lunedì 30 giugno 2008

ATTACCO BIRMANO A BOE WAY HTA.


BOE WAY HTA RESISTE.

15 "BADOGLIANI" ORA CIRCONDATI DAI DIFENSORI.



Alle prime luci del mattino un gruppo di miliziani del DKBA (Democratic Karen Buddhist Army), la formazione che tradendo la sua stessa gente collabora con il regime di occupazione birmano, ha attaccato il villaggio di Boe Way Hta, sede di una delle cliniche della Comunità Solidarista Popoli. L'attacco è stato compiuto penetrando alle spalle del dispositivo difensivo, poiché i miliziani hanno sconfinato in Thailandia per poter sorprendere gli uomini dell'Esercito di Liberazione Karen. Numerosi colpi di mortaio hanno dato inizio alla battaglia, e uno di questi ha provocato la morte di un infermiere e il ferimento di un secondo. L'attacco doveva essere coordinato con un assalto di truppe birmane localizzato in un altro settore delle linee Karen, ma i difensori hanno impedito che i birmani potessero ricongiungersi con i loro alleati, facendo così saltare il piano. Alle 19 di oggi (ora tailandese) i combattimenti si sono arrestati, ma una quindicina di assalitori è rimasta intrappolata all'interno dell'area controllata dalla resistenza Karen. I birmani però non si sono ancora ritirati dall'area, e c'è incertezza sulle loro prossime mosse. Si attendono sviluppi nelle prime ore del nuovo giorno.



Da: www.comunitapopoli.org


sabato 28 giugno 2008

L'Italia è piena di bombe atomiche, a stelle e strisce.

Potrebbe avere nuovi e pericolosi risvolti la sudditanza italiana all’invasore a stelle e strisce. Dato ormai per assodato, ed ammesso da chi di dovere, che nelle basi militari statunitensi, e cioè di una nazione straniera, di Aviano e Ghedi Torre sono custodite armi nucleari made in Usa, nuovi pericolosi retroscena continuano ad emergere.

Secondo un rapporto dell’Usaf, l’aeronautica militare statunitense che ha la responsabilità di tali ordigni, e reso pubblico da Hans Kristensen, ricercatore della Federazione degli scienziati atomici degli Usa - la Fas - tali ordigni sarebbero custoditi in siti militari che non rispetterebbero i necessari standard di sicurezza.

La notizia, che gli organi di informazione embedded si sono ben guardati dal diffondere, ha subito rilanciato le proteste della società civile italiana.

Lisa Clark, coordinatrice della campagna contro le atomiche in Italia, ha prima ricordato come la presenza di questi ordigni sia in violazione del Trattato di non proliferazione, evidenziando subito dopo come il segreto di Pulcinella delle testate nucleari nel BelPaese venga continuamente svelato.

Nel Vecchio Continente sono molte le basi che ospitano queste armi, alcune Usa ed altre Nato; tra quelle dell’Alleanza atlantica rientra proprio Ghedi e stando a quanto riportato nel rapporto della Fas i comandi statunitensi avrebbero intenzione di ritirare lo squadrone di munizionamento Usa, ‘Munss’ in sigla, di stanza nel presidio bresciano; Kristensen azzarda poi l’ipotesi che le quaranta bombe presenti nell’istallazione lombarda possano essere trasferite ad Aviano, base USAF, forse maggiormente in regola con le norme di sicurezza.

La notizia che riguarda un po’ tutta l’Europa ha suscitato forti reazioni soprattutto in Germania dove hanno preso posizione praticamente tutti i principali partiti politici.

Guido Westerwelle, portavoce dei Liberali, afferma che “le armi atomiche in Germania sono un avanzo della Guerra Fredda”. E quindi “devono essere rimosse”.

Il leader dei Verdi, Juergen Trittin, è dello stesso parere, mentre Gregor Gysi, della Linke, la sinistra tedesca, sostiene che la Germania dovrebbe essere abbastanza de-terminata per chiedere che le bombe vengano immediatamente ritirate e smantellate. Ma anche uno dei partiti della coalizione al governo, la Spd, per bocca del responsabile esteri Niels Annen, crede che il ritiro di queste armi è auspicabile, “segnerebbe un grande passo verso il disarmo nucleare”. Parole che i nostri amministratori si sono ben guardati dal pronunciare per non correre il rischio di inimicarsi i gendarmi di Washington.

I nostri politici quando si tratta di rivendicare la sovranità nazionale latitano, mentre è diverso l’atteggiamento degli italiani che hanno già presentato alla commissione Affari esteri della Camera la proposta di legge d’iniziativa popolare per far dichiarare l’Italia “paese libero da armi nucleari”.

Insomma, la nostra dipendenza e sudditanza dai libertiferi governati d’Oltreoceano continua a minare la nostra sicurezza, eppure dalla stanza dei bottoni nessuno alza la voce per provare a tutelare l’incolumità degli elettori. Ma in fondo non ci si può attendere nulla di meglio da una classe politica che ha come sport preferito quello di rendersi grato a Washington. E pensare che già solo calendarizzare la legge per liberare l’Italia almeno dalle atomiche statunitensi sarebbe un grande passo avanti.



Di Fabrizio Di Ernesto, tratto da www.rinascita.info

La foiba di San Giuliano. [Delenda Carthago]

 

Heliodromos n.19.


HELIODROMOS

Contributi per il Fronte della Tradizione

N. 19 - 21 Aprile 2008

€7,50


  


Editoriale:

Democrazia e violenza


“Un […] errore, dovuto alla confusione dei concetti di essere umano e individuo, è l’eguaglianza democratica.

Questo dogma si spezza oggi sotto i colpi dell’esperienza dei popoli ed è quindi inutile dimostrarne la falsità, ma ci si deve meravigliare del suo lungo successo.

Come mai l’umanità ha potuto credervi così a lungo? Questo dogma non tiene conto della costituzione del corpo e della coscienza, né si adatta ad un fatto concreto come l’individuo. Certamente gli esseri umani sono uguali, ma tali non sono gli individui e l’uguaglianza dei loro diritti è pura illusione. Il debole di mente e l’uomo di genio non debbono essere considerati uguali di fronte alla legge; l’essere stupido, incapace di attenzione, abulico,

non ha diritto ad una educazione superiore ed è assurdo dargli, ad esempio, lo stesso potere elettorale che all’individuo completamente sviluppato. I sessi non sono uguali. È molto dannoso non riconoscere queste disuguaglianze.

Il principio democratico ha contribuito all’indebolimento della civiltà, impedendo lo sviluppo dei migliori, mentre è evidente che le disuguaglianze individuali debbono essere rispettate. Vi sono, nella società moderna, funzioni appropriate ai grandi, ai piccoli, ai medi e agli inferiori; ma non bisogna attendersi di formare individui superiori cogli stessi procedimenti validi per i deboli. La standardizzazione delle creature umane da parte

dell’ideale democratico ha assicurato il predominio dei mediocri. Costoro sono ovunque preferiti ai forti: sono aiutati, protetti, spesso ammirati: come se non si sapesse quanto gli ammalati, i criminali e i pazzi attirano la simpatia del grosso pubblico.” […] “Siccome era

impossibile innalzare gli inferiori, il solo mezzo di produrre l’uguaglianza fra gli uomini era di portarli tutti al livello più basso: in tal modo scompare la forza della personalità.”


Così, anche in conseguenza di un tale processo degenerativo, si è potuto accettare nella società il predominio dell’economia e di una industrializzazione che, oltre ad imporre forme di lavoro stupidi e ripetitivi, ha frantumato le naturali comunità umane per risucchiarli nelle vastità urbane. Tanto che: […] “nella immensità delle città moderne, l’uomo è isolato e sperduto, è una astrazione economica, un capo di bestiame e perde le sue qualità di individuo, perché non ha né responsabilità né dignità. In mezzo alla folla

emergono i ricchi, i politici potenti, i banditi in grande stile: gli altri sono polvere anonima.”

Queste sono considerazioni che il premio Nobel per la medicina, Alexis Carrel, poneva ne L’uomo, questo sconosciuto già nel 1935. Da allora, pur avendo avuto questo suo libro molte edizioni in tutto il mondo, solo in Italia sono state una trentina, dell’accorato richiamo, sull’azione corrosiva del principio democratico nella civiltà, di uno scienziato dal livello scientifico e umano così elevato, non è rimasta nessuna risonanza nella decadente cultura europea del dopoguerra. (…)

martedì 24 giugno 2008

...A breve di nuovo on-line.

Il capitalismo cinese sfregia altri territori sacri.

