ECCO LE "APERTURE" DEL GOVERNO BIRMANO. CARRI ARMATI E STUPRI CONTRO LE MINORANZE.
Con le loro facce soddisfatte e le loro cravatte immacolate i burocrati dell'Unione Europea continueranno probabilmente a far finta di non vedere cosa succede veramente in Myanmar. E' probabile che per quegli accordi trasversali che garantiscono alle diverse forze politiche la tranquilla permanenza dei loro rappresentanti nelle aule e nei ristoranti di lusso a Bruxelles, tutti fingeranno di non capire che l'Inviato Speciale per la Birmania, il neosindaco di Torino Piero Fassino sta lavorando contro il Popolo e i Popoli che abitano i territori chiamati dai colonialisti britannici Birmania.
L'Inviato aveva già fatto rabbrividire la dissidenza birmana e i rappresentanti dei gruppi etnici in occasione delle elezioni farsa del novembre 2009, giudicandole un passo positivo verso l'apertura del dialogo con la giunta militare.
Oggi la sua azione è pari a nulla, il che, nella situazione esistente in Birmania, equivale ad un concreto sostegno al regime militare che ancora governa il Paese alla faccia della tarocca tornata elettorale.Il problema è più complesso, ovviamente, e va oltre le responsabilità dell'Inviato Speciale il quale, da neosindaco di Torino ha addirittura concesso la cittadinanza onoraria ad Aung San Suu Khyi, perpetuando l'equivoco giochetto per babbei che esultano di fronte a gesti di nessun valore concreto ma che mettono a posto le coscienze. Me li immagino, tutti quei democratici e pacifisti amici della bicicletta, appartenenti a chissà quali girotondi, a quali popoli viola o turchini, a quali pride, commuoversi di fronte ad una foto gigante dell'eroina dei diritti umani esposta su qualche immobile di proprietà comunale. Me li immagino, tornarsene a casa con i loro figliuoli ai quali sono convinti di aver dato una grande lezione di civiltà e di umanità per aver fatto da parterre ad uno spettacolo da quattro soldi. Aprano gli occhi, almeno una volta. E sappiano che Aung San Suu Khyi è molto preoccupata (parole sue) per l' atteggiamento dell'Unione Europea. Sapete cosa se ne farà di quelle gigantografie sui palazzi italiani?
Continua a leggere su: http://www.comunitapopoli.org/uploads/documento1.pdf
sabato 30 luglio 2011
Notizie dalla Birmania.
Manifestazione a Roma per Brendan Lillis
Dopo i ripetuti appelli rimbalzati sulla rete e sui social network negli ultimi giorni, venerdì a Roma di fronte all’ambasciata britannica si è tenuta una manifestazione in favore della liberazione di Brendan Lillis. Il prigioniero politico repubblicano è rinchiuso ormai da 623 giorni nel carcere nordirlandese di Maghaberry senza che ancora gli siano state mosse accuse e in gravi condizioni di salute. Brendan è affetto da una malattia degenerativa che lo ha portato ha pesare solo 37 chili e negli ultimi giorni le sue condizioni sono addirittura peggiorate. Venerdì, infatti, due rappresentanti del Sinn Fein, che sono riusciti a entrare nel carcere di Maghaberry per vedere Lillis, hanno fatto sapere di aver trovato il prigioniero repubblicano in stato confusionale e con la febbre molto alata a causa di un’infezione contratta da poco.
I due hanno inoltre riferito che il medico non era presente nella prigione, forse partito per le ferie, e che le autorità del carcere non hanno fornito alcuna indicazione riguardo la data del suo possibile rientro. E, infine, cosa ancora più grave, la compagna di Brennan, Roisin, ha rivelato di aver appreso la notizia del peggioramento delle condizioni di salute di Lillis dai due esponenti del Sinn Fein e dalla televisione perché l’amministrazione carceraria non le aveva fatto sapere nulla. Ed è proprio per impedire che le autorità britanniche uccidano il prigioniero repubblicano, detenuto in condizioni atroci e in piena violazione dei diritti umani, che il “Coordinamento Amici di Brendan Lillis” ha voluto manifestare venerdì di fronte la rappresentanza diplomatica di sua maestà a Roma chiedendone la liberazione. Una dimostrazione che ha riscosso una partecipazione superiore alle aspettative proprio per la sua importanza nonostante fosse un venerdì di fine luglio sotto il sole della capitale italiana.
Nell’arduo e disperato tentativo di sensibilizzare le autorità carcerarie e il governo britannico, Roisin, assieme a numerosi ex Pow’s (Prisoners of war- Prigionieri di guerra), Blanketmen e altri militati repubblicani, ha iniziato uno sciopero della fame. Sulla scia di questa iniziativa non si può quindi fare a meno di continuare a mobilitarsi, chiedere la liberazione di Brendan, e pretendere che Londra rispetti i diritti umani. Qualora infatti si dovessero spegnere i riflettori dei media su questa vicenda, la sorte di Lillis sarebbe segnata.
http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=9789
giovedì 28 luglio 2011
Pennivendoli.
Fra il paese reale, vissuto sulla strada e raccontato in rete, ed il paese virtuale, vissuto in poltrona e raccontato da giornali e TV, la distanza si è fatta ormai abissale, fino al punto da arrivare a costituire due universi antitetici privi di contatto fra loro.
Tutti coloro che non hanno la capacità, il tempo o la voglia di attingere da internet il proprio bagaglio informativo, e costituiscono la stragrande maggioranza della popolazione, restano relegati in un mondo virtuale, costruito ad hoc per emarginarli dalla realtà e veicolato presso l'opinione pubblica da pennivendoli e mezzibusti TV, deputati a rendere credibile un mondo di fantasia che non esiste.
La conseguenza più evidente di questo stato di cose è costituita da una manipolazione sempre più profonda dell'opnione pubblica, condotta al guinzaglio laddove chi tira le fila dell'informazione intende portarla.
Per meglio leggere le dinamiche di questo processo, proviamo a rifarci ad una serie di avvenimenti di questi ultimi giorni che riguardano la lotta contro il TAV in Valsusa, in merito ai quali conosciamo nel dettaglio la realtà dei fatti, avendola vissuta in prima persona. Con la premessa che gli accadimenti in oggetto e la loro rappresentazione filmica nel mondo di fantasia, non costituiscono un'anomalia, ma al contrario rappresentano lo specchio fedele di quanto avviene sistematicamente in ogni angolo d'Italia, in merito alle questioni più svariate.
Dopo un paio di settimane durante le quali pennivendoli di ogni risma e colore hanno dispensato menzogne a pioggia in merito alla manifestazione svoltasi a Chiomonte il 3 luglio, animando di fittizia vita ectoplasmatici black block ed incensando la correttezza delle forze dell'ordine, impegnate (mai viste dai reporter) a gasare cittadini inermi e sparare lacrimogeni ad altezza uomo in faccia al malcapitato di turno, si diffonde in rete un filmato ........
che mostra il reale volto dei poliziotti e carabinieri presenti a Chiomonte, impegnati a scalciare e sprangare un manifestante che giace inerme a terra, a lanciare pietre sulla testa dei contestatori e distruggere con le ruspe ciò che resta di un antico sito archeologico megalitico.
Posti di fronte all'evidenza delle immagini che stanno spopolando in rete, alcuni telegiornali (LA7 e TG3 in primis) tentano di salvare in corner il mondo virtuale costruito a tavolino, mandando in onda qualche pillola del filmato stesso, insieme a commenti di varia natura che deplorano l'accaduto, ma giustificano i poliziotti che avrebbero "solamente" lanciato le pietre che in precedenza erano state lanciate loro. Giustificazioni, oltretutto non corrispondenti a verità, talmente deliranti da bastare per qualificare il mezzobusto di turno.
Durante la settimana che va dal 18 al 23 luglio, le forze dell'ordine lanciano sistematicamente a più riprese, spesso senza motivazione alcuna, lacrimogeni al cs sulle tende del campeggio NO TAV, intossicando le persone che dormono, fra le quali alcuni bambini. Il tutto nonostante le tende si trovino ad oltre 500 metri dalla recinzione, dove eventualmente potrebbe rendersi necessario fronteggiare la presenza di manifestanti. La notte del 21, mentre sul ponte di fronte alla recenzione si sta svolgendo il ballo liscio, le forze dell'ordine aprono improvvisamente gli idranti su suonatori e ballerini, distruggendo strumenti e amplificatori, senza che esistessero motivazioni per un'azione di questo genere che prescindessero dalla qualità dello spettacolo forse non degno di "Amici".
Pennivendoli e mezzibusti fingono d'ignorare tutto ciò che accade nel corso della settimana, limitandosi a stigmatizzare i manifestanti che attaccherebbero sistematicamente le recinzioni e relegando i bambini intossicati nel novero delle realtà che in quanto scomode devono essere sottaciute.
Domenica 24 luglio continua l'assedio alle recinzioni, nel corso del quale viene divelto un cancello. La reazione delle forze dell'ordine è a dir poco brutale, idranti e lacrimogeni vengono usati senza parsimonia. Un ragazzo che sta documentando l'accaduto con la macchina fotografica viene colpito in piena faccia da un lacrimogeno lanciato ad altezza uomo che gli devasta il volto, mentre le tende del campeggio subiscono l'ennesima irrorazione di gas venefico.
