Quando l’arroganza diventa sistema planetario.
Ci corre l’obbligo di fare un preambolo iniziale, noi, figli di questa amata città, al contrario di altri, rivendichiamo la dignità e la fierezza che da sempre appartiene ai perugini.
I popoli che perdono l’orgoglio della propria identità e la sovranità non sono liberi.
Pertanto mettiamo subito in chiaro delle cose, il nostro codice non prevede che l’ essere semplicemente cittadini americani vi garantisca l’ impunità.
Interferire pesantemente e le ritorsioni attuate dall’estero a causa di decisioni maturate delle nostre istituzioni non è da una nazione civile.
La nostra storia si basa su questi principi irrinunciabili , valori che non sono negoziabili . Siamo persone accoglienti e aperte che rispettano gli altri, ma a casa nostra le prepotenze non l’accettiamo.
Infatti la deliberazione che ha avuto protagonista l’amministrazione di Seattle di non intitolare più un parco alla città gemellata di Perugia a causa della sentenza di condanna nei confronti della loro concittadina Amanda, per il delitto Meredith, deve farci fare una serena generale riflessione.
Quando pensiamo alla cultura occidentale moderna la prima cosa che ci sovviene in mente è un insieme di immagini confuse ma abbastanza definite, di ferrovie, aeroporti, fabbriche, computer, tabelloni elettronici e via dicendo… Le conquiste della scienza e della tecnologia indubbiamente rivestono un ruolo di grande risalto e rappresentano uno dei vanti del patrimonio culturale dell’uomo del cosiddetto “mondo industrializzato”.
Spesso, però, nel modo più superficiale, si tende a confondere lo scenario, tanto da non saper distinguere più fra i termini coinvolti nell’analisi, confondendo perciò la conquista col conquistatore, la scienza con la saggezza, il dato con l’uomo. È così che molto spesso capita in questo nostro mondo post-fordiano, di osservare e ascoltare affermati apologeti dell’Occidente, appellarsi ad una civiltà comune, frutto di quelle conquiste e quelle erudizioni: un misto di sentimentalismo e di misticismo, non completamente estraneo ad un certo manicheismo messianico, nel quale la scienza stessa viene mortificata e uccisa proprio nel passaggio dalla sua natura metodologica di sperimentazione e critica alla levatura di fede, e l’uomo viene confuso con le sue conquiste.
La quantità supera e sorpassa la qualità, la logica della massa e dell’omologazione diventa paradossalmente un evento di distinzione, l’uomo occidentale passa al comando di un mondo del quale si sente padre e padrone.
Sappiamo bene in cuor nostro che non è così: sappiamo perfettamente che questa informe massa vuota non ha alcun peso specifico, non ha fatto altro che ricevere gli onori di riflesso, riscossi da una manciata di uomini arguti e ardimentosi del passato anche remoto, vivacchiando all’interno di una campana di vetro illusoria, dove le qualità umane e la sensibilità possono essere misurate con le calcolatrici.
Se al processo tecnologico e scientifico occidentale non si è in realtà accostato nessun progresso sociale e antropologico, l’illusione che al contrario possa ipoteticamente averlo fatto, ci ha portato a ritenere che questo fosse il migliore dei mondi possibili. La democrazia, il liberalismo, l’eguaglianza assoluta, furono dunque addotte quali nuove tavole di un mondo immaginario, costruito sul solco di una deviazione del pensiero umano.
Nel mondo di oggi, gli Stati Uniti incarnano da decenni il ruolo di faro democratico, di guida politica ed etica per tutto il pianeta conosciuto, e dunque da loro noi attendiamo direttive e a loro rimandiamo qualunque questione. Siamo abituati ad attenderne ogni giudizio, a conoscerne la letteratura, il cinema, l’arte in assoluto, passiamo con ansia la nottata dell’election day, curiosi di conoscere il vincitore, come mai avremmo fatto per paesi parimenti importanti magari anche più vicini.
