sabato 8 dicembre 2007

Morti bianche o rosse del sangue delle vittime dei padroni?



I capitalisti, benefattori dell’umanità come ci insegnano fin da piccoli, dovrebbero, in quanto imprenditori, investire capitale proprio per instradare le proprie aziende sulla via del guadagno, utilizzando i profitti sia per il proprio tornaconto personale, sia per reinvestire nuovamente nelle attività, così da innescare un ricircolo di denaro che consenta la vita stessa delle aziende.




Ma questo non accade. I cosiddetti imprenditori, che casomai qualcuno non lo avesse capito sono benefattori soltanto di sé stessi, non utilizzano mai la propria liquidità, ma beneficiano di sovvenzioni di vario genere (banche, istituzioni) per affrontare le spese che le loro attività richiedono quotidianamente. Il fine ultimo però, il guadagno, non viene mai meno. Questo obiettivo unico, alimentato da una mercantilistica cultura individualista non solo economica, ma anche sociale, è il deus ex machina che muove le azioni e le reazioni di questi biechi individui. E c’è un solo modo, nel capitalismo occidentale, per aumentare a dismisura i guadagni: abbattere i costi.


Oltre a questo, bisogna aggiungere che i costi non abbattibili (che purtroppo per i nostri amici imprenditori ancora permangono) vengono spalmati sulla collettività (cioè noi) con l’aumento dei prezzi dei prodotti finiti o con il non adeguamento delle remunerazioni dei dipendenti (cioè noi) al costo della vita. Ma i costi di produzione si possono tagliare in molti modi: si può numericamente diminuire la forza lavoro (leggi licenziare i lavoratori), si possono rendere più efficienti i cicli produttivi (scordatevelo, significa investire nuovi capitali) oppure si può evitare di spendere per tutto ciò che la proprietà considera superfluo (leggi sicurezza sul lavoro).


E oggi a noi interessa verificare questo ultimo aspetto. Dopo la recente tragedia che ha colpito i lavoratori della ThyssenKrupp di Torino (acciaieria su suolo italiano, ma di proprietà tedesca) non si può non pensare che tutto si sarebbe potuto evitare e che, almeno in una linea produttiva di laminati in acciaio inossidabile, forse sarebbe stato il caso che idranti, telefoni d’emergenza ed estintori funzionassero.


Però si dà il caso che né telefoni, né idranti, né estintori funzionassero: sfortuna? Non crediamo proprio. Il problema è un altro e non si chiama malasorte, si chiama appunto mancanza di misure di sicurezza. Misure di sicurezza che non vengono attuate perché comportano costi aggiuntivi per l’imprenditore, perché in fin dei conti se qualcuno proprio deve morire questo è sicuramente un operaio (e non un imprenditore) e perché in un mondo dominato dal capitale e dai suoi lupi bramosi di ricchezza nemmeno la giustizia riesce a mettere le mani sui colpevoli di tali gravissime negligenze.


E la costante impunità dei capitalisti non è un fattore da sottovalutare, anzi è diventata nel tempo un’arma potentissima nelle loro mani. Nessuno può e deve permettersi di alzare la voce (figuriamoci le spade!) contro coloro i quali, ogni volta che vengono attaccati, si ergono a difensori della libertà come se il concetto di libertà fosse uguale al concetto di libera impresa senza regole né vincoli.


Ogni qualvolta qualcuno prospetta anche solo sottovoce la fine della libera impresa senza regole e chiede di porre un freno al libero arbitrio dell’imprenditore, il branco di lupi si stringe a difesa dell’ideologia ladra, usurpatrice e mercantile che ha caratterizzato gli ultimi duecento anni della storia occidentale borghese; e lo fa utilizzando tutti i potenti mezzi a sua disposizione, con un bombardamento mediatico che non lascia spazio a repliche né a contraddittori: giornali, televisioni, parlamenti…


Ah, dimenticavamo i politici, tutti (dal Presidente della Repubblica fino all’ultimo degli eletti), ingranaggi sempre ben oliati di questo sistema, si prodigano in pietosi e falsi messaggi di cordoglio alle famiglie dei caduti e in richieste ufficiali di maggiori controlli sui posti di lavoro (leggi lettera morta), ma alla fine dei 5 minuti di ufficiale pietà istituzionale, riprendono di gran lena il loro lavoro di servi consapevoli e assoluti dei potentati industriali che ne controllano le vite e le carriere.


Allora, alla luce di tutto ciò, permetteteci di fare della sana propaganda e permetteteci di dire che l’unica soluzione sarebbe proprio quella da noi prospettata: quella della socializzazione dei mezzi di produzione. Quella soluzione che non lascia scampo a nessun imprenditore privato, dove lo Stato controlla tutti i cicli produttivi in quanto espressione viva del popolo e non mera istituzione di appoggio al capitale.


Un Stato dove i lavoratori siano imprenditori di sé stessi nel senso più sociale del termine, dove le aziende producano per il bene collettivo e dove le decisioni, a qualsiasi livello e di qualsiasi tipo, siano il frutto dell’esperienza di condivisione di tutte le forze impegnate nel ciclo produttivo.


Uno Stato in cui le condizioni di vita dei lavoratori e il loro futuro, in quanto fondamento dell’avvenire della società stessa, siano al centro dei pensieri dei legislatori e non una voce di spesa (eventuale) di un bilancio industriale. Insomma, uno Stato dove le misure di sicurezza nei posti di lavoro siano decise dai lavoratori stessi e non da chi pensa che i lavoratori siano carne da macello per i loro infimi e socialmente inutili guadagni.



Una società nuova, fatta da uomini nuovi, liberi di decidere il proprio destino.



Articolo di Bluto, tratto da www.sinistranazionale.it

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