giovedì 22 marzo 2007

Fashion victim.







“Ogni nostra azione è un grido di guerra contro l’imperialismo, è un appello vibrante all’unità dei popoli contro il più grande nemico del genere umano: gli Stati Uniti d’America. In qualunque luogo ci sorprenda la morte, che sia la benvenuta, purché il nostro grido di guerra giunga a un orecchio che lo raccolga, e perché un’altra mano si tenda per impugnare le nostre armi e altri uomini si apprestino a intonare canti funebri con il rumore delle mitragliatrici e nuove grida di guerra e di vittoria”


CHE GUEVARA

(aprile 1967)




Quale significato può avere ricordare il Che nell’Argentina del 2007? Come ricordarlo senza che l’omaggio diventi un semplice rituale che non infastidisce nessuno e tranquillizza le coscienze di coloro che, lontani oggi dai suoi ideali, dai suoi sogni e dalle sue pratiche, pensano che il migliore modo di smorzare il suo messaggio sia ricoprendo il Che di una gloria lontana e irraggiungibile per quanti pretendono continuare la lotta? Come ricordare il Che, come ripensare a lui, nel ventunesimo secolo, nelle attuali condizioni in cui si pretende assimilare il suo progetto fondamentale -la battaglia per il socialismo, la creazione dell’uomo nuovo e della nuova società su scala mondiale - a differenti pratiche politiche e sociali, incluso quelle che esortano alla costruzione di un “capitalismo serio”? Come ricordare il Che quando dall’altra parte molti di coloro che al tempo lo negarono, pretendono ora di utilizzarlo come emblema per le nuove modalità di settarismo, riformismo e opportunismo? L’idea è quella di parlare del Che e degli argentini, in un momento in cui risuona come una sfida il suo messaggio rivolto al nostro popolo il 25 maggio del 1962, dall’Avana, in cui ci spronava urgentemente all’unità. Diceva allora: “Tutti noi che lottiamo per la liberazione dei nostri popoli, lottiamo allo stesso tempo, anche se a volte non lo sappiamo, per l’annichilamento dell’imperialismo; e tutti quanti siamo alleati, anche se a volte non lo sappiamo, anche se a volte disgreghiamo le nostre forze per liti interne, anche se a volte per discussioni sterili, smettiamo di costruire il fronte necessario per lottare contro l’imperialismo; tutti noi che lottiamo onestamente per la liberazione delle nostre rispettive patrie siamo nemici diretti dell’imperialismo. In questo momento non può esserci altra posizione che la lotta diretta o la collaborazione” . (…) “Liberazione, perché l’Argentina è di nuovo incatenata; catene a volte difficili da vedere, catene che non sempre sono visibili da tutto il popolo, ma che la stanno legando giorno dopo giorno. Il petrolio se ne va, compagnie straniere entrano da tutte le parti, si vanno perdendo vecchie conquiste, e tutto questo sta accadendo lentamente, come un veleno sottile che sta penetrando in Argentina, come in molti altri paesi dell’America Latina” (…) “Se il nostro popolo impara bene la lezione, se non si lascia ingannare dal nuovo, se non succedono nuove e piccole scaramucce che lo allontanano dall’obiettivo principale che deve essere prendere il potere - niente più né nientemeno che prendere il potere - potranno verificarsi nuove condizioni in Argentina, le condizioni che all’epoca rappresentò il 25 maggio, le condizioni di un cambiamento totale. Solamente che, in questo momento di colonialismo e imperialismo, il cambiamento totale significa il passo che noi abbiamo fatto: il passo verso la dichiarazione della Rivoluzione Socialista, e l’istituzione di un potere che si dedichi alla costruzione del socialismo” Questo discorso del Che ci ricorda alcuni punti fondamentali del suo pensiero, sui quali possiamo e dobbiamo riflettere. Il socialismo, come obiettivo principale della nostra battaglia. Il tema del potere e le concezioni che il movimento popolare ha dello stesso. La necessità dell’unità delle forze antimperialiste. L’antimperialismo, come fulcro di una politica continentale. Terminava così il Che il suo discorso 45 anni fa:  “Pensiamo all’unità indistruttibile di tutto il nostro continente, pensiamo a tutto quel che ci lega e unisce, e