Gli Stati Uniti, simbolo ed emblema della società capitalistica post moderna, figlia del più risoluto positivismo anglosassone e dei suoi risvolti economici (libero mercato), antropologici (l’uomo/donna di carriera) e perfino teologici (calvinismo), rappresenta per tutta la nostra intelligentia sociale, un riferimento fondamentale.
Di questo andazzo, però difficilmente riusciamo a spiegarci le tante e troppe falle storiche e particolari che ci dimostrano quasi l’opposto. Non capiamo perché quel paese possa aver bombardato almeno una nazione del mondo ogni anno da almeno sessanta anni, come possa condizionare e dettare le regole economiche del mondo attraverso organismi unilaterali e non-elettivi, come possa stabilire da sé e per tutti graduatorie di democraticità, come possa sempre intervenire in ogni luogo del globo senza che però nessuno possa mai anche soltanto provare a mettere in dubbio il pur minimo loro comportamento.
Improvvisamente le polemiche spariscono, i dubbi svaniscono, e delle loro numerose dimostrazioni di intolleranza, pochissime restano attuali e stampate nelle memorie collettive.
Manipolando, anzi, diffondendo mezze verità ottenute dal frammischiamento di fatti raccontati per metà e omissioni o spudorate falsità, dopo aver piazzato un mastodontico portale di informazione che produce milioni di trasmissioni e fonti d’informazione in modo quotidiano, non pare così complicato comunicare.
Così come si riesce a trasformare il bombardamento contro l’Irak del 2003 in un volano di pace e libertà, si riesce facilmente a far ritenere che Amanda Knox sia una vittima scelta della magistratura italiana, ancora istigata da un fantomatico sentimento di astio nei confronti degli Stati Uniti d’America, baluardo di democrazia. È forse il concetto calvinista del destino manifesto (quello, per dirla in breve, attraverso cui la borghesia WASP può sistematizzare il suo macchiettistico primato economico-sociale “innato”), a indurre questi individui a ritenere impossibile che una loro concittadina, nata sul “glorioso” suolo del confratello George Washington e dei “padri della libertà”, possa non solo essere giudicata ma persino messa in dubbio nella sua interiorità morale, ad opera di qualcuno che non sia un americano, anzi, ad opera di un qualunque non-americano.
Nullificando l’altro da sé, il genio civile di questo ibrido e sinistro tessuto sociale, presume di poter spianare la strada ai suoi cavalieri: si ritiene superiore senza mai entrare in campo, ma solo stabilendo dalla tribuna stampa buoni e cattivi, belli e brutti. Perugia oggi assomiglia a un pezzettino di Iran, e, a detta del Sindaco di Seattle (e mica cavoli!), sarebbe brutta e cattiva.
La sentenza del Tribunale contro Amanda, ha fatto sì che il gemellaggio consolidato tra le due città possa ora attraversare una crisi, ed uno dei parchi cittadini non sarà più chiamato col nome della nostra città. Le sfide nell’alveo della toponomastica sinceramente non ci costringono a prendere camomille per poter dormire e, ben premesso, che nulla ci interessa di questo gemellaggio, utile magari a qualche assessore locale per organizzare un viaggio premio, chiedo io, da perugino di nascita, di chiudere definitivamente qualunque tipo di relazione con una città di una nazione che non ci pertiene, di una nazione che non mostra rispetto per nessuno, ma che pretende di pontificare su ogni tema in ogni luogo.
Un oceano ci divide, non tanto in termini puramente naturalistici ma in termini di civiltà. Sarebbe un buon segno, da parte dell’amministrazione comunale, quello di difendere una volta tanto l’immagine della nostra città agli occhi del mondo, soprattutto di quel gran pezzo di mondo sempre più stufo di questa opprimente falsa libertà.
Andrea Fais - Ettore Bertolini, www.tifogrifo.com
Grandiosi ragazzi, e grazie, almeno qualcuno che ha il coraggio di lamentarsi di questa incivilta'
RispondiEliminaKatia Anedda