Riferendoci in particolare alla cinematografia apprendiamo che l’élite di Hollywood dirige da sempre la produzione cinematografica statunitense, promulgando e imponendo il sistema di vita e di valori della civiltà americana alle masse di tutto il mondo. Lo dimostra il fatto che il 70% dei circuiti di distribuzione europei è in mano agli Stati Uniti ed addirittura l’80% di quelli africani, asiatici e sudamericani.
Parallelamente un’azione di propaganda ancora più capillare è svolta dai film confezionati per la televisione che diffondono un “nuovo genere di cultura” fondata sui valori e sugli obiettivi individuali e sociali tipici del “grande sogno americano” decantato oggi come la più alta aspirazione dell’essere umano.
Nel mondo della fiction televisiva, chiuso in sé stesso in un crescendo autistico di compiacimento, le virtù della modestia, della moderazione, della coscienza dei propri limiti e del controllo di sé non hanno collocazione. Lo straniero, il diverso, nella produzione di Hollywood non esiste se non come nemico. Chi non rientra nel testamento dello zio Sam è un incivile da combattere alla prima occasione.
II cinema svolge dunque un ruolo fondamentale nell’educazione dei “barbari” ai valori dell’american way of life, in cui primeggia un individualismo istituzionalizzato che trova terreno fertile in una massa ispirata al mito del self made man, dell’ “uomo che si è fatto da sé”. Tale figura, oltre a sviluppare le proprie velleità su un piano puramente materiale, elimina il ruolo fondamentale che nel mondo della Tradizione è ricoperto dalla Vocazione, che permette ad ognuno di realizzarsi in accordo con la propria natura e con le proprie attitudini, svolgendo la propria funzione con una dedizione disinteressata, e lo sostituisce con il sentimento dell’Ambizione personale, illudendo che tutti possano fare tutto, promettendo i ruoli di maggiore responsabilità (e prestigio) non a chi è oggettivamente più portato ma a chi riesce ad accaparrarseli, come se questa abilità dimostrasse di per sé le qualità di un dirigente. In questo sistema non è importante la qualificazione personale, ottenuta dalla realizzazione delle possibilità legate alla propria natura, ma il risultato che si riesce ad ottenere nella “gara” contro gli altri.
Nei film made in U.S.A. un altro mito ricorrente è quello dell’ “uomo comune”. Egli è un individuo eroico che dietro la sua apparente semplicità e goffaggine nasconde una forza profonda ed insospettata che sembra quasi derivargli dal suo essere una brava persona e che gli permette di superare ostacoli di ogni genere. E’ l’apologia della mediocrità. La forza e la virtù non sono più figlie dell’impegno e del sacrificio, ma del modo di vita borghese. Si pensi a quanti supereroi, nella fitta selva dei telefilm americani, si nascondono dietro un innocuo impiegato o un comune studentello.
D’altra parte la figura stessa del borghese-supereroe tradisce una certa analogia con la concezione che gli U.S.A. -lo stato borghese per eccellenza- hanno della politica estera, nella quale pretendono di essere inseriti con il titolo di garanti dell’ordine costituito, spesso interpretando questa loro funzione come una consegna divina. Ce n’è abbastanza da far impallidire Batman!
Ma di divino la forza bruta ha ben poco. Su queste basi la funzione tradizionalmente svolta dell’Impero di origine divina è stata capovolta - per presupposti, metodi e fini- e sostituita dalla sua parodia, l’Imperialismo, di cui gli U.S.A., tra basi Nato e colonialismo culturale, sono tra i migliori rappresentanti. E non dimentichiamo il ruolo dell’esercito americano, che nei film dimostra di lottare, più che per la sua nazione per i valori di libertà, giustizia e democrazia dei quali gli Stati Uniti si considerano i paladini.
L’ “our boy” (nostro ragazzo) americano è l’eroe che combatte per l’umanità, contro ogni differenza etnica e nazionale. Questa -missione universale, però, dietro la facciata dell’antirazzismo, nasconde una forma di discriminazione ben più subdola e deleteria. E’ l’annullamento delle differenze, il tentativo di schiacciare l’identità dell’altro fino a ridurlo all’uguaglianza. Come a dire: “io ti rispetto non perché tu sei tu, ma perché sei uguale a me, e affinché tu sia uguale a me è necessario che tu faccia tuo il mio sistema di valori”. Basti pensare ai circa 215 casi di intervento armato in ogni parte del mondo (i più eclatanti in Iran, Nicaragua, Libano, Panama e Iraq) e alla celebre frase di H. Truman, il presidente americano che ha deciso il bombardamento atomico di Hiroshima: “Ho la sensazione che Dio abbia creato la nostra nazione e l’abbia portata al suo attuale livello di potenza per adempiere ad un grande compito - quello di difendere i valori spirituali, il codice della moralità contro le potenti forze del male che cercano di distruggere questi valori”. Sempre connesso al mito del self made man c’è quello dell’outsider, del fuorilegge che ridicolizza e mette in crisi le strutture ufficiali della società, che siano quelle militari, civili o poliziesche. Gli esempi sono più che numerosi; ma limitandoci a quelli più famosi, pensiamo a Rambo, che si conquista la simpatia del pubblico grazie al suo combattere per sé stesso, o a Kershey, protagonista del film “Il giustiziere della Notte”, che, abbandonato dalla polizia, si fà giustizia da solo. La figura dell’outsider, in fondo, non è in contraddizione con quella del “self made man”. In questa società fondata sull’individualismo non è inconcepibile, vista l’importanza data agli interessi personali, che qualcuno scelga una scorciatoia verso i propri obiettivi…
E’ chiaro che esiste un’élite tecnico-scientifico-industriale che fa apparire libero ed autonomo il “progresso sociale e culturale dei popoli” che è invece frutto di una sottile e suadente opera dì pluridecennale martellamento propagandistico.
La portata di queste considerazioni ci mette in evidenza l’enorme potere persuasivo che le forze dell’Avversario ottengono dal controllo dei mezzi di comunicazione di massa, al cui raffronto l’insieme delle pubblicazioni a carattere tradizionale può apparire come un sassolino di fronte ad una montagna.
Lungi dallo scoraggiarci, questo garantisce un’ulteriore pietra di paragone per quanti si trovano ad essere indecisi tra le allettanti proposte del mondo moderno e il richiamo verso il messaggio della Tradizione.
Da questa selezione le schiere della Tradizione non potranno che uscire ancora una volta qualitativamente rafforzate.
“Che ragione vi è di ridere, di essere contenti, quando tutto è in fiamme? Ravvolti dalle tenebre, non cercate una luce?” Buddha
Tratto da:RAIDO - CONTRIBUTI PER IL FRONTE DELLA TRADIZIONE
Anno II Numero 1 - ROMA - Equinozio d’Autunno 1996
(Tratto dal sito: www.azionetradizionale.com)