non a quel che ci divide; pensiamo a tutte le nostre comuni qualità; pensiamo alla nostra economia in uguale modo distorta, ad ogni popolo in uguale modo oppresso dallo stesso imperialismo; pensiamo che siamo parte di un esercito che lotta per la sua liberazione, in ogni luogo del mondo dove non si sia ancora ottenuta, e apprestiamoci a celebrare un altro 25 maggio, non più solamente in questa terra generosa, bensì in tutta la terra sotto simboli diversi, sotto simboli nuovi, sotto il simbolo del futuro, sotto il simbolo della costruzione del socialismo, sotto il simbolo della vittoria”. Quel 25 maggio del 1962 Il Che tenne questo discorso durante un asado in cui si erano riuniti gli argentini che si trovavano a Cuba, partecipando a diverse attività di solidarietà con la Rivoluzione Cubana. In tale occasione, a nome della delegazione argentina, parlò John William Cooke, dirigente delle correnti rivoluzionarie del Peronismo, uno degli uomini con cui il Che avena intessuto solidi legami pensando alla realizzazione del suo progetto rivoluzionario in Argentina. John William Cooke collaborò con la prima guerriglia sviluppatasi nel paese nel 1959, la guerriglia di Uturunco; successivamente appoggiò -su richiesta del Che- l’esperienza dell’Esercito Guerrillero del Pueblo, capeggiata da Jorge Ricardo Masetti, che si sviluppò a Salta fra il 1962 e il 1964, e organizzò con altri compagni la guerriglia di Taco Ralo, nel 1967, anno della sua morte. Quando il Che andò a combattere in Bolivia, Cooke stava organizzando un distaccamento argentino per unirsi al Che in questo sforzo continentale. Riguardo a ciò rimane la testimonianza della sua compagna, altra esponente di spicco del Perdonismo, Alicia Eguren: “Cooke ricevette le prime notizie della morte del Che a Londra, di ritorno dalla Conferenza dell’OLAS (Organizaciòn Latinoamericana de Solidaridad) alla quale aveva partecipato presiedendo la delegazione argentina. Lo shock fu per lui più forte di quello provato da quanti si resero subito conto di aver perso il loro capo per la guerra vera. Per John questa morte significava il tragico rinvio, o meglio la fine dei piani di lavoro per i quali, spontaneamente, aveva già rinunciato a molte cose, incluso, a livello personale a ciò che più amava. Da Londra andò a Parigi. Rimase lì per più di quindici giorni aspettando contatti che non si stabilirono. La tragedia fu troppo grande perché si ricostruissero immediatamente i circuiti rotti. Per lo meno non esistevano l’organizzazione, i piani di azione e di emergenza affinché il progetto originale, infranto dalla grave disgrazia, potesse svilupparsi nell’immediato. Ernesto Che Guevara e John W. Cooke mantennero una lunga relazione politica, militante e rivoluzionaria. I progetti di lotta comune nel sud del continente rimasero stroncati con la morte di Ernesto. John morì a meno di un anno dal Che”. Alicia Eguren - che fu assassinata nell’ESMA (Escuela de Mecànica de la Armada) - prese parte successivamente al Frente Antimperialista per il Socialismo e fu inoltre una collaboratrice diretta del Che nei suoi piani rivoluzionari per il continente. C’erano inoltre a quell’asado Tamara Bunke, Tania, la guerrigliera che poi morì in Bolivia, combattendo assieme al Che e Jorge Masetti, il Comandante Segundo (alias don Segundo Sombra) che, in quel periodo, dava vita alla prima guerriglia guevarista in Argentina. Impresa a cui il Che avrebbe voluto unirsi successivamente, con il nome di guerra di Martín Fierro. L’Ejercito Guerrillero del Pueblo, operativo nella regione dell’Orán fra il 1962 e il 1964, fu la prima guerriglia ispirata direttamente dal Che. Jorge Ricardo Masetti, fondatore della Prensa Latina, fu il primo giornalista argentino che intervistò il Che nella Sierra Maestra, e da allora si unì ai suoi progetti rivoluzionari. Masetti, Cooke, Alicia, Tania. Sono solo alcuni compagni di quella generazione che potremmo identificare come quella dei primi guevaristi argentini, che provenivano da diverse identità e organizzazioni politiche. Peronisti come Cooke e Alicia, cristiani come Juan García Elorrio, marxisti come Roby