mercoledì 4 febbraio 2009

Dove andremo a finire?

Perugia, allarme per un gruppo di sedicenni di buona famiglia. Si vendono ai giovani pusher nordafricani in cambio di hashish e coca.





Fa freddo nel piazzale di Santa Giuliana, a pochi passi dall’arena e da una bella e austera chiesa del tredicesimo secolo. La brava gente di Perugia, intirizzita e sonnolenta nel pomeriggio domenicale, è chiusa in casa. Eppure, la spianata di cemento davanti al capolinea dei bus provenienti dalla provincia non è completamente deserta. Davanti al cancello spalancato sui giardinetti che portano alla basilica c’è un gruppetto di ragazzi, volti pasoliniani che però non appartengono alle periferie smembrate delle grandi metropoli. Sono maghrebini, giovani, 18, 20 anni al massimo. Saranno una decina, ti guardano fisso negli occhi quando incroci lo sguardo, come a dire: «Smamma, è territorio nostro». E poi c’è lei, magra, carina, infagottata in un cappotto attillato color vinaccia e il berrettino di lana bianco da cui escono i capelli corvini, lunghi fino alle spalle. A occhio non le dai più di 15, 16 anni. Si avvicina a un maghrebino, chiede «un tocchetto ma grande, più di quello dell’altra volta mi raccomando». E’ una delle «ragazzine terribili» di Perugia, occhi da bambine e corpi non ancora da donna, corpi pronti a vendersi per un po’ di fumo o una cartina di coca.



Sì, perché l’ultimo allarme lanciato con un’inchiesta del giornale «Corriere dell’Umbria» su questa città che un tempo era il simbolo della sana e tranquilla provincia italiana, riguarda proprio loro, le giovanissime che l’hashish non lo pagano con i soldi, ma con il sesso: «sesso estemporaneo», come lo definisce lo psichiatra Gianfranco Salierno, che qui dirige un centro di salute mentale. Il meccanismo è semplice, fin troppo: la studentessa si rivolge al pusher che ha poco più della sua età, e pattuisce il prezzo «in natura» della dose. Il «pagamento» avviene di solito sul posto, al riparo dei cespugli che costeggiano le aiuole dei giardini pubblici, o dietro i chioschi delle bibite con le serrande abbassate davanti alla chiesa di Santa Giuliana. «Fast sex», sesso rapido, si chiama così. Probabilmente accade la stessa cosa in altri posti di questa strana Italia, ma a Perugia fa un effetto particolare perché la città è piccola e per la gente di qui è un assillo imbattersi nei pusher ad ogni angolo di strada, in ogni vicolo del centro battuto nei week end da frotte di turisti armati di fotocamera. Un assillo e una preoccupazione, perché fra le mani di uno di quegli spacciatori potrebbe capitare una figlia, o una nipote. «E’ vero, si sono verificati casi del genere, con ragazzine di 16 anni che hanno relazioni con i maghrebini che vendono droghe leggere - confermano gli investigatori -. Appartengono a ceti sociali medio-alti, insomma non hanno grossi problemi economici. Eppure, invece di pagare, si danno. Hanno però gravi problemi familiari alle spalle».



Gli uomini della questura, quando si imbattono in loro durante una delle tante indagini sullo spaccio della droga in città, le segnalano ai servizi sociali e, naturalmente, avvertono i genitori. I quali, il più delle volte, cascano dalle nuvole. Eppure non è difficile notare gli strani traffici che si svolgono all’ombra delle chiese storiche e dei monumenti di Perugia. I pusher sono dovunque, anche di domenica, assolutamente riconoscibili, riuniti in gruppetti nella stretta via delle Streghe o in via del Bufalo, dove gli abitanti hanno montato i cancelletti per impedire agli spacciatori e alle loro giovanissime clienti di sedersi sulle scale esterne che conducono ai portoncini delle vecchie case. I muri, in queste stradine, sono sbrecciati e pieni di buchi. Non per vetustà: li scavano i ragazzi per depositare le dosi in attesa della distribuzione. In via delle Streghe la facciata posteriore di una chiesa è stata ridotta a un colabrodo, il prete ha dovuto chiamare i muratori per tappare i fori. Il grosso dello scambio fumo o coca-sesso estemporaneo avviene al mattino presto, prima delle otto, quando le ragazzine escono di casa per andare a scuola. A quell’ora i giovani mercanti di hashish sciamano nei giardinetti davanti ai licei. E’ così nel Parco della Cupa e, soprattutto, a Santa Giuliana. Si riuniscono anche nelle stradine che circondano l’Università degli Stranieri, a pochi passi dalla casa dove è stata uccisa Meredith Kercher. Il sesso, quando non avviene velocemente dietro a un albero, si consuma più tardi, in casa del pusher, o in una stanza squallida di un alberghetto. E’ successo pochi giorni fa, quando la polizia ha sorpreso in camera uno spacciatore tunisino, Djabali ben Kamel Tahar, che si intratteneva con una studentessa di 17 anni. Per lei era cominciato tutto come un gioco, ma è finito nel modo peggiore. Lui la ricattava: «Dico ai tuoi che ti fai». A Perugia la droga scorre a fiumi. Tre giorni fa, all’inaugurazione dell’anno giudiziario, il presidente della Corte d’Appello Antonio Bonajuto ha detto che i reati connessi alle sostanze stupefacenti sono cresciuti del 360 per cento nel distretto giudiziario. «Qui la percezione della droga è altissima - conferma lo psichiatra Gianfranco Salierno - . Basti pensare che Perugia è prima nella classifica delle città italiane per quanto riguarda il consumo di cocaina». E molte di queste «ragazzine terribili», prima o poi, finiscono per piombare nell’incubo delle droghe pesanti. «Finisce per crearsi un rapporto complesso fra la consumatrice di eroina e lo spacciatore - commenta ancora Salierno -. Non di rado mi capita di trattare casi in cui la tossicodipendente va a vivere a casa del pusher, instaurando con lui una relazione di tipo affettivo anche se mediato dagli stupefacenti».



Da: www.lastampa.it

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