CINESI E BIRMANI COSTRUISCONO UNA NUOVA DIGA NELL' EST DEL MYANMAR: DECINE DI VILLAGGI KAREN E KARENNI VERRANNO SOMMERSI. SFRATTATI GLI SPIRITI GUARDIANI.



Decine di villaggi Karen e Karenni, abitati da circa 3.500 persone, verranno sommersi in seguito alla costruzione di una nuova diga sulle Pyinmana Hills, 26 miglia a est della nuova capitale birmana, Naypyidaw . La diga, costruita con capitali cinesi, verrà ultimata nel dicembre 2009, e fornirà energia elettrica per 140 megawatt. L'Unione delle Donne Karenni (gruppo etnico strettamente imparentato con i Karen) ha denunciato le violenze e i soprusi compiuti dall'esercito birmano dislocato nella'rea della costruzione: diversi villaggi sono stati rastrellati e numerosi giovani sono stati catturati per essere sottoposti a lavoro forzato. Le popolazioni dell'area ricordano la costruzione di un'altra grande diga, risalente al 1964: in quell'occasione ben 114 villaggi vennero sommersi dalle acque, e decine di migliaia di civili furono costretti a rifugiarsi in Thailandia. In quella fuga furono coinvolti anche i Karen Padaung, le cui "donne giraffa" vivono oggi in artificiali villaggi, esposte alla curiosità dei turisti. Mu Kayan, dell'Unione delle Donne Karenni ha dichiarato: "40 anni fa il nostro popolo perse il suo territorio sacro per dare energia elettrica a Rangoon. Oggi di nuovo, le dimore dei nostri Spiriti Guardiani verranno spazzate via per illuminare Naypyidaw". Questa diga, di proprietà della Yunnan Machinery and Export Co. Ltd., è una delle 24 costruite da compagnie cinesi in Birmania. Il Turbocapitalismo di stato cinese in nulla si differenzia da quello delle grandi multinazionali occidentali, protette e incoraggiate da paesi sedicenti democratici: la Terra degli Avi, gli Spiriti Guardiani, il Signore delle Foreste, cosa sono per i sacerdoti del Monoteismo del Mercato?



Da: www.comunitapopoli.org

IL FASCISMO OGGETTIVO. (I)

Si dice che il giudizio sul fascismo va consegnato alla storia. E si potrebbe anche essere d’accordo. Ma proprio per consegnare quel Ventennio alla storia è necessario che il giudizio sia oggettivo. Sia, cioè, il risultato dell’analisi dei fatti oggettivi che l’hanno posto in essere.



Ora, è possibile ritenere che i fatti di un sistema politico e sociale vadano rintracciati nelle sue realizzazioni e che, in un sistema politico e sociale “di diritto”, le realizzazioni concrete sono conseguenza delle sue leggi. In uno stato di diritto, cioè, le leggi, quando trovano ed hanno applicazione, sono fatti oggettivi. E’ attraverso la lettura delle leggi promulgate e rese operative che si può avere un quadro sostanzialmente esatto sul merito di quel che fu o non fu un dato sistema politico e sociale.



Troppo spesso, invece, i giudizi sul fascismo sono dettati da valutazioni soggettive, spesso irrazionali, tanto da parte di chi a quel regime si sente ostile tanto, ed è anche peggio, da parte di chi pensa di poterlo assolvere o esaltare. In un caso e nell’altro, insomma, è il pregiudizio e non il giudizio che viene consegnato alla storia.



Per ovviare a tanto, “il Fondo” ritiene cosa utile proporre agli strumenti di valutazione dei suoi lettori i fatti, cioè le leggi promulgate durante il Ventennio 1925 - 1944.



Di necessità, non potranno essere pubblicate tutte: lo saranno quelle fondamentali (per tranquillizare i non e gli anti, si anticipa che sarà proposto anche il testo delle “leggi razziste”). E non tutte, sempre per necessità di spazio e agilità di lettura, secondo il testo integrale: in tali casi, il riferimento alla norma (numero e data di promulgazione) seguirà un breve appunto che ne riassume il contenuto (come avviene in questa prima parte).



La data del 1925, come inizio cronologico della serie di leggi che saranno proposte alla lettura, è scelta perché fu proprio da quell’anno che si può cominciare a parlare correttamente di “Regime Fascista”: con la promulgazione delle cosiddette “leggi fascistissime”, infatti, si incise radicalmente nella Costituzione del Regno d’Italia (Statuto Albertino). Tanto radicalmente che nulla fu, poi, come prima.



Fino ad allora, i provvedimenti legislativi presi dal governo, che - occorre ricordarlo - era di coalizione democratica molto larga, come ad esempio questi: Tutela lavoro donne e fanciulli - (R.D. 653/1923); Maternità e infanzia - (R.D. 2277/1923); Assistenza ospedaliera per i poveri - (R.D. 2841/1923); Assicurazione contro la disoccupazione - (R.D. 3158/1923); Assicurazione invalidità e vecchiaia - (R.D. 3184/1923); Riforma “Gentile” della scuola - (R.D. 2123/1923); tali provvedimenti - dicevo - possono essere sì inquadrati nello spirito del fascismo e come conseguenza del programma dei Fasci di Combattimento del 1919, ma non segnano sostanziali discontinuità istituzionali.



E’, invece, dal 3 gennaio 1925 (data del discorso in Parlamento di Mussolini che anticipa i nuovi provvedimenti), che il fascismo si fa “Regime” aprendo una nuova pagina istituzionale nella storia d’Italia.






LE “LEGGI FASCISTISSIME”





Legge 26 novembre 1925 n° 2029: tutti i corpi collettivi operanti in Italia (associazioni, istituti, enti) su richiesta dell’autorità di pubblica sicurezza hanno l’obbligo di consegnare statuti, atti costitutivi, regolamenti interni, elenchi di soci e di dirigenti. In caso di infedele (o omessa) dichiarazione, il prefetto procede allo scioglimento, mentre sanzioni detentive indeterminate e sanzioni pecuniarie pesantissime, da un minimo di 2.000 ad un massimo di 30.000 lire;



Legge 24 dicembre 1925 n° 2300: allontanamento del servizio di tutti i funzionari pubblici che rifiutano di prestare giuramento di fedeltà al regime;



Legge 24 dicembre 1925 n° 2263 (primo intervento strutturale in materia costituzionale):


  • Il Presidente termina di essere individuato come Presidente del Consiglio per diventare Primo Ministro Segretario di Stato, ottenendo la supremazia sugli altri Ministri i quali cessano di essere suoi colleghi (diventano suoi subordinati gerarchici). I singoli Ministri possono essere sfiduciati sia dal Re che dal Primo Ministro;

  • il capo del Governo è nominato e revocato dal Re ed è responsabile dell’indirizzo generale politico del Governo solo verso il Re, pertanto il Capo del Governo non è responsabile verso il Parlamento (non c’è rapporto di fiducia tra Parlamento e Governo);






Legge 31 gennaio 1926 n° 100: attribuisce la facoltà al Governo di emanare norme giuridiche;



Legge 4 febbraio 1926 n° 237: modifica l’ordinamento municipale, eliminando il consiglio comunale, (elettivo dal 1848), e il sindaco (elettivo dal 1890). Al sindaco subentra il podestà, egli è nominato con decreto reale e resta in carica 5 anni. Il podestà è, quindi, rappresentante del Governo ed esercita le funzioni del sindaco, della giunta e del consiglio comunale.



