mercoledì 6 gennaio 2010

Nuovo numero de "Il Martello".

Riceviamo e pubblichiamo l'editoriale del nuovo numero de "Il Martello" a cura dell'Associazione Culturale Zenit di Roma.






Sull'emergenza carceri...





L'idea di vivere nel migliore dei regimi possibili viene di tanto in tanto scossa dall'apprendimento di accadimenti che ci giungono tra un Grande Fratello e un falso allarme influenza. Così avvenne alla fine di ottobre con una notizia timidamente accennata da alcune testate, ma divenuta poi un caso nazionale: Stefano Cucchi, ragazzo romano di 31 anni, muore in circostanze sospette la mattina del 22 ottobre nel reparto di medicina penitenziaria dell'ospedale Pertini dopo aver vissuto un calvario lungo 6 giorni, dal momento dell'arresto per possesso di sostanze stupefacenti. Come era normale aspettarsi che fosse, la pubblica opinione sin dal primo istante si è adoperata come dovesse risolvere un'appassionante giallo: Stefano sarà morto per le percosse dei carabinieri che l'hanno arrestato, dei secondini che lo hanno tradotto in carcere o per cause naturali? In questo articolo non si entrerà nel merito della questione, ragion per cui la vicenda non è stata trattata il mese scorso o due mesi fa, bensì ad essere al centro dell'attenzione sarà il sistema carcerario in toto, partendo da dati concreti, statistici e giungendo ad una riflessione vertente su motivi più teoretico-speculativi. La morte del Cucchi pone in evidenza la drammaticità della contemporanea vicenda carceraria, nell' anno appena trascorso la presenza media di detenuti è stata di 62060 unità; ben 11000 in più rispetto al 2008 e quasi 20000 in più del 2007 (dove a seguito dell'indulto del 2006 si giunse ad avere 44000 detenuti), contemporaneamente possiamo notare come anche le morti e in particolare i suicidi siano in nettissimo aumento in quanto delle 175 persone decedute in carcere, ben 72 (contro le 46 dell'anno precedente) si sono tolte la vita: questa cifra costituisce il record assoluto di suicidi in carceri italiani. Ragionando sulle motivazioni che fanno tendere queste cifre ad un aumento così consistente ne possiamo supporre molteplici, muovendo dalla considerazione che ogni sistema politico identifica dei soggetti da punire o da isolare per la loro "inidoneità" a stare nella società. La sanzione carceraria è interamente repressiva e relega la rieducazione solo ad aspetto secondario; ossia, se la "redenzione" avviene, tanto meglio, altrimenti ci penserà la recidività del reato ad accantonare nuovamente l'individuo errante. Ogni società - soprattutto quella democratica, che più d’altre necessita di legittimazioni da svendere ai propri cittadini come specchietti per allodole - ha bisogno di capri espiatori, di allargare esponenzialmente il campo dei contegni punibili con pene carcerarie, così da cercare al proprio interno carne da macello da dare in pasto alla massa e da fagocitare lei stessa per compiacersene. Sempre più spesso ci indigniamo per i pochi anni di detenzione dati all'assassino del nostro "caso preferito", della pena lieve comminata al fotografo dei vip, delle scarcerazioni derivanti da mere applicazioni di norme giuridiche. Il populismo giustizialista in gran voga è divenuto così forma di riscatto sociale per frustrati di ogni sorta ed è così, sia per chi gode nello spiare i "reclusi" del Grande Fratello, sia per chi darebbe un rene per vedere Berlusconi varcare l'uscio di un penitenziario; in mezzo a queste due  categorizzazioni estreme ve ne è tutta una serie, a dimostrarci che l'unica forma di riscatto sociale nell'era del precariato è il mal comune offerto dalla mannaia della giustizia. Il fatto di "vantare" 61mila detenuti - ben 20mila oltre la soglia di accoglienza massima delle strutture carcerarie italiane - è costato all'Italia una condanna dalla corte di Strasburgo per "trattamenti inumani e degradanti" e a ciò il ministro della giustizia Alfano ha risposto con il  "piano carceri", che prevede la costruzione di altri edifici carcerari per un totale di nuovi 17mila posti entro il 2012, tra cui anche strutture galleggianti ultramoderne da ormeggiare qua e la per la penisola. Dicevamo; dal 2006-07 il numero di detenuti è vertiginosamente aumentato, portando