lunedì 2 marzo 2009

HUNGER STRIKE, PER LA LIBERTA’.








Il primo marzo ricorrono ventotto anni dall’inizio dello sciopero della fame nei Blocchi H della prigione di Long Kesh. Ricorrono ventotto anni dall’inizio dell’atto sacrificale che grida giustizia per un Popolo che da secoli è martoriato dall’oppressione inglese. Bobby Sands, il primo prigioniero politico irlandese che iniziò la protesta, scriveva nel suo diario prima di morire: ‘Sono un prigioniero politico. Sono un prigioniero politico perché sono l’effetto di una guerra perenne che il Popolo irlandese oppresso combatte contro un regime straniero, schiacciante, non voluto, che rifiuta di andarsene dalla nostra terra. (….) Sto morendo non soltanto per porre fine alle barbarie dei Blocchi H o per ottenere il nostro giusto riconoscimento di prigioniero politico, ma soprattutto perché ogni nostra perdita, qui, è una perdita per la Repubblica e per tutti gli oppressi che sono profondamente fiero di chiamare la “generazione insorta”’.




L’intransigenza del governo britannico il primo marzo 1976 aveva fatto si che lo status di prigioniero politico venisse abolito dichiarando: ‘Crime is crime, it’s not political’.  Da tempo i detenuti politici irlandesi erano così costretti a vivere in condizioni inumane, erano vestiti solo di una coperta e convivevano con i loro escrementi. L’Hunger Strike fu l’ultima di una serie di proteste intraprese dai militanti irlandesi per richiedere il ripristino dello status abolito nel 1976; le richieste fondamentali erano cinque: indossare i propri abiti e non quelli dei detenuti comuni, essere esenti dai lavori del carcere, avere la libertà di associarsi agli altri detenuti politici durante le ore di svago, avere diritto alla stessa riduzione di pena dei detenuti normali e quella di ricevere una persona e una lettera a settimana.






L’indifferenza del governo di Maggie Thatcher verso chi soffriva in un modo così atroce, l’indisponibilità a trattare in alcun modo con i prigionieri e la chiusura di qualsiasi forma di dialogo era un qualcosa di sconvolgente. Bernadette Devlin nella prefazione a ‘Nor Meekly Serve My Time – The H-Block Struggle 1976/1981’, un libro dedicato alla dramma dei Blocchi H pubblicato nel 1994, scrive: ‘niente ha sconvolto la mia vita più di quella tragica vicenda’.






Il cinque maggio del 1981 Bobby Sands muore nell’ospedale della prigione dopo sessantasei giorni di sciopero della fame trasformandosi da uomo in simbolo. Bobby Sands concludeva il suo diario, tenuto per i primi diciassette giorni di sciopero della fame, con queste parole: ‘Se non sono in grado di uccidere il tuo desiderio di libertà, non potranno spezzarti. Non mi spezzeranno perché il desiderio di libertà, e della libertà della popolazione irlandese, è nel mio cuore. Verrà il giorno in cui tutta la gente d'Irlanda potrà mostrare il suo desiderio di libertà. Sarà allora che vedremo sorgere la luna’.






Tra il maggio e l’agosto del 1981 morirono altri nove combattenti - sei dell’Ira e tre dell’Inla - che avevano intrapreso questa protesta. Il tre ottobre dello stesso anno cessò lo sciopero della fame e il governo inglese si decise ad accettare le richieste dei prigionieri.






Bobby Sands, Kieran Doherty, Thomas McElwee, Mickey Devine, Martin Hurson, Kevin Lynch, Francis Hughes, Joe McDonnell, Pasty O’Hara e Raymond McCreesh ci lasciano l’esempio di persone in grado di combattere fino a morire per la propria libertà. Non ci resta che meditare, ricordarli e onorarli.



Articolo di Fabio Polese

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