Santucho, trotzkisti come il Vasco Angel Bengoechea. Ebbero diverse opinioni sulla congiuntura nazionale e sulle tattiche da seguire. La maggior parte di loro non si trovarono d’accordo al momento di lottare contro lo stesso nemico, ma furono ugualmente fedeli all’esempio, all’etica e all’umanesimo che li legarono al Che. Questo dato, le diverse identità, le differenti organizzazioni e una stessa attitudine di fronte alla vita, è una delle prime riflessioni che è necessario fare. Perché forse in ciò risiede uno dei più grandi dilemmi argentini, e la maggior sfida per l’attualità. Il Che fu capace di relazionarsi con le diverse correnti politiche argentine, senza altra condizione che quella che fossero veramente disposte a lottare, modificando le concezioni erronee di quei settori e disposto sinceramente anche a cambiare le proprie idee. Era un dialogo reale, sincero, senza sotterfugi, mediato da un’alta morale rivoluzionaria e da condivisi sforzi pratici di lotta. Allo stesso tempo, la densità etica del suo esempio, riuscì a commuovere, più di molti discorsi, migliaia di giovani argentini, provocando una rottura culturale che interessò tutti i settori della sinistra. Rodolfo Walsh, giornalista argentino, ferito a morte il 25 marzo 1977 in una imboscata tesagli da un reparto specializzato dell’esercito ed il cui corpo non fu mai ritrovato, scrisse sulla morte del Che: “La nostalgia si codifica in un rosario di morti, e si prova un po’ di vergogna stando qui seduti davanti ad una macchina da scrivere, anche se si sa che pure questa è una specie di fatalità, anche se ci si potrebbe consolare con l’idea che è una fatalità che serve a qualcosa. Detto più semplicemente: costa a molti eludere la vergogna, non di essere vivi –perché non è il desiderio della morte, bensì il suo contrario, la forza della rivoluzione- ma di sapere che Guevara è morto con pochi compagni attorno a sé. Certo non lo sapevamo, ufficialmente non sapevamo nulla, ma lo sospettavamo, lo temevamo. Siamo stati lenti, colpevoli? Inutile ora discutere la cosa, ma questo sentimento di cui parlo è presente, almeno per me lo è, e forse può essere un nuovo punto di partenza”. Paco Urondo, poeta, scrittore e giornalista, assassinato dalla dittatura militare, disse:  “Ha rincorso la sorte dell’ aggredito, anche se l’aggredito non ha rincorso la sua sorte. Continua a vivere e a scodinzolare. Proprio ora ascolto alla radio fatidici dettagli fra scariche elettriche, fluttuando in un etere contaminato e non rimane altra cosa che ammetterlo e il giorno dopo sua sorella mi dice di sì, che era il suo corpo, che adesso si rendevano conto che non voleva riconoscerlo, che negava la gran disgrazia d’America; il suo corpo da santo, perché io non so se lo conoscevate bene, mi dice, ma gli è venuto quell’aspetto da santo che forse era necessario per scuotere questo mondo prostrato, anche se sembra un prezzo troppo alto per finirla con il formalismo di sinistra e i gruppetti dissidenti e paralizzati e i fuochi isolati e incominciare una buona volta, prima che alcuni pretendano dissellare e tutto termini in lamentele, e nessuno abbia corretto gli errori. Vedo il futuro nella causa dei loro figli e dei miei e dei tanti in questa terra immonda. Non si possono più chiedere ordini al mio Comandante. Non va più dando risposte, la sua la già data. Bisognerà ricordarla, o indovinarla, o inventare i passi del nostro destino”. Rodolfo Walsh, Paco Urondo, Haroldo Conti, Tania, Alicia Eguren, Juan García Elorrio, Jorge Ricardo Masetti. Compagni e compagne che furono fedeli all’esempio etico del Che, dando la propria vita in queste battaglie. Uomini nuovi, che misero in pratica a modo loro, nel loro tempo, con le proprie vite, la pedagogia dell’esempio. La pedagogia della coerenza fra teoria e pratica. La pedagogia del soggetto trasformatore della storia, artefice della storia. Di fronte a una cultura neoliberale che ha proclamato la fine della storia, che ha cercato di renderci tutti quanti oggetti, oltretutto oggetti scartabili, la presenza del Che fra gli argentini stimola la possibilità di continuare a