sabato 31 marzo 2007
Afghanistan: italiani brava gente.
Da:www.rinascita.info
venerdì 30 marzo 2007
Un'aiuto concreto. Per Luigi, per la verità.
CONTO CORRENTE POSTALE n. 62005954 - Intestato a Germana De Angelis - Causale: Sostegno a Luigi.
giovedì 29 marzo 2007
Ottimi consigli per una corretta militanza!
Tutto dipende da quanti siete, dalla vostra età, dalla città in cui vivete. Ma, in tutti i casi, non solo dovete agire ma, soprattutto, potete agire.
PRIMA IPOTESI: siete soli, o due-tre in un comune di meno di 50.000 abitanti.
La priorità é di avere il ruolo di una presenza nazionalista, “marcando” il territorio. Come farlo? Il sistema migliore restano gli adesivi. 500 adesivi, attaccati tutti in una stessa zona, sono difficili da ignorare. Dove agire? Là dove sono pù visibili: centro città, vicino a scuole superiori e università, centri commerciali….
Inutile impazzire a incollare in tutti i quartieri: dovete concentrare i vostri sforzi, non disperderli. Attenzione: i fuochi di paglia non servono a nulla. Attaccare 200 adesivi in una settimana e successivamente non fare più niente per sei mesi non é un’azione politica: é una crisi adolescenziale. I vostri adesivi devono essere regolarmente “intrattenuti”.
Sappiate che ovunque attaccherete un adesivo ci sarà pronto un comunista a staccarlo. Posizionateli quindi molto in basso (alla base di un vaso, ad esempio, o di un palo), non all’altezza dello sguardo. Per voi non cambierà molto, ed i passanti lo noteranno ugualmente (certo, anche a seconda del colore). In compenso, l’attivista di sinistra dovrà chinarsi in una posizione piuttosto umiliante per staccarli, ed é provato che dopo due o tre figure ridicole in cui sicuramente non passerà inosservato, abbandonerà il campo facilmente.
SECONDA IPOTESI: siete già un piccolo gruppo militante formato, e siete più di 5. Oltre a fare come descritto sopra, potete cimentarvi in vere azioni “visibili”. Potete ad esempio scegliere un quartiere e dichiararlo “zona nazionalista”. Per fare questo, avvertite con un bombardamento di adesivi e comunicazioni che la tale area é ora definita come tale. Nel perimetro scelto, nessun poster o volantino comunista, anarchico, ma anche di concerti rap e via dicendo, deve “sopravvivere” per più di una mezza giornata. Ovviamente la vostra propaganda deve estendersi sui muri di tutta l’area con grande sicurezza. Naturalmente, é vivamente consigliato di lanciarsi in questo genere di azioni solo se ci si sente abbastanza forti. Al fine di non rendersi ridicoli, la “zona” deve contare diverse di strade, ed in generale, si sceglie il quartiere dove si trova il “bar camerata” di servizio…
Da: www.novopress.info
Alcool si, alcool no.
Il 16enne è morto all'ospedale della Charitè della capitale tedesca dopo un mese di coma. Dopo la dissennata bevuta nel corso di una serata passata con un gruppo di amici, il giovane aveva perso conoscenza ed era stato trasportato in ospedale. Per acquisire maggiori elementi e particolari sulle cause e circostanze del decesso verrà condotta l'autopsia sulla salma del giovane.
La polizia criminale ha, da parte sua, avviato indagini per accertare eventuali corresponsabilità nel decesso del giovane da parte di altre persone che lo accompagnavano nel locale o da parte del gestore stesso, che non avrebbero fatto nulla per fermare il ragazzo dal continuare a bere. Dopo questa penosa vicenda, in Germania si riaprirà certamente il dibattito su un problema dilagante nel Paese, quello dell'alcolismo giovanile, e sulla necessità di controlli e leggi più severe per arginarlo.
Parlamento di guerra.
