sabato 5 gennaio 2008

Anno nuovo, vita vecchia.

Anno nuovo, vita nuova. Questo è l’augurio che un po’ tutti ci siamo scambiati alla mezzanotte del 31 dicembre, anche perché il 2007 non è stato proprio un buon anno per la maggior parte degli italiani. Il 2008 sembra però essere iniziato con i peggiori auspici, almeno sul piano politico.

Del resto le premesse negative c’erano già tutte con il pessimo discorso di fine anno, trasmesso a reti unificate, del presidente della repubblica Giorgio Napolitano, forse il peggiore da molti anni, escludendo ovviamente quelli di Scalfaro, nei quali venivano toccate vette di “eccellenza” che resteranno a lungo irraggiungibili per chiunque.

Napolitano più che un capo dello Stato è sembrato il portavoce del governo, del resto la sua ascesa al Quirinale la deve solamente al centrosinistra e deve in qualche modo pur sdebitarsi. Il suo discorso è stato intriso di banalità ed ha toccato argomenti scottanti con una semplicità degna di chiacchiere da bar dello sport. Per esempio quando ha parlato di incidenti sul lavoro (non poteva certo glissare sull’argomento) non ha certo detto che alcuni degli operai morti a Torino erano alla loro dodicesima ora di lavoro consecutiva, alla quarta di straordinario. Non ha detto che in una nazione civile il lavoro straordinario dovrebbe appunto essere straordinario e comunque non incentivato, mentre questo governo, il governo dei suoi amici, ha pensato bene di detassare lo straordinario, a tutto vantaggio degli imprenditori. Non ha detto che il precariato diffuso ha indebolito i lavoratori “consigliando” loro di non creare troppi problemi, anche quando si parla di sicurezza.

Napolitano ha magnificato i (pochi) arresti eccellenti di caporioni mafiosi, ma la gente ogni giorno non teme Totò Riina o chi per lui, ma la microcriminalità diffusa, quella che ci minaccia fin dentro le nostre case e che è sempre più spesso figlia di una immigrazione selvaggia ed incontrollata. Napolitano invece ha quasi ringraziato i nostri invasori, considerandoli parte importante del futuro sviluppo dell’Italia e invitando gli italiani a non lasciarsi andare a sentimenti xenofobi se alcuni di loro sono stati veramente cattivi.

Napolitano non ha evidentemente a cuore la difesa dell’identità del nostro popolo e questo si è capito chiaramente anche quando ha fatto l’elogio della “tradizionale amicizia con il nostro principale alleato, gli Usa” ovvero l’invasore che ancor oggi ci tratta come un territorio occupato, praticamente una colonia a sovranità limitata.

Su una cosa il presidente è stato chiarissimo: non ha nessuna intenzione di sciogliere il parlamento e troverà sempre una soluzione per mantenere in sella un governo anche senza una vera maggioranza dietro le spalle.

Che Napolitano abbia detto quel che ha detto in fondo non ci stupisce; ci stupisce invece il fatto che il centrodestra (ad esclusione della Lega) abbia fatto un bel coretto di approvazione alle sue parole.

Così, se il 2007 è stato l’anno delle tasse, delle lacrime e del sangue (quello dei lavoratori), il 2008 si appresta a diventare l’anno degli inciuci, delle insane alleanza, degli accordi indecenti: tutto nel segno di una stessa politica ultraliberista, fatta di privatizzazioni selvagge e di dissipamento degli ultimi gioielli di famiglia degli italiani.

Con il tappo di spumante Prodi non è saltato, ma le speranze, si sa, sono le ultime a morire, perché in fondo i mali di questa politica sono veramente incurabili ed il bubbone prima o poi scoppierà anche se ancora non si sa se a farlo scoppiare saranno gli intrighi centristi, gli integralismi di vecchi e nuovi teodem oppure qualche tardivo rinsavimento di quella che ancora oggi si ostina a chiamarsi sinistra e che sinistra non è più da tempo, a cominciare proprio dal signor Napolitano.



Di Paolo Emiliani, uscito su Rinascita.

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