Pennivendoli e mezzibusti TV si guardano bene dal descrivere l'accaduto, non fanno menzione del giovane che sta rischiando la vita in ospedale e del gas dispensato ai campeggiatori, ma copiano diligentemente le veline portate in dono dalla questura che parlano di facinorosi ed anarchici che avrebbero ferito lievemente 5 poliziotti. Improvvisamente però si ricordano dei bambini gasati, ma solo per imbastire accuse da denuncia nei confronti dei NO TAV, colpevoli secondo la fantasia visionaria dei giornalisti da cortile di averli usati come scudi umani. In tutta evidenza nell'odierna Val di Susistan, anche certo "giornalismo" sta iniziando ad applicare i metodi già sperimentati in altre parti del mondo.
La notte del 24 luglio alcuni camion vengono dati alle fiamme all'interno della ditta Italcoge cui è appaltata la costruzione del cantiere. Nonostante si tratti di un'azione facilmente riconducibile ad eventuali lotte intestine fra clan (anche in virtù del curriculum della stessa Italcoge) i pennivendoli si scagliano subito contro i NO TAV che in 20 anni di lotta gli incendi li hanno sempre subiti, ad iniziare da quelli dei presidi, per finire con camper e roulottes posteggiati al momento del rogo nei terreni presidiati dalle forze dell'ordine, in tutta evidenza in quel frangente assai disattente.
La mattina del 25 va a fuoco a Roma la stazione ferroviaria Tiburtina, in corso di ristrutturazione per diventare scalo di riferimento del TAV. Anche in questo caso molta stampa, con in testa il Giornale, costruisce titoli in prima pagina che lasciano intuire un eventuale coinvolgimento del movimento NO TAV, in quello che viene ventilato possa essere un attentato. Solamente quando con il passare delle ore diventa evidente come la causa del rogo alligni in un guasto tecnico o sia da imputare al furto di rame, i titoli online vengono modificati o ammorbiditi, dopo avere ormai ottenuto l'effetto voluto presso l'opinione pubblica.
La mattina del 26 un gruppo di manifestanti NO TAV si dispone a presidio della ditta Italcoge, senza bloccare i dipendenti che escono per andare al cantiere della Maddalena, ma limitandosi a distribuire loro volantini informativi. I manifestanti, sotto lo sguardo dei carabinieri, issano una bandiera NO TAV sul pennone, accanto a quella italiana e si recano al mercato di Susa, per mettere in mostra i prodotti tipici locali, consistenti in candelotti lacrimogeni al cs di ogni sorta e modello, raccolti nei boschi, dove hanno ormai sostituito i funghi per la gioia dei valligiani, con l'aggiunta di qualche proiettile di gomma (ne abbiamo raccolti un paio anche noi) di quelli che le forze dell'ordine hanno sempre negato risolutamente di avere sparato.
Pennivendoli e mezzibusti TV stravolgono completamente la realtà, raccontando quello che non è mai accaduto. Operai bloccati dai manifestanti ed impossibilitati a recarsi a lavorare (ammesso e non concesso che la devastazione ambientale sia azione identificabile come lavoro) e "cattivi" NO TAV poco patrioti che avrebbero tolto la bandiera italiana per sostituirla con quella con il treno crociato.
Occorre fare molta attenzione, perchè se pennivendoli prezzolati, giornalisti d'accatto e disinformatori di professione, continueranno a fare il loro sporco lavoro con la solerzia che gli è propria, imbonendo il "popolo bue" ormai deprivato di spina dorsale e disposto a bere qualsiasi amenità gli venga proposta, in breve tempo della realtà non resterà più traccia. E ci ritroveremo tutti a vivere all'interno di un gigantesco Truman Show, dove ogni volta che ci bastonano saremo costretti a ringraziare con il sorriso sulle labbra.
Di Marco Cedolin,
mercoledì 27 luglio 2011
L’incubo è vostro.
Cari occidentali, a furia di evocare ad arte i fondamentalismi poi vi nascono in casa quelli genuini.
Mettetevi d’accordo con i vostri incubi, cari liberali d’occidente. Un massone ammiratore di Churchill che ammazza ottantaquattro ragazzi in Norvegia – e stiamo parlando di un pazzo che parla la lingua di chi teme l’Eurabia, fortunato slogan della compianta Oriana Fallaci – è ben diversa cosa da Osama bin Laden o da Rudolph Hess, due cui avete cancellato la tomba giusto per farne ancora più potenti i fantasmi, a maggior guadagno del parco horror di cui siete gestori.
Non serve accostare le fotografie dello sceicco armato di kalashnikov con quelle del biondo bionico altrettanto armato. Non sono speculari i due. Dovete mettervi d’accordo su cosa spaventare e di cosa spaventarvi perché ogni fobia ha il suo catalogo, non una medesima fenomenologia e se vi è venuto meno il nazi-islam per l’evidenza del reo confesso (che ridicolo, infatti, tutto quel rincorrere mullah dei giornali liberali, specificatamente di destra, mentre le agenzie battevano le notizie della consumante strage), se dunque non avete il musulmano con cui allestire la caccia non potete adesso cavarvela con il nazi-killer perché la sostanza è un’altra.
Tanto per cominciare quello, il norvegese, i suoi lavori di loggia se li fabbrica – anzi, se li tegola – con tanto di Bibbia in mano che è il vostro libro, giusto? E perfino quello strizzare l’occhio al white power non è la nazione ariana del Walhalla, non ci sono né Thule né il Carro di Krsna, ma una variante del KKK, ovvero il razzismo biologico di derivazione protestante che è cristianissima cosa (con tanto di croce in fiamme), ottimo per il folclore americano ma che non c’entra – in punto di filologia e di storia – con tutte le figurine delle Legioni SS evocate a sproposito perché saranno pure state il Male Assoluto, queste legioni, ma erano truppe d’assalto di un esercito transnazionale fatto di bosniaci, indiani, arabi, tedeschi ovviamente ma anche di turkmeni, tagiki, cinesi, italiani, belgi, spagnoli, russi, magiari, romeni, mongoli, ceceni e perfino sciamani, un reparto dei quali fatto di pellerossa americani con i quali probabilmente si sarebbe creato l’Inferno in terra ma difficilmente una “nazione bianca”.
Mettetevi d’accordo dunque, specialmente voi, cari liberali di derivazione destrorsa, a fare a gara con gli esorcismi e rassegnatevi a un fatto conclamato: a furia di evocare i fondamentalismi, specie quelli fatti ad arte, vi nascono in casa quelli genuini. E con radici ideologiche generate da aborti mostruosi qual è, prima di tutti, la xenofobia. E’ quella degli svignettatori del Profeta, quella di chi brucia il Santo Alcorano, quella delle micragnose botteghe elettorali cui fate sempre il pat pat affettuoso anche voi, colleghi giornalisti dell’opinione liberalcapitalista, per il servizievole incarico che vi fanno a voi e a quelli che poi diventano deputati, ministri e amministratori dello smagliante occidente: quello di tenere lontani i saraceni con le vostre sagre dell’odio. Era da manuale l’editoriale di Magdi Allam sul Giornale. Spiegava che la colpa dell’avvenuta strage era da ricercare nell’estrema liberalità della Norvegia, troppo tollerante con i musulmani, e perciò terreno di coltura degli esagitati incapaci di sostenere tanta multietnicità. Quando si dice l’Abate Vella! (cfr. “Il Consiglio d’Egitto”, Leonardo Sciascia).
E nel mettervi d’accordo con i vostri stessi incubi però, una cosa: non sbagliate a parlare, non sbrodolate facilonerie come quella di colorare la biografia di questo pazzo armato con Odino, con le divinità nordiche in genere, con quel pantheon sacrissimo di ghiaccio e luce perché, appunto – unicuique suum – Anders Behring Breivik, infatti, di suo, s’è scelto la Bibbia. Qui non si vuol fare la furbata di rendere pan per focaccia ma non si venga a parlare di citazioni sbagliate del killer solo perché non vi combacia l’incubo con il fantasma. Per quel che ci riguarda, qui si cerca di mettere un argine in nome e per conto della Tradizione: la vicenda di Odino e delle rune al seguito non può dunque essere considerata alla stregua dello scroto, quasi una coperta utile a coprire il Male laddove vengono a mancare gli utilissimi musulmani cui aggiudicare uno sterminio. La Tradizione, insomma, non si pone mai il biblico problema di raddrizzare il legno storto dell’umanità. Quello è affar vostro. La Tradizione, appunto, non è biblica e soprattutto non ammira Churchill. Piuttosto contempla il Sole. E il Carro di Krsna.