Qualche esempio? Libertà, sovranità e, naturalmente, pace.
La pace non è solo la fine di una guerra ma una condizione stabile nella quale tutte le parti non si sentono minacciate, sono libere e sovrane e non progettano nuove guerre. Altrimenti si può parlare di tregua nel migliore dei casi, nel peggiore di occupazione e sopraffazione. Insomma per sua natura la pace è anche giusta, altrimenti non può essere pace. In Iraq e in Afghanistan, ma anche in Palestina, non esiste alcuna condizione per poter effettivamente parlare di pace e quindi la missione militare italiana in Afghanistan, appena rifinanziata, è a tutti gli effetti una vera e propria missione di guerra. Chi l’ha votata è quindi complice effettivo di quella aggressione atlantica. I voti con le lacrime agli occhi, come quello della senatrice Franca Rame (almeno lei ha così descritto il suo stato d’animo) non valgono nulla, perché hanno contribuito al proseguimento della guerra come i voti dei più convinti atlantisti guerrafondai
Il centrosinistra, quando era all’opposizione, ha cavalcato le manifestazioni pacifiste, salvo poi prendere il posto del centrodestra nel ruolo di cameriere degli Usa nelle guerre decise da Washington. Il ritiro dall’Iraq è stato solo fumo negli occhi dei più sprovveduti e la prova ulteriore e definitiva è giunta proprio ieri. Prodi, preoccupato dai numeri stretti che la sua maggioranza detiene a Palazzo Madama e conscio che un’altra bocciatura avrebbe avuto il significato di un funerale per il suo esecutivo, alla fine ha accettato l’odg presentato dalla Lega, quello che dispone un incremento dell’armamento per il contingente in Afghanistan; D’Alema aveva chiesto solo piccoli ritocchi, non li ha ottenuti ma il centrosinistra alla fine ha votato lo stesso compatto. In cambio il governo ha ottenuto la non presenza in Aula dei senatori del Carroccio al momento del voto sul provvedimento, con relativo abbassamento del quorum. A questo punto è impossibile parlare ancora di missione umanitaria, non servono finezze per comprendere che questa è ancor di più una missione di guerra. Bertinotti non può sentirsi offeso se viene contestato per quel che è: esponente di un partito schierato a fianco dell’oppressore.
Sia ben chiara infine una cosa. Tutte le incertezze sono state frutto dell’atteggiamento negativo di Forza Italia e Alleanza Nazionale, ma questo non significa che esiste in parlamento uno schieramento contrario a questa guerra: sono state solo manovre tattiche ed elettorali, nulla di più. Questo è il parlamento della guerra da Rifondazione Comunista ad Alleanza Nazionale. Speriamo che sia definitivamente chiaro anche a chi ancora tiene alla finestra quelle inutili bandiere della “pace con mille aggettivi” che, appunto, pace non è.
www.rinascita.info
mercoledì 28 marzo 2007
Libri da leggere, parte uno.
Fight Club, edizione Mondadori.
"La prima regola del fight club è che non si parla del fight club. La seconda regola del fight club è che non si parla del fight club."
