sabato 9 febbraio 2008

LAMPI SULLE COLLINE NERE.


1877-2007: a  130 anni dall'assassinio di Cavallo Pazzo a Fort Robinson.





In tempo di citrullaggini sulle radici dell'Europa, ci piace riflettere su altre radici, quelle degli Stati Uniti d'America, di assai più facile individuazione. Infatti, le radici degli USA consistono proprio nel non avere radici. Non che la gente che li fondò non avesse ascendenti storici, anzi, ne aveva molteplici ed eterogenei, ma la detta fondazione consistette appunto nel dare un taglio a quel tipo di radici, autoproclamandosi nuovi profeti e inventori della super civiltà, ossia novus ordo seclorum.


Filosoficamente parlando, non è che la loro concezione fosse del tutto nuova. Era uno strano intruglio bigotto tra giudaismo biblico e calvinismo, con la soda frizzante di forte dosi di presunzione, tipica degli immaturi. Ma, come tutte le cosiddette ideologie, anche quella non era che un grembiulino, confezionato e ricamato per coprire un sottostante modo di essere, la cui vera natura è più chiaramente rivelata dalle costanti del modus operandi che dai sermoni. Nel caso della neo nazione americana, il fatto che le ideologie debbano la loro fortuna solo alla loro idoneità a santificare a posteriori il modo di essere ed operare prescelto (basta pensare alla fortuna "politica" della stupidaggine evoluzionista), emerge lampante dalla circostanza, apparentemente inesplicabile, che la presunzione ebraica di essere il "popolo eletto" e quella yankee del "destino manifesto" di dominare la Terra, anziché determinare una spietata lotta tra Popolo Eletto e Popolo Eletto Bis, hanno fatto dei due culo e camicia. E' che non sono i ricami sui grembiulini ideologico/religiosi che contano, nella storia, ma i comportamenti che essi intendono legittimare. E giudaismo e calvinismo, come paramenti sacri e lava coscienze del profano americanismo, vanno ugualmente a meraviglia!


Basta percorrere il breve iter dei due secolucci o poco più di storia della nazione americana, per essere immediatamente colpiti dalla costanza dei criteri operativi che la contrassegnarono sin dal suo embrione. Essi furono tre: avidità, frode e violenza. Dopo che, alla fine degli anni Venti del secolo scorso, quei tre cattivi consiglieri portarono il capitalismo di modello Rothschild alla nota tremenda crisi, i governi USA vi posero rimedio nazionalizzando la più florida e redditizia delle attività economiche locali, e cioè il gangsterismo, eretto a sistema di Stato in politica interna come estera. E sappiamo bene come avidità, frode e violenza abbiano potuto, in tal modo, fare un enorme salto di qualità. Sono potute persino giungere, in questo dopoguerra, alla mirabile fusione tra loro, grazie all'invenzione, da parte della nazione/gangster, dell'inedito delitto di "truffa a mano armata", consistente nell'escogitare inganni, anche grossolani, costringendo le vittime riottose, con la brutale violenza omicida, a farsi ingannare (ringraziando pure!). E ha funzionato!


Ha funzionato, grazie all'immensità della stupidaggine e della viltà umana, sua complice primaria. Ma è farina del diavolo, di cui la saggezza popolare (quella vera e antica, non quella "democratica") dice che va tutta in crusca. Può "rendere" per un poco; magari per parecchio, ma il primo vento fresco se la porta via, come la pula.


Quel 5 settembre 1887, la smisurata potenza militare statunitense, dopo la batosta del Little Bighorn, toccò con mano che affrontare sul campo tipi come Toshinko Widko (Cavallo Pazzo), il condottiero Lakota Oglala che beffava la morte, era cosa assai spinosa, e adottò allora il metodo a lei congeniale di invitarlo a un colloquio di pace, ed ivi piantargli a tradimento una baionetta nelle reni. Semplice, economico e con risparmio di "giovani vite americane" (di spirito pratico gli Yankees non mancano certo!). Cominciò, con quel delitto, l'opera programmata di cancellazione dei cosiddetti Sioux (nome wasichu delle tre nazioni affini dei Lakota (o Teton), dei Nakota (o Jankton) e dei Dakota (o Santee), conclusasi tredici anni dopo con l'altro glorioso e proditorio assassinio del grande Lakota Hunkpapa Tatanka Iota-ka (Toro Seduto).


E sui fieri e indomabili Lakota calò il silenzio di morte, né più ebbero l'onore di menzione dalla bocca di alcun Grande Padre Bianco pontificante a Washington. Pensò solo la letteratura popolare (e, di li a poco, il cinematografo) a demonizzarli e schernirli, in mucchio con gli altri "indiani", come pazzi urlanti e assetati di sangue. Niente di nuovo sotto il sole, insomma. Sembravano, per oltre cent'anni, i Lakota e la loro eroica e impari lotta, condannati definitivamente ad essere solo uno sgradevole ricordo. Persino sulle Colline Nere, i Pa-Sapa già sacri a quei popoli, i bianchi senza onore scolpirono sul crinale roccioso, a supremo sfregio, le facce idealizzate dei loro profani Presidenti che li avevano guidati al genocidio. Allo sterminio fisico si aggiunse così la morte storica.


