Gli U.S.A. a colloquio con la giunta birmana. la Thailandia si propone come mediatrice in un negoziato tra Karen e governo militare. Prima o poi doveva accadere. Lo avevamo previsto e quindi non ci sorprendiamo. Nel mondo governato dalla logica dei poderosi flussi economici e commerciali, in questo "grande gioco" da villaggio (e mercato) globale, era soltanto questione di tempo. Un paese come la Birmania, demonizzato a parole da buona parte dei governi democratici occidentali, descritto come una fucina di nefandezze e di soprusi ai danni di movimenti libertari e di monaci buddisti, riceve ora le lusinghiere proposte del Dipartimento di Stato americano, e l"utile collaborazione del governo tailandese, per risolvere il problema del suo futuro assetto politico. Stephen Blake, direttore della sezione Sud Est Asiatico del ministero per gli affari esteri statunitense, ha compiuto due giorni fa una visita ufficiale nella nuova capitale del Myanmar, incontrando il suo omologo birmano per una serie di colloqui. I giornali governativi birmani descrivono l"incontro "cordiale e fruttuoso, inteso al deciso miglioramento dei rapporti bilaterali tra Myanmar e Stati Uniti". Pare si sia parlato di una lista di questioni di interesse comune tra i due governi, in vista delle elezioni in Myanmar, previste per il 2010. E" dello stesso giorno la proposta avanzata dalla Thailandia alla leadership della KNU (Unione Nazionale Karen) per l"avvio di negoziati con la giunta militare di Rangoon per il raggiungimento di un cessate il fuoco dopo 60 anni di conflitto. Ricordiamo che negli ultimi sei anni la Thailandia ha strangolato la resistenza Karen esercitando lungo i suoi confini un capillare controllo sui flussi di viveri ed equipaggiamenti diretti ai reparti dell"Esercito di Liberazione, arrestando comandanti militari e rappresentanti politici, consentendo alle milizie filobirmane coinvolte nel traffico di stupefacenti di sconfinare ripetutamente per colpire alle spalle i reparti della guerriglia, e infine espellendo dal paese tutti gli iscritti alla KNU. Una manovra diretta chiaramente all"indebolimento della resistenza contro i Birmani, con i quali Bangkok ha stretto negli anni accordi commerciali di grande importanza. Ora, con i Karen oramai allo sbando, la proposta tailandese suona come un ultimatum: o accettate il dialogo (a condizioni facilmente immaginabili) oppure ve la vedete con l"esercito birmano, senza più poter contare su una base logistica arretrata da cui poter, sebbene faticosamente, rifornire i resistenti. Era previsto, dicevamo. Lo si capiva da come la guerriglia Karen non avesse mai, e ripetiamo mai, ricevuto alcun supporto da qualsivoglia governo, tanto meno da quello statunitense, nonostante quello che sostengono improvvisati "esperti" di Birmania di cui abbiamo letto ultimamente supponenti analisi. Abbiamo letto dei Karen descritti come il braccio dell"imperialismo USA, come un cuneo inserito nel costato della Cina, ultimo baluardo contro l"omologazione planetaria diretta da Washington. Chi ha voluto andare a vedere con i propri occhi quel che succedeva in quella parte del mondo (mettendosi uno zaino in spalla e introducendosi clandestinamente in Birmania) ha avuto modo di capire quanto lontane dalla realtà siano a volte certe teorie, perfette soltanto se rimangono nell"alveo di uno studiolo, o nelle noiose sale che accolgono interminabili convegni di geopolitica. Cina, Stati Uniti, India, Russia, Thailandia, Israele, Singapore, Giappone, Gran Bretagna, Australia, Germania: questi paesi sono oramai parte del gioco birmano. Con le loro connessioni, le pressioni commerciali e diplomatiche esercitate in diversi modi sulla giunta di gerontocrati al potere a Rangoon, con le consegne di armi, gli accordi di importexport , le aziende multinazionali, sempre astute e fameliche, a riempire di regali i generali e i loro famigliari. Con l"enorme affare della droga, sempre più business per governi in cerca di liquidità. Fuori dai giochi, paradossalmente dovremmo dire se non conoscessimo invece come funziona il mondialismo, quelli che noi consideriamo i legittimi difensori dell"intoccabile diritto all"autodeterminazione. Quei Karen che avevamo deciso di aiutare sulla base della condivisione dei motivi della lotta da essi condotta: difesa dell"identità, rifiuto di ogni droga, preservazione del territorio dei Padri, tutela dei figli, mantenimento delle tradizioni. Oggi i Karen vengono sacrificati sull"altare degli equilibri economici. Non contano nulla. Anzi, disturbano gli operatori del mercato. Rallentano il progresso e la realizzazione delle "grandi opere". La pace che viene loro proposta, ammesso che di pace vera si tratti, implicherà una serie di rinunce rispetto agli ideali da essi perseguiti. E già all"interno della resistenza si acuiscono le differenze che opponevano l"ala politica a quella militare. Vi sono comandanti dell"Esercito di Liberazione che non vogliono sentir parlare di accordi. Non per ottuso rifiuto di alternative alla lotta armata. Ma perché sanno che i negoziati vanno condotti da posizioni di forza, e non quando si ha un cappio stretto intorno al collo. La rabbia nei confronti dei tailandesi monta tra i reparti Karen. Alcune unità sarebbero desiderose di combattere su due fronti: contro i Birmani e allo stesso tempo contro i soldati di Bangkok. La leadership politica, abituata a vivere lontana dai campi di battaglia, comodamente ospitata (finora) nelle cittadine tailandesi, spesso sorda nei confronti delle richieste dei combattenti, pare abbia invece un forte desiderio di concludere in qualche modo sessanta anni di esperienza rivoluzionaria. Il nuovo ordine mondiale sta sistemando anche questa faccenda. Tutti contenti, tutti con la loro fetta di torta. Tutti, tranne chi ha lottato armi in pugno, inutilmente, per 60 anni, per degli ideali fuori moda. Anzi, fuori mercato.