Il fight club esiste soltanto nelle ore che vanno da quando il fight club comincia a quando il fight club finisce. È un mondo notturno, dove echeggiano i colpi sferrati dalla carne contro la carne e i crac delle ossa rotte, dove i colori dominanti sono l’ambra delle lampade al sodio e il rosso del sangue che scorre dalle ferite. Perché il fight club è anche e soprattutto questo, è una cicatrice o una costellazione di cicatrici, il segno distintivo di un popolo notturno formato da persone che, in un combattimento rituale, celebrano la morte dei valori del consumo condivisi in quell’altro mondo, quello diurno, non a caso detto “mondo reale”. Il fight club nasce proprio in contrapposizione a quel mondo, come un universo sotterraneo che a esso presto finisce col reclamare spazio e aria. Il protagonista è un operatore in una grande società assicurativa, costretto a subire quotidianamente l’alienazione delle pratiche d’ufficio che riducono le persone a statistiche. E il mondo fuori dall’ufficio non è migliore: la perfezione di corpi ideali traccia sui cartelloni pubblicitari i nuovi canoni della normalità e induce un’assuefazione che porta a meditare sul fatto che “l’automiglioramento forse non è la risposta”, le marche e i marchi (somiglianza questa con un altro libro della medesima generazione, il No Logo di Naomi Klein ritenuto ispiratore del popolo di Seattle… qualcuno ricorda il 1999?) scandiscono il ritmo dei nostri acquisti, in una società ridotta a puro meccanismo di consumo. Lui vive ai margini della società, soffre d’insonnia e da due anni frequenta gruppi di sostegno per persone affette da mali incurabili (tutti con nomi ridicoli e per questo confortanti: Restare Uomini Insieme per il cancro ai testicoli, Al di Sopra e Oltre per i parassiti del cervello, Fermi Credenti per i leucemici, Liberi e Puliti per i parassiti del sangue) alla ricerca di una dimensione a lui più consona e come antidoto alla solitudine urbana, finché la sua casa non salta in aria. Dolo, incidente o premeditazione, non ha poi troppa importanza come siano andate le cose. A chiarirle ci penseranno le indagini delle autorità competenti del mondo reale. Quello che importa, invece, è che proprio quella notte il protagonista consuma la sua transustanziazione, creandosi come un demiurgo il suo mondo privato. Questo mondo parallelo è appunto il fight club e lui deve dividerne genesi e dominio con il carismatico Tyler Durden. Tyler Durden è un guerrigliero dei servizi: condisce con urina e sperma i piatti del ristorante in cui lavora, inserisce fotogrammi subliminali di erezioni in tranquilli film per famiglie nel cinema in cui passa le serate, fabbrica sapone con il grasso estratto dalle liposuzioni e lo vende alle stesse ricche signore che quel grasso lo hanno donato. Ma chi è davvero Tyler Durden? Il narratore lo scoprirà nel corso della storia, mano a mano che il giro dei fight club si estende e da semplice e squallido evento di boxe clandestina assurge al ruolo di autentico fenomeno di costume. Un fenomeno sommerso, però, che finirà per congegnare il Progetto Caos (nell’originale era Mayhem, mutilazione), allestendo un’armata clandestina di “scimmie spaziali” volta a sovvertire l’ordine costituito del mondo reale. Anarchico, nichilista, sospeso tra avanguardia dada e vocazione paramilitare, il Progetto Caos si configura come un attacco non solo alle istituzioni, ma alla stessa forma mentale dei concetti oggi condivisi di cultura e civiltà. Un attacco, questo, ispirato dalla vocazione alla ribellione a qualsiasi forma d’istituzione (anche artistica: “Volevo dar fuoco al Louvre”), dalla necessità di riappropriarsi di una dimensione più umana in un mondo fatto di brand, di statistiche commerciali e di fette di mercato. Un mondo disumanizzato, che necessita di una rivoluzione. Accanto a lui, trascinata dal turbine della sua follia, c’è anche una donna: Marla Singer è l’unica a conoscere davvero i risvolti della storia, fino al finale. Che, per ammissione dello stesso autore, non è incisivo e crudo come quello dello splendido film trattone nel 1999 da David Fincher (con Edward Norton, Brad Pitt e Melena Bonham Carter, ormai un cult movie), e disperde un po’ del potenziale del libro in uno scioglimento tutto sommato