venerdì 25 gennaio 2008

Noi non dimentichiamo i martiri palestinesi.



Pubblichiamo un altro interessante articolo dell'Associazione Culturale Zenit sulla questione delicata dei Palestinesi.









Chiunque abbia un sentimento identitario particolarmente sviluppato non può che sostenere le battaglie di quegli ultimi guerrieri che, a diverse latitudini e con caratteristiche culturali distinte, si battono fieramente per il raggiungimento del medesimo scopo ideale: la salvaguardia della propria specificità contro l’omologazione imperante nel mondo moderno. Spesso in condizioni disagiate, in situazioni di rapporto numerico col nemico assai sproporzionate, questi ultimi alfieri della Tradizione dei popoli preferiscono imbracciare un fucile ed imboccare la angusta strada del pericolo, pur di non tradire il valore e la fierezza dei propri avi che per quella causa hanno pagato col sangue. Preferiscono lo scoppio sordo dei proiettili, la trepidazione che si respira in barricata, il compianto per il fratello ucciso dai nemici, alla meschina politica che gli invasori vogliono imporre; il compromesso.


Il loro nobile atteggiamento è la rappresentazione più nitida e splendente di quel che si intende per fedeltà ad un’idea, è la manifestazione più chiara di quel che concerne il rapporto tra uomo e terra. Non c’è nulla di più onorevole che battersi e rischiare la pelle pur di non cedere un passo a chi, con affilate lame capitaliste, intende tagliare quel retaggio culturale che proietta l’uomo verso il proprio passato, facendone custode e difensore della specificità dello stesso contro l’omologazione…

