mercoledì 18 marzo 2009

Domenico Rudatis.

Riportiamo alcune parti di una conversazione con Domenico Rudatis, già proposta, in modo più ampio, in Libraria - bollettino bibliografico delle Edizioni di Ar - del 1989. Domenico Rudatis è nome noto a coloro che praticano la "montagna" come via di liberazione. Suoi scritti sono apparsi nella Rivista del C.A.I. e in Diorama filosofico (alcuni sono stati ripresentati nell'antologia curata da E. Longo per Il Cavallo alato: "Il Regno perduto"). Un suo libro - "Liberazione. Avventure e misteri nelle montagne incantate" - è stato pubblicato nel 1985 (Belluno).





D. - Per alcuni studiosi l'approccio alla montagna attraverso l'alpinismo, se vissuto con una certa intensità, può suscitare profonde modificazioni nella sfera psichica del soggetto, che si trova così a vivere una radicale trasmutazione dei livelli di coscienza. Per questi studiosi, tale esperienza ha notevoli analogie e affinità con il "trauma" che connota, nelle antiche tradizioni esoteriche, la cosiddetta «morte iniziatica». Alla luce delle sue numerose esperienze alpinistiche ed esoteriche, qual'è il suo pensiero al riguardo?

R. - La morte iniziatica in alpinismo è puramente letteraria! Si ritrova maggiore iniziazione nelle Odi di Pindaro e negli insegnamenti dell'Oriente che in tutta la vasta letteratura di montagna che ora si sta moltiplicando materialmente e svuotando spiritualmente. Il mio primo tentativo spirituale è la mia descrizione di una discesa notturna da Pan di Zucchero della Civetta, pubblicata nella « Rivista » mensile del C.A.I. nel maggio-giugno 1929. E' la prima e unica nel suo genere. Fece impressione a Evola, che subito mi scrisse di collaborare a Ur. Ebbero così inizio la mia amicizia e collaborazione con Evola. Questi comprese subito la «portata esoterica» della mia esperienza. La liberazione implica pure una relativa indipendenza dalla tecnica e dalla razionalità. Altrimenti la logica sarebbe la «divinità universale»!



D. - L'alpinismo oggi tende a divenire sempre meno un'avventura nel mondo misterioso della montagna e sempre più tecnicismo: esasperato al punto di espellere da sé la necessità della montagna, come nel caso di certe arrampicate sportive del c.d. «sassismo». Che cosa pensa di questa tendenza?

R. - Ogni disciplina ginnastica, sia in palestra che in montagna, in fondo rimane sempre e soltanto ginnastica. Non si può pretendere molto di più. Parlare e sperare in un alpinismo spirituale è forse ormai fuori o lontano dalla realtà. Dicono che lo sponsor, la stampa e il materiale sono il triangolo dell'obbedienza - forse accettato supinamente!



D. - Nel suo "Liberazione" lei ha scritto che la pratica dell'alpinismo può suscitare riflessioni affini a quelle di chi pratichi lo Zen e condurre a una liberazione della coscienza. Ci può illustrare questo concetto?

R. - La pratica dell'alpinismo si avvicina allo Zen quando si riesca a sgombrare lo Zen da tutti i residui razionalistici, retorici, verbali e filosofici, secondo gli insegnamenti originari di Bodhidharma, per cui la percezione della montagna diventa pura esperienza. Così come lo Zen produce satori quando la mente risulta un limpido specchio.



Tratto da: www.georientamenti.org

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