deludente. Ma Fight Club resta comunque un libro da leggere: memorabile nelle ricette per confezionare in casa i propri esplosivi per uso quotidiano, esilarante negli incisi e negli spunti di critica (storica, sociale, narrativa), sarebbe senz’altro piaciuto a William S. Burroughs, della cui visione del mondo si appropria. E se Fernanda Pivano lo accosta nella postfazione alla generazione X, è indiscutibile l’affinità che questo libro ha con il cyberpunk più scanzonato (John Shirley docet) come pure con l’ondata slipstream che si è sprigionata dalla zona di confluenza del cyberpunk nel mainstream. Comunque lo si voglia considerare, Fight Club rappresenta comunque il più efficace manifesto letterario dopo il Neuromante di William Gibson. E fa una certa impressione rileggerlo ora, dopo i fatti di Seattle. La gente che scese in strada nel ’99 faceva parte di un movimento spontaneo, che pur nelle sue contraddizioni ha avuto il merito di provare a far sentire la propria voce. Che i loro appelli siano finiti inascoltati è stato solo un terribile scherzo del destino: l’11 settembre ha segnato una frattura anche in questo e sommerso di priorità l’agenda dei governi, così il 2001 ha cancellato ogni sana forma di contestazione al sistema economico mondiale.Anche per questo, forse, i più giovani dovrebbero leggere questo libro, oggi. Sempre che non vogliano rivolgersi direttamente a Burroughs…
“Possa non essere mai soddisfatto."
“Possa non essere mai perfetto."
“Liberami, Tyler, dall’essere perfetto e completo.”
"Amen."
Contro i vigliacchi, a difesa dei più deboli.
martedì 27 marzo 2007
Vergogna!
LONDRA - Cattolici e protestanti governeranno assieme l'Irlanda del nord a partire dall'8 maggio. Lo hanno reso noto fonti ufficiali. L'accordo sulla data è stato raggiunto oggi a Belfast durante un incontro senza precedenti tra il cattolico Gerry Adams, leader del Sinn Fein, e il reverendo protestante Ian Paisley, leader del partito unionista oltranzista Dup. L'accordo è stato annunciato dal Reverendo Paisley, capo del Dup, il maggiore partito protestate dell'Ulster. Sinn Fein e Dup hanno deciso di lavorare assieme nelle prossime settimane per la concreta messa a punto dell' amministrazione locale che incomincerà a governare la provincia a partire dall'8 maggio.
Questi contatti avverranno tra Paisley (destinato a diventare primo ministro) e il suo futuro vice, Martin McGuinness, numero due del Sinn Fein ed ex comandante militare dei guerriglieri indipendentisti dell'Ira. Assieme, Sinn Fein e Dup cercheranno di incontrare il cancelliere dello Scacchiere britannico, Gordon Brown, per ottenere un sostanzioso pacchetto di aiuti per lo sviluppo economico dell'Ulster. Pailsey ha sottolineato che l'accordo di oggi garantisce "un futuro migliore ai nostri figli". Adams, seduto a fianco del reverendo, ha da parte sua sottolineato che l'intesa "segna l'inizio di una nuova era politica su quest'isola".
IRLANDA: UNA, LIBERA E INDIPENDENTE!
Iraq e Palestina.
Il 27 marzo 1960 il primo ministro iracheno, il generale Kassem, fonda l'armata palestinese al fine di restituire l'indipendenza alla Palestina.
lunedì 26 marzo 2007
Portiamo a casa Noel Maguire.
Petizione o-line:
www.petitiononline.com/ppnag/petition.html
Per chi svolge e per chi vuol svolgere attività politica.
La "Piccola Guerra Santa" non rappresenta altro che la trasposizione della prima, nella vita di tutti i giorni la quale nei secoli, aldilà delle differenti forme in cui si è manifestata, ha sempre conservato il carattere essenziale della "Testimonianza", per cui si andavano ad attuare e manifestare anche nel campo politico e sociale un Ordine ed un’Armonia Superiori. Attraverso questo, ogni cosa, trova il suo naturale collocamento nella Gerarchia (dal greco "ieros", sacro; "arkhè", principio, ordine, autorità: ordine sacro) che si andrà a formare intorno a colui che meglio avrà saputo incarnare ed affermare i Valori dello Spirito. Il valore simbolico della Piccola e della Grande "Guerra Santa", attribuisce alle stesse un significato assoluto ed una valenza intrinseca indipendente dai risultati, limitati in spazio e tempo, che da esse scaturiranno. Soltanto in questi termini, per noi, la politica ha un senso. Soltanto questa è la strada che conduce alla vittoria.