Di Pietrangelo Buttafuoco, www.ilfoglio.it
martedì 26 luglio 2011
LIBERATE BRENDAN LILLIS
Londra condanna a morte Brendan Lillis
Violazioni dei più elementari diritti umani, vessazioni, umiliazioni. Abbiamo parlato molte volte delle condizioni del prigionieri politici nordirlandesi. Della recente ripresa della dirty protest contro la mancata applicazione dell’accordo che ad agosto dello scorso anno aveva posto fine alla “protesta sporca” iniziata a pasqua 2010 contro le condizioni di vita nel carcere di Maghaberry. Ex prigionieri ci hanno raccontato di come la pratica dello strip searching, le perquisizioni corporali, continui senza che ve ne sia una reale necessità: lo scopo è quello di umiliare i prigionieri repubblicani, di imporgli un trattamento degradante. A Maghaberry c’è anche ci rischia di morire per la mancanza di cure, e senza che vi sua una imputazione a suo carico. Parliamo di Brendan Lillis, 59 anni, prigioniero politico che ha trascorso molti anni in carcere in seguito alle sue attività repubblicane. Ad oggi Brendan ha trascorso più di 610 giorni nell’infermeria del carcere, senza che gli vengano prestate cure adeguate per una malattia reumatica cronica, la spondilite anchilosante, che fa fondere tra di esse le vertebre della spina dorsale e che lo può portare alla morte.
La storia di Brendan è quella di un attivista repubblicano già rinchiuso in carcere nel passato per attività legate alla sua militanza. Entrò nei Provisional IRA nel 1971 e una volta incarcerato, per possesso di esplosivi e di armi da fuoco, trascorse 16 anni a Long Kesh e quindi nei Blocchi H, quattro dei quali praticando la Blanket Protest (la protesta delle coperte - quando i detenuti repubblicani decisero di rifiutare le divise carcerarie imposte dai britannici e iniziarono a coprirsi solo con le loro coperte). Venne rilasciato nel 1994 e tornò alla sua casa a West Belfast. Ma due anni fa, nel 2009, Brendan è stato nuovamente arrestato in relazione a una rapina avvenuta nella Contea di Derry e non legata alla sua militanza repubblicana. A poche ore dal suo fermo, il segretario di Stato britannico ha revocato la sua sospensione di pena e lo ha fatto tornare in carcere. Di recente, la Corte Suprema di Belfast ha deciso che Brendan non è in grado di sostenere un processo a causa delle sue condizioni di salute e di conseguenza tutte la accuse contro di lui sono cadute. Ciò nonostante è rimasto rinchiuso nell’infermeria della prigione di Maghaberry. Al momento è relegato a letto, non riesce a parlare a lungo, in una cella senza finestre. Le sue condizioni stanno rapidamente peggiorando. Quando è entrato in carcere nel 2009, Brendan pesava 79 chili, ma ora è giunto a pesarne 37. Questo stato di deperimento sta angosciando la sua famiglia e i suoi amici. Per questa ragione è nato il gruppo Friends of Brendan Lillis, la cui pressante richiesta è quella di rilasciare immediatamente Brendan per assicurargli le cure adeguate delle quali ha estremo bisogno. Il gruppo di supporto richiede il rilascio per questioni umanitarie e a guidare la protesta c’è la compagna di vita di Brendan, Roisin Allsopp, che si è fatta carico in prima persona della mobilitazione iniziando, venerdì scorso, uno sciopero della fame, assieme ad ex Blanketmen, ad ex-POWs e altri militanti.
Dal canto suo il ministro della Giustizia nordirlandese ha ribadito che non intende fare nulla per la liberazione di Brendan . “Non sono sorpresa dalla reazione di David Ford, ma da un punto di vista umanitario credo che dovrebbe prendere posizione sull’argomento”, ha dichiarato Roisin commentando l’atteggiamento del ministro. Il caso di Brendan è attualmente al vaglio della Parole Commission, ma le speranze di un cambiamento nell’atteggiamento delle autorità sono molto poche. In ogni caso Roisin non si arrende e come lei molti altri che in queste ore si stanno mobilitando per una battaglia di giustizia e umanità. L’ex candidato repubblicano indipendente nelle elezioni del 2007, Davy Hyland, ha espresso la sua preoccupazione per le condizioni di Brendan e ha chiesto il suo immediato rilascio. “Il ministro della Giustizia britannico e David Ford e il segretario di Sato britannico Owen Paterson hanno adottato un approccio quasi “tatcheriano” sui prigionieri di Maghaberry. David Ford ha rifiutato sollecitare l’implementazione dell’accordo firmato lo scorso agosto (tra i prigionieri e l’amministrazione carceraria, ndr) e il segretario di Stato britannico ha revocato le licenze di vari repubblicani come Marian Price, Martin Corey e Brendan Lillis”. “È ironico che esattamente 30 anni dopo la morte di 10 Repubblicani che fecero lo sciopero della fame perché il governo britannico riconoscesse i loro diritti fondamentali, oggi i prigionieri Repubblicani di Maghaberry si trovano nella stessa situazione”, ha commentato. Sabato scorso Davy Hyland, con un gruppo di altri repubblicani di Newry si è recato a Belfast per portare il suo appoggio a Brendan Lillis, alla sua compagna Roisin e alla famiglia. “Invito tutti coloro che hanno a cuore I diritti umani a supportare la campagna per il rilascio immediato di Brendan. Invito tutti ad organizzare proteste, picchetti, petizioni, e a seguire la campagna per Brendan su Facebook. Le famiglie di coloro che parteciparono all’hunger strike del 1981, inclusa la famiglia di Bobby Sands, hanno chiesto l’immediato rilascio di Brendan. In questo difficile momento ricordiamo le famose parole di Bobby: “Ogni repubblicano ha la sua particolare parte da fare, nessuna parte è troppo grande e nessuna parte è troppo piccola””. E intanto anche partecipare allo sciopero della fame per chiedere la liberazione di Brendan sembra che nelle Sei Contee sia un reato: a Derry la polizia ha fatto irruzione in casa di alcuni militanti che stanno sostenendo la battaglia per la liberazione del detenuto repubblicano, distruggendo ogni cosa e picchiando anche una donna incinta.
Di Alessia Lai, www.rinascita.eu
OLTRE VUVUZELAS E TESSERA DEL TIFOSO: PROVE TECNICHE DI ULTRAS GLOBALIZZATO.
Quando al varo (forzato) del Programma Tessera del Tifoso denunciai il pericolo che avrebbero incorso tifo e tifosi (traghettamento da fenomeno semplice e spontaneo ad esclusivo paniere di consumatori di prodotti commerciali), senz’ombra di dubbio avevo fatto centro. Così come, ancor prima, ci vidi lungo nei Mondiali Sudafrica 2010, quando polemizzai con gli assertori delle apotropaiche Vuvuzelas, anticipando anche l’UEFA che di là a poco le avrebbe bandite dalle competizioni continentali, perché inconciliabili con la cultura partecipata del tifo europeo.
Ma quello che è andato in scena nell’ultimo fine settimana su due campetti di periferia nel nord Italia, ha davvero del paranormale, del comico, roba da film cult anni ‘80 Il tifoso, l’arbitro e il calciatore, che oggi è diventato commedia del tifo in diretta live, il The Truman Show degli ultras, artefatto commercialmente corretto di un fenomeno sociale ritenuto politicamente scorretto.
Ecco i fatti: sui campi di Vanchiglia (provincia di Torino) e Mulazzano (tra Lodi e Milano) le gare amichevoli di quattro squadre giovanili sono state sconvolte dall’improvviso assalto di un inaspettato bagno di folla. Duecento spettatori per partita, calati all’insaputa degli ignari giovani footballers, con tanto di armamentario d’ordinanza sfoggiato sulle tribune, altrimenti deserte: bandiere e striscioni coi colori sociali, trombe, cappelli, sciarpe, cori e volti pitturati, tipo finalissima Copa America 2011. Duecento facinorosi festanti giunti in pullman e didascalicamente istruiti, solo per tifare, come dei Ringo Boys, per dare il titolo alla notizia: “L’ultras che non t’aspetti” (dal sito Yahoo Sport)
Dov’è il barbatrucco? Quelle duecento persone fluttuanti, apolidi, investite persino della famigerata nomea di ultras, non erano altro che una sorta di casting a cielo aperto, dei figuranti, delle comparse ingaggiate al buio per tifare a pagamento. Per fare audience, scoop, per produrre brand awareness e business. Strategia scaltra di marketing, di notorietà di marca dello sponsor, grazie all’Unicredit Group, uno dei maggiori gruppi finanziari internazionali, alias official sponsor della Uefa Champions League, alias azionista di riferimento di AS Roma SpA (etc.). Sulle orme di uno spot pubblicitario, Unicredit ha promosso un’operazione di guerriglia marketing senza precedenti per gradinate e stadi nostrani, un arditismo aggressivo sull’immaginario collettivo e sui meccanismi psicologici del target che deve far riflettere. La nuova frontiera delle curve sarà tifo virtuale, finto, tifosi prezzolati, ultras sponsorizzati, acritici e commercialmente allineati?
Non c’è che dire. Dopo Vuvuzelas e Programma Tessera del Tifoso siamo già alla terza fase del restyling nel mondo del calcio. Un bel passo in avanti per la globalizzazione della passione sugli spalti. C’mon Guys, c’mon Bank!
Maurizio Martucci
dal blog del libro CUORI TIFOSI – cuoritifosi.ormedilettura.com
CLICCA E GUARDA IL VIDEO
http://it.eurosport.yahoo.com/stefano-benzi/article/36578/
INTERVISTA AL RESPONSABILE BRAND MANAGEMENT DI UNICREDIT:
“Inventiamoci il tifo!“
lunedì 25 luglio 2011
La tessera del tifoso, uno sfregio alla libertà personale.