Franco Nerozzi, www.comunitapopoli.org
Franco Nerozzi, www.comunitapopoli.org
Conosco da poco il vostro blog, è la prima volta che commento e per questo ne approfitto per farvi i complimenti per l'impegno, per il tentativo di tenere deste le coscienze di un popolo che vive col telecomando in mano, in attesa del prossimo televoto.
RispondiEliminaIl vostro impegno e ammirevole, al di là delle convinzioni personali in merito alle singole questioni.
Se me lo concedete, un unico appunto: in una società così refrattaria alla riflessione, alla presa di coscienza, all'impegno, non credete che occuparsi di tematiche così ampie non rischi in qualche modo di disperedere e frammentare il vostro impegno?
Non sarebbe forse meglio giocarsi (alemno inizialmente) tutte le carte su tematiche "di casa nostra" che potrebbero coinvolgere maggiormente la gente?
Il vostro e il nostro si linkano a vicenda, ma a me farebbe molto piacere se voi poteste essere parte attiva (con commenti, suggerimenti, segnalazioni ecc...) del nostro blog, che essendo espressione di un giornle free press a carattere locale raggiunge un maggior numero di utenti su problemi legati al territorio.
Il motivo, per me, è semplice: ogni grande cambiamento deve comiciare dalla propria casa.
Grazie, e ancora complimenti.
Francesco
Grazie signor Francesco,
RispondiEliminaapprezziamo innanzi tutto il fatto che lei abbia compreso e di conseguenza voluto sottolineare alla perfezione lo spirito che anima questo spazio.
Circa l'appunto che ci muove: ci trova assolutamente d'accordo circa l'importanza dell'affrontare tematiche "di casa nostra", e coerentemente in queso senso agiamo. Basta infatti scorrere le pagine di questo blog per rendersi conto che non siamo assolutamente lontani dalle problematiche del nostro territorio e della nostra gente; alcune iniziative che abbiamo intrapreso in passato lo testimoniano, e quelle che abbiamo in programma andranno assolutamente in questa direzione.
Circa le tematiche "ampie": ciò che può apparire a prima vista così lontano, è in realtà incarnazione di valori identitari e solidaristici che riteniamo fondamentali, e dopo aver conosciuto determinate realtà l'impegno a sostegno di questi progetti è diventato per noi imprescindibile. (Detto per inciso, se solo un piccolo riflesso dei valori che ho citato dovesse essere prima o poi recepito nella società "refrattaria" che lei cita, sarebbe un grandissimo risultato...).
Infine, condividiamo la sua ultima affermazione, ma aggiungiamo che prima di tutto il cambiamento comincia da noi stessi.
Grazie per l'attenzione.
A presto.
G.L.
Associazione Culturale Tyr
Intervengo nuovamente, e con piacere, per due motivi:
RispondiElimina1) conoscevo da poco le vostre iniziative, ho avuto modo di leggere in maniera più approfondita il blog e documentarmi, ed effettivamente la vostra attività a carattere locale è notevole.
2)Sono pienamente consapevole che ogni tematica affrontata non è fine a se stessa, non appartiene a mondi lontani e separati dal nostro. Lo so io, lo sapete voi, forse lo sanno anche buona parte dei nostri concittadini. Ma sappiamo anche che i nostri stessi concittadini (e connazionali) hanno più facilità a prendere in mano un telefono e spendere 2 euro per inviare un televoto piuttosto che perdere 20' per compilare un reclamo per le multe delle strisce blu. Sapendo questo, credete che informarli del fatto che la droga prodotta in Birmania poi arriva direttamente al cervello dei propri figli, possa smuovere le loro coscienze?
Con stima
Francesco