RAIDO
A I n°0 Equinozio d’autunno 1995
CONTRIBUTI PER IL FRONTE DELLA TRADIZIONE
Lo Rivogliamo!
Ecco un altro esempio, se ce ne fosse stato bisogno, di come i capolavori dell’arte italiana siano stati trafugati e arricchiscano il valore di musei stranieri. Dopo dieci anni di restauro, infatti, la biga del re etrusco Porsenna sarà protagonista del grande evento del prossimo 20 aprile, ossia l’inaugurazione dei nuovi padiglioni del Metropolitan Museum di New York, costati 155 milioni di dollari. Questo imponente investimento è stato destinato per l’esposizione di capolavori greci, romani ed etruschi. Ma come si è svolto il ritrovamento del prezioso oggetto e la sua sistemazione attuale? Il tutto ha dell’incredibile. Un contadino di Monteleone di Spoleto la trovò per caso e la vendette nel 1902 per 952 lire ad un antiquario di Norcia il quale, a sua volta, se ne liberò per 25.000 lire cedendola al banchiere americano Morgan. Il viaggio per gli Stati Uniti fu tutt’altro che diretto, tanto che il pregiato pezzo venne abilmente camuffato e soggiornò a lungo in Francia per poi essere imbarcato nascosto in delle casse per il frumento. Vi furono anche diversi risvolti en coinvolgimenti politici in quanto interessò diversi personaggi: da Giovanni Giolitti che protestò per il ritrovamento dell’opera al generale Palma di Cesnola, poi nominato da Lincoln eroe nazionale e primo direttore del museo; per continuare con lo stesso Morgan (l’uomo più ricco del mondo) ad esponenti della Mano Nera, combattuta poi da Petrosino. L’oggetto nasconde quindi molti segreti. Legittima appare però la richiesta del comune di Monteleone, col patrocinio della Regione Umbria, di denunciare gli Stati Uniti per appropriazione indebita, così come l’azione dell’avvocato Mazzetta che ha chiamato il museo a rispondere davanti alla corte federale dello stato di New York. Purtroppo però sarebbe necessario l’interesse del ministero dei Beni Culturali il cui titolare, a quanto pare, passa il suo tempo ad inaugurare portali per il turismo costati cifre astronomiche. Altrimenti basterebbe che lo stato cedesse la proprietà della biga al comune di Monteleone, così che l’iter della causa potesse procedere. Rutelli invece nicchia, forse timoroso per l’esito di altre diatribe e si procrastina ancor più la promulgazione di leggi che proibiscano di acquisire opere di dubbia provenienza, male per cui noi stessi italiani abbiamo perso molti dei nostri tesori. Nel frattempo gli Stati Uniti, agendo nell’illegalità o nella clandestinità, continuano ad avere la meglio.
Da: Noreporter
...?
Google ha annunciato di voler sopprimere le informazioni accumulate con i cosiddetti “cookies”.
Al fine di garantire la confidenzialità di coloro che utilizzano il motore di ricerca in questione, le informazioni raccolte dai piccoli programmi informatici -scaricate spesso a nostra insaputa-, chiamati cookies, verranno eliminate dopo 18 mesi dalla loro acquisizione da parte del database, e gli indirizzi IP WAN (attribuiti automaticamente dal proprio fornitore di accesso internet) che permettono di risalire direttamente all’utente verranno parzialmente cancellati.
