lunedì 21 gennaio 2008

Pubblichiamo un interessante articolo sulla questione del Kosovo tratto da "Il Martello", mensile dell'Associazione Culturale Zenit.



La miccia Kosovo.



Siamo nel 1999, le urla strazianti della nostra Europa ricevono una tale eco che solo le sorde orecchie dei cinici mercanti e dei burattini della politica possono non ascoltare ed accogliere nel proprio cuore. A provocare tali urla le percosse che sta subendo sulla propria pelle il Kosovo. La regione forse più rappresentativa della ex Jugoslavia, in quanto terra di confine tra quelle audaci popolazioni orgogliosamente radicate alla propria tradizione slava e cristiana e quell’impertinente impero Ottomano che più volte, fortunatamente invano ma non senza fasi alterne che apportarono in questa regione la presenza di una nutrita componente musulmana, tentò di invadere il nostro continente e di imporsi prepotentemente surclassando secoli di nobile storia. Il Kosovo quale ultima frontiera di una bandiera dai colori nero, bianco e rosso della tradizione europea che sventola fiera al cospetto degli invasori che tentano in ogni epoca di ammainarla. Siamo nel 1999 dunque, dalle basi aeree NATO site in territorio italiano prendono il volo i caccia bombardieri diretti verso la Serbia; il governo allora presieduto da D’Alema autorizza l’utilizzo dello spazio aereo italiano consentendo una media di circa 600 raid NATO al giorno con conseguente elargizione di sangue di civili inermi. L’Italia si rende protagonista di una delle più violente mattanze perpetuate ai danni di un popolo sovrano nel nostro continente, le braghe del governo del “bel paese” si calano vergognosamente al cospetto dell’imperialismo a stelle e strisce davanti agli occhi del mondo intero. La decisione NATO di colpire la Serbia maturò a seguito di una condizione di malessere e precarietà che culminò alla fine degli anni 90 ma iniziò a manifestarsi in maniera evidente fin dalla fine degli anni 80, da quando cioè l’allora Repubblica di Jugoslavia manifestò il suo inesorabile declino. La popolazione albanese del Kosovo, forte dei propositi secessionisti annunciati da croati e sloveni, riaccese il vecchio fuoco della
contrapposizione con i serbi in una regione che già in passato fu oggetto di violente contrapposizioni interne. Negli anni 90 viene a formarsi un movimento armato separatista dal nome UCK che intende imporre le ragioni albanesi attraverso il terrore: uccisioni di serbi indiscriminatamente, attacchi alle entità statali e continue provocazioni verso il governo di Belgrado presieduto da Slobodan Milosevic. La situazione venutasi a creare sarà l’attestato esplicito di legittimazione nei confronti dei terroristi dell’UCK che, indecorosamente coperti dalle truppe ONU, inizieranno una meticolosa repressione ai danni della popolazione serba trincerata nella Methokia, ultima zona rimasta abitata principalmente da serbi. Il loro dichiarato fine è la pulizia etnica, basti pensare che tra i loro obiettivi non ci sono soltanto i civili, bensì tutto ciò che possa essere testimonianza di una secolare tradizione cristiano-ortodossa del Kosovo: nel 2004 l’UCK attaccherà oltre trenta chiese e monasteri cristiani, uccidendo almeno venti persone e incendiando decine di abitazioni di serbi, nell'arco di cinque giorni (oltre 45 tra chiese e monasteri erano stati distrutti nei cinque anni precedenti a questi disordini). La fine della guerra del Kosovo rappresenta inoltre il declino di uno degli ultimi uomini politici del Vecchio Continente dotato di amore verso i propri compatrioti e, di conseguenza, di un coraggio tale da renderlo nemico degli Stati Uniti, Slobodan Milosevic. Nel 2001 verrà consegnato da un asservito primo ministro serbo al tribunale internazionale situato nella città olandese L’Aia, ove verrà giudicato per i crimini contro l’umanità nonostante la sua temerarietà nel non riconoscere validità in quell’organo fantoccio.  Milosevic è stato trovato morto - in circostanze non ancora del tutto chiarite - nella sua cella del carcere de L'Aia la mattina dell'11 marzo 2006. La morte dell'ex presidente serbo segue di pochi giorni quella - avvenuta nello stesso carcere - di Milan Babić, ex-leader dei serbi di Krajina (Croazia), apparentemente suicidatosi il 5 marzo 2006 impiccandosi nella cella dove scontava una condanna patteggiata a 13 anni, e quella del serbo-croato Slavko Dokmanović, anch’egli apparentemente uccisosi in carcere all'Aia nel giugno 1998. Al funerale, svoltosi a Belgrado, parteciperà una folla composta da migliaia di commossi cittadini legati ad un uomo forte e testimonianza di sovranità nazionale. Lo scorso novembre si sono tenute in Kosovo le elezioni per il rinnovo dell’assemblea