«Tre foto, una fotocopia del documento di identità, una fotocopia del codice fiscale, la compilazione di un piccolo modulo e il benestare della questura. Il costo, per alcune società sarà gratuito e per altre invece, potrà arrivare ad una cifra intorno ai 10,00 €. Con questi pochi passi si ottiene la tanto decantata tessera del tifoso». Così avevo iniziato l’articolo “Perché bisogna dire no alla tessera del tifoso” uscito il 26 settembre del 2009 sul quotidiano Rinascita. Da quel giorno di tempo ne è passato e la “rivolta” contro la tessera del controllo e del marketing è andata pian piano scemando. Ma vediamo un attimo alcuni punti chiave. Cosa è la tessera del tifoso? Secondo l’Osservatorio Nazionale delle Manifestazioni la tessera del tifoso è “uno strumento di fidelizzazione adottato dalla società di calcio che prevede verifiche della Questura attraverso una procedura standard diramata a livello nazionale con apposita direttiva ministeriale. Il progetto lanciato dall’Osservatorio si pone l’obiettivo di creare la categoria dei tifosi ufficiali – tifosi ufficiali?! e ancora – è un servizio che favorisce la concessione di privilegi e/o benefici da parte delle società attraverso l’accumulo di punti, diritto di prelazione per l’acquisto di biglietti, e – notate bene -convenzioni con altre società private come le Ferrovie dello Stato, gli Autogrill e gli sponsor”. Con la tessera del tifoso, si accetta – silenziosamente – una vera e propria carta di credito ricaricabile con annesso codice IBAN - International Bank Account Number – che nel sito ufficiale della Lega Pro ci viene pubblicizzato come l’ennesimo privilegio: “Ottenere una carta di pagamento ricaricabile Visa con un proprio IBAN (…) consente di (…) trasferire in real time denaro da una carta all’altra (card to card) (…) Maggiori servizi e benefici concreti: premi, merchandising, biglietti, convenzioni (…) La tessera rappresenta un borsellino elettronico che consente di fare operazioni di varia natura, acquisti online, prelevare contanti, trasferire denaro, ricaricare il telefonino”. Dunque, con presunte agevolazioni, hanno invogliato e invoglieranno i possessori della tessera del tifoso a fare milioni di movimenti elettronici. Movimenti che sono a tutti gli effetti il paradiso per gli istituti finanziari che, in cambio di soldi reali, restituiscono moneta elettronica. Andiamo avanti. Sempre nel sito dell’Osservatorio Nazionale delle Manifestazioni Sportive leggiamo che la tessera viene rilasciata dalla società sportiva previo nulla osta della Questura competente che comunica l’eventuale presenza di motivi ostativi come il D.A.spo – Divieto di Accedere alle manifestazioni SPOrtive – in corso o condanne per i reati da stadio negli ultimi 5 anni. Cosa è il D.A.Spo? Il D.A.Spo viene rilasciato dal Questore con varie durate annue e viene emesso – spesso – senza una condanna penale, infatti la Corte Costituzionale, nella sentenza 512 del 2002, inquadra la misura della diffida come preventiva e che, dunque, può essere emessa prima dell’esito di un processo e poi revocata in caso di estraneità ai fatti. Se tutto quello illustrato fino ad adesso non bastasse per essere contrari ad un così netto strumento di controllo e di business – nell’era della sicurezza urlata -, sappiate che, enti terzi – come le Ferrovie dello Stato, gli Autogrill ecc. – che nulla hanno a che vedere con il calcio, avranno centinaia di migliaia di dati da poter utilizzare per offrire i propri servizi o… per altri scopi. Non a caso il Garante della Privacy ha aperto un’istruttoria sull’ipotesi di un uso scorretto del trattamento dei dati personali. Ma a cosa ha portato l’entrata in vigore della tessera del tifoso? Maurizio Martucci, giornalista e scrittore che si è occupato frequentemente della tessera, in una intervista, rispondeva così: “ha portato all’aumento degli abbonati in pay-per-view, al ripetersi sistematico di isolati episodi di violenza in linea con il trend degli ultimi anni e alla creazione di zone miste di tifosi non tesserati mischiati ai tifosi di casa, con i settori ospiti deserti sorvegliati da steward che controllano solo l’ombra di se stessi. Roba da ridere se non fosse che è a rischio l’incolumità fisica del pubblico. Per questo, ad esempio, il Sindaco di Cesena ha scritto al Prefetto chiedendo una revisione dell’iniziativa Tessera del Tifoso”. Recentemente l’A.S. Roma aveva annunciato l’iniziativa di vendita degli abbonamenti anche ai non possessori della tessera del tifoso ma è stata bloccata subito dall’Osservatorio Nazionale sulle Manifestazioni Sportive che, attraverso una nota diffusa sul proprio sito internet, spiega di aver chiesto alla società giallorossa “di avviare la campagna abbonamenti con la sola modalità collegata all’AS Roma club privilege – e ancora -il recente protocollo d’intesa, siglato tra il Ministro dell’Interno ed i vertici sportivi, esclude espressamente tale possibilità, sebbene nel contesto di una piena autonomia dei club di strutturare iniziative promozionali, nell’ambito della cornice delle regole che disciplinano la tessera del tifoso”. Ed ora, anche per seguire il Perugia, dopo la splendida stagione calcistica dilettantistica fatta di passione dell’intera città verso lo sport del popolo, dal prossimo campionato, per chi vorrà sottoscrivere l’abbonamento in casa e per chi vorrà andare nel settore ospiti nelle trasferte, dovrà piegarsi alla tessera. Una tessera di pochi centimetri di carta plastificata che vale la libertà di ogni individuo. Una libertà che va combattuta e gridata perché in ballo non c’è solo una partita di calcio, ma la vita di tutti i giorni.
Di Fabio Polese, http://www.ilsitodiperugia.it/content/590-la-tessera-del-tifoso-uno-sfregio-alla-libert%C3%A0-personale
http://www.fabiopolese.it/?p=582
giovedì 21 luglio 2011
Progetto Adabts: il Grande Fratello gendarme del sistema.
(ASI) Un colloquio di lavoro, il primo appuntamento con lei o con lui, un importante esame universitario. Sono solo tre - tra i più banali - di tanti validi, intimi motivi di agitazione per le persone che quotidianamente affollano i marciapiedi delle città.
Intimità che, se oggi resta imperscrutabile dall’esterno, rischia un domani di venir violata, bollata con il marchio infamante dell’anormalità e per questo meritevole di esser controllata e approfondita dai custodi dell’ordine pubblico.
Non si tratta di uno slancio di fantasia di un novello Orwell o Bradbury, bensì della realtà che ci prospetta il mondo che verrà, là dove non saremo neanche più liberi di passeggiare per le strade con le pulsazioni cardiache un po’ accelerate. O almeno, non senza essere individuati, osservati con sospetto ed in ultimo segnalati alle autorità di polizia da spie meccaniche già oggi ampiamente disseminate lungo le vie delle città. Il salto di qualità che le telecamere di sorveglianza si apprestano ad eseguire è sostanziale: la loro funzione di mero registratore di immagini sarà presto un obsoleto ricordo che lascerà il posto a nuove e più tecnologiche attività, come la capacità di distinguere frequenza cardiaca e calore corporeo, nonché di farlo con precisa circoscrizione, individuando elementi da considerare pericolosi tra la folla di uno stadio, di un aeroporto, di una piazza gremita.
Questa capacità da parte delle telecamere di sorveglianza di penetrare la nostra anima sino a denunciare l’eventuale attività più o meno impetuosa del nostro cuore è una tecnologia sviluppata in quella che chiamano “l’unica democrazia nel Medio Oriente”, ossia in Israele. Data tuttavia la sua carica innovativa, ha già varcato i confini israeliani, è stata testata in alcuni aeroporti americani e, notizia relativamente recente, anche l’Europa ha deciso di farci affidamento. Il nome attribuito a questo sistema di telecamere invadenti è Adabts, sigla di “Automatic detection of abnormal behaviour and threats in crode place”, che significa “rilevamento automatico di comportamenti anormali e minacce negli spazi affollati”. L’Unione europea sta finanziando il progetto, partito nel 2009 e di durata quinquennale, con la cospicua cifra di 4,8 milioni di euro. Università, aziende militari, agenzie di sicurezza di alcuni Stati europei (Svezia, Gran Bretagna, Olanda, Norvegia e Bulgaria) sono le strutture che lo stanno portando avanti con lo scopo di poterlo presto diffondere a macchia d’olio.