Regio decreto 6 novembre 1926 n° 1848: testo unico delle leggi di pubblica sicurezza con il quale vengono ampliati i poteri dei prefetti ossia sciogliere associazioni, enti, istituti, partiti, gruppi e organizzazioni politiche e istituisce il confino come sanzione principale nei confronti dei soggetti che erano contro il regime;



Legge 25 novembre 1926 n° 2008 (provvedimento per la difesa dello Stato presentati dal Ministro della giustizia Alfredo Rocco):



- art. 1: qualunque attentato diretto contro le persone del Re, della Regina, del Reggente, del Principe ereditario e del Primo Ministro viene sanzionato con la pena di morte;



- art. 3: l’istigazione all’attentato, a mezzo stampa, diventa un reato specifico punito con la reclusione da 15 a 30 anni;



- art. 5: la diffusione all’estero di “voci o notizie false, esagerate o tendenziose sulle condizioni interne dello Stato” tali da nuocere al prestigio statale o agli interessi nazionali, comporta la reclusione da 5 a 15 anni, accompagnata dall’interdizione permanente dei pubblici uffici, dalla perdita immediata della cittadinanza italiana e dalla confisca dei beni;



- art. 7: per applicare il “provvedimento per la difesa dello Stato” venne istituito il Tribunale speciale. Le sentenze del Tribunale speciale erano immediatamente esecutive e inappellabili. (I- continua)



Articolo di Miro Renzaglia, tratto da "IL FONDO".

sabato 21 giugno 2008

PIM PUM PAM: MA STAVOLTA NON E’ UN GIOCO…


Stiamo assistendo da dieci giorni ormai ad un totale caos, provocato dal nuovo PUM, Piano Urbano per la Mobilità di Perugia, introdotto dal Comune, al fine di rivoluzionare tutto il sistema della viabilità nei territori della nostra Acropoli e delle sue periferie. I vecchi bus “numerati” vengono allo stato attuale contraddistinti da lettere, ma ciò che più preoccupa, al di là delle in fin dei conti irrilevanti variazioni simbologiche, è la riduzione del numero e della frequenza di transito. Il vecchio orario, che, nella sua fascia invernale, prevedeva un autobus ogni venti minuti nelle zone a ridosso del centro, ed uno ogni trenta nelle zone periferiche, è stato sostituto con un orario uniformemente riformato, con periodi di transito dell’ordine di un autobus ogni trenta, quaranta o addirittura, in certi frangenti della giornata ed in certe zone, cinquanta minuti. Al problema temporale (se così possiamo nominarlo), si aggiunge indubbiamente persino il problema di tipo spaziale: riducendo il numero delle linee bus, viene da sé che il percorso effettuato un tempo da tre o quattro pullman, ora è quasi completamente sulle spalle di una sola linea, con gravi ripercussioni sui tempi di percorrenza, sia per eccesso che per difetto. Come possiamo facilmente intuire, i due problemi non sono né scindibili né analizzabili separatamente, dacchè vanno a compenetrarsi ed a condizionarsi a vicenda. In alcuni casi, i percorsi sono cambiati radicalmente, e non rispecchiano le precedenti tratte, che risultano persino spezzate in più aree, da dove si consiglia di proseguire per centinaia di metri a piedi, verso la più vicina stazione del fatidico Minimetrò. E, a dirla tutta, il vero e proprio nucleo della vicenda Pum, sembra esattamente situarsi in questa nuova struttura. Non ci pare aleatorio che molte delle fermate APM situate in prossimità dell’impianto del Minimetrò siano state cancellate, così come molti percorsi siano stati esattamente pensati in forza della nuova logica di unicità, o meglio dire, continuità, del trasporto intermediale. Lo stesso nuovo biglietto, definito Up (Unico Perugia), consente una percorrenza di settanta minuti, in qualunque mezzo di trasporto (pullman, treno FS cittadino e minimetrò), quante volte si preferisce, rendendo più varia la scelta del mezzo, ma più scarso, più discontinuo, maledettamente estenuante e meno efficiente il trasporto. Considerando le fasce di utenza del servizio di trasporto (principalmente anziani e studenti, tanto autoctoni quanto forestieri), possiamo comprendere l’enorme portata sociale, del problema, specie per i numerosi anziani, già notevolmente provati dall’insicurezza dei mezzi pubblici, specie in zone drammaticamente connesse all’alto tasso migratorio, alla criminalità comune, allo spaccio e consumo di droghe e alla presenza comunque indisponente di loschi ceffi, che nella comprensibile psicologia di un anziano, che vive a malapena di pensione, rappresentano sempre un motivo di preoccupazione preventiva. I primi giorni hanno in sostanza confermato tutte le previsioni peggiori, in un mare di disagi, di polemiche e di reclami, e un rimbalzo di voci più o meno verificate di gente che ha fatto due chilometri a piedi, o che ha impiegato quattro ore per arrivare al Silvestrini. Al di là dei casi eclatanti, che possono attribuirsi magari anche ad errori o sviste singole, è comunque registrabile un malcontento diffusosi ormai a tutti i livelli, investendo anche il settore degli esercenti, tra i quali, quelli del centro, da poco riunitisi in una comunità spontanea, riguardante le rivendite dei biglietti Up. Dal 23 giugno infatti, inizierà una dura serrata di sei giorni, da parte dei commercianti rivenditori del centro storico, che fino al prossimo sabato 29, si asterranno dal vendere i biglietti Up, in segno di protesta contro il Pum. Notiamo con soddisfazione e ammirazione questo spontaneismo sociale militante, forse il più nobile esempio di politica, quella vera, quella che oggi latita: quella sacra politica dal Popolo per il Popolo, che siamo soliti chiamare comunitarismo.



Associazione Culturale Tyr – Perugia

controventopg@libero.it

Solstizio d'estate.


giovedì 19 giugno 2008

Andy Capp: calcio e birra.


Sono 10 anni. Tanti ne sono trascorsi da quando Reginald Smythe - Reg per gli amici - se n’è andato: era il 13 giugno del 1998. Il nome non vi dice granché? Irriconoscenti, ecco cosa siete. Perché dobbiamo a lui uno dei personaggi più amati - dal pubblico - e odiati - dalle femministe e dai benpensanti di ieri e di oggi - delle nuvolette parlanti.




No, non ha bisogno di presentazioni, Andy Capp. Figuriamoci. E poi non è tipo da prestarsi a formalità e convenzioni sociali. Non ci degnerebbe di uno sguardo. Rimarrebbe, c’è da scommetterci, con l’inseparabile berretto da portuale calcato sugli occhi, sorpreso quanto infastidito dalle nostre attenzioni. Si limiterebbe a un’alzata di spalle e poi tornerebbe a sedersi al bancone del suo bar preferito, a sorseggiare birra e a sbirciare le cameriere. Non per portarsele a letto, badate bene, ma per scroccare qualche bevuta gratis. Malgrado sia spesso e volentieri, molto volentieri, ubriaco, non dimentica che Flo (la moglie brontolona con la quale forma una coppia perennemente in crisi ma irriducibilmente indissolubile) potrebbe piombare lì da un momento all’altro, afferrarlo per il bavero della giacca e riportarselo a casa prima che ne combini qualcuna delle sue. È lei a tirare la carretta, sempre pronta ad accudire quel marito sciagurato e irresponsabile, di cui è - nonostante tutto - innamorata e gelosa.




«Il mio migliore amico», lo definiva il fumettista inglese e non solo perché l’aveva reso ricco. C’era un bel po’ di se stesso in quella canaglia indolente e burbera: «Mi piace tornare a casa e non fare nulla» diceva, quasi a giustificare anche quel suo figliolo di china così ostinatamente sfaccendato. Aveva penato, Reg, prima di riuscire a fare del talento per il disegno una professione sufficientemente stabile. Era nato nel 1917 a Hartlepool, la città dell’Inghilterra settentrionale dove il 28 giugno dell’anno scorso, a riconoscimento dell’opera del suo celebre concittadino, è stata inaugurata una statua dedicata a Andy Capp. Predilezione per lo studio non ne aveva mai avuta. A quattordici anni già lavorava come garzone in una macelleria e la seconda guerra mondiale ne aveva fatto un mitragliere dell’esercito inglese in Africa del Nord. Congedato con il grado di sergente, aveva iniziato come disegnatore free-lance. Raccontava di aver inviato circa 6000 bozzetti a giornali e riviste prima di vedersi offrire, nel 1954, un posto fisso da vignettista al quotidiano londinese Daily Mirror. Rispetto al suo precario status di impiegato delle poste si trattava già di un bel salto in avanti. Ma la fama gliela diede qualche anno dopo - paradossalmente - proprio quello sfaticato di Andy, il personaggio meno ambizioso dell’intero universo dei fumetti. In confronto a lui persino Paperino è un arrivista. E abbiamo detto tutto.




Per sdebitarsi nei confronti della sua gallina dalle uova d’oro, Smythe, ammalato di cancro ai polmoni, negli ultimi tempi tolse di mano a Andy l’immancabile mozzicone “salvandolo” da analogo destino e rendendolo immortale. Sì, perchè - cosa abbastanza rara per un autore, per definizione “geloso” delle proprie creature - acconsentì a che altri dopo di lui continuassero a disegnarne le storie. Esaurite le cospicue scorte di strips inedite - con le quali l’editore è andato avanti per oltre un anno - nessun diluvio, ma tante strisce ancora, curate da Roger Mahoney e Roger Kettle e da chissà chi altro. Oltre a Andy, Smythe ha lasciato altri “eredi”: Buster, il figlio di Andy Capp, creato nel 1960 per una rivista per ragazzi, e Mandy, “nata” sul Daily Millor nel 1997 e presentata dall’editore - se non altro perché il “papà” non è Smythe - come «figlia illegittima di Andy Capp». Diventerà anch’essa una striscia quotidiana ma niente di lontanamente paragonabile al successo intramontabile di Andy Capp, che negli anni Ottanta conoscerà una nuova stagione di popolarità, tanto da diventare personaggio televisivo e ispirare uno spettacolo musicale itinerante che da Manchester arriverà sino in Finlandia.