la media di reclusione annua da 44mila a 61mila unità. Ma quale legge ha fatto sì che si giungesse a tali livelli? Senza ombra di dubbio il decreto Fini-Giovanardi del 2005 e convertito in legge l'anno seguente (legge 49/2006) è uno dei massimi responsabili, prevedendo un massiccio inasprimento delle sanzioni relative alla condotta di produzione, traffico e detenzione di sostanze stupefacenti. In origine tale decreto legge risalente al 2005 aveva lo scopo per lo più di "tassare il possesso di stupefacenti"; infatti inasprendo le pene pecuniarie oltre a quelle detentive, si sarebbero avuti i finanziamenti per vari eventi, tra cui le olimpiadi invernali di Torino organizzate per l'anno seguente. Ma una volta divenuto legge ha consentito l'incarcerazione di diverse migliaia di tossicodipendenti (nel 2008 se ne stimavano 14700 contro i 1200 destinati all'affidamento terapeutico), incrementando così quell’idea di carcere quale ghetto di disperati e portando la sua popolazione in Italia ad essere la seconda più numerosa dell'Europa continentale. Sicura relazione la si trova anche con l'alto tasso di suicidi, nonché con il continuo incremento di morti anche per cause naturali e per overdose. Tre categorie monopolizzano infatti la triste classifica dei suicidi dietro le sbarre: i fine pena mai, le ingiuste detenzioni e appunto i tossicodipendenti. Questi ultimi, in primis sono sicuri portatori di un forte disagio psico-fisico scarsamente conciliabile con l'asprezza della vita carceraria, secondo poi sono molto portati ad essere recidivi, a ricadere nel reato e molto spesso a passare, dopo essere divenuti pregiudicati, dalla qualifica di "consumatore" a quella più ingrata di "spacciatore". Con questa legge non si risolve assolutamente il problema sociale droga, ma sicuramente si inasprisce quello della società carceraria e dei suoi "inquilini". Se non ci sbarazzeremo della concezione del carcere-ghetto sociale, ci si dovrà aspettare a breve la realizzazione dei carceri di quartiere; del resto, quella della società post-industriale di voler razionalizzare oltre il dovuto le pene detentive creando così una massiccia inflazione carceraria è una volontà ben precisa, come per il lavoro precario l'incertezza è dalla parte della democrazia liberale. Pian piano si sta passando ad una gestione carceraria della marginalità, seguendo così quell'istinto economicista tipico dell'era post-moderna, il carcere come rimedio a più dispendiosi e impegnativi termini quali: "stato sociale", "collettività", "inserimento" o "reinserimento", a seconda dei casi. Considerando che dai 30mila detenuti del 1990 si è passati, nel giro di vent'anni, ai 61mila del 2009, si può affermare con certezza che le doti profetiche di George Orwell riguardo controllo di massa e repressione difficilmente saranno, purtroppo, in futuro disattese. Terminiamo quest'articolo con l'invettiva iniziale del provocatorio libello di Giovanni Papini "Chiudiamo le scuole" del 1914. Esso, attuale nonostante la veneranda età, esprime bene il nostro sentimento verso l'istituzione carceraria:

"Diffidiamo de’ casamenti di grande superficie, dove molti uomini si rinchiudono o vengon rinchiusi. Prigioni, Chiese, Ospedali, Parlamenti, Caserme, Manicomi, Scuole, Ministeri, Conventi. Codeste pubbliche architetture son di malaugurio: segni irrecusabili di malattie generali. Difesa contro il delitto – contro la morte – contro lo straniero – contro il disordine – contro la solitudine – contro tutto ciò che impaurisce l’uomo abbandonato a sè stesso: il vigliacco eterno che fabbrica leggi e società come bastioni e trincee alla sua tremebondaggine.

Vi sono sinistri magazzini di uomini cattivi – in città e in campagna e sulle rive del mare – davanti a’ quali non si passa senza terrore.

Lì son condannati al buio, alla fame, al suicidio, all’immobilità, all’abbrutimento, alla pazzia, migliaia e milioni di uomini che tolsero un po’ di ricchezza a’ fratelli più ricchi o diminuirono d’improvviso il numero di questa non rimpiangibile umanità. Non m’intenerisco sopra questi uomini ma soffro se penso troppo alla loro vita – e alla qualità e al diritto de’ loro giudici e carcerieri... ".

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