Il 30 gennaio 1972 un plotone di paracadutisti inglesi del primo reggimento spara su una folla di pacifici manifestanti a Derry: sono 13 i morti e molti i feriti di quella domenica di sangue. La manifestazione fu indetta per protestare contro la sostanziale mancanza di diritti civili, causata anche da pesantissime norme di polizia, come la reclusione preventiva senza termini temporali per il processo per chi era sospettato di essere un militante repubblicano. Ogni anno questa data viene ricordata a Derry con una marcia di commemorazione alla quale, oltre a migliaia di irlandesi, partecipano rappresentanze da varie nazioni europee e da tutto il mondo. La strage, che viene ricordata come “Bloody Sunday”, non ha avuto colpevoli ufficiali, poiché fu premiata la tesi secondo la quale i militari avrebbero risposto al “fuoco dei dimostranti”, ma è invece acclarato che questi ultimi non erano armati. Ancora una volta nella travagliata storia Irlandese ci si trovò di fronte ad una distorsione della realtà, atta a nascondere le tragiche responsabilità del paese di sua maestà durante l'occupazione irlandese. Lo stesso paese che è a tutt'oggi “esportatore di democrazia” alla ruota dei loro degni cugini d'oltreoceano.
La tragedia del “Bloody Sunday”, segnò un ulteriore punto di svolta nella tragica storia della questione irlandese, consegnò infatti molti giovani patrioti repubblicani ad una scelta drammatica quanto inevitabile: rispondere con le armi, come i loro padri prima di loro, a chi, con le armi, negava loro la libertà e cercava lo sradicamento dell'identità del loro popolo.
Trentasei anni fa morirono tredici innocenti e non furono né le prime né le ultime vittime dell'oppressione di sua maestà a spese del popolo irlandese, un popolo fiero, che con sangue e sudore lotta da decenni per la libertà nella propria terra, per le proprie tradizioni e per la propria cultura.
Di tempo ne è passato; oggi la situazione nell’Irlanda del Nord è apparentemente normalizzata. Dopo più di trentotto anni di occupazione militare, il 31 luglio 2007 è stato formalizzato il ritiro delle truppe militari britanniche nelle sei contee (Aontroim, Ard Mhacha, An Dún, Fear Manach, Tír Eoghain, Doire) ingiustamente occupate.
Ora, a seguito delle elezioni svoltesi l’8 marzo 2007, a Belfast si è instaurato un nuovo governo di coalizione, composto dagli ex-rivali Ian Paisley (Democratic Unionist Party, protestante), e Martin Mc Guinness (Sinn Fein, “Solo noi” in gaelico, cattolico ed ex-militante dell’ Irish Republican Army).
Ma, chi minimamente conosce la situazione NordIrlandese, sa bene che è una pacificazione di facciata, realizzata all'insegna di un falso e ipocrita buonismo foraggiato e incoraggiato da chi preme solo per il mantenimento dello status quo, alla faccia di chi, in anni di dura lotta, è passato attraverso ingiustizie sociali, repressione poliziesca, ingiusti processi e carcerazioni, fino al sacrificio della Vita.
Ma nelle Sei Contee e in tutta l'Irlanda c’è ancora chi brandisce con orgoglio il vessillo della propria identià, in fede a quello che da sempre fu il motto dell’ I.R.A, Tiochfaidh àr là, (in gaelico, il nostro giorno verrà!). E' il popolo irlandese, quello vero, quello puro, quello ribelle, che con una tenacia d’altri tempi ancora lotta per la propria terra, per la propria gente e per la propria autodeterminazione; quello che non si è scordato di chi, con il sangue, ha lottato per vedere l’isola verde una e unita, senza padroni stranieri: coloro che non hanno mai dimenticato il fulgido esempio di Bobby Sands, che dichiarò, poco prima della morte dopo 61 giorni di sciopero della fame nella prigione di Long Kesh: “Non mi è difficile morire, perché morirò per i miei amici”.
Fiduciosi che ancora oggi questi valori siano vivi e radicati, non possiamo che rimanere al loro fianco.
Comunità Militante Perugia
Associazione Culturale Tyr