Secondo gli avvocati di Google, il principio di confidenzialità non é pienamente compatibile con i cookies presenti su alcune pagine web, che servono a tracciare i profili degli internauti per meglio captare la loro attitudine al consumo.
L’applicazione di questo nuovo sistema é prevista tra un anno circa.
da: novopress
domenica 25 marzo 2007
sabato 24 marzo 2007
Una vita da precario.
Il tasso di disoccupazione diminuisce. Il clima del mercato del lavoro pare tornare al bel tempo. Eppure qualcosa nei conti continua a non tornare. Soprattutto a chi il lavoro flessibile lo vive sulla propria pelle. Le cose sembrano essere più complicate di quanto non siano a prima vista. Sì, perché la vitalità mercato del lavoro, se si esclude l’effetto della regolarizzazione dei lavoratori immigrati, sembra ruotare soprattutto intorno ai contratti a termine. Nell’ultimo trimestre, dice l’Istat, i nuovi posti sono 333mila. Di questi 191mila sono contratti a tempo determinato. Contratti che finiscono per scadere. Contratti che non sempre offrono un percorso verso la stabilizzazione (leggi le storie e dì la tua).
E una volta scaduto il contratto, il lavoro non c’è più. Solo per questo si smette di essere precari? No, certo che no. Anzi si diventa iper-precari. Precari all’ennesima potenza. Ma quanti sono gli italiani che oggi si ritrovano a piedi per colpa di una collaborazione che non è stata rinnovata? Quanti sono i giovani e i meno giovani che sono dovuti uscire una sera dai cancelli delle imprese per non tornarci all'indomani perché il contratto è scaduto? Secondo lo studio "Quanti sono i lavoratori precari" realizzato da due ricercatori italiani (Emiliano Mandrone dell’Isfol e Nicola Massarelli dell’Istat), il numero dei lavoratori precari non più occupati arriva quasi a un milione. Per la precisione 948mila uomini e donne (vedi tabella). Non uno di meno. Da soli potrebbero popolare una città. “I risultati di questa analisi – ci spiega Mandrone – sono elaborati esclusivamente da due fonti ufficiali: la Rilevazione Continua sulle Forze Lavoro dell’Istat e la nuova indagine PLUS realizzata dall’Isfol in collaborazione del Ministero del Lavoro.” Il contributo è importante. I due autori hanno cercato di arrivare soprattutto a dare un numero certo e attendibile relativo a quell’inafferrabile magma formato dai lavoratori precari.
Le ultime dal fronte.
Sempre alta la tensione nei villaggi che circondano la clinica “Carlo Terracciano”. Dopo gli scontri dei giorni scorsi seguiti agli attacchi delle truppe di Rangoon contro le posizioni della guerriglia Karen e alla occupazione di diversi centri abitati, la situazione sul fronte di Kler Law Seh (dove sorge la clinica di “Popoli”) vede una nuova concentrazione di soldati birmani. Secondo fonti dell’esercito di liberazione Karen, i Birmani sterebbero preparando un nuovo massiccio attacco volto a riconquistare ampie fette di territorio lungo il confine con
venerdì 23 marzo 2007
E io pago!
Da: www.noreporter.org
giovedì 22 marzo 2007
Fashion victim.
