente, del cosiddetto “tempo libero”. È anch’esso un tempo obbligato, da consumare per nutrire l’onnipotente meccanismo che ci sovrasta. Se un gruppo consistente di italiani, poniamo, decidesse di botto di non far più le vacanze crollerebbe il sistema e arriverebbero gli sbirri ad arrestare i renitenti per boicottaggio.



Non è che a noi umani non piaccia lavorare in assoluto. Qualche volta ci piace anche. Certamente l’artigiano e il contadino dell’ancien régime traevano soddisfazione dal proprio mestiere (che, per altro, è un concetto diverso da quello di lavoro), perché era creativo, personale (oggi si direbbe “personalizzato”, ed è già tutto un programma) e dalla loro abilità dipendeva la loro sopravvivenza, soddisfazioni che dubito riguardino l’operaio industriale, l’operatore del terziario, i ragazzi del “call center” e infinite altre categorie di lavoratori. Noi siamo stufi di lavorare come muli, come bestie da soma, per un modello insensato e di essere tosati come pecore della cui lana non si sa poi che fare.



Siamo stufi di lavorare per permettere a Bill Gates (o chi per lui) di accumulare enormi ricchezze delle quali, arrivato a cinquant’anni, comprende che potrà utilizzarne solo una minima parte e che mette in una qualche Fondazione pur di liberarsene. O perché Silvio Berlusconi possa comprarsi sempre nuove ville che nemmeno se vivesse cent’anni (cosa a cui costui aspira, povero vecchio, illuso “puer aeternus”) potrebbe mai abitare. O perché individui totalmente decerebrati facciano finta di divertirsi al “Billionaire”. I ricchi depressi fra alcol e droga. Poveri ricchi. Fan pena. È fra di loro che si riscontrano le più alte percentuali di nevrosi, di depressione, di consumo di psicofarmaci, di alcol, di droga. Per trarre dal loro membro sempre più floscio una goccia di godimento, per provare un’emozione, devono farsi inchiappettare da un travesta e farsi ficcare il Rolex nel culo (che è un atto altamente simbolico: è come dire che i ricchi gadget che bramiamo e di cui ossessivamente ci circondiamo, per avere i quali lavoriamo, produciamo e ci consumiamo, non valgono nulla e devono far la fine che si meritano). Questo modello di sviluppo è riuscito nell’impresa, veramente miracolosa, di far star male anche chi sta bene.

E poveri politici, mosche cocchiere che si illudono di governare una macchina che non risponde più a nessun comando, tantomeno ai loro, e che da tempo va per conto suo, autopotenziandosi e aumentando costantemente, a causa della propria e ineludibile dinamica interna, la sua velocità. Finché andrà trionfalmente a sbattere da qualche parte. Costoro o sono dei truffatori - perché sono consapevoli di essere impotenti - o sono dei coglioni. Ma, forse, sono truffatori e coglioni insieme.



Liberté, egalité, fraternité era il motto della Rivoluzione francese nata da quell’evento epocale, decisivo, che è stata la rivoluzione industriale, da cui inizia la Modernità, e che ha partorito le ideologie e i modelli conseguenti: l’industrial-capitalismo e l’industrial-marxismo che non è che una variante, inefficiente, del primo. È stato un fallimento su tutta la linea. Completo. Clamoroso. A parte il fatto che appena inalberata quella bandiera egualitaria e libertaria le democrazie occidentali si sono messe a schiavizzare gli altri popoli (il colonialismo sistematico è dell’Ottocento), da allora le disuguaglianze nei paesi industrializzati non han fatto che aumentare, così come è aumentata enormemente la disuguaglianza fra Primo e Terzo mondo, non solo in senso relativo, cioè rispetto a noi, ma assoluto: quei popoli sono più poveri, e più miserabili, di quanto lo siano mai stati in passato. Fraternité, vale a dire solidarietà, può esistere solo fra vicini, perché, come spiega Esiodo ne “Le opere e i giorni”, nasce dalla necessità di una mutua assistenza. Noi non conosciamo nemmeno chi abita nel nostro stesso palazzo e se, incontrandolo, lo saluti, risponde, sorpreso, con un grugnito.



Del resto, anche se non se n’è accorto, è già stato trasformato in un maiale da quella Circe moderna che è il meccanismo produzione-consumo- produzione, come per i porci di lui si sfrutta tutto, anche il codino. La solidarietà non è una cosa astratta, che può essere imposta per diktat, religioso o politico. Non è solidarietà quella delle “due Simone”, delle Cantoni e altri simili protagonisti del volontariato esotico, è solo la pruriginosa ricerca di ritagliarsi qualche emozione fuori ordinanza sulle disgrazie, vere o presunte, altrui - sgozzatele pure - che, oltretutto, sono state quasi sempre causate proprio dagli Stati cui appartengono queste “anime belle”, queste cugine delle cugine di Garlasco.

Né è solidarietà la bontà sanguinaria di Madre Teresa di Calcutta che si pasceva, da vera necrofora, del dolore («La sofferenza degli altri ci appaga, questa è la dura sentenza» scrive Nietzsche) e che per decenni ha rotto i santissimi con l’amor di Dio e non ci credeva e lo bestemmiava.



Liberté. Le libertà sono state abolite. Da quelle di dettaglio (non si può più fumare, non si può più bere, non si può nemmeno pisciare di notte sui copertoni della propria macchina - cosa che dà, ammettiamolo, una certa soddisfazione - a 50 metri da una puttana senza che un vigile solerte fotografi il tutto e lo spedisca alla tua “compagna” - ma chi te lo dice, stronzo, che quella è la mia compagna? - non si può dare una pedata a un cane senza essere inseguiti da orde di animalisti, eccetera) a quella decisiva: disporre come ci pare del tempo che, come diceva Benjamin Franklin, è «il tessuto della vita» e di cui siamo stati espropriati. L’unica libertà che resta, sempre più illimitata, globale e oppressiva, è quella economica, cioè proprio quell’infernale meccanismo («Produci, consuma,crepa» per dirla con i Cccp) che ci sta strangolando tutti, poveri e ricchi. Questo è il Progresso, bellezza.



Di Massimo Fini, www.massimofini.it

domenica 2 settembre 2007

Se chiudo gli occhi...





"Se chiudo gli occhi vedo talvolta un paesaggio oscuro con pietre, rocce e montagne all’orlo dell’infinito. Nello sfondo, sulla sponda di un mare nero, riconosco me stesso, una figurina minuscola che pare disegnata col gesso. Questo è il mio posto d’avanguardia, sull’estremo limite del nulla: sull’orlo di quell’abisso combatto la mia battaglia."


Ernst Jünger