creare, nella lotta, uomini nuovi. Uomini che vanno forgiando nelle loro pratiche quotidiane i valori opposti a quelli che rafforzano la dominazione. Si tratta di una battaglia contro l’egemonia, combattuta sul piano delle idee, dei valori, delle attitudini, dei gesti. Si tratta di sfidare la cultura dell’autoritarismo, del settarismo, dell’egemonismo, dell’egoismo, dell’individualismo, del “si salvi chi può”, per pensare ad una cultura basata sulla solidarietà, sulla capacità di ribellarsi di fronte alle ingiustizie, sulla sensibilità. "Lasciatemi dire – diceva il Che nel 1955 a Carlos Quijano – che il vero rivoluzionario è guidato da grandi sentimenti d’amore”.  È possibile forgiare questi uomini nuovi, in un tempo in cui il mercato comanda sui valori, in cui si comprano le coscienze a basso costo, in cui la corruzione ha intaccato alla base lo stesso movimento popolare, in cui la cooptazione sviluppata dal potere e persino da correnti politiche provenienti dalla sinistra è diventata una consuetudine? Credo che questa sia una delle sfide più grandi. E penso che sia possibile, quando ricordo Darío Santillán, Maxi Kosteki, i piqueteros di Salta, nel nord del paese, ai confini con la Bolivia, i compagni che sacrificano la propria vita tutti i giorni, non per trarre un immediato vantaggio per se stessi, bensì per creare nuovi modi di relazionarci, di organizzare la nostra lotta, di risolvere il problema della nostra sussistenza in modo collettivo.  Il Che sognò l’uomo nuovo, scrisse pensando a come crearlo e lo creò con la propria vita, inventò modi per educarlo. È in questa ricerca che dobbiamo iscrivere tutto quello che sviluppò come contributo al socialismo, soprattutto la ricerca di nuove forme di lavoro che non ripetessero l’alienazione, lo sfruttamento proprie del capitalismo. Quando il Che andava al lavoro volontario, decantando l’importanza dell’esempio, cercava non solo di realizzare un gesto di solidarietà, bensì di trovare in un lavoro liberato, i semi di una nuova maniera di lavorare, non capitalista, in cui l’individuo, l’uomo o la donna, non siano obbligati a vendere la propria forza lavoro per sopravvivere. Pensava a nuove relazioni che avrebbero potuto crearsi fra gli uomini e le donne che si univano al lavoro volontario. Credo che molti di questi contributi, valgano oggi come base per il dibattito attuale sulle realtà produttive dei piqueteros, o sulle imprese recuperate dai lavoratori. È una gran sfida, intendo dire, trovare in queste nuove modalità di organizzazione, forme di relazione che anticipino la società che aneliamo creare. L’opportunità di ritornare ad agire come volontà collettiva, come forza solidale, è la gran sfida che si presenta a quanti continuiamo a pensare a una società in cui ci prendiamo la responsabilità di creare coscientemente la nostra storia. La relazione uomo nuovo, organizzazione nuova e nuova società, è l’asse che dobbiamo ricomporre come condizione per costruire un progetto rivoluzionario alternativo. L’uomo nuovo, proposta cui il Che consacrò la sua vita, è la coniugazione dei valori che negano la cultura alienante del capitalismo di fine secolo. L’organizzazione nuova, sarà quella che possa contribuire a riunire gli ideali, le capacità e la mistica necessarie per promuovere una cultura basata sull’unione, la ribellione, la resistenza e la solidarietà. Sarà sicuramente il risultato di un processo di unità dei rivoluzionari argentini provenienti da diverse esperienze e tradizioni militanti in Argentina, e in essa avranno un ruolo rilevante le nuove generazioni che cominciano ad integrare nella loro ribellione la figura emblematica del Che. La nuova società sarà la conclusione di una complessa costruzione collettiva, piagata di contraddizioni. Il socialismo non sarà solamente una forma superiore di distribuzione della ricchezza, né sarà solo un modalità di produzione, bensì, come lo propose il Che, un fatto di coscienza. Sarà il trionfo di una cultura opposta a qualsiasi tipo di dominazione e ad ogni tipo di discriminazione.



Da: www.rinascita.info

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