martedì 11 dicembre 2007

Tempi moderni: diario quotidiano di un giovane precario.

Il lavoro in una società postmoderna ha assunto caratteristiche contrattuali tali da essere impostato in un’ottica precaria, non si ottiene un lavoro per ottenere una qualifica, un futuro, si cerca e si ottiene in misura sempre crescente a tempo, appunto precario. Le parole d’ordine impostate dalla sinistra governativa usate in campagna elettorale tese a dare speranza, saranno facilmente disattese con buona pace della sinistra radicale. D’altro canto bisogna solo accontentare gli uomini forti legati ai loro padroni, Prodi e non solo uomini di fiducia della Goldman & Sachs, fatti che i lettori conoscono bene, ciò che in pochi conoscono sono le realtà lavorative fattuali, ovvero i lavori presenti. Come si lavora e quali siano le logiche lavorative che caratterizzano il lavoro stesso, pochi giornalisti o scrittori hanno dedicato opere letterarie o incontri, tavole rotonde sull’argomento. L’unica eccezione in questo vuoto culturale è rappresentata dalla letteratura dominata dai racconti sui call center (altra realtà infelice), sulla vita di adesso in cui il lavoro è un altro aspetto tra i tanti di precarietà crescenti. Memorabili in questo senso sono stati il libro: ”Quando scadi ?” scritto da autori vari e con prefazione di Nichi Vendola e la pièce teatrale chiamata: ”Call center e la rivoluzione“ di Ascanio Celestini. Fanno riflettere entrambe le opere sulla tristezza di questi lavoratori giovani e meno giovani senza prospettive, in questo panorama culturale però nessuno si è occupato dei lavoratori precari delle catene multinazionali commerciali. Nessun letterato ma anche nessun giornalista presunto o sedicente si è mai degnato di scrivere un capoverso, si sono sprecate le opere contro MacDonalds e negli Stati Uniti nord americani le inchieste su Wall Mart, in Europa e in Italia c’è un buco spaventoso sulla conoscenza di queste realtà. Il titolo è già eloquente, il toyotismo o ohnismo è un sistema di produzione inventato in Giappone da Tahichi Ohno nel dopoguerra. Fu una rivoluzione produttiva tesa ad eliminare tutti i problemi logistici cercando di razionalizzare i depositi, si impose di eliminare e non tenere a disposizione scorte inutilizzate cercando di produrre beni in piccola serie evitando spese di riparazione. In Italia, come in tutta l’Europa, questo modello produttivo è arrivato sottoforma del mito del deposito zero e del tutto al momento giusto; ormai le spese di certe catene commerciali adottano questa strategia che porta anche ad evitare spese di riparazione dopo un ciclo di gestione e di produzione di circa tre anni, un’altra di caratteristica di questo modello di produzione è l’eliminazione di ogni logica di diritto sindacale di base e premiazione continua di elementi giudicati validi e produttivi isolando elementi problematici giudicati come asociali; per creare questa perversa logica si cerca di creare uno spirito pseudo patriottico teso a sviluppare nei lavoratori, la convinzione di lavorare per una sorta di seconda patria, il mito di essere parte di una squadra e tenutari di una missione nobile. Un metodo pratico per creare il mito di una squadra è creare una socialità fittizia, creare degli eventi è un modo per ridurre la vita dei lavoratori alla vita dell’azienda. Queste prospettive lavorative sono state importate in Europa con mezzi e criteri adattati alla realtà attuale, uno di questi esempi è dato dall’azienda multinazionale francese Decathlon, azienda con esperienza in Italia che risale al 1992 nel settore della vendita a prezzi pseudo modici in materiale sportivo. In quest’azienda tutti i lavoratori sono giovani e hanno contratti a termine, gli unici possessori di contratti a tempo indeterminato sono i responsabili “universo”, nome utilizzato per designare coloro che gestiscono un determinato settore di vendita. In questa prima distinzione si delinea già una differenza marcata tra categorie di lavoratori, gli uni precari e studenti, gli altri con un contratto migliore e ignoranti come le capre. Potrà sembrare una boutade ma è il gioco su cui si basa la forza dell’azienda, negli ultimi anni dopo aver privilegiato responsabili laureati o comunque in grado