giovedì 21 febbraio 2008

Il dovere dell’azione.

Una pace che dura da troppi anni infiacchisce inevitabilmente l’uomo rendendolo vile ed impreparato ad un’eventuale situazione di pericolo. Nella premessa, onesta e franca, che nessuno è immune dai negativi influssi della decadenza moderna, noi che scriviamo compresi, sosteniamo che l’essere umano egoista ed edonista del nostro tempo è, senza dubbio, indisciplinato; a meno che le necessità della vita non gli impongano un determinato regime, il tipico “occidentale” è un decadente in ogni direzione.

Egli dorme fino a tardi il mattino, ozia spesso e manca nei suoi doveri quotidiani. Non eccelle in alcuna disciplina fisica e, nello stesso tempo, si vanta di essere artista o intellettuale. Sperpera - se ne ha la disponibilità - denaro, ricerca da ingordo i dannosi piaceri della gola e si bea nella lussuria. Come può, dunque, oggigiorno, dimostrarsi il coraggio di un uomo? Attraverso quali prove il cittadino del nostro tempo può “superare sé stesso” in uno slancio eroico e virile? Un individuo che teme la morte, che scansa ogni pericolo, che non rischia nulla e che ha paura di essere escluso dal pensiero conformista dei benpensanti democratici: come può un tale essere elevarsi alla dignità virile dei gloriosi tempi passati?

Il valore di un uomo, in effetti, si rivela pienamente solo nell’istante in cui la sua vita si confronta con la morte, con il pericolo. Ma in un mondo che ha volutamente accantonato la guerra, la tensione spirituale e l’onore, la morte la si potrà incontrare soltanto - e neanche così facilmente, visti i progressi della scienza - nei lettini degli ospedali o, peggio, sull’asfalto delle strade cittadine ed extraurbane destinate al traffico delle autovetture e dei motori. Che squallido dipinto! A chi e a cosa giova l’aver allungato la vita biologica se poi questa si riduce ad una banale, monotona e grottesca mangiatoia in cui ogni grande ideale è temuto e occultato?

Un uomo che si rifugia nella tranquillità borghese domestica, tra i falsi ideali del pacifismo e del buonismo, non potrà far altro che subordinarsi alla femmina, la quale altro non cerca se non, appunto, la pace e il nido tranquillo. Al di là di ogni pericolo e di ogni verità. Ma l’uomo deve staccarsi dalla madre, deve staccarsi dalla femmina ed affermare la propria identità guerriera o, altrimenti, contemplativa. Deve altresì disciplinare il proprio agire quotidiano, il proprio linguaggio e il proprio abbigliamento tramite il dominio di sé, l’autocontrollo e l’eleganza, con stile armonico e buon gusto. Deve tornare, poi, ad avere cura per il proprio fisico e la propria salute in modo naturale ed equilibrato. Deve mantenere ed onorare la parola data, gli appuntamenti, la puntualità e la precisione. Deve, l’uomo, rispettare i cicli della vita, senza anticiparli o posticiparli e portare riverenza per la famiglia, gli anziani e i bambini. Deve amare la natura, vegetale ed animale, e temere il bosco e la montagna, le acque ed i cieli. Deve allontanare i veleni della “cultura” com’è intesa oggi nelle nostre scuole ed università, nozionismo puro ed esercizio noioso di memoria, mezzo per la stupida vanità degli sgobboni e dei buffoni. Deve, il nostro uomo contemporaneo, evitare di effeminarsi con letture decadenti e spettacoli “plebei”. Deve, infine, realizzare una diversa idea della donna e del piacere sessuale, lontana dai falsi moralismi ma anche contenuta in quei limiti dettati dal senso del pudore, dell’onore e della responsabilità.

Quando una società, infatti, si scatena nell’immoralità e nella licenziosità dei costumi significa che essa è giunta al termine e che si prepara la “grande guerra”, guerra i cui soli trionfatori saranno coloro ai quali non mancheranno lo “spirito”, l’orgoglio e il carattere. Quando regnano l’affarismo, l’arrivismo, il materialismo, l’egoismo e l’insubordinazione ed ogni senso religioso, sacro e spirituale perisce sotto i colpi tremendi della rivoluzione, possono aversi solo due sbocchi per l’uomo “differenziato” della Tradizione: l’isolamento ascetico o contemplazione e l’azione. Tra le due possibilità, l’azione è quella più temibile agli occhi del mondo perché, se ben preparata ed organizzata, rischia di innescare un processo inarrestabile e sconvolgente. Tuttavia, va pur detto che non tutte le azioni presuppongono l’utilizzo delle armi e la violenza: vi sono azioni ed azioni, secondo i fini da perseguire e le circostanze del tempo.

Va da sé, però, che in ogni azione è possibile scorgere un “combattimento” con altre forze in vista di un obiettivo. Rispetto all’attività mentale, l’azione ha una forza in più costituita dalla evidente rapidità e, quindi, dal minimo dispendio di tempo. Nonostante ciò, la mente non è mai ferma o atrofica: essa agisce prima, dopo e anche durante l’atto stimolando energicamente i sentimenti e suscitando nel cuore angosce e timori, necessari al bilanciamento del positivo e del negativo. L’azione deve attendere il momento propizio, il tempo favorevole alla scommessa, pena il fallimento. Essa diventa, in tale ottica, anche sinonimo di “pazienza”, “addestramento” e “silenzio”. L’azione, infine, pur potendosi ammirare anche in un solo uomo, necessita spesso di un gruppo saldo ruotante intorno ad un centro carismatico: il capo, il condottiero. Ogni rivoluzione, in verità, non è altro che il frutto della fiamma che arde in un provvidenziale, grande uomo e che accende gli animi degli altri valorosi.



Di Gianfranco Mancusi, www.juliusevola.it

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