Non siamo soliti scrivere di politica su questo giornale, ma oggi lo vogliamo fare, non tanto per prendere le parti di un partito o di una coalizione, ma perché gli ultimi avvenimenti hanno evidenziato dei comportamenti che rimarcano un aspetto sociale particolare ed è appunto questa la materia che trattiamo di solito qui.
La NATO deve prepararsi a lanciare anche attacchi nucleari preventivi per scongiurare l’uso di armi di distruzione di massa da parte dei nemici (1). Non è ancora il programma che Robert Gates presenterà al vertice NATO a Bucharest. Per adesso, è un suggerimento per la riforma dell’Alleanza, presentato «spontaneamente» da quattro pezzi molto grossi dell’apparato militare euro-americano. Firmato da quattro ex capi di Stato Maggiore, fra cui il britannico lord Peter Inge e il generale USA John Shalikashvili, il documento è intitolato «Towards a Grand Strategy for an Uncertain World - Renewing Transatlantic Partnership» (2) e vuol essere la bozza della «riforma» auspicata dal Pentagono; il cui capo, Robert Gates, s’è recentemente lamentato della impreparazione delle truppe europee in Afghanistan e della necessità di riaddestrarle per il nuovo tipo di guerra futura. Guerra asimmetrica e irregolare, controguerriglia, guerra al «terrorismo». Il documento propone un rovesciamento epocale della dottrina strategica dell’Alleanza, che ha sempre dichiarato che avrebbe usato l’arma nucleare solo come risposta ad un attacco nucleare. Ora invece, si propone di usare l’arma assoluta per primi. L’attuale dottrina «ci lega le mani» e «ci priva di un grande elemento di deterrenza», ragionano (se si può dir così) i firmatari. «Il rischio di altre proliferazioni è incombente [oltre all’Iran, sottinteso], e con esse il rischio di una guerra nucleare, benchè limitata in ampiezza, diventa possibile. L’uso per primi di armi nucleari deve rimanere nella nostra faretra dell’escalation come il mezzo definitivo per scongiurare l’uso di armi di distruzione di massa». E chi avrebbe queste armi di distruzione di massa? Sì, già lo sappiamo: «Terrorismo, fanatismo e fondamentalismo religioso sono le grandi minacce per l’Occidente» nelle guerre future, scrivono i suggeritori. Insomma è il proseguimento della lotta inaugurata da Bush, e se Bush tramonta, il progetto complessivo resta. I firmatari non perdono tempo a spiegarci perché una testata atomica sia uno strumento possibile contro il fanatismo religioso. E il lato agghiacciante è che tra i «pericoli per il sistema di vita dei membri della NATO» pongono anche «la criminalità organizzata, il cambiamento climatico e le migrazioni su scala di massa», piaghe contro cui il mezzo militare non sembra più indicato. Ma vogliono instillare la sensazione che - come Israele - il nostro mondo è circondato da nemici, tanto più pericolosi in quanto mal identificati. Può accadere che immigrazioni di massa e crimine organizzato forniscano la Bomba al «fondamentalismo religioso», o magari al «fanatismo» e al «terrorismo» fanatico religioso. Il diffondersi delle tecnologie nucleari, infatti, ci assicurano i quattro, significa che «non esiste alcuna prospettiva realistica di un mondo nuclear-free. Semplicemente non c’è». Per di più, l’indebolimento delle alleanze globali (ONU) è un fatto compiuto: compiuto da chi, non viene detto. Il mondo è in disordine, e non ha più tavoli negoziali aperti. Quindi meglio prevenire. Se questa dottrina fosse stata vigente quando Colin Powell dimostrò all’ONU, con foto satellitari, flaconi di presunto antrace, e tubi di alluminio che Saddam aveva i mezzi per fare la sua Bomba ed armi batteriologighe, oggi l’Iraq sarebbe vetrificato da funghi atomici preventivi.
Siamo nel 1999, le urla strazianti della nostra Europa ricevono una tale eco che solo le sorde orecchie dei cinici mercanti e dei burattini della politica possono non ascoltare ed accogliere nel proprio cuore. A provocare tali urla le percosse che sta subendo sulla propria pelle il Kosovo. La regione forse più rappresentativa della ex Jugoslavia, in quanto terra di confine tra quelle audaci popolazioni orgogliosamente radicate alla propria tradizione slava e cristiana e quell’impertinente impero Ottomano che più volte, fortunatamente invano ma non senza fasi alterne che apportarono in questa regione la presenza di una nutrita componente musulmana, tentò di invadere il nostro continente e di imporsi prepotentemente surclassando secoli di nobile storia. Il Kosovo quale ultima frontiera di una bandiera dai colori nero, bianco e rosso della tradizione europea che sventola fiera al cospetto degli invasori che tentano in ogni epoca di ammainarla. Siamo nel 1999 dunque, dalle basi aeree NATO site in territorio italiano prendono il volo i caccia bombardieri diretti verso 

Ieri sera, aerei da combattimento israeliani hanno bombardato con almeno tre missili una postazione delle brigate al-Qassam, a ovest della città di Gaza. 3 palestinesi sono rimasti uccisi: Ashraf al-Ashi, Mahmud al-Banna e Shadi Qtefan. Altri 3 sono rimasti feriti. Fonti mediche hanno comunicato il decesso del combattente Ziyad Abu Taqiyah, membro delle brigate dei Mujahidin appartenenti a Fatah, a seguito delle ferite riportate tre giorni fa da un bombardamento israeliano contro la cittadina di Beit Hanoun, a nord della Striscia di Gaza. Questa mattina, nei pressi della rotonda al-Qaram, a poca distanza dalla moschea di as-Siddiqin, nella cittadina di Jabalia, a nord della Striscia di Gaza, le forze di occupazione israeliane hanno lanciato un missile terra – terra contro un gruppo delle brigate al-Qassam: un giovane è stato ucciso e altri 3 sono stati feriti. Il dott. Mu'awiya Hassanin, direttore del servizio di Pronto soccorso del ministero della sanità palestinese, ha riferito al corrispondente di Infopal che il bombardamento ha ucciso Ismail Radwan, 23 anni, membro delle brigate al-Qassam, ala militare di Hamas, e che altri tre sono stati feriti. La vittima e i tre feriti sono stati trasportati all’ospedale Kamal Odwan, a Beit Lahiya.
E’ da tempo che abbiamo intrapreso una campagna di controinformazione sulla questione dei parcheggi a “strisce blu” nella nostra città, tra il silenzio quasi totale delle istituzioni e degli organi di stampa. Non tutti lo sanno, ma a Perugia molti di questi parcheggi a pagamento sono irregolari perché violano diversi articoli del codice della strada. L’articolo 7 comma 6 del codice della strada indica che




Il congresso sullo stato di salute del pianeta che si è svolto a Bali con la partecipazione di quasi tutti i Paesi del mondo, ha lanciato un messaggio all’intera umanità.