Ecco, invece, il primo soffio di vento. Poco più di un secolo era trascorso dall'infamia di fort Robinson, che sulle colline profanate esplodevano le mine e rombavano i martelli perforatori per l'edificazione del più colossale monumento di tutti i tempi. Alto 130 metri, un uomo a cavallo emerge grado a grado dalla dura roccia, indice destro teso a additare la sua terra, dove sono sepolti i suoi morti. Il viso, ormai completo, è quello di Cavallo Pazzo, eroe riconosciuto ormai, non solo dei Lakota, non solo degli altri cacciatori e guerrieri delle Pianure, ma di tutti gli Indiani rimasti orgogliosamente tali, dall'Atlantico al Pacifico. Anche, si badi, quelle tribù del sud o dell'estremo Ovest che, al tempo della loro libertà, dei Lakota ignoravano persino l'esistenza. Unendosi coralmente ai generosi sforzi di un architetto europeo, di recente naturalizzazione americana, vergognoso per i delitti infamanti su cui era fondata la sua seconda patria, accordatosi con un vecchio capo Lakota, gli straccioni e mendichi, umiliati e negletti, confinati nelle inospitali riserve rifiutate dall'avidità dei "civilizzati", vollero tutti contribuire, pur nella loro povertà, alla riaffermazione della loro civiltà distrutta.


Ai piedi dell'opera immensa, sorse per volontà e con l'apporto di tutte le tribù ed etnie, il grande Museo dei popoli indiani, i cui proventi vanno interamente ai lavori. A questo punto, l'Uomo della Casa Bianca fece l'astuta pensata di rifarsi il trucco da Grande Padre Bianco offrendo, a sorriso spiegato, il contributo degli States, spergiuri e genocidi, di ben 300.000 dollari! Non sponsorizzavano forse i suoi ispiratori e maestri Scarface, Dillinger o Al Capone, scuole, asili o case di cura, magari in misura meno spilorcia? Ma, quando sulla sua faccia di tolla arrivò lo schiaffo dello sdegnoso rifiuto, probabilmente si limitò a borbottare: tanto di risparmiato! Nessun brivido gli corse la schiena. Nessun insegnamento ne trasse. Il Popolo Eletto Bis non accetta insegnamenti estranei. E fece assai male. Qualcosa di inafferrabile si muoveva, in quella sfera che, per un rozzo wasichu, lingua biforcuta, è inaccessibile.


Ed ecco spirare ora il secondo soffio, ancor più grave e inequivocabile, anche se  stampa e antenne addomesticate si affannano a coprirlo di silenzio. Il consiglio delle comunità Lakota ha pubblicamente ed espressamente denunziato tutti i trattati sottoscritti con i Bianchi, ben 33, in forza dei quali avevano acquistato il passaporto statunitense. Motivo: la plateale violazione di tutti essi da parte dei Visi Pallidi. E' semplicemente il principio di diritto romano: inadimplenti non est adimplendum. La conclusione della  motivatissima dichiarazione, ufficialmente comunicata alle "autorità", è drastica: non siamo più cittadini degli Stati Uniti d’America.


Quei trattati, hanno dichiarato e sottoscritto i rappresentanti di tutte le tribù, sono stati violati a più riprese, per privarci della nostra cultura e delle nostre usanze e per rubare le nostre terre. Le consideriamo quindi, da oggi, carte senza valore. Ebbene. confrontiamo tali chiare espressioni con quanto Toro Seduto aveva gridato in consiglio nel 1869, per dissociarsi dalla linea "conciliativa" di Nuvola Rossa. "Quale patto il Bianco ha rispettato e noi abbiamo infranto? Nessuno! Quale patto l'uomo bianco ha mai fatto con noi e poi ha rispettato? Nessuno!". E' quindi, quella dei Lakota del XXI secolo, la rivendicazione piena della posizione dei loro antenati del XIX, senza rinnegamenti né pentimenti di sorta. Ma, quel che più conta, e dovrebbe allarmare Condoleezza & C. ben più che Al Qaeda, è che, dopo due secoli di naturalizzazioni americane invocate e ambite, è la prima snaturalizzazione!


Se il fenomeno si estende (e non poche ne sono le avvisaglie), come pensano di fronteggiarlo i Padroni del mondo? Sganciando bombe nucleari "mirate" a casa propria? O forse distribuendo coperte all'uranio impoverito, in luogo del vaiolo di un tempo? Che il colosso dell'Occidente si avvii piuttosto a fare la fine dell'altro tracotante colosso pseudo antagonista? L'avvenire, dicevano i nostri Padri, è sulle ginocchia di Zeus. Comunque: onore e successo ai Lakota, dei quali ci siamo sempre sentiti fratelli in spirito!


Di Rutilio Sermonti

Pubblicato sul numero 2/2008 di "Ciaoeuropa".

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