di interagire in modo sincero, sia pure di facciata con i giovani precari, adesso si assumono responsabili con un infimo livello di cultura generale e quindi plasmabili dai piani alti. Per piani alti si intendono i responsabili regione e i direttori degli aspetti comunicativi dell’azienda stessa, è facile accorgersi della miseria culturale di questi pseudo capi, consiglio ai lettori di provarci. Entrate in un negozio Decathlon rivolgetevi ad un responsabile chiedetegli qualcosa con un vocabolario diverso dall’italiano televisivo attuale. Bene, è difficile che capisca e che sappia rispondervi, in compenso elogerà la sua squadra ovvero i suoi sottoposti, termine che è bandito all’interno dell’azienda (pena richiamo e poi licenziamento) in quanto si è membri di una squadra… E’ una squadra strana perché se ci sono progressioni di vendite gli elogi e gli encomi vanno esclusivamente ai responsabili, i venditori hanno solo colpe e difetti, possono solo migliorare; questo è un aspetto del toyotismo in salsa burocratica, si distribuiscono elogi ed encomi ma solo a coloro che occupano già posti di responsabilità, chiunque non abbia un posto di responsabilità è meglio che non ci speri mai perché di fatto non si cresce in azienda. Mi spiego meglio, encomi e promozioni vanno solo ai responsabili, i venditori sono solo un gruppo di lavoratori giovani da combattere, disprezzare ma anche al medesimo tempo da ingraziare. In 1984 di George Orwell il grande fratello elargiva ai propri sudditi come mezzo di stordimento il gin Vittoria, qui ci sono due gite chiamate uscite sportive alle quali chi non partecipa viene segnalato come eventuale elemento di disturbo per la squadra. Procedimento che si ripropone in occasione delle ore di lavoro non pagate, ci sono serate di preparazione ad alcuni eventi commerciali nelle quali di fatto si lavora spiegando che tipo di strategia adottare come muoversi… Queste ore sono extralavorative e si è precettati, chi non partecipa gli verranno imposte orari spiacevoli. Tutto per l’azienda! Il mito toyotista del magazzino zero è stato applicato in modo esemplare, ciò che si può comprare e ciò che si vede esposto e niente di più. Questo è il clima di un’azienda molto conosciuta in Italia e nel mondo, un modo di gestione commerciale toyotista appunto. I venditori si trovano appunto sotto due fuochi contrapposti, da un lato sono vituperati e bistrattati in quanto il loro operato non è mai sufficiente e possono essere definiti come i nipoti scemi della NKVD, dall’altro sono portati quasi alle lacrime dalle continue ed assordanti richieste di un’umanità bassa e laida che frequenta questi plessi. Un’umanità che passa le sue giornate in non luoghi come questi, dimenticandosi ad esempio del passare delle ore e che soddisfa le sue frustrazioni nel più becero consumismo, stressando i venditori torturandoli verbalmente se non si trova quel tipo di logo da loro cercato. In questi plessi commerciali è difficile pensare ad un avvenire migliore soprattutto quando si ha a che fare con la gente . Il popolino ormai, incantato dai film natalizi e stordito da televisione becera, deve solo sorridere e pensare alla propria missione che è quella di rendere lo sport più accessibile. Questa è la missione e bisogna compierla con tutti i mezzi, viene da pensare a che prezzo umanamente parlando si riuscirà a rendere lo sport più accessibile e cosa c’è dietro il sorriso di un venditore. Ebbene dietro il sorriso di un venditore Decathlon vi è una minaccia velata ma presente che si vede dietro i cinici occhi dei servi del capitalismo commerciale più basso, un sorriso purtroppo che vista la non conoscenza dei propri diritti da parte dei giovani basta poco a far rivivere. In fondo ci sarà un’altra festa, non importa che il lavoro sia precario, non importa non avere diritti, una festa farà passare tutto. Questa è una realtà lavorativa, in mondo che si avvia verso un avvenire incerto e in un contesto di disordine globale, c’è da sperare solo in una crisi sistemica che colpisca anche queste attività, allora forse anche i forzati del sorriso torneranno a rivendicare i propri diritti.



Di Dario Giacomo Raffo, pubblicato su Rinascita.

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