Qualcosa di simile venne elaborato nel 2005 dall’italiana Elsag, società di Finmeccanica; qualcosa che però non era ancora in grado di introdursi nel nostro intimo, in quanto si limitava soltanto a segnalare movimenti sospetti registrati dalle telecamere: modo di camminare agitato, gesticolazioni, raggruppamenti, tappe frequenti in luoghi come bar o - destando preoccupazione in quanti soffrono di acuta incontinenza urinaria - bagni pubblici. Dal 2005 ad oggi le telecamere hanno mosso passi da gigante, grazie al contributo di un’azienda come l’israeliana Wecu (sigla dall’indicativo e angosciante nome “we see you”: ti stiamo guardando), impegnata a testare le sue innovazioni nei check-point sionisti in Cisgiordania e capace di ottenere ingenti finanziamenti dalle autorità aeroportuali americane. Dai check-point nei territori occupati a cui sono sottoposti ogni giorno tanti palestinesi alle strade d’Europa il passo sembra esser dunque molto breve. Invero, a proposito di queste nuove frontiere della tecnologia anticrimine, il commissario Gerry Murray, della PNSI, interpellato mesi fa dal quotidiano inglese Telegraph, ha salutato con interesse e soddisfazione l’ausilio che certe “telecamere intelligenti” potrebbero offrire alle forze di polizia europee: “Gran parte del progetto è (al momento) molto accademico e scientifico. I nostri budget si stanno riducendo, le nostre risorse umane anche e stiamo cercando tecnologie informatiche che ci aiuteranno nei prossimi cinque anni a ridurre il crimine e combattere le gang criminali”. Da segnalare nell’Unione europea la presenza di un ente, attualmente ancora poco conosciuto sebbene con il Trattato di Lisbona abbia acquisito più poteri, che potrebbe far uso di questi sistemi all’avanguardia per perseguire il suo scopo: la schedatura dei cittadini. Si tratta del moderno corrispettivo europeo della tanto vituperata Ceka sovietica e dell’americana Cia, si chiama Joint Situation Centre (SitCen), che si sostiene essere a tutti gli effetti l’inizio di un tentacolare servizio segreto dell’Ue.
Insomma, scrutando questa prospettiva tecnologica secondo la quale saremo ridotti ad automi cui sarà proibito persino provare emozioni, il quadro che il futuro ci propone è piuttosto delineato: democrazie svuotate che ricorrono sempre più alle sinistre potenzialità del Grande Fratello. Ma lo fanno per la nostra sicurezza, si intende!
Di Federico Cenci, http://www.agenziastampaitalia.it/index.php?option=com_content&view=article&id=4386:progetto-adabts-il-grande-fratello-gendarme-del-sistema-&catid=16:italia&Itemid=39
mercoledì 20 luglio 2011
Islanda, quando il popolo sconfigge l'economia globale.
L'hanno definita una 'rivoluzione silenziosa' quella che ha portato l'Islanda alla riappropriazione dei propri diritti. Sconfitti gli interessi economici di Inghilterra ed Olanda e le pressioni dell'intero sistema finanziario internazionale, gli islandesi hanno nazionalizzato le banche e avviato un processo di democrazia diretta e partecipata che ha portato a stilare una nuova Costituzione.
di Andrea Degl'Innocenti - 13 Luglio 2011
Oggi vogliamo raccontarvi una storia, il perché lo si capirà dopo. Di quelle storie che nessuno racconta a gran voce, che vengono piuttosto sussurrate di bocca in orecchio, al massimo narrate davanti ad una tavola imbandita o inviate per e-mail ai propri amici. È la storia di una delle nazioni più ricche al mondo, che ha affrontato la crisi peggiore mai piombata addosso ad un paese industrializzato e ne è uscita nel migliore dei modi.
L'Islanda. Già, proprio quel paese che in pochi sanno dove stia esattamente, noto alla cronaca per vulcani dai nomi impronunciabili che con i loro sbuffi bianchi sono in grado di congelare il traffico aereo di un intero emisfero, ha dato il via ad un'eruzione ben più significativa, seppur molto meno conosciuta. Un'esplosione democratica che terrorizza i poteri economici e le banche di tutto il mondo, che porta con se messaggi rivoluzionari: di democrazia diretta, autodeterminazione finanziaria, annullamento del sistema del debito.
Ma procediamo con ordine. L'Islanda è un'isola di sole di 320mila anime – il paese europeo meno popolato se si escludono i micro-stati – privo di esercito. Una città come Bari spalmata su un territorio vasto 100mila chilometri quadrati, un terzo dell'intera Italia, situato un poco a sud dell'immensa Groenlandia.
15 anni di crescita economica avevano fatto dell'Islanda uno dei paesi più ricchi del mondo. Ma su quali basi poggiava questa ricchezza? Il modello di 'neoliberismo puro' applicato nel paese che ne aveva consentito il rapido sviluppo avrebbe ben presto presentato il conto. Nel 2003 tutte le banche del paese erano state privatizzate completamente. Da allora esse avevano fatto di tutto per attirare gli investimenti stranieri, adottando la tecnica dei conti online, che riducevano al minimo i costi di gestione e permettevano di applicare tassi di interesse piuttosto alti. IceSave, si chiamava il conto, una sorta del nostrano Conto Arancio. Moltissimi stranieri, soprattutto inglesi e olandesi vi avevano depositato i propri risparmi.
Così, se da un lato crescevano gli investimenti, dall'altro aumentava il debito estero delle stesse banche. Nel 2003 era pari al 200 per cento del prodotto interno lordo islandese, quattro anni dopo, nel 2007, era arrivato al 900 per cento. A dare il colpo definitivo ci pensò la crisi dei mercati finanziari del 2008. Le tre principali banche del paese, la Landsbanki, la Kaupthing e la Glitnir, caddero in fallimento e vennero nazionalizzate; il crollo della corona sull'euro – che perse in breve l'85 per cento – non fece altro che decuplicare l'entità del loro debito insoluto. Alla fine dell'anno il paese venne dichiarato in bancarotta.
Il Primo Ministro conservatore Geir Haarde, alla guida della coalizione Social-Democratica che governava il paese, chiese l’aiuto del Fondo Monetario Internazionale, che accordò all'Islanda un prestito di 2 miliardi e 100 milioni di dollari, cui si aggiunsero altri 2 miliardi e mezzo da parte di alcuni Paesi nordici. Intanto, le proteste ed il malcontento della popolazione aumentavano.
A gennaio, un presidio prolungato davanti al parlamento portò alle dimissioni del governo. Nel frattempo i potentati finanziari internazionali spingevano perché fossero adottate misure drastiche. Il Fondo Monetario Internazionale e l'Unione Europea proponevano allo stato islandese di di farsi carico del debito insoluto delle banche, socializzandolo. Vale a dire spalmandolo sulla popolazione. Era l'unico modo, a detta loro, per riuscire a rimborsare il debito ai creditori, in particolar modo a Olanda ed Inghilterra, che già si erano fatti carico di rimborsare i propri cittadini.
Il nuovo governo, eletto con elezioni anticipate ad aprile 2009, era una coalizione di sinistra che, pur condannando il modello neoliberista fin lì prevalente, cedette da subito alle richieste della comunità economica internazionale: con una apposita manovra di salvataggio venne proposta la restituzione dei debiti attraverso il pagamento di 3 miliardi e mezzo di euro complessivi, suddivisi fra tutte le famiglie islandesi lungo un periodo di 15 anni e con un interesse del 5,5 per cento.
Si trattava di circa 100 euro al mese a persona, che ogni cittadino della nazione avrebbe dovuto pagare per 15 anni; un totale di 18mila euro a testa per risarcire un debito contratto da un privato nei confronti di altri privati. Einars Már Gudmundsson, un romanziere islandese, ha recentemente affermato che quando avvenne il crack, “gli utili [delle banche, ndr] sono stati privatizzati ma le perdite sono state nazionalizzate”. Per i cittadini d'Islanda era decisamente troppo.
Fu qui che qualcosa si ruppe. E qualcos'altro invece si riaggiustò. Si ruppe l'idea che il debito fosse un'entità sovrana, in nome della quale era sacrificabile un'intera nazione. Che i cittadini dovessero pagare per gli errori commessi da un manipoli di banchieri e finanzieri. Si riaggiustò d'un tratto il rapporto con le istituzioni, che di fronte alla protesta generalizzata decisero finalmente di stare dalla parte di coloro che erano tenuti a rappresentare.
Accadde che il capo dello Stato, Ólafur Ragnar Grímsson, si rifiutò di ratificare la legge che faceva ricadere tutto il peso della crisi sulle spalle dei cittadini e indisse, su richiesta di questi ultimi, un referendum, di modo che questi si potessero esprimere.
La comunità internazionale aumentò allora la propria pressione sullo stato islandese. Olanda ed Inghilterra minacciarono pesanti ritorsioni, arrivando a paventare l'isolamento dell'Islanda. I grandi banchieri di queste due nazioni usarono il loro potere ricattare il popolo che si apprestava a votare. Nel caso in cui il referendum fosse passato, si diceva, verrà impedito ogni aiuto da parte del Fmi, bloccato il prestito precedentemente concesso. Il governo inglese arrivò a dichiarare che avrebbe adottato contro l'Islanda le classiche misure antiterrorismo: il congelamento dei risparmi e dei conti in banca degli islandesi. “Ci è stato detto che se rifiutiamo le condizioni, saremo la Cuba del nord – ha continuato Grímsson nell'intervista - ma se accettiamo, saremo l’Haiti del nord”.
A marzo 2010, il referendum venne stravinto, con il 93 per cento delle preferenze, da chi sosteneva che il debito non dovesse essere pagato dai cittadini. Le ritorsioni non si fecero attendere: il Fmi congelò immediatamente il prestito concesso. Ma la rivoluzione non si fermò. Nel frattempo, infatti, il governo – incalzato dalla folla inferocita – si era mosso per indagare le responsabilità civili e penali del crollo finanziario. L'Interpool emise un ordine internazionale di arresto contro l’ex-Presidente della Kaupthing, Sigurdur Einarsson. Gli altri banchieri implicati nella vicenda abbandonarono in fretta l'Islanda.