“Ogni nostra azione è un grido di guerra contro l’imperialismo, è un appello vibrante all’unità dei popoli contro il più grande nemico del genere umano: gli Stati Uniti d’America. In qualunque luogo ci sorprenda la morte, che sia la benvenuta, purché il nostro grido di guerra giunga a un orecchio che lo raccolga, e perché un’altra mano si tenda per impugnare le nostre armi e altri uomini si apprestino a intonare canti funebri con il rumore delle mitragliatrici e nuove grida di guerra e di vittoria”
CHE GUEVARA
(aprile 1967)
Quale significato può avere ricordare il Che nell’Argentina del 2007? Come ricordarlo senza che l’omaggio diventi un semplice rituale che non infastidisce nessuno e tranquillizza le coscienze di coloro che, lontani oggi dai suoi ideali, dai suoi sogni e dalle sue pratiche, pensano che il migliore modo di smorzare il suo messaggio sia ricoprendo il Che di una gloria lontana e irraggiungibile per quanti pretendono continuare la lotta? Come ricordare il Che, come ripensare a lui, nel ventunesimo secolo, nelle attuali condizioni in cui si pretende assimilare il suo progetto fondamentale -la battaglia per il socialismo, la creazione dell’uomo nuovo e della nuova società su scala mondiale - a differenti pratiche politiche e sociali, incluso quelle che esortano alla costruzione di un “capitalismo serio”? Come ricordare il Che quando dall’altra parte molti di coloro che al tempo lo negarono, pretendono ora di utilizzarlo come emblema per le nuove modalità di settarismo, riformismo e opportunismo? L’idea è quella di parlare del Che e degli argentini, in un momento in cui risuona come una sfida il suo messaggio rivolto al nostro popolo il 25 maggio del 1962, dall’Avana, in cui ci spronava urgentemente all’unità. Diceva allora: “Tutti noi che lottiamo per la liberazione dei nostri popoli, lottiamo allo stesso tempo, anche se a volte non lo sappiamo, per l’annichilamento dell’imperialismo; e tutti quanti siamo alleati, anche se a volte non lo sappiamo, anche se a volte disgreghiamo le nostre forze per liti interne, anche se a volte per discussioni sterili, smettiamo di costruire il fronte necessario per lottare contro l’imperialismo; tutti noi che lottiamo onestamente per la liberazione delle nostre rispettive patrie siamo nemici diretti dell’imperialismo. In questo momento non può esserci altra posizione che la lotta diretta o la collaborazione” . (…) “Liberazione, perché l’Argentina è di nuovo incatenata; catene a volte difficili da vedere, catene che non sempre sono visibili da tutto il popolo, ma che la stanno legando giorno dopo giorno. Il petrolio se ne va, compagnie straniere entrano da tutte le parti, si vanno perdendo vecchie conquiste, e tutto questo sta accadendo lentamente, come un veleno sottile che sta penetrando in Argentina, come in molti altri paesi dell’America Latina” (…) “Se il nostro popolo impara bene la lezione, se non si lascia ingannare dal nuovo, se non succedono nuove e piccole scaramucce che lo allontanano dall’obiettivo principale che deve essere prendere il potere - niente più né nientemeno che prendere il potere - potranno verificarsi nuove condizioni in Argentina, le condizioni che all’epoca rappresentò il 25 maggio, le condizioni di un cambiamento totale. Solamente che, in questo momento di colonialismo e imperialismo, il cambiamento totale significa il passo che noi abbiamo fatto: il passo verso la dichiarazione della Rivoluzione Socialista, e l’istituzione di un potere che si dedichi alla costruzione del socialismo” Questo discorso del Che ci ricorda alcuni punti fondamentali del suo pensiero, sui quali possiamo e dobbiamo riflettere. Il socialismo, come obiettivo principale della nostra battaglia. Il tema del potere e le concezioni che il movimento popolare ha dello stesso. La necessità dell’unità delle forze antimperialiste. L’antimperialismo, come fulcro di una politica continentale. Terminava così il Che il suo discorso 45 anni fa: “Pensiamo all’unità indistruttibile di tutto il nostro continente, pensiamo a tutto quel che ci lega