mercoledì 4 febbraio 2009

La Dottrina aria di Lotta e Vittoria [Fascicolo 38 - Raido]







PREMESSA




Un’antica massima recita: «Vita est militia super terram», ovvero, vivere non è conservarsi, ma lottare. Ma che significato hanno queste parole in un’epoca – come la nostra – dove tutto inneggia ad una sdolcinata pace, senza contrasto alcuno, in cui ogni giorno scorre uguale, appiattito su di una monotona esistenza borghese? Per quale motivo si dovrebbe oggi lottare, e soprattutto che cosa significa “lottare”?

L’Islam usò il termine di “Grande guerra santa” per descrivere la lotta interiore di quella parte dell’uomo virtuosa ed orientata verso il sacro, contro quella animalesca e brutale che compone la totalità degli uomini moderni: troppo presi dalla loro avidità e dall’interesse per accorgersi della loro condizione poco più che bestiale. Questa lotta interiore non è una battaglia intellettuale o mentale, né tantomeno può fermarsi alle “belle parole” o al credere di essere “qualcuno” o “qualcosa”: questa si concretizza solo nell’azione quotidiana svincolata dall’insieme delle passioni e dell’interesse che fa, invece, parte di quella natura animalesca che va vinta e dominata. Non è un caso allora che nei miti di molte tradizioni, la lotta contro la parte oscura di se stessi sia stata più volte presentata nel duello contro una bestia nascosta in una caverna o in un abisso, utilizzando di volta in volta un drago (San Giorgio), un serpente (Thor e Sigfrido) o un toro (Mithra), quali simboli di quelle passioni che, spuntando dalle profondità nel nostro essere, tentano di sopraffare la parte migliore di noi. Il santo, l’eroe, o l’uomo fattosi dio, intraprende allora la lotta nell’intento di vincere questa battaglia interiore, poiché azione doverosa e giusta: ma solo compiendola senza badare ai frutti delle proprie azioni riuscirà è possibile uscirne vittoriosi.

Il senso genuino della lotta, dunque, è quello di una azione eroica e purificatrice tesa alla trasformazione dell’uomo che, dalla sua condizione di semplice “prodotto della terra” (Homo deriva infatti da Humus, cioè “terra”), deve tendere ad essere Vir, cioè essere virile dotato di virtù. Chi dedica la sua vita a questo continuo ed incessante percorso di liberazione dalle scorie del mondo moderno – che ognuno porta più o meno conficcate dentro di se – è proprio il guerriero. Guerriero é colui che è mosso dall’Amore (inteso come tensione interiore verso ciò tutto ciò che è Verità e Giustizia), e poiché strumento di questa forza può agire libero dall’interesse e dalla paura, su di sé e sul mondo che lo circonda.

Chiarito questo, non si può cadere nel sottile tranello di identificare la parola combattimento esclusivamente  con un confronto sanguinoso e crudo con un avversario fisico: si può, infatti, lottare nella scuola (mirando ad ottenere il massimo dei voti), o in un ufficio (non facendosi invischiare nelle piccole gelosie ed invidie tra colleghi). Si può combattere, infine, facendo militanza: dedicando cioè il proprio tempo ad azioni che, costando sacrificio e non portando alcun ricavo personale, costituiscono l’arma migliore contro questa esistenza fatta di egoismi, viltà e di “uomini” che si confondono ormai con le rovine di questo mondo che cade a pezzi. Sicuramente la militia citata in quella frase non è la vita spesa nelle discoteche, o negli scontri tra tifoserie negli stadi, come non c’è eroismo nel correre in auto il sabato sera, e tantomeno c’è dignità in una vita fatta di vuote parole, di pigrizia o di timore per i propri interessi, di qualunque genere essi siano. Sono tutti casi – seppur diversi – in cui ci si agita come trottole impazzite o si è statici come cadaveri, che è lo stesso.

Valga dunque, oggi come ieri, il senso ed il significato degli antichi miti. Oggi come ieri, divenire esempio attraverso il quale tramandare i valori della stirpe e l’eredità degli avi è pertanto il nostro dovere. A noi, e a noi soltanto, spetta compierlo, mantenendoci saldi in questo mondo di rovine.

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Per fama e natura di contributo semplice e diretto, questo scritto di Julius Evola non avrebbe di per sè bisogno di alcuna presentazione. Da oltre trent’anni, infatti, questo agile documento, resoconto di una conferenza tenuta da Evola al Kaiser Wilhelm Institut a Roma il 7 dicembre 1940, ha influenzato il pensiero e la formazione d’intere generazioni di militanti politici. Pregio di questo scritto, qui riproposto con il testo originale in lingua tedesca, è proprio la sua intima semplicità, che lo rende di facile comprensione per un pubblico giovane che si avvicina a tematiche metapolitiche per la prima volta, ma anche per chi, in poche pagine, vuole ritrovare l’essenzialità della dottrina tradizionale.

Considerata l’importanza formativa di questo scritto, abbiamo ritenuto doveroso ripresentarlo in un formato nuovamente agile ed economico, con la speranza che possa così raggiungere un pubblico vasto, e destinandolo in particolar modo ai militanti di domani: avanguardie di una nuova Civiltà.



RAIDO


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