La storia di Luigi Ciavardini è la storia di un uomo condannato ad essere condannato, la storia di un uomo imputato da sempre, senza un movente plausibile né credibile, senza elementi di fatto, senza prove o testimonianze certe, senza riscontri oggettivi. Ciavardini entra nel maggio 1986 nell'epopea del processo per la strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980, come testimone dei due ex Nar, Mambro e Fioravanti. Ne esce condannato, non in via definitiva, a 30 anni di reclusione, con la sentenza in secondo grado della sezione minorile della Corte d'Appello di Bologna, emessa il 13 dicembre del 2005. Oggi, dopo aver combattuto quella guerra civile come diciassettenne esponente dei Nar, continua a pagarne le conseguenze, ventisette anni dopo. Perché? Perché non volle mai ritirare la sua testimonianza in favore di Mambro e Fioravanti; perché non si può non dire la Verità. Ciavardini, per non aver scagionato i colpevoli designati e solo presunti, è divenuto colpevole a sua volta e ultimo imputato per la strage di Bologna. La pronuncia definitiva della Corte di Cassazione, in riferimento alla sua posizione nella vicenda della strage, si sarebbe dovuta avere il 14 marzo 2007 (l'udienza è stata rinviata a data da destinarsi per motivi procedurali). Tuttavia Ciavardini si presenterà in Cassazione come rapinatore incallito. Il motivo: Ciavardini, che attendeva in stato di libertà la sentenza della Suprema Corte, è stato arrestato l'11 ottobre scorso su richiesta della Procura di Roma, con l'accusa di aver compiuto, il 15 settembre 2005, una rapina alla sede della banca Unicredit, in zona Balduina. Il 20 febbraio del 2007, giudicato con rito abbreviato, Ciavardini è condannato a sette anni e quattro mesi di reclusione per rapina aggravata. Quest'ultima accusa e quest'ennesima condanna non potranno certamente incidere in modo positivo sulla Corte. Ci domandiamo ora se l'arresto e la condanna per rapina non siano frutto di un'operazione orchestrata a tavolino; ci domandiamo se non debba giungere, nel nostro paese, il momento di mettere da parte i preconcetti ideologici e gli odi di parte; ci domandiamo perché non si debba avere oggi il coraggio di giudicare l'innocenza di una persona.
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