parlamentare, elezioni boicottate dalla popolazione serba esausta delle prepotenze albanesi appoggiate dall’ONU, e che hanno quindi decretato una facile vittoria dei kosovari albanesi e del loro leader candidato, l’ex capo dell’UCK Hashmin Tachi. La caratteristica più comune di questo movimento è il finanziamento che da sempre riesce ad assicurarsi attraverso il traffico d’armi, di prostituzione e di droghe che dall’Asia trovano un ottimo corridoio in quei territori verso l’Europa occidentale, prerogative candidamente conosciute ed avallate da un potente organo che prevede anch’esso a finanziare l’UCK da anni, il governo americano, sia esso presieduto da repubblicani o democratici. Chiaro esempio che conduce una mente libera ad una riflessione sull’ipocrisia dei governi che nel nostro paese dichiarano a parole di voler combattere certi pessimi fenomeni quali droga e prostituzione, ma poi in politica internazionale ammiccano con chi ne è la causa. Tornando ai drammi della guerra di quegli anni, alle azioni terroristiche dei separatisti non può certo rimanere inerme spettatore uno Stato forgiato da anni di crude battaglie e fortemente nazionalista qual è quello serbo; dunque la situazione si accalora e precipita con la decisione NATO di intervenire. La guerra è cruenta e conosce fasi alterne nonostante il palese squilibrio delle parti in causa, la resistenza serba mostrerà i propri artigli che ha accuratamente affilato in anni difficili e pieni di sangue che i freddi monti dei Balcani hanno più volte conosciuto nel corso della loro controversa storia; le operazioni militari condotte dal generale Arkan si riveleranno efficienti e talvolta particolarmente efferate al fine di difendere fino all’ultima zolla di terra la “iugoslavità” del Kosovo. Ma l’inevitabile capitolazione di un paese comunque debole a causa dei recenti fatti di sangue e la fisiologicamente lenta ripresa che ne consegue e a causa dell’ostilità che tutti i paesi occidentali mostrano nei suoi confronti attraverso atroci bombardamenti terroristici verso convogli di profughi, edifici civili, embarghi e campagne mediatiche menzognere che parlavano di 10000 albanesi uccisi, mentre la realtà, fino all’intervento NATO, dimostrerà in seguito che i morti complessivi, tra serbi ed albanesi, ammontavano a 3000. Le televisioni dei paesi occidentali mostravano sempre le stesse immagini di cadaveri, presentandocele ogni giorno come nuove; insomma, un film già visto e che l’occhio spento del telespettatore modello accoglie sempre con lo stesso stupore e la stessa artificiale aberrazione. Sta di fatto che la NATO avrà la meglio già entro la fine del millennio, il territorio nel corso dello stesso 1999 verrà provvisto di un governo e parlamento provvisori, e posto sotto il protettorato dell’ONU che invierà repentinamente i caschi blu.  Il 10 dicembre è scaduto il mandato da parte dell’ONU e, a distanza di diversi anni, si può registrare un nulla di fatto, con serbi ed albanesi in continuo contrasto e fermi sulle proprie posizioni. E’ lecito a questo punto domandarsi se stiano di nuovo spirando venti di guerra sul Kosovo, anche in virtù dell’atteggiamento americano che tramite Bush ha già aperto le proprie braccia verso il governo albanese, dichiarando la propria volontà a creare uno stato indipendente del Kosovo. Chiaro, anche in questo caso, come dietro la maschera dell’intervento umanitario si celi l’interesse economico: l’intento statunitense è quello di appropriarsi del controllo del petrolio dell’Asia centrale e togliendo il Kosovo alla Serbia, quindi dalla storica influenza che recita su di essa la Russia, potrebbe stabilirsi una rete di fornitura alternativa a quella russa. E’ necessario per gli USA appropriarsi delle strutture che permettono l’approvvigionamento di gas e petrolio provenienti dal Mar Caspio, dall’Iraq e dall’Iran. L’Unione Europea, con l’Italia in primis, ha già dichiarato che è pronta ad appoggiare un piano imposto da organi internazionali. Non possiamo non disgustarci a tal proposito, non possiamo non dolerci, da europei e dunque da cristiani, dell’ennesima umiliazione che il Kosovo e la sua secolare identità rischiano di subire. D’altronde è veramente triste rendersi conto anche in questo caso che ci troviamo in un’Europa relegata a mera istituzione economica, quella delle banche e della federazione economica che esiste da circa 50 anni e non s’è mai posta il problema di unire gli Stati in un’entità politica. In realtà l’Europa vive solo nel cuore puro di chi piange per lei, non può non provocare lacrime quando un presidente americano si autoproclama giudice della ripartizione territoriale degli Stati sovrani…

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