Icona tipicamente britannica per humor ma nello stesso tempo universale - tanto da essere stato paragonato ai Beatles e ai Rolling Stones e persino, lui così insofferente a ogni dovere, al cambio della guardia di Buckingham Palace - Andy è un ambasciatore alquanto irregolare del made in England: esperto solo in scommesse, corse dei cani, biliardo, lancio delle freccette e piccioni viaggiatori, ama soprattutto starsene a poltrire sull’amato divano offrendo le spalle ai milioni di lettori che fanno di lui uno dei miti più popolari del secolo. Senza esagerazione. Basta scorrere i numeri: dal lontanissimo esordio - nell’agosto del 1957 sull’edizione locale (nord) del Daily Mirror (pochi mesi di “gavetta” per poi essere lanciato, il 14 aprile dell’anno successivo, su quella nazionale) - le strisce di Andy e Flo (Carlo e Alice nella versione italiana, dal 1960 ospitata da La settimana enigmistica) sono state pubblicate su 1.700 giornali in 48 paesi. Un successo internazionale: nel 1963 la coppia sbarca negli States - sul Chicago Sun Tribune - e, per tornare a noi, dal 1967 anche sulla prestigiosa rivista Eureka della editoriale Corno diretta da Luciano Secchi-Max Bunker, a cui hanno fatto seguito le raccolte nei caratteristici brossurati dall’elegante formato, i Comics Box.




Una cosa è certa, Andy Capp ha rappresentato l’altro ‘68, quello anglosassone: niente dialettica, nessuna velleità ideologica di stampo marxista, neanche una briciola di luoghi comuni. Bandita ogni retorica. Non c’è in lui rabbia né frustrazione. La lotta di classe non lo sfiora. Della società se ne frega e ne è ricambiato con reciproca soddisfazione. A modo suo è felice, un po’ come Fantozzi, il simpatico travet degli anni Settanta interpretato da Paolo Villaggio.



Ivo Germano
, sociologo dell’immaginario, lo descrive così: «Di professione “fancazzista”, scettico per vocazione, Andy Capp insegna come a zero ore lavorative corrispondano miliardi di secondi di buona vita. Come illustra un vecchio albo del 1968, il cui titolo recita “Andy Capp il disoccupato più felice al mondo”, Andy fugge il lavoro piuttosto che cercarlo. Ancora oggi è antipedagogico e impolitico, rappresentando sempre e solo se stesso. Maestro di nessuno, è a mezza via fra Ernst Jünger e Antonio Pennacchi, fra l’anarca e il “fasciocomunista”. Uno come lui sarebbe di casa a un bar sport di Latina scalo, perché lì ci si accapiglia, spezzando il pane e il companatico della diatriba, ma fottendosene bellamente dei dibattiti sull’egemonia culturale e sul peso delle ideologie. Lì si vive e basta: in bella o brutta copia». Sostanzialmente d’accordo anche Filippo Rossi: «Andy Capp ha rappresentato la coscienza critica della cultura dominante degli anni Settanta - ci dice il coordinatore editoriale della Fondazione FareFuturo - la sua popolarità nel periodo in cui “tutto era politico” ci dà la misura di quanto l’egemonia culturale della sinistra scricchiolasse e come la divisione tra cultura alta, ideologica, e bassa, popolare, fosse artificiale. Come altri personaggi dell’immaginario di quegli anni, ad esempio i super eroi, disconosciuti e snobbati dalla cultura ufficiale, Andy Capp è un ribelle anarco-individualista: se Capitan America portava in dote il valore dell’eroismo, Andy esaltava l’eroismo della normalità, l’elogio del vivere tranquillo e disincantato, senza troppi impicci moralistici. Oggi però - avverte Rossi - il “bipolarismo” tra cultura alta e bassa. Persino la Repubblica riscopre Rambo mentre negli anni Settanta qualsiasi fumetto di guerra era considerato fascista. Ma oggi basta con le icone che potrebbero relegare di nuovo la destra negli stereotipi: quindi si ricominci proprio da Andy Capp, la libertà prima di tutto…».




Una raccomandazione forse superflua, almeno a giudicare dall’autoironia di un giovanissimo blogger di destra, Simone Migliorato (classe 1986, a sottolineare la longevità di Andy): «Anche i miti hanno dei difetti - osserva - però alla fine sono tutti migliori di noi. Hanno coraggio, senso dell’onore, poteri incredibili e una grande resistenza alla mazzate dell’esistenza. Tintin gira il mondo e non capiamo dove prenda tutti quei soldi, Capitan Harlock è un pirata dello spazio invincibile e gli spartani di Leonida sono talmente belli e muscolosi che combattonoin mutande senza problemi. Ma c’è un mito che amiamo e invece è peggio di noi: si chiama Andy Capp!».



Un adorabile cialtrone, ecco cos’è.
Al pari di altri personaggi letterari e cinematografici come l’Arturo Bandini di John Fante, l’Henry Chinaski di Charles Bukowski, il giovane Holden di J. D. Salinger, l’Alex Portnoy di Philip Roth, il Barney Panofsky di Mordecai Richler e, perché no?, di Homer Simpson, Peter Griffin e persino di Shrek, che non si vergogna di essere un orco, anzi emette peti e rutti a tutto spiano. E irriverente è anche Andy, almeno quanto inaffidabile. Ma prima di farlo innervosire, irascibile com’è, diciamolo chiaramente: quando il gioco si fa duro, Andy gioca. A calcio. Perché fuggire le responsabilità è un conto, fuggire le passioni un altro. Partite che durano pochissimo. Troppo insofferente, il nostro, per rispettare le regole. Si arrabbia ogni volta e finisce per prendersela con l’arbitro, che è la stessa persona che riscuote la pigione del suo appartamento. Lo insulta, lo insegue, sino a stenderlo e a farsi espellere. E altrettanto vivace è come spettatore. Non si sottrae se c’è da menare le mani, salvo tornarsene sconsolato e sbronzo dopo una sconfitta. Per questo Andy è il beniamino dalle tifoserie, senza distinzione di fede: l’amore genuino quanto sfegatato per il pallone fa sì che il suo nome sia spesso presente su stendardi e striscioni issati nelle curve italiane. Un cattivo maestro? Un agitatore? Un naziskin ante litteram?




È la tesi sostenuta da Valerio Marchi - sociologo di sinistra scomparso prematuramente nel 2006 - che al nostro ha dedicato un libro velenoso: La sindrome di Andy Capp ((Nda press, 2004). Non sarà certo un campione di bon ton, Andy, ma prenderlo «ad allarmante modello di una vera e propria sindrome paranoide collettiva dei giovani marginali per lo stile di vita aggressivo, maschilista, sciovinista, qualunquista, tendenzialmente xenofobo, cosmicamente alieno da ogni forma di acculturazione» ci appare un tantino esagerato.




«Ma quale cattivo maestro - tuona Antonio Pennacchi, chiamato in causa da Ivo Germano - Andy Capp è un finto burbero ma ha un cuore d’oro, un po’ come l’Accio Benassi del mio romanzo Il fasciocomunista. Per vent’anni ho portato il suo stesso cappello, poi l’ho cambiato con uno a tesa larga ma gli resto fedele come a un vecchio amico».




Già, come non immedesimarsi in lui? Chi di noi non ha mai provato insofferenza per la “suocera” urlante, non a caso mai disegnata in viso e mai gratificata con un nome. Chi di non passerebbe volentieri la vita comodamente sdraiato su un divano? Chi dice il contrario o mente o - per dirla con Pennacchi - «è un sociologo, la cui unica ragion d’essere è trovare impedimenti alla vita degli altri».




Di: Roberto Alfatti Appetiti, tratto da www.mirorenzaglia.org

lunedì 16 giugno 2008

"I danni del Fascismo".

Da scaricare e diffondere.



Cari camerati,



Sono l'autore del libro "I danni del Fascismo", edito dall'editore "All'insegna del Veltro", in cui sono descritte e commentate le riforme e le leggi fondamentali a carattere sociale che il Fascismo ha realizzato in ventitré anni, di cui cinque di guerra e due ( '29 e '30) di una spaventosa crisi mondiale, che costituiscono la base di quello stato sociale di cui, ancora oggi, usufruiscono tutti gli Italiani e che invece i partiti resistenziali millantano, specie ai giovani che non hanno vissuto quei tempi, come una loro conquista.