In questo clima concitato si decise di creare ex novo una costituzione islandese, che sottraesse il paese allo strapotere dei banchieri internazionali e del denaro virtuale. Quella vecchia risaliva a quando il paese aveva ottenuto l'indipendenza dalla Danimarca, ed era praticamente identica a quella danese eccezion fatta per degli aggiustamenti marginali (come inserire la parola 'presidente' al posto di 're').
Per la nuova carta si scelse un metodo innovativo. Venne eletta un'assemblea costituente composta da 25 cittadini. Questi furono scelti, tramite regolari elezioni, da una base di 522 che avevano presentato la candidatura. Per candidarsi era necessario essere maggiorenni, avere l'appoggio di almeno 30 persone ed essere liberi dalla tessera di un qualsiasi partito.
Ma la vera novità è stato il modo in cui è stata redatta la magna charta. "Io credo - ha detto Thorvaldur Gylfason, un membro del Consiglio costituente - che questa sia la prima volta in cui una costituzione viene abbozzata principalmente in Internet".
Chiunque poteva seguire i progressi della costituzione davanti ai propri occhi. Le riunioni del Consiglio erano trasmesse in streaming online e chiunque poteva commentare le bozze e lanciare da casa le proprie proposte. Veniva così ribaltato il concetto per cui le basi di una nazione vanno poste in stanze buie e segrete, per mano di pochi saggi. La costituzione scaturita da questo processo partecipato di democrazia diretta verrà sottoposta al vaglio del parlamento immediatamente dopo le prossime elezioni.
Ed eccoci così arrivati ad oggi. Con l'Islanda che si sta riprendendo dalla terribile crisi economica e lo sta facendo in modo del tutto opposto a quello che viene generalmente propagandato come inevitabile. Niente salvataggi da parte di Bce o Fmi, niente cessione della propria sovranità a nazioni straniere, ma piuttosto un percorso di riappropriazione dei diritti e della partecipazione.
Lo sappiano i cittadini greci, cui è stato detto che la svendita del settore pubblico era l'unica soluzione. E lo tengano a mente anche quelli portoghesi, spagnoli ed italiani. In Islanda è stato riaffermato un principio fondamentale: è la volontà del popolo sovrano a determinare le sorti di una nazione, e questa deve prevalere su qualsiasi accordo o pretesa internazionale. Per questo nessuno racconta a gran voce la storia islandese. Cosa accadrebbe se lo scoprissero tutti?
http://www.ilcambiamento.it/lontano_riflettori/islanda_rivoluzione_silenziosa.html
BRENDAN LILLIS, UNA CORSA CONTRO IL TEMPO.
Potrebbero rimanere solo dieci giorni per evitare che Brendan Lillis, pow repubblicano gravemente malato, muoia a Maghaberry, dove è detenuto senza che sia stata pronunciata una sentenza di condanna, dopo che le accuse contro di lui sono state ritirate.
di Anthony McIntyre (The Pensive Quill)
traduzione a cura di Elena Chiorino
Brendan Lillis è un prigioniero che soffre di una malattia debilitante nota come spondilite anchilosante. È gravemente malato: tanto gravemente che i più vicini a lui sono dell’opinione che sia in fin di vita. La sua partner, qualche sera fa, ha dichiarato che secondo lei non gli restano più di dieci giorni, e pare da alcune fonti che alcuni interni al Northern Ireland Prision Service concordino. Se è così, non rimane molto tempo.
Perché Brendan Lillis continui ad essere imprigionato a Maghaberry dalle autorità britanniche per attività risalenti agli anni ’70, quando era un membro della Provisional IRA, è chiaro ma raramente riconosciuto. L’accusa di rapina che nel 2009 ha portato alla revoca della sua licenza dall’ergastolo sono in seguito state ritirate: non c’è alcuna ragione esplicita che giustifichi la sua detenzione. È una pedina di un gioco politico più ampio, un’eccezione che conferma la regola – la regola britannica.
Nonostante il velo che la società nordirlandese ha gettato alla fine della lotta armata della Provisional IRA, sotto quella superficie sono sepolte questioni che pochi vogliono affrontare, questioni che si supponeva fossero state risolte dal nuovo ordinamento; questioni che erano roventi quando la campagna dell’IRA era nel pieno dell’attività, e che spesso erano citate come ragioni che legittimavano l’uso delle armi.
Di conseguenza, un uomo la cui energia ed attività erano combustibili fondamentali delle fiamme che alimentavano l’attivismo repubblicano, un uomo che ha partecipato ardentemente alla Blanket Protest, un uomo il cui investimento nel progetto repubblicano è stato usato come base per costruire l’attuale organico politico ora è rinchiuso in prigione a causa di tutto ciò. È nelle mani dello stesso trattamento carcerario del passato, è sottoposto alle stesse violazioni di diritti del passato e sembra che sarà lasciato lì a morire, come altri prima di lui.
In palese contraddizione con le stesse linee guida esplicitate nel suo Corporate and Business Plan, il Northern Ireland Prison Service non sta assicurando a Brendan Lillis le appropriate cure mediche di cui necessita.
Attualmente, Brendan Lillis pesa poco più di 5 stone (circa 32 kg, n.d.t.), da 600 giorni è confinato a letto e prende quaranta pastiglie al giorno. La Life Sentence Review Commission ha tentato di posporre la data in cui si occuperà del suo caso, e ciò significa che continuerà ad essere ammanettato al sistema che lo sta uccidendo.
In un modo o nell’altro, questo ex Blanket Man uscirà di prigione. Il governo britannico sa che non potrà trattenerlo ancora a lungo, ma sembra certo che rimarrà nelle le sue mani fino a quando il problema non diverrà ufficialmente responsabilità del medico legale. È uno spirito vendicativo e meschino.
Ma fra tutte le connotazioni politiche intrecciate con il suo caso, c’è un aspetto saliente che non può essere ignorato: un uomo gravemente malato è rinchiuso in prigione e condannato, pare, a morire lì. Le basi umanitarie su cui rilasciarlo hanno nettamente più peso delle considerazioni politiche che stanno alla radice della sua incarcerazione.
Il partito che si trova nella posizione più favorevole per fare pressione sulla questione è il Sinn Féin. Dichiara di essersi recato nella prigione sette volte l’anno scorso, ed in effetti proprio quello è l’unico risultato che sia riuscito a raggiungere. Non ha ottenuto molti frutti, anzi: se possibile, dopo le sette visite, la situazione è peggiorata. Può recarsi in prigione sette volte, ma non è in grado di farne uscire Brendan Lillis una volta sola.
Il partito appare esitante ad affrontare la questione in modo matuto e pubblicamente perché farlo significherebbe ammettere che, a causa del suo fallimento nell’assicurare sostanziali profitti, gli inglesi possono ancora usufruire delle azioni di polizia politica come arma di detenzione per Brendan Lillis; e Brendan Lillis non è in carcere per le sue vedute politiche, ma come avvertimento, per mostrare agli altri cosa c’è in serbo per loro se non acconsentono a sottomettersi.
Questa è una dimostrazione del potere politico britannico sull’impotenza dei repubblicani. È un’affermazione plateale del fatto che i grandi problemi del conflitto relativi all’imprigionamento non sono mai stati risolti, ma convenientemente rivoltati in favore degli inglesi. E, per dimostrarlo, gli inglesi sono pronti a minacciare i propri avversari con una bara.
http://thefivedemands.org/2011/07/17/brendan-lillis-una-corsa-contro-il-tempo/
martedì 19 luglio 2011
Intervista a Paolo Ferraro, magistrato sospeso misteriosamente dal Csm.
(ASI) Salve e benvenuto. In queste settimane, il caso mosso intorno al nome del Magistrato Paolo Ferraro ha lasciato esterrefatta la pubblica opinione.
Come rivelato ai microfoni di SkyTg24, Lei sostiene di aver riscontrato in prima persona, durante il Suo periodo di residenza presso la cittadella militare della Cecchignola, comportamenti ed attività “non normali”, scoprendo un mondo “sotterraneo, sconosciuto, poco chiaro, ambiguo, fumoso”. Attenendoci chiaramente ai limiti imposti dal segreto istruttorio, può dirci più nel dettaglio cosa ha scoperto attraverso le sue indagini?
