Gli americani - per quanto valgono le generalizzazioni - ci mettono un po' a capire. Ma quando capiscono...Da trent'anni si ingozzano di hamburger informi da Burger King, McDonald, Dominos, Wendy's, Dunkin' Donuts, Mickey's, ma c'è voluta la sfrontatezza investigativa di Eric Schlosser, esposta nel suo libro bestseller "Fast Food Nation", per far loro intuire che tra quegli strati di grasso con cui ingozzano i bambini c'è, tra l'altro, anche della merda. Cacca di vacca, ad essere più signorili, quella che finisce nei fantastici tondini durante la macellazione della povera bestia. I nastri dei macelli scorrono troppo veloci, e i latinos immigrati clandestinamente e che clandestinamente lì lavorano, non fanno in tempo a tirare fuori gli intestini decentemente, prima dell'inizio della lavorazione della carne. Spesso, le interiora restano metà fuori e metà dentro, con spargimento fecale per ogni dove. Il film di Richard Linklater ( Prima del tramonto , Prima dell'alba , Skanner Darkly ) arriva sui nostri schermi dopo Super Size Me di Morgan Spurlok (concentrato sulla produzione McDonald) e quindi l'impatto di denuncia ne risulta alquanto affievolito. Inoltre Linklater, tutt'altro che affine per percorso autoriale al mockumentary stile Moore, del testo-inchiesta di Schlosser ha fatto una sorta di drama, messinscena zeppa di attori impegnati (Patricia Arquette, Ethan Hawke, Kris Kristofferson, Avril Lavigne, Catalina Sandino Moreno, un fantastico Bruce Willis), e concentrati al massimo nel ricostruire il contesto socio-politico in cui la truffa hamburger prende forma. Lo scannatoio delle vacche infatti è situato nella fantasiosa cittadina di Cody, punto di incontro tra vaccari, chicanos fuggiti alla miseria e in cerca del dollaro facile, e finanzieri senza scrupoli. Il risultato è, appunto, l'hamburger alle feci, di cui in nome dell'ignaro popolo statunitense viene a conoscenza il marketing executive Don (Greg Kinnear), con suo sommo sbigottimento. Ma davvero il mio padrone, miliardario re della Mickey's, quello che mi dà tutte le mattine una pacca sulla spalla e mi porta in vacanza con moglie e figli alle Bahamas, dà scientemente da mangiare ai suoi ignari clienti della merda?, si domanda il buon Don. La risposta è evidente. E c'è da rallegrarsi che il film e il libro abbiano rallentato gli introiti delle grandi catene di fast food. Ma detto questo, Linklater è colpevole di confusione mentale e autoriale, padre di un film in cui la forza del tema è continuamente annacquata da siparietti umani di piccola provincia. Il lavoro sugli attori e sui personaggi, del resto, è sempre stata la sua carta vincente, al contrario dei suoi tentativi di cinema impegnato, che già in precedenza lo hanno visto scivolare verso il caos espositivo. Fast Food Nation mette un po' di mal di stomaco. Ma più per la noia che per i suoi "big one".
Roberta Ronconi (Liberazione)
Roberta Ronconi (Liberazione)
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