Lo scopo principale del libro è proprio quello di far conoscere la verità ai giovani ( i vecchi la conoscono..) e di sbugiardare i denigratori del Fascismo, con dati oggettivi ed inconfutabili.



Per questo le leggi e le riforme Fasciste sono riportate con i dati esatti ( numeri e date) dei decreti e delle leggi di promulgazione in modo da rendere le notizie incontestabili.



Per questo ho cercato di scrivere un testo sintetico, essenziale e non 'paludato' che sia di lettura leggera e soprattutto non noiosa, un testo privo di enfasi retorica e con un minimo di dati, un minimo di cronistoria ed un accenno alle conseguenze che tali realizzazioni hanno determinato, in modo permanente, nella società Italiana.



Il fine della pubblicazione NON è il lucro e lo si può evincere sia dal prezzo modesto e sia dal fatto che il testo è stato messo su Internet sul sito
http://xoomer.virgilio.it/fiamma

ed é quindi accessibile a tutti gratuitamente.



Il motivo di questa mia lettera è la richiesta del vostro aiuto per divulgare tra i giovani, di area e NON, la verità sulla vera natura del Fascismo tramite una capillare distribuzione del libro ( in modo fisico cartaceo, o tramite internet, come vi parrà meglio).



Attraverso la vostra organizzazione, penso sia possibile raggiungere tanti giovani che lo stato resistenziale ha tenuto volutamente nell'ignoranza, anche per il timore del confronto con una classe politica che amava di più il fare che non il chiacchierare a vuoto.



Attendo una vostra risposta e, soprattutto, le vostre proposte per realizzare quanto sopra.



Nell'attesa, vi saluto cameratescamente,



Alessandro Mezzano

Alessandro.mezzano@bcc.tin.it

Cell. 348-55.22.346



ps. il libro può essere richiesto a:

All'insegna del veltro

via Osacca 13

43100 PARMA

insegnadelveltro@libero.it

FRANCESCO CECCHIN: PRESENTE!

ESERCITO BIRMANO AL LAVORO: MA NON PER AIUTARE LE VITTIME DEL CICLONE.

L'esercito birmano è molto attivo in questi giorni. Lungi dall'essere impiegato per le operazioni di soccorso alle vittime del ciclone che il mese scorso ha investito il paese, è impegnato nella solita opera di aggressione nello Stato Karen. La scorsa settimana 1.000 civili Karen hanno abbandonato i villaggi di Te Mu Der, Tha Kaw To Baw, and Tha Da Der , nel distretto di Papun, Birmania Orientale, sotto una pioggia di colpi di mortaio. Anche il villaggio di Bwa Doh, abitato da Karenni (etnia "cugina" dei Karen, anch'essa impegnata nella resistenza al regime militare di Rangoon) ha ricevuto la visita dei soldati del 429° e del 531° battaglione di fanteria leggera. I soldati hanno catturato un uomo di 33 anni, Saw Ko Blu, picchiandolo selvaggiamente fino a provocargli l'apertura del cranio, e hanno sparato ad un altro civile, che è riuscito però a fuggire nella giungla. I "Free Burma Rangers", organizzazione di soccorso costituita da Karen, è sul posto per prestare aiuto ai numerosi profughi che ora si trovano senza riparo, in piena stagione delle piogge. Il progetto Terra-Identità, iniziato il 1° giugno grazie all'Associazione "L'Uomo Libero", e alla Regione Trentino Alto Adige, acquista in queste condizioni una sempre maggiore validità. Case per i profughi e campi coltivabili garantiranno a centinaia di sfollati condizioni di vita dignitose. Il Popolo Karen resiste, grazie al nostro e al vostro concreto aiuto.


http://www.comunitapopoli.org

The video is no longer available…

Questa è la scritta che appare su youtube quando un video viene rimosso e non è più disponibile. E’ quello che è successo ad un video che riprende degli israeliani malmenare un vecchio pastore palestinese…sparito in qualche secondo…Provate a cercarlo


Hebron, Bbc trasmette video shock

Pastori palestinesi presi a bastonate


La Bbc ha diffuso un video in cui si vedono quattro presunti coloni israeliani colpire ripetutamente a colpi di bastone un anziano pastore palestinese, la moglie e il nipote nelle vicinanze di Hebron, nel sud della Cisgiordania. Girate dalla nuora del pastore, le immagini dell’aggressione sono state consegnate all’emittente da gruppo di difesa dei diritti umani israeliano B’Tselem.

Il video mostra quattro persone con il volto coperto e con alcuni bastoni salire un crinale vicino all’insediamento di Susia. Gli uomini camminano normalmente fino a quando, giunti vicino al 70enne che pascolava le sue capre, iniziano a colpirlo ripetutamente a randellate. Stessa sorte tocca poco dopo anche alla moglie Thanam al-Nawaja, 58 anni, e a uno dei nipoti.


Le immagini si interrompono dopo poco, quando la nuora del pastore lascia cadere la telecamera per soccorrere i suoceri. Il gruppo B’Tselem, che aveva fornito la cinepresa ai palestinesi per testimoniare l’eventuale aggressione, ha denunciato che quello documentato è solo uno dei diversi episodi di violenza perpetrati dai coloni israeliani contro i pastori palestinesi. La polizia israeliana ha dichiarato che è stata aperta un indagine.


(IL VIDEO NON E’ Più VISUALIZZABILE SU YOUTUBE.COM)


FONTE:

www.tgcom.mediaset.it/mondo/articoli/articolo417628.shtml e www.azionetradizionale.com

giovedì 5 giugno 2008

IL VOSTRO CINQUE PER MILLE A POPOLI.


 








 Anche quest’anno la Legge Finanziaria  prevede la possibilità di destinare il cinque per mille delle vostre imposte a POPOLI

in quanto ONLUS (organizzazione non lucrativa di utilità sociale) iscritta all’Albo dell’Agenzia delle Entrate.


Non è una tassa in più:

siete voi a decidere, liberamente, a chi destinare il vostro cinque per mille.




Come fare per destinare il cinque per mille a POPOLI?

I modelli CUD, 730 e UNICO contengono un nuovo spazio dedicato al cinque per mille.




Mettete la vostra firma nella prima sezione (quella relativa al “Sostegno del volontariato…”) e indicate il codice fiscale di POPOLI.



Il codice fiscale di POPOLI è: 03119750234




mercoledì 4 giugno 2008

Il nuovo Soccorso Rosso dei media.

Mai in questo frangente si percepisce un reale scollegamento tra la classe dirigente e il popolo in una legislatura segnata da una sì scarsa rappresentanza del paese in parlamento. Il bipartitismo ha trionfato e questo è un dato ormai acquisito ma appare chiaro come esso abbia determinato un’ulteriore accelerazione nella tendenza popolare alla disaffezione della politica, e non solo da quella di palazzo, ma ahinoi anche da quella mobilissima che dovrebbe occuparsi di regolare la convivenza civile.

Dopo 60 anni di presenza ininterrotta e massiccia la sinistra radicale, sinistra-sinistra o estrema sinistra che dir si voglia, e completamente sparita dagli scanni parlamentari, in Senato come alla Camera, ad aldilà delle valutazioni politiche ciò non contribuisce ad un coeso sentimento di appartenenza nazionale, alimentando, legittimamente, in milioni di persone, in sentimento di ingiustizia per l’esclusione della rappresentanza politico-parlamentare.

La Sinistra Arcobaleno presentandosi sotto le sembianze di un minestrone indigesto ha fallito miseramente.