Sporsi a suo tempo nel Novembre 2008, una Denuncia immediata, avendo proceduto ad un primo ascolto di registrazioni audio relative a sei mattine e due pomeriggi, registrazioni che effettuai avendo acquisito una serie di elementi che lasciavano sospettare una “ situazione ambientale” inquietante. Ebbi dichiarazioni conformi che la disegnavano a grandi linee , e feci ascoltare l’audio sia ad un ufficiale di P.G. particolarmente qualificato, che ad una psicologa incaricata tramite avvocato che ritenevo di fiducia, psicologa cui avevo conferito il compito di un sostegno esterno e affiancamento, ovviamente alle persone da me ritenute vittime dirette o indirette.La qualità dell’audio non era ottimale, anzi era mediocre, sicché indicai subito la necessità di procedere ad elaborazione del volume ed ad un attento ascolto tramite programmi adeguati. Sia l’Ufficiale di P.G., a titolo di amicizia e stima personale, che la psicologa, vagliarono la evidente anormalità della situazione ed anzi quest’ultima in un ascolto durato più di due ore e mezza fornì valutazioni, preoccupate, mentre l’Ufficiale di P.G. parlò di un fenomeno collettivo complesso e allarmante. Dall’ascolto attento emergevano attività già indicate nella conferenza ma più in particolare la possibilità di individuare uso di sostanze, tecniche o procedure verbali a prima vista inquadrabili come volte al condizionamento dei soggetti che li ricevevano, ma soprattutto un contesto veramente anomalo con ingresso di numerose persone di varie età, senza suonare prima, ed utilizzando chiavi in loro possesso ed una posizione di soppesabile assoggettamento della persona che abitava nell’appartamento. Il tutto secondo una analisi fonica poi progressivamente approfondita da me e da un perito fonico cui diedi il solo incarico di trascrivere quanto emergeva dalla sola prima registrazione. Comunque alcune frasi apparivano curiosamente pronunciate dagli astanti con tono metrico cadenzato o musicaleggiante, in un paio di casi per fonemi riconducibili a linguaggio “medievalistico”, e colpivano altresì alcune frasi tipiche sintetiche espresse come comandi brevi cui di norma le risposte erano un assenso implicito ovvero dei “si” che colpivano per atonia ed inespressività. Tra i comandi ricorrente una espressione “nessuno vi è adesso” ovvero “ se andiamo via non c’è nessuno”, ovvero “ dobbiamo apparire, dobbiamo riapparire”, ma l’elenco sarebbe lungo. Il contesto sembrava ad un ascoltatore inesperto come io ero farneticante, torbido, non riconducibile ad esperienze ordinarie. Anche le modalità di interazione verbale dei soggetti erano talmente inusuali, talvolta cupe, e vocalmente atipiche da lasciare interdetti. Tutto ciò non fu sentito dalla P.G. incaricata. Ma vi erano complessivamente nelle registrazioni più di dieci tra adulti, maschi e donne, e almeno quattro non adulti. Almeno otto i nomi pronunciati. Nelle registrazioni “per decreto” emergevano “frasi, parole e rumori riconducibili alla normale attività quotidiana di una persona all’interno della propria abitazione”. E la persona autrice dei racconti ma assoggettata negò poi tutto. Nessuno gli contestò quello che si sentiva. Ma io avevo altri accertamenti fatti, alcune registrazioni di telefonate o colloquio tra presenti, sms ed e-mail utilmente valutabili, feci accertamenti ricordando particolari a suo tempo raccontati, e, dopo l’archiviazione del procedimento, rimasto sbalordito, elaborai le basi audio potenziandone il volume ed estrapolando circa 45 frasi e contesti divisibili sulla base di una precisa griglia logica di classificazione. Non posso dire altro, oltre che a suo tempo solo alcuni amici miei ascoltarono e mi confermarono l’ascolto mediante adeguato strumento audio. Feci una parziale discovery con gli “interessati” e come mi era successo nel Gennaio del 2009 accadde un qualcosa, uno strano incendio sul terrazzo della mia casa in villetta che mi spinse ad andarmi a lamentare della circostanza con l’ufficio mio, che mai mi aveva ascoltato direttamente, né aveva valutato in alcun modo la massa del materiale di prova o indiziario da me raccolto. Il giorno dopo, trasecolando, subii una proposta di TSO eseguita a tempo di blitz in forma coattiva, in assenza di ogni presupposto di legge formale e sostanziale. Quanto segue è anche oggetto di procedimento penale, solo poi scopersi di rapporti intrecciati a mia totale insaputa e alle mie spalle e del ruolo di uno psichiatra che aveva preparato per lo strumento alcuni miei parenti in rapporti comprensibilmente complessi con me. Oggi so che modalità, tempistica, organizzazione e metodi hanno clamorose conferme anche in clamorosi precedenti, basta documentarsi. Ad oggi molte persone hanno valutato, condiviso valutazioni e pubblicato articoli coraggiosi, fedeli e suggestivi per la suggestività della storia, su internet, nel silenzio assordante di una certa stampa cartacea ufficiale.
Se fosse confermato un simile quadro dei fatti, questo sconvolgente scenario esoterico potrebbe allargarsi anche ad altri ambienti militari ed è pertinente ipotizzare dei collegamenti internazionali con simili organizzazioni “deviate” nel resto del mondo?
Ero concretamente a conoscenza di viaggi a nord, e verso Napoli. Del pari di una possibile forma, apparenza politico–militante del gruppo, della presenza ragionevole di ufficiali, alcuni dei quali individuabili foneticamente o perché da me osservati, della presenza tra essi di un uomo dalla voce autorevole arrogante la cui attribuzione a persona è possibile tramite un quadro indiziario concreto e riscontrabile. Fatti concreti, elementi verificabili, non altro. Incredibilmente quando, uscito da un silenzio costretto, raccontai di fatti, contesto, conseguenze patite, trovai un atteggiamento di assoluta volontà di non ascoltare. Fatti precisi indicati sarebbero diventati “frasi criptiche”, “allusioni incomprensibili”, o giudizi “sommari” di assoluta “inverosimiglianza”. Chi li ha pure riportati davanti al CSM, che ha fondato su tali giudizi un provvedimento grave di sospensione cautelare, a fronte di statistiche ineccepibili e numerose certificazioni di sostanziale perfetta salute, non ha tenuto conto di chi fossi, della mia storia, delle mie note capacità, della circostanza peraltro a loro non nota, che era stato depositato un memoriale analitico, chiaro e riferito a fatti oggettivi in una Denuncia a Perugia. La situazione derivatane è assurda, ma presagisco molto di più. È tutto quello che mi è accaduto dal 2009 in poi, pressioni, intimidazioni indirette, inviti ripetuti a tacere, e gli eventi dal Marzo ad oggi che hanno squarciato ulteriori veli. In particolare è vero che io ho notato una donna talmente tanto simile a Carmela Rea in un orario non d’ufficio nei corridoi della procura di Roma, da farmi affermare ancora oggi che era lei o potrebbe essere una sosia e comunque nessuno mi ha mai detto chi fosse, perché fosse accompagnata ad un colloquio riservato alle 19 di sera. Alcuni articoli su internet lanciavano ipotesi parallele alle mie rilevazioni, in Roma, ma soprattutto su internet venne fatto il nome di un alto Ufficiale dell’Esercito e qui debbo fermarmi.
Il provvedimento che ha più lasciato interdetti è stato indubbiamente la sospensione per un periodo di quattro mesi, stabilita dal CSM lo scorso 16 giugno, ufficialmente “per gravi motivi di salute”. Come spiegate questa decisione e quali saranno le principali armi giuridiche cui ricorrerete per opporvi alla decisione?
La decisione, purtroppo si spiega da sola per abnormità, atipicità, essendo carenti entrambi i requisiti rigorosamente chiesti per un provvedimento di dispensa dal servizio . Ma intendo precisare che in casi del genere disinformazione, assenza di conoscenza di dati reali e presunta attendibilità di indicazione fornite da vertici di uffici, o da presunti autorevoli soggetti con responsabilità “politiche” tra i magistrati può avere influito. Il provvedimento allinea documenti, che risultano oggettivamente e criticamente essere destituiti di fondamento, allegando indizi concreti, prove documentali e informazioni ignote al CSM. Quello che colpisce è che sembra che nulla sia accaduto, tutto viene inanellato lasciando fermi, errori valutativi, disinformazioni su fatti precisi. Ma agli atti della commissione è stato depositato un memoriale approfondito, in copia, neanche letto, sembrerebbe. Ma continuo ad avere fiducia che fatti e dati verranno realmente approfonditi. Se mancherà l’approfondimento necessario, ne potremo trarre varie altre conclusioni. In questa vicenda è a me apparsa evidente una particolare “collocazione” di due magistrati e ho dovuto fornirmene una approfondita spiegazione, che si riverbera sul rilievo e sulla importanza generale dei fatti. Un probabile epicentro. Ma è proprio la magistratura a dovere indagare e valutare. E se non si indaga a fondo non si valuta e se non si valuta non si indaga. Ma se si colpisce chi ha valutato a fondo per conto suo, e ormai indirettamente tutti quelli che condividono valutazioni ed altro, i ragionevoli inquadramenti e le ipotesi accertabili si fanno prospettive concrete. Inquietanti, e perciò io chiedo al CSM di dissipare veli e dubbi e di vagliare fino in fondo, a tutela della immagine e credibilità dell’organo di autogoverno della magistratura
Paolo Ferraro risulta essere, da più fonti, un magistrato integerrimo e molto stimato nel suo ambiente di lavoro. Dopo la sentenza del CSM, quali sono state le reazioni dei suoi amici e colleghi? Ha percepito degli improvvisi cambiamenti in alcuni dei suoi rapporti inter-personali?
