Non siamo certo sostenitori di teorie complottistiche che vedono la presenza di inesistenti Spectre internazionali in ogni avvenimento politico del mondo. Siamo però scettici per natura e questo, talvolta, ci porta a farci delle domande. Per esempio, come mai più nessun media occidentale parla dell’Iran? Che fine ha fatto la presunta ondata di rivolta giovanile che avrebbe dovuto spazzare via i rappresentanti della Repubblica Islamica?
Ma torniamo un attimo indietro e vediamo cos’è successo. Circa un mese fa, come già nel giugno scorso a seguito della vittoria elettorale del presidente Ahmadinejad, alcune centinaia di studenti hanno manifestato lungo le strade di Teheran per chiedere maggiore democrazia e la tutela dei propri diritti individuali. Ma chi c’è dietro questi novelli pseudo-rivoluzionari? A capo di questo fronte democratico e principale avversario di Ahmadinejad c’è Hossein Moussavi, dipinto da tutti i media come un convinto riformatore che vuole fare uscire l’Iran dall’incubo dell’islamismo oscurantista e medievale. Eppure il suo curriculum vitae ci dice esattamente l’opposto.
Nominato nel 1980 premier dell’Iran, si ergeva a paladino dell’Islam sciita, opponendosi alla liberazione degli ostaggi dell’ambasciata americana e promuovendo addirittura, dalle colonne del principale quotidiano nazionale, Jomhuri-e-islami, la messa al bando del gioco degli scacchi. Roba da far rabbrividire anche il più moderato dei talebani agfhani! E dopo la fatwa di morte contro lo scrittore Salman Rushdie, che aveva pubblicato il libro I versi satanici, considerato blasfemo nei confronti del profeta Maometto, Moussavi annunciò che i fedeli della Rivoluzione avrebbero preso «misure necessarie» per portarla a termine. E decise anche di indire un giorno di lutto nazionale contro «la cospirazione sporca e sinistra del Grande Satana nel pubblicare materiale velenoso che insulta l’Islam, il Corano e il benedetto Profeta». Ma, adesso, si dichiara convinto democratico e vuole riformare il proprio paese.
Come se l’Iran non fosse già un paese a struttura democratica. Perché, anche se nessuno ha l’onestà di dirlo, la Repubblica Islamica non è certo una dittatura, basterebbe analizzarne senza pregiudizi la Costituzione che ne delinea la struttura statale. La più alta carica è rappresentata dalla Guida Suprema, attualmente l’Ayatollah Ali Khamenei. Viene eletto dall’Assemblea di Esperti e rimane in carica a vita, ma l’Assemblea supervisiona l’adempimento dei doveri della Guida ed ha il potere di destituirlo. I membri di quest’ultima vengono eletti dal popolo, spettando al Consiglio dei Guardiani un semplice potere di veto, situazione non certo molto dissimile dalla nostra, dove tale potere spetta alle segreterie dei partiti, che stabiliscono unilateralmente le persone da inserire nelle proprie liste elettorali. E anche la prima carica esecutiva è eletta dal popolo, ed il presidente è sia capo dello Stato che del governo, cosa che farebbe ben felici i fautori nostrani della Repubblica Presidenziale.
Come si vede, nulla di particolarmente scabroso o antidemocratico nella struttura statale dell’Iran. Ovviamente il discorso cambia per quanto riguarda i contenuti normativi della Repubblica Islamica, che essendo tale, si conforma alla Sharia, cioè la Legge di Dio. Ma su questo punto, nessun paese straniero può arrogarsi il diritto di intervenire. Nel 1979 il popolo iraniano ha destituito lo Scià di Persia, che agiva unicamente secondo gli interessi americani, e ha appoggiato l’Ayatollah Khomeini e la Rivoluzione Islamica, che ha permesso al’Iran di riprendere la propria sovranità nazionale e la propria identità culturale. Perché è su questo campo che in realtà si sta svolgendo l’attuale conflitto interno. Da una parte Ahmadinejad, i pasdaran e la maggioranza assoluta del popolo che vuole continuare ad osservare la legge islamica e le regole di Dio, secondo una precisa visione spiritualistica dell’esistenza. Dall’altra, Moussavi e i suoi, i cui progetti politici sono alquanto vaghi, a prescindere dalla richiesta di maggiore libertà, che in Iran è un concetto assai diverso da quello dei diritti civili occidentali.
Al momento però stanno vincendo i primi, anche se la lotta sarà lunga e difficile, perché gli Stati Uniti sono fortemente impegnati a fianco dell’opposizione. Non a caso, negli ultimi anni Ahmadinejad ha stretto rapporti di amicizia politica con il Venezuela di Chavez, di cui condivide la lotta antiamericana in Sud America. Che stia per nascere, anzi che sia già in atto, una nuova Guerra Fredda tra Usa e paesi non allineati?
Di Alessandro Cavallini tratto da Il Fondo Magazine
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