Un’accozzaglia di partiti e partitini legati all’unica istanza che davvero condividevano: l’istinto di sopravvivenza. E invece anche i vecchi militanti, lo zoccolo duro, gli hanno voltato le spalle. Perché già dal simbolo i “multicolor” hanno dimostrato di non aver più un’identità definita, sospesi tra un passato carico di significato ed un futuro che non sanno decifrare. Sempre in bilico tra due vocazioni troppo spesso incompatibili: governare e contestare. In piazza contro il governo da loro fedelmente sostenuto. Ambigui da sempre fin dai tempi della Grande Guerra quando i socialisti, imbarazzati dalle posizioni dei compagni d’otrefrontiera, manifestarono la loro posizione nei riguardi del conflitto con il subdolo e vigliacco slogan “ Né aderire né sabotare”. Tuttora la sinistra collaborazionista critica, s’indigna ma accetta il ruolo cardine nella società post-capitalista di raccogliere gran parte delle istanze contestatrici per convogliarle all’interno di un sistema “pluralmente” legittimato. Anche sul nodo della globalizzazione assi si ergono a unici oppositori ma ipocritamente l’avallano. La globalizzazione infatti, in quanto a sovrastruttura economica del potere mondialista si basa essenzialmente su due principi vincolanti: il libero traffico di merci ed il libero traffico di esseri umani. L’obiettivo neanche tanto celato è di snaturare i popoli per uniformarne le caratteristiche e plasmarli al fine di renderli dei consumatori passivi delle stesse merci ad ogni latitudine. La grande mela, New York la cosmopolita, rappresenta il rpimo stadio di questo processo: la concentrazione di una moltitudine di popoli e di merci in un solo luogo. Chi lotta contro la globalizzazione gioco forza lotta per mantenere vive le differenze in ogni frangente, le peculiarità di ogni singolo popolo. Un concetto che i movimenti No global, ali movimentiste delle sinistre, purtroppo perfettamente funzionali al sistema, recepiscono solo in parte. Se il mundialismo infatte trae linfa vitale dal libero scambio planetario di merci e individui essi ne contestano solo l’aspetto mercantile appoggiando invece il disegno migrazionista di sradicamento dei popoli della rispettiva terra d’origine. Il mondo è di tutti, dicono, ma così facendo a breve la terra sarà proprietà privata di pochi oligarchi: finanza e multinazionali si spartiranno la torta a scapito di tutti i popoli.

La contaminazione, il melting pot, il meticciato sono le armi più raffinate perché falsamente intrise di di valori ecumenici ed egualitari che si rilevano in fondo solo degli strumenti egualizzanti per la creazione di un prototipo di individuo senza una reale identità perché risultato di troppi incroci. Un discorso che ancora viene tacciato di razzismo latente nei salotti buoni dei radical-chic che orientano l’opinione pubblica, mentre risulta unanimemente apprezzato lo sforzo di associazioni religiose e ONG con il beneplacito di Confindustria e sindacati per favorire una crescente ondata immigratoria al servizio del capitale.

I post-ex-vetero comunisti si sono trasformati in un terribile mostro che si nutre solo di vuoto antifascismo e pseudo diritti civili ( delle minoranze, perché per la maggioranza del popolo e dei lavoratori i diritti vanno decrescendo a colpi di leggi bipartisan…). Una sorta di radicali del terzo millennio, ancora più temibili e nocivi perché ammantati di discorsi sociali accattivanti ma costantemente disattesi. Non fa scalpore il tentativo del “sempreverde” Pannella di fare fronte comune alla sinistra del Pd coi vecchi compagni. Dopotutto le battaglie per aborto e divorzio hanno portato a grandi successi…

La stagione del dialogo inaugurata da un Berlusconi veltronizzato però sta tagliando fuori i residuati bellici social-comunisti ed ecco che monta in soccorso una martellante propaganda mediatica volta a innescare un clima di paura e di incertezza in cui le masse sempre meno implicate e quindi facilmente orientabili fungono da cassa di risonanza: prima Verona, poi il Vigneto e infine La Sapienza.

I sinistri, maestri sobillatori del ’68, in combutta coi franchi-tiratori del giornalismo italiota stanno portando un’offensiva volta a ridestare il vecchio cavallo di battaglia antifascista agitando i soliti spauracchi: “naziskin” (sic), squadracce, picchiatori e quant’altro, ogni giorno il bollettino è inquietante. Persino un divo (!) della TV come l’albanese Kledi è passato sotto le forche caudine di quest’ondata di xenofoba e, di conseguenza “nazifascista”, dato che i due termini sono sinonimi nell’immaginario collettivo. La destra para i colpi come può tra un pellegrinaggio al Ghetto e varie dichiarazioni di “indignazione, sdegno e condanna”. Intolleranza è una delle parole più gettonate, strumentalmente accostata alla politica pur se in tutti questi episodi è la matrice nella sola vicenda all’Università di Roma. In quest’occasione però bisogna considerare come l’elemento scatenante sia stato la revoca del rettore al convegno organizzato da Forza Nuova sulle foibe. “Nessuno spazio ai fascisti” ragliano i Collettivi e in alcune facoltà le lancette degli anni ’70 non si sono mai spostate: la maggioranza sinistrorsa prevarica, i rettori supini assecondano, i fasci si ribellano e lo scontro è servito. Il dialogo, il confronto restano in alcuni ambienti, a destra come a sinistra, sintomi di debolezza, tranelli che legittimano il nemico. Meglio tappargli la bocca e sguinzagliare le rispettive sirene medianiche.

Al Vigneto invece va in scena la farsa, una bufala giornalistica che fa venire il voltastomaco: una criticabile giustizia sommaria in seguito ad un furto diventa un’aggressione xenofoba per merito della decisiva testimonianza di una coraggiosa giornalista dell’AGI testimone dell’accaduto, tale Simona Zppulla, la quale, intervistata da “La Repubblica” descriveva il capo (o Kapò?) dell’azione che “aveva il volto semicoperto da una sorta di foulard con una svastica dipinta sopra”. Si può facilmetne dedurre che il vezzo artistico legato alla pittura sia dovuto al culto per il fu pittore (o imbianchino per i denigratori…) austriaco fondatore del Terzo Reich… I più ingenui, la stragrande maggioranza della popolazione al di fuori del Vigneto, avranno creduto senza remore l’utilizzo di questo accessorio, impreziosito da simbologie indo-arie, per non correre il rischio di passare inosservato. Eppure il colpevole si confessa con il “Che” tatuato sul braccio e tanta rabbia per le infami strumentalizzazioni. “La politica non c’entra un cazzo” afferma il reo confesso che si chiede “io davvero non riesco a capire come si sono inventati la storia della svastica. Ma quale svastica?”. Una domanda a cui solo la nostra temeraria Zappulla potrà risponderci. “I giornali scrivono un mucchio di cazzate” continua il giustiziere, e come dargli torto? Il vero problema è che coloro che lavorano nel mondo dell’informazione hanno una responsabilità enorme e soffiare sul braciere in questo momento può essere strategicamente proficuo secondo alcune meschine logiche di fazione ma con il rischio di innescare caccia alle streghe e spirali di violenza cieca.

D’altronde in queste situazioni la magistratura non perde l’occasione per ribadire la propria vocazione di contropotere autonomo ma sempre rispettoso dei poteri forti. A pagare il prezzo più alto in un clima avvelenato saranno sempre i più deboli, coloro che non hanno le coperture o i mezzi per opporsi a delle vere e proprie campagne di criminalizzazione volte a scatenare i bassi istinti dell’opinione pubblica ed a giustificare abusi d’ogni sorta. Come non pensare a quei ragazzi accusati di terrorismo (!) per i fatti accaduti dopo la morte di Gabriele Sandri, che da oltre tre mesi sono rinchiusi nelle patrie galere, in attesa di giudizio quindi, secondo il diritto ancora vigente, in presunzione di innocenza. Una custodia tutelare inopinata che conferma il sospetto che essa costituisca una punizione preventiva oltre che un monito per coloro che da mesi chiedono giustizia per Gabbo. L’agente Spaccarotella può dormire sonni tranquilli, le sirene medianiche e la giustizia ad orologeria lavorano alacremente per darci in pasto i nuovi mostri da sbattere in prima pagine.

La sinistra ormai extraparlamentare sta cavalcando la tigre cercando nella piazza forcaiola ed ammaestrata la rivincita della sconfitta elettorale per riproporsi per l’ennesima volta come unica alternativa al sistema in cui hanno sempre gozzovigliato. Bisogna smascherarli.




Di Luca Desideri, da www.rinascita.info

martedì 3 giugno 2008

A lume di ragione: di Rutilio Sermonti.






Si suol dire che l’Uomo è superiore a tutti gli altri esseri viventi, sol perchè possiede la ragione. E’ un concetto assai rozzo e riduttivo, che porta a concezioni ed anche a conseguenze pratiche pregiudizievoli. Non si può infatti negare che, se è vero che la ragione umana è qualcosa di assai più vasto e complesso degli “istinti” innati che regolano i comportamenti degli animali, è anche vero che essa è tutt’altro che infallibile come invece lo sono quelli, Ne consegue che anche i più umili tra gli animali si comportano sempre nel modo migliore che loro sia dato per la conservazione di se stessi e della loro specie, mentre l’Uomo, con la sua superiore ragione, è l’unico capace di operare per il danno proprio e dei suoi simili e di distruggere persino le proprie risorse di vita, tutte cose sommamente ... irragionevoli. Come si spiega ? E -si noti- più l’Uomo, grazie alla sullodata ragione, “progredisce”, peggio vanno le cose. Gli animali seguono una dieta alimentare perfettamente consona al loro metabolismo; l’Uomo sa tutto di proteine, lipidi e carboidrati , ma si abbuffa di autentiche schifezze. per lui assai nocive Gli animali esercitano per tutta la vita le loro doti fisiche, l’uomo civile le sacrifica tutte alla pigrizia. Gli animali sono di regola sani ed efficienti; l’Uomo ragionante è un malato longevo.