Vi è stato sgomento, sbigottimento, incredulità , nei miei confronti, e preoccupazioni per me, per sé e generali: come starà, ammesso che stia male come dice il vertice dell’ufficio, ma se la vicenda è vera in tutto od in parte riscontrabile, se gli hanno fatto quello che ha poi denunciato, cosa può succedere anche a noi , se lo appoggiamo o se ci trovassimo per sbaglio in una situazione analoga ?!. Ma lo stupore nasce da un prevalente meccanismo di autodifesa psicologica: non voglio , non posso credere, ho paura di credere e ragionare su questi fatti .Avete parlato mai con un malato terminale , che discetta di influenza non curata bene o di piccola bronchite, la speranza e la paura si tramutano in negazione psichica dei fatti, della realtà. Ma chi ha mai parlato di credere . Ho detto, sappiate, verificate ascoltate , valutate . La paura , per me, per la storia, per l’immagine dell’ufficio, per sé è per ora, prevalsa, ma nell’ambito ristretto e solo in parte. . Non sono invece mancati abbracci, in bocca al lupo, affermazioni di profonda stima, da magistrati, avvocati e proprio da carabinieri che non lavorano a stretto contatto con me. La frase detta circa quattro mesi fa, senza preavviso, .” noi stiamo con lei “ e accompagnata da una duplice forte stretta di mano. Io un po’ sbigottito, come ha fatto a spargersi la voce, visto il cupo silenzio che circondava la vicenda ..?! il tono ?! Di chi sa di che storia si tratti , e molti sanno, ritengo, della valenza generale della vicenda:, un giovane brigadiere di una stazione CC, sapeva tutto ed alla mia occasionale mera battuta sulle UAV ( unità di addestramento ) ha fatto dei cenni inequivoci. So per certo che molti sanno ,e molti anche senza avere un ruolo qualunque. E allora se di una vicenda strana, coinvolgente in apparenza solo due palazzine , sanno in tanti, in varie parti, come può essere un fatto solo locale ?Non lo è, ragionevolmente, e molto dipenderà dalle indagini di Ascoli Piceno (e a Teramo un celebre processo ormai conclusosi in Cassazione sull’esercito bianco , a Roma un procedimento di fatti e luogo omologhi, del 2000 , e altri avvocati stanno raccogliendo le tracce generali nella recente storia giudiziaria in merito a circostanze che sembrano rinforzare la lettura unitaria del fenomeno).
Questa vicenda è appena agli inizi e la battaglia che si appresta ad affrontare potrebbe non essere delle più semplici. Nella rete, molti cittadini ed una parte dell’informazione non-mainstream si sono stretti intorno a lei, mostrando grande attenzione e stima per la sua storia. Quali sono le aspettative e le speranze di Paolo Ferraro, sia come magistrato sia come uomo?
Verificare e capire, allargando conoscenze e raccogliendo sensibilità e disponibilità. In fondo si tratta solo di una struttura a base di setta, di gruppi di militari, di impossibilità di accertare, di un magistrato della capitale sottoposto a TSO, e su tutto il resto “trasversali dubbi”… un polpettone saporito non addentabile agevolmente, ma siamo a dieta, il cuoco è un “visionario”, meglio non fare indigestioni. I curiosi che credono alla democrazia ed ai suoi valori però non la pensano così. Si costituiranno in COMITATO DD, per la difesa della democrazia: valori cristiani, valori laici, programmi contro le massonerie nere ed i poteri occulti, avvieranno un processo di avvicinamento e fusione. Rotta la crosta polare, subito, prima di subito, và avviato il nuovo processo di fusione per creare una solida trasparente base democratica: una Italia dei valori VERI, democratici e non delle corporazioni forti. Mi viene da dire a tutti: i poteri occulti sono onnipotenti (minaccia “appresa”) e controllano tutto?! Internet no, non ancora. Se facciamo il conto delle teste votanti, non saranno certo la maggioranza. E se fosse possibile ridare la democrazia al nostro paese?!
http://www.agenziastampaitalia.it/index.php?option=com_content&view=article&id=4368%3Aintervista-a-paolo-ferraro-magistrato-sospeso-misteriosamente-dal-csm-&catid=19%3Ainterviste&Itemid=46
sabato 16 luglio 2011
Strage del Cermis. Dopo tredici anni salta fuori il mea culpa americano.
(ASI) La verità di un freddo pomeriggio di febbraio emerge in un caldo mattino di luglio, a tredici anni di distanza e dopo che anche i processi si sono conclusi da tempo lasciando tuttavia una scia di polemiche che, certo, questa recente notizia non fa altro che acuire.
La causa della strage del Cermis fu un errore dell’equipaggio, in quanto volò molto al di sotto della quota limite di duemila piedi. Questo è ciò che ha rivelato il quotidiano La Stampa, entrato in possesso del rapporto investigativo finale sull’incidente redatto dalle forze armate Usa e datato 10 marzo 1998, poco più di un mese dopo l’accaduto.
Era infatti il 3 febbraio 1998 quando dai cieli sopra il Cermis, nella val di Fiemme, l’aereo militare americano EA-6B si abbassò improvvisamente come un falco in picchiata e tranciò i cavi di una funivia. Morirono tutti e venti gli occupanti della cabinovia, dei quali tre erano italiani. Due dei quattro membri dell’equipaggio, impegnati quel giorno in un volo d’addestramento e partiti dalla base di Aviano, vennero processati per questo negli Stati Uniti. Nel marzo 1999, in un tribunale del North Carolina, la giuria assolse il pilota dell’aereo, Richard Ashby, e anche il navigatore, Joseph Schweitzer.
La sentenza venne accolta dall’opinione pubblica in Italia e in Europa con grande indignazione, a tal punto da provocare un insperato risveglio di coscienza europea. Nonostante le pressanti richieste che i due militari venissero processati una seconda volta in Italia, un paio di mesi dopo essi vennero nuovamente processati negli Usa, ma con la sola accusa di aver intralciato la giustizia per aver distrutto un nastro video registrato durante il volo nel giorno della tragedia.
Questo secondo processo sentenziò la condanna per omicidio colposo nei confronti dei due militari, con l’aggravante per il pilota di una condanna a sei mesi di prigionia (ne scontò solo quattro e mezzo). Risale al 2008 l’ultimo colpo ad effetto di questa discussa vicenda processuale: a dieci anni esatti dalla “bravata” di cui si resero protagonisti e che costò la vita a venti innocenti, Ashby e Schweitzer impugnarono la sentenza e richiesero la revoca della radiazione con disonore, allo scopo di riavere i benefici finanziari spettanti ai militari.
Il documento che oggi riaccende l’interesse sulla tragedia porta la firma di un loro superiore, Peter Pace, all'epoca comandante dei Marines e oggi capo degli stati maggiori riuniti, e afferma inequivocabilmente che ”la causa di questa tragedia è che l'equipaggio dei Marines ha volato più basso di quanto non fosse autorizzato, mettendo a rischio se stesso e gli altri. Raccomando che vengano presi i provvedimenti disciplinari e amministrativi appropriati nei confronti dell'equipaggio”. Si legge ancora nel documento del marzo ‘98: “Gli Stati Uniti dovranno pagare tutte le richieste giustificate di risarcimento per la morte e il danno materiale provocato da questo incidente”. Tuttavia quelle annunciate in questo documento da Pace rimasero solo intenzioni, dato che furono le autorità italiane nel febbraio 1999 a versare i primi risarcimenti alle famiglie delle vittime.
Inoltre, a maggio dello stesso anno - fugando ogni dubbio circa la volontà americana a riguardo della questione - il Congresso di Washington respinse una legge che prevedeva il risarcimento di 40 milioni di dollari a famiglia. Solo nel dicembre 1999 la controversia venne risolta da una legge del parlamento italiano che stanziò 1,9 milioni di dollari complessivi per le vittime; cifra che, sulla base dei trattati Nato, gli Stati Uniti hanno coperto al 75% della somma totale.
Questo documento afferma una verità già consolidata, la notizia della sua pubblicazione non ha meravigliato Werner Pichler, presidente del “Comitato 3 febbraio”, associazione che riunisce i famigliari delle vittime di quella strage. Egli afferma: “Che la responsabilità della strage del Cermis fosse americana lo sapevano tutti. Bisogna capire perché certi documenti sono usciti solamente adesso e chi li ha mantenuti segreti”.
Tuttavia non si mostra affatto ottimista in questo senso: “Non credo che le cose possano cambiare; noi volevamo il processo in Italia, ma ciò non è stato possibile. I piloti sono già stati processati dal tribunale militare statunitense - conclude - e condannati solo per la distruzione della cassetta del filmato dell'uscita aerea di quel giorno”. L’ex sindaco di Cavalese ed oggi assessore della Provincia autonoma di Trento, Mauro Gilmozzi, riflette sull’aspetto politico della vicenda: “Il trattato che regola i rapporti di natura militare tra Italia e Usa e le relative condizioni continua a rimanere quello del '98. Non mi risulta sia stato modificato mentre in questi ultimi tredici anni si sono modificati radicalmente gli scenari politici internazionali”. Conclude poi Gilmozzi che “vi è certamente la necessità di introdurre maggiori tutele per i cittadini che convivono con basi militari in casa”.
Di Federico Cenci, http://www.agenziastampaitalia.it/index.php?option=com_content&view=article&id=4309%3Astrage-del-cermis-dopo-tredici-anni-salta-fuori-il-mea-culpa-americano&catid=4%3Apolitica-nazionale&Itemid=34