mercoledì 22 febbraio 2012

I malumori di Esercito e Marina: la Farnesina ha ceduto all’India

Ingannati dagli indiani, difesi senza convinzione dagli italiani. I guai del capo di prima classe Massimiliano Latorre e del sergente Salvatore Girone, i due marò accusati di omicidio, non sono solo la conseguenza dei tranelli e delle manovre poche limpide delle autorità indiane, ma anche dell'arrendevolezza della nostra diplomazia. 
Una diplomazia  che ha ceduto agli ultimatum senza esigere l'esibizione d'uno
 straccio di prova. Quest'atteggiamento accondiscendente sta causando diffusi malumori negli ambienti militari. 
Per molti alti ufficiali di marina ed esercito, la decisione di consegnare i nostri due soldati è stata affrettata e superficiale. Soprattutto perch´ - come sottolineano al Giornale fonti dello stato maggiore della Marina - «non è stata ancora depositata alcuna prova della loro colpevolezza». La più semplice e chiara sarebbe stata l'esibizione di eventuali proiettili ritrovati sull'imbarcazione dei pescatori uccisi. Anche un solo proiettile di calibro corrispondente alle armi in dotazione renderebbe più plausibile il fermo dei fucilieri di marina. Eppure nonostante la mancanza di questa e altre evidenze la diplomazia italiana ha inseguito la strada dell'accordo e del compromesso accettando di far sbarcare dalla «Enrica Lexie» i due nostri marò. Chi l'ha deciso? E la decisione è stata concordata con le autorità militari e con il ministero della Difesa? A questa domanda del Giornale la Farnesina non fornisce delucidazioni. I portavoce del Ministro della Difesa rispondono rinviando al comunicato con cui il ministero degli Esteri accusa gli indiani di decisione unilaterale. Un modo elegante per far capire di non aver partecipato alla decisione e di non condividerla.
Il comunicato emesso domenica dalla Farnesina usava il termine «decisione unilaterale» per far intendere che in caso di mancata consegna dei sospetti le autorità indiane sarebbero andati a prenderseli con la forza. Il timore di dover affrontare un simile braccio di ferro ha convinto la nostra diplomazia a cedere alle pressioni. Ma l'errore più grave, ripetono al Giornale fonti militari, è stato quello di calar le brache pur sapendo di aver davanti un giocatore scorretto. O addirittura un baro. Ieri sia lo stato maggiore della Marina militare, sia il Ministro della Difesa confermavano ufficialmente che la «Enrica Lexie» è stata attirata nel porto di Kochi con un «sotterfugio». Al comandante Umberto Vitelli - già in navigazione in acque internazionali - è stato chiesto di invertire la rotta e raggiungere le banchine per riconoscere un'imbarcazione con armi a bordo sospettata di aver partecipato all'attacco alla petroliera. In porto si è immediatamente capito che non esistevano imbarcazioni sospette, ma solo la volontà d'intrappolare gli italiani. La malafede degli indiani viene denunciata, del resto, anche dal ministro degli Esteri Giulio Terzi quando ammette che le elezioni in corso nello stato indiano di Kerala «rischiano di poter avere qualche influenza sull'indagine e sulle autorità giudicanti». Ma se la scorrettezza indiana era evidente sin dall'inizio non si capisce perch´ la nostra diplomazia abbia fatto buon viso a cattivo gioco partecipando con rassegnata sottomissione a una partita dall'esito scontato e truccato.


di Gian Micalessin,

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