In questo senso, il medioriente è senza dubbio la regione di maggior fermento ancora oggi. Le immagini dei bambini palestinesi che impugnano sassi e li lanciano incautamente contro i carri armati con la stella di Davide hanno fatto il giro del mondo e, da ormai decenni, rappresentano il simbolo della stoica battaglia del popolo palestinese che insorge all’invasione della propria terra da parte dei sionisti ebrei. Un’opinione pubblica fin troppo compiacente con le arroganti politiche sioniste, per via di un enorme peso sulla coscienza nei confronti del popolo ebraico che le propagande occidentali non vogliono far altro che alimentare, non si è mai interrogata coscientemente su ciò che in realtà è accaduto in Palestina: un popolo sparso in quasi ogni angolo del mondo, ma accomunato da una fede religiosa, si impone di rimpadronirsi di una terra che, in linea di coerenza con una propria interpretazione di alcuni testi sacri, ritiene promessa da secoli. Poco importa se questa terra venga abitata da centinaia d’anni da un altro popolo ormai radicato sulla stessa e che compone con le popolazioni confinanti un tessuto etnico culturalmente omogeneo. Si è imposto che questa armonia culturale in medioriente debba essere stravolta dall’arrivo in massa di cittadini da ogni dove, tutti di religione ebraica. Tale imposizione viene appunto chiamata sionismo. Ed il sionismo è la causa della nascita del moderno Stato d’Israele che, a sua volta, è causa di conflitti bellici infiniti e tra i più cruenti della storia. Ma è bene mistificare il luogo comune su cui si sviluppa la tesi della “terra promessa”: il fatto che in Palestina sia nato il popolo ebraico. E’ sì vero che la culla della loro religione sia lì situata (come d’altronde della religione cristiana e di quella mussulmana), ma è altrettanto vero che gli ebrei in Palestina arrivarono per la prima volta nel 1730 a.c. provenendo dalla Mesopotamia, ma il loro fu un semplice passaggio; la meta finale era l’Egitto, laddove rimasero per quattro secoli. Solo nel 1200 a.c. gli ebrei, dopo la prima di innumerevoli persecuzioni che avverranno nei loro confronti nel corso della storia (sui motivi meglio tralasciare, dal momento che la storiografia, diciamo così, non riconosce una posizione ufficiale in merito…), verranno cacciati dalla patria dei faraoni e, guidati da Mosè, tenteranno di impadronirsi di suddetta “terra promessa”. Non riusciranno però ad imporre il loro dominio sulle popolazioni locali e, a seguito di alcune assimilazioni culturali, daranno vita ad una struttura politica sul territorio tribale. Solo nel 1020 a.c. si avrà il primo regno d’Israele, con Saul prima, Davide poi e Salomone infine; perché quest’ultimo fu l’ultimo re di un regno israeliano unito. A causa di divergenze avverrà una divisione tra sud e nord e, successive invasioni, lo distruggeranno definitivamente. Nel 63 a.c. l’Impero romano allargherà il suo spazio vitale anche su queste terre e, la necessità di Roma di stabilire pace e prosperità, segnerà la più atroce disfatta del popolo ebraico. I rapporti tra ebrei, notoriamente refrattari al tipo di società che i romani intendono delineare anche in Palestina, e romani saranno all’insegna di rivolte dei primi e interventi sedativi dei secondi. Queste tensioni avranno due episodi chiave, la distruzione dei romani del Tempio di Salomone (luogo sacro agli ebrei per eccellenza) e nel 132 d.c. la definitiva fuga ebraica e la conseguente rinascita della provincia col nome di Siria-Palestina. Quest’ultimo episodio non verrà mai digerito dagli ebrei dispersi, che intanto si stabilirono in varie zone d’Europa e non, e il profondo legame con quella terra non cesserà. Gli ebrei nei secoli continueranno a mantenere integro tra loro un contatto intenso e, per mano di uno scrittore ebreo ungherese, alla fine dell’800 uscirà un libro che ridesterà in loro la volontà di trasformare in realtà il sogno che li ossessiona: il ritorno nella “terra promessa”. E’ da questa pulsione emotiva che scaturiranno delle migrazioni massicce in Palestina. Il che rappresenta il primo di una serie di avvenimenti che, oltre a segnare la nascita storica del sionismo, sanciranno anche l’unione tra popolo ebraico e corona britannica. Nel 1917 è opera del governo inglese la “dichiarazione Balfour” che prevede l’appoggio britannico incondizionato al popolo ebraico che intende ristabilirsi in Palestina. Con arroganza tipicamente anglosassone la dichiarazione ignora la presenza del popolo palestinese, la stragrande maggioranza, di religione e cultura islamica. L’intenzione è quella di soppiantarlo. La Palestina diventa una polveriera nel 1935 quando, a seguito dell’ennesimo movimento migratorio ebraico, si segnala l’inizio di una tenace ed organizzata rivolta araba. Gli insorti debbono fare i conti sia con gli ebrei che con l’esercito britannico che ha un mandato nella regione. La rivolta avrà fine soltanto nel 1939. Ma la situazione non cesserà a degenerare negli anni a venire. Soprattutto a fine guerra mondiale, l’ennesima ondata migratoria ebraica, segnerà un punto di svolta: il 14 maggio 1948 l’ONU riconosce la nascita dello stato d’Israele e le truppe britanniche, che negli ultimi anni subiscono l’ostilità anche degli ebrei che reclamano uno stato nazionale indipendente, si ritirano. La reazione di chi si è visto occupare la propria terra da stranieri ed ora subisce anche il riconoscimento internazionale di tale sopruso è immediata, ma il tentativo di opporre resistenza è vano. Israele dopo un anno di scontri controllerà il 78% del territorio ed i palestinesi subiscono un esodo di massa dalla propria terra. Gli anni successivi saranno segnati dalla solidarietà degli altri paesi arabi e dalla decisione, proposta dal leader egiziano Nasser e promossa dalla Lega Araba, di costituire un’organizzazione palestinese unificata. Nel maggio ’64 nascerà l’organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP). Le azioni contro Israele si intensificheranno, fino a sfociare nella guerra dei sei giorni nel 1967, in cui Israele occuperà gran parte dei territori (Gerusalemme est, Cisgiordania, Gaza e Golan siriano). L’episodio creerà la consapevolezza che l’unica strada percorribile da parte dei palestinesi sia la guerriglia armata; la fiducia nei vicini paesi arabi verrà meno. Da quella data in poi vi sarà un’intensificarsi degli attacchi direttamente in terra d’Israele, spesso opera spontanea di palestinesi non aderenti ad alcun movimento. Episodi chiave segneranno il susseguirsi degli avvenimenti; l’operazione israeliana “pace in Galilea”, il massacro di civili a Sabra e Chatila, il “Settembre nero”, la prima e la seconda intifada, gli episodi che videro protagonista il carismatico leader Arafat,gli accordi di Oslo, fino ad arrivare all’attuale crisi interna al popolo palestinese, sfociata con gli scontri tra Hamas e l’esercito del governo di Abu Mazen, “sceso a compromessi con gli invasori”. Qualche freddo dato statistico può aiutare a capire come oggi possa esser difficile in una certa zona del pianeta per un uomo vivere in quella che dovrebbe essere la sua terra. Vi invitiamo a visitare dunque in rete pagine che possono aiutare a capire cosa accade oggi in Palestina, in giorni che ardono nello squarcio del valico di Rafah propagando fiamme lungo tutta la striscia di Gaza:



www.infopal.it

palestinanews.blogspot.com

1 commento:

  1. io su questa cosa ho raccolto qualche immagine evocativa... click on the galaxy

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