Gli animali vivono liberi, in quanto ognuno è capace di procurarsi il necessario, da solo o unito ad altri suoi simili; l’Uomo moderno dispone invece di una enorme quantità di aggeggi che ritiene “necessari”, ma nessuno di questi saprebbe farsi da sè, ed è quindi tutto-dipendente. Gli animali sociali possiedono un sicuro istinto per la scelta del capo-branco; gli uomini civili hanno inventato il sistema per essere governati dai peggiori, e cioè l’assurdo gioco in cui vincono soltanto i bari (detto democrazia). Ma è inutile continuare a enumerare le prodezze della “ragione”, nelle quali sguazziamo da mane a sera. Stando ai risultati, si sarebbe portati a pensare che il famoso libero arbitrio sia un difetto, più che un pregio, e il mito della cacciata dal paradiso terrestre assume un desolante significato. Anche quella ,però, è una scappatoia dialettica.

A lume di semplice ragione, possiamo definire la ragione stessa come la capacità di elaborare le dirette percezioni sensoriali, deducendone alcune “nozioni”, a loro volta utili come regole di comportamento. La reazione più semplice agli stimoli è, per vero, l’associazione di un atto con una sensazione di piacere o di dolore. Si tratta dei cosiddetti “riflessi condizionati” pavloviani, sui quali esiste una vastissima e minuziosa letteratura. Il lupo che addenta un porcospino e si punge dolorosamente le fauci, associerà quel dolore all’odore e all’aspetto dell’Insettivoro e si asterrà dal reiterare il tentativo non solo con quell’individuo, ma anche con gli altri olfattivamente ed otticamente simili. E’ già una generalizzazione. Siamo però ancora al disotto del concetto corrente di “ragione”, in quanto il nesso associativo tra il dolore e la causa di esso è diretto, e non ha bisogno di alcuna elaborazione mentale, e quindi non può portare nè ad applicazioni sillogistiche nè a ciò che definiamo “concetti”.

Tuttavia, non si può negare che esista, anche in alcuni animali, perfino considerati inferiori (come i pesci), qualcosa di più. o almeno di diverso. Non si vuol alludere ai notissimi abbozzi e barlumi di processi “logici”, come quello del Chimpanzè che pone una cassetta sull’altra per impadronirsi della banana pendente dall’alto, nè alle stupefacenti facoltà mentali di alcuni Delfinidi, per tacere del nostro amico cane. A ben vedere, potremmo considerare abbozzi di processi mentali anche le capacità di “apprendimento” per imitazione degli adulti, diffusissime e indispensabili alla vita tra i cuccioli di molti Mammiferi e i pulcini di molti Uccelli. La trasposizione a se stesso dell’azione dell’adulto, che il piccolo compie, , non può negarsi che sia un’operazione mentale, anche se semplicissima. Ma -come dicevo- parlando di “qualcosa di diverso”, non intendevo alludere a simili esempi, bensì alla possibilità di riscontrare in alcuni animali accenni di contatti “conoscitivi” con la realtà che li circonda, non dipendenti dal loro sistema sensoriale, anzi, aggiungerei, neppure mediati da esso.

Uno abbastanza diffuso, che ho avuto anche spesso occasione di costatare personalmente, è la percezione diretta dell’intenzione di chi hanno di fronte, ossia dell’atteggiamento mentale amichevole o aggressivo dello stesso, anche se di tali fatti mentali non appare alcuna manifestazione percepibile dal sensorio. Un uomo che odia e teme i cani non ha alcuna differenza avvertiibile, a venti metri di sistanza, coi sensi di un cane (fornito peraltro di una vista non eccellente), rispetto ad un uomo che prova per i cani simpatia e fiducia. Eppure, è fuor di dubbio che il cane percepisce subito l’atteggiamento emotivo dell’uomo che appena intravede, e si comporta di conseguenza. I materialisti fanatici parlano di un “odore” della paura, presuntamente emesso dalla pelle dell’uomo, che lo sviluppatissimo odorato del cane percepirebbe subito e sarebbe per lui “contagioso”, inducendolo alla fuga, o magari all’aggressione (per legittima difesa putativa - direbbe un giurista). Ma non abbiamo mai considerato seria tale ipotesi, del tutto priva di riscontri, sia perchè la supposta secrezione umorale da parte dell’uomo, quand’anche vi fosse, non potrebbe essere certamente fulminea, sia perchè un odore, per propagarsi nell’aria a distanza, abbisogna di un certo tempo se l’aria è ferma, e se emesso sottovento non perviene affatto.

No: non è coi propri sensi, per quanto acuti, che certi animali “sentono” l’ostilità o meno di uno sconosciuto. Come vecchio “sub” ho innumerevoli volte costatato come pesci e Cefalopodi si lascino tranquillamente avvicinare per osservarli, ma se si punta verso di loro il fucile (del quale ignorano certamente la potenzialità offensiva), si affrettano a mettersi in salvo, avvertendo l’intenzione predatoria. Esempi del genere potrei citare in gran numero, rischiando di tediare il lettore non particolarmente curioso di etologia, anche tra animali tutt’altro che dotati di particolare perspicacia. Molto noto e studiato, tra gli zoologhi, il caso di quei Silvidi (come la Capinera), che, pur essendo uccelli diurni, migrano verso le loro zone africane di svernamento soltanto di notte, perchè conoscono il momento di migrare e la direzione esatta da prendere soltanto dalle stelle, al punto che, collocando gli uccellini in un planetario e mostrando loro il cielo italiano d’ottobre, si dirigono con sicurezza a sudovest, e facendo apparire invece il cielo africano di maggio, partono verso nordest.

Voglio limitarmi alla costatazione che, pur non essendo essi forniti di “ragione” in senso proprio, anche gli anumali possono possedere una fonte di informazione diversa dai sensi fisici.

E l’Uomo, in cui l’intelletto ha tale meravigliosa estensione da rendere per lui addirittura secondaria la piena efficienza delle qualità “fisiche” ( quanti nostri simili sono stati “grandi”, pur essendo ciechi, sordi, gobbi o paralitici ?) dovrebbe invece essere rigorosamente limitato dai sillogismi impiantati sulla “osservazione”? Dovrebbe ignorare ogni sapere che non abbia origine nei sensi, negare ogni realtà che non si possa vedere , toccare , misurare, recludersi volontariamente nel muro di un carcere, dalle cui torrette vigila, arcigna, la “scienza”, a scanso di evasioni ?

Eppure, è proprio quello che è accaduto, tanto più quanto si affermava la dittatura della famosa RAGIONE !

E’ dunque essa , come affermano certi irrazionalisti, non un pregio ma una maledizione ? E’ dunque necessario metterla a tacere con l’ebbrezza, con le droghe, con l’abbandono agli impulsi inconsapevoli e incontrollati ?

O tali espedienti altro effetto non sortiscono che quello di potrre l’Uomo al disotto, anzichè al disopra degli altri esseri viventi ?

No. Ben altra è la via della salvezza. Anche la ragione umana è “naturale”. E , come tutto ciò che è naturale, essa può perfettamente inserirsi nella suprema armonia che regola l’intero universo. Non è colpa della ragione in sè, se l’Uomo è diventato non il re, ma il nemico del creato. Non è per un difetto della ragione se la specie umana è dedita al quotidiano suicidio e alla sistematica auto-degradazione, con un ebete sorriso sulle labbra. E’ per l’uso improprio che se n’è voluto fare. Ci si perdoni il paragone irriverente, ma se uno vuol mangiare la minestra con la forchetta, non è colpa della forchetta se non riesce a portare il brodo alla bocca. La colpa è sua, che non usa il cucchiaio, che pure è lì accanto. Sembra incredibile, ma l’immane tragedia che travaglia l’umanità (e tutto ciò che con essa ha contatto) dipende da uno sbaglio stupido del genere: aver fatto della ragione un uso improprio. Con l’aggravante, si badi, di essere stata ammonita per millenni, da innumeri voci di saggezza e sotto tutti i cieli, sui tremendi pericoli che quell’uso improprio comporta.

Anche se la ragione logica è un mezzo meraviglioso, che solo agli uomini è dato, essa appartiene pur sempre all’ordine dei mezzi. Non può quindi servire, da sola, a indicare i fini, come il timone è uno strumento per dirigere l’imbarcazione, ma non si può pretendere dal timone che ci dica in che direzione andare. La “scelta” va fatta ad altro livello, anche se a nulla servirebbe aver bene scelto la rotta se non ci fosse il timone a permetterci di seguirla. Bussola e timone sono quindi necessariamente complementari. Il paragone è misero, ma ci sembra esprima con sufficiente approssimazione il rapporto che deve sussistere tra la ragione, capace di elaborare l’esperienza sensoriale e di giovarsi di quella altrui, e quel nostro superiore attributo spirituale che ci guida a integrarci con la suprema armonia che regola il cosmo, ossia ci apre la via di Dio. E’ una luce che non abbisogna di occhi, una musica a cui non servono orecchie, perchè non à da fuori che ci perviene ma dal più profondo della nostra essenza, che non può attingersi con acquisizioni ma solo con purificazione. Ed è a quella che tendono riti e pratiche religiose, da tempi assai più remoti di quelli che una paleontologia fondata solo sui “manufatti” ci permette di calcolare. E’ quello il compito arduo che attende oggi chi intenda, caparbiamente, operare per la rinascita.

Perchè, illudendosi di liberarsi da ogni guida sovra-razionale e di “fare da sè”, il che equivalse a ignorare i propri limiti, la preziosa ragione ebbe la sorte che hanno, in un organismo, le cellule neoplastiche maligne: sviluppi mostruosi apportatori di morte. Anche un carcinoma, a suo modo, “progredisce”, ma il suo aumento di estensione e di “potenza” non giova certo all’organismo: finisce col distruggerlo. Nel caso della ragione, il suo sviluppo senza regola ad altro non poteva condurre che a quello strapotere dei mezzi-senza-fine detto “tecnologia”, che nella sua crescita esponenziale, oltre a mortificare e condizionare l’Uomo, ha adibito i suoi marchingegni per spegnere in lui ogni ribellione. Ciò rende il compito di cui sopra si diceva ancor più arduo, non si dubita.

Per quanto ci consta, mai nella storia umana vi fu profeta o demiurgo che abbia voluto “redimere” un popolo ridotto nelle condizioni di fatiscenza mentale in cui versa l’uomo moderno.

Ma questa, per chi sia rimasto fedele alla divina natura che è in lui, non è una scusa per l’inerzia e la rinunzia, se pure ciò appaia ... ragionevole. Abbandonarsi al pessimismo passivo e cercare l’”evasione” pur che sia, non è che il risultato dell’”uso improprio” di cui sopra si diceva.






Tratto da www.rinascita.info

Gli Uomini Liberi danno il benvenuto a Ahmadinejàd.


Azione Tradizionale - Giugno '08.


Azione Tradizionale



Anno VII numero 4 Maggio/Giugno 2008



Periodico di Informazione


www.raido.it

www.azionetradizionale.com

Tex and the City.

Il miglior investimento che possiate fare nei prossimi semestri è acquistare azioni di società che producono e vendono camper e roulotte. Perchè ve ne sarà sempre più bisogno. Lasciatemi raccontare la ingloriosa fine che ha cambiato profondamente la vita del mio collega corrispondente da Londra, L. Tessaro, che tra di noi analisti chiamiamo scherzosamente in amicizia Tex.


Tex ha ricoperto il ruolo di Credit Strategist per una prestigiosa banca d’affari, vivendo e lavorando per quasi cinque anni nella City, il famoso distretto finanziario indipendente di Londra, il kilometro quadrato più costoso al mondo in cui banche, fondi di investimento e grandi investitori istituzionali decidono le sorti di popolazioni e nazioni nel pieno rispetto dell’unico dio a cui prostrarsi: il profitto indiscriminato.


Tex era (ma è tuttora) un grande analista, siamo stati spesso in videoconferenza assieme a colleghi statunitensi ed inglesi: in più occasioni mi ha dato spunti operativi da sviluppare durante i miei shows finanziari. Ma adesso Tex vive in camper da quasi due mesi: la banca per la quale lavorava, un colosso del sistema bancario mondiale, soffre, sta male, vacilla, è in agonia finanziaria ed ha per questo iniziato a ristrutturarsi per ottimizzare i costi di gestione industriale al fine di sopportare l’implosione del più grande bubbone finanziario della storia economica, che presto affosserà per sempre i già malconci bilanci bancari. Tex è una delle prime vittime colpite senza molto preavviso dalla soluzione finale messa in atto nella City: licenziamenti di massa senza tanti pensieri.


Tex vive in un camper che ha preso a noleggio a lungo termine perchè in questo momento non si può più permettere di pagare le rate del mutuo del suo piccolo appartamento che ha messo tosto in vendita. Pariteticamente ha dovuto anche riconsegnare alla concessionaria di automobili il fiammante suv con cambio automatico e trazione integrale che aveva acquistato attraverso un contratto di light leasing. L’ironia del destino non gli ha risparmiato proprio niente: quei quattro risparmi che aveva messo da parte, nonostante una retribuzione piuttosto corposa, si sono dissolti nell’aria a causa di un posizionamento eccessivamente speculativo in prodotti finanziari sofisticati emessi proprio dalla sua stessa banca !


Il camper è una triste aspettativa per un giovane analista del mondo finanziario, ma che altro non sa fare se non analizzare bilanci, azioni e grafici. Il mio consiglio è sempre lo stesso: imparate un mestiere, piuttosto che cercarvi un lavoro. D’improvviso la sua vita è cambiata, quasi scoppiata di mano a causa proprio delle scelte di investimento del suo stesso datore di lavoro, la banca presso cui lavorava. E in che cosa aveva investito pesantemente ingenti risorse finanziarie il management di questa grande banca d’affari ? In prodotti denominati Credit Default Swaps ovvero CDS, per non dilungarmi eccessivamente con terminologie tecniche troppo complesse o noiose possiamo considerare questi strumenti derivati finanziari come sofisticate polizze assicurative che coprono il rischio per un sottoscrittore di un obbligazione che la stessa non venga poi onorata alla scadenza prestabilita.


Immaginate per farvi un esempio che tornando al caso della Parmalat vi fosse stato qualcuno che avesse garantito il pagamento delle loro emissioni obbligazionarie e qualcun’altro che si fosse assicurato nel caso in cui questo si fosse verificato. Ebbene questa disamina sarebbe ineccepibile se non ci fosse un elemento discriminatore sulla bontà di queste architetture finanziarie ovvero che non esistono metodi e soluzioni efficaci volte ad accertare la consistenza patrimoniale della società che si impegna ad assicurare un eventuale default di un prestito obbligazionario: questo è possibile in quanto questi diabolici strumenti derivati finanziari sono terra di nessuno e di tutti. Non vi voglio tediare con ulteriori sofisticazioni espositive che richiederebbero anche un sussidio visivo per comprendere l’utilizzo ed il funzionamento di questi prodotti, un tempo utilizzati per limitare il rischio, oggi commercializzati per finalità pesantemente speculative. Vi basti sapere che lo stesso Warren Buffet, il secondo uomo più ricco del pianeta, famoso per le sue performance a due cifre grazie al suo fiuto di contrarian trader, ha recentemente sentenziato di come il ricorso all’utilizzo speculativo dei contratti derivati sia peggiore di tutte le armi di distruzione di massa messe assieme. Considerate che lo stesso Buffet negli ultimi sei mesi è stato vittima di un bagno di sangue (finanziario) non essendo stato nemmeno lui, con i suoi strapagati top analists, in grado di evitare fenomeni di spiacevoli cancrene e contagi finanziari.


Le più grandi banche del mondo adesso stanno recitando tutte in silenzio religioso il mea culpa, in quanto non sono riuscite a comprendere quello che stava succedendo ai mercati finanziari, dando troppo ascolto e potere a spregiudicati manager, clonati al pari di replicanti frankestein finanziari presso le tanto osannate business schools del pianeta (www.eugeniobenetazzo.com/recensioni.html).


I grandi gruppi bancari hanno fallito. Pesantemente fallito nel fare previsioni, e pesantemente alcuni di loro sono destinati a fallire. Alcuni sono già falliti per definizione: basta rendersi conto di come le esposizioni debitorie nel passivo siano di gran lunga superiori agli assets detenuti nelle attività patrimoniali, una volta depurate dalla voce farlocca dei crediti esigibili ! La ricerca del profitto indiscriminato, costi quel che costi, adesso sta presentando il conto: lo stesso Tex ha iniziato ad avvisare ed allertare altri colleghi e conoscenti di prepararsi a fare la sua stessa fine e di mettere in preventivo altri default bancari, molto più pesanti di quelli che si sono delineati recentemente nei mesi scorsi. Dura lex, sed lex, caro Tex.


Di Eugenio Benetazzo

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