e unisce, e non a quel che ci divide; pensiamo a tutte le nostre comuni qualità; pensiamo alla nostra economia in uguale modo distorta, ad ogni popolo in uguale modo oppresso dallo stesso imperialismo; pensiamo che siamo parte di un esercito che lotta per la sua liberazione, in ogni luogo del mondo dove non si sia ancora ottenuta, e apprestiamoci a celebrare un altro 25 maggio, non più solamente in questa terra generosa, bensì in tutta la terra sotto simboli diversi, sotto simboli nuovi, sotto il simbolo del futuro, sotto il simbolo della costruzione del socialismo, sotto il simbolo della vittoria”. Quel 25 maggio del 1962 Il Che tenne questo discorso durante un asado in cui si erano riuniti gli argentini che si trovavano a Cuba, partecipando a diverse attività di solidarietà con la Rivoluzione Cubana. In tale occasione, a nome della delegazione argentina, parlò John William Cooke, dirigente delle correnti rivoluzionarie del Peronismo, uno degli uomini con cui il Che avena intessuto solidi legami pensando alla realizzazione del suo progetto rivoluzionario in Argentina. John William Cooke collaborò con la prima guerriglia sviluppatasi nel paese nel 1959, la guerriglia di Uturunco; successivamente appoggiò -su richiesta del Che- l’esperienza dell’Esercito Guerrillero del Pueblo, capeggiata da Jorge Ricardo Masetti, che si sviluppò a Salta fra il 1962 e il 1964, e organizzò con altri compagni la guerriglia di Taco Ralo, nel 1967, anno della sua morte. Quando il Che andò a combattere in Bolivia, Cooke stava organizzando un distaccamento argentino per unirsi al Che in questo sforzo continentale. Riguardo a ciò rimane la testimonianza della sua compagna, altra esponente di spicco del Perdonismo, Alicia Eguren: “Cooke ricevette le prime notizie della morte del Che a Londra, di ritorno dalla Conferenza dell’OLAS (Organizaciòn Latinoamericana de Solidaridad) alla quale aveva partecipato presiedendo la delegazione argentina. Lo shock fu per lui più forte di quello provato da quanti si resero subito conto di aver perso il loro capo per la guerra vera. Per John questa morte significava il tragico rinvio, o meglio la fine dei piani di lavoro per i quali, spontaneamente, aveva già rinunciato a molte cose, incluso, a livello personale a ciò che più amava. Da Londra andò a Parigi. Rimase lì per più di quindici giorni aspettando contatti che non si stabilirono. La tragedia fu troppo grande perché si ricostruissero immediatamente i circuiti rotti. Per lo meno non esistevano l’organizzazione, i piani di azione e di emergenza affinché il progetto originale, infranto dalla grave disgrazia, potesse svilupparsi nell’immediato. Ernesto Che Guevara e John W. Cooke mantennero una lunga relazione politica, militante e rivoluzionaria. I progetti di lotta comune nel sud del continente rimasero stroncati con la morte di Ernesto. John morì a meno di un anno dal Che”. Alicia Eguren - che fu assassinata nell’ESMA (Escuela de Mecànica de la Armada) - prese parte successivamente al Frente Antimperialista per il Socialismo e fu inoltre una collaboratrice diretta del Che nei suoi piani rivoluzionari per il continente. C’erano inoltre a quell’asado Tamara Bunke, Tania, la guerrigliera che poi morì in Bolivia, combattendo assieme al Che e Jorge Masetti, il Comandante Segundo (alias don Segundo Sombra) che, in quel periodo, dava vita alla prima guerriglia guevarista in Argentina. Impresa a cui il Che avrebbe voluto unirsi successivamente, con il nome di guerra di Martín Fierro. L’Ejercito Guerrillero del Pueblo, operativo nella regione dell’Orán fra il 1962 e il 1964, fu la prima guerriglia ispirata direttamente dal Che. Jorge Ricardo Masetti, fondatore della Prensa Latina, fu il primo giornalista argentino che intervistò il Che nella Sierra Maestra, e da allora si unì ai suoi progetti rivoluzionari. Masetti, Cooke, Alicia, Tania. Sono solo alcuni compagni di quella generazione che potremmo identificare come quella dei primi guevaristi argentini, che provenivano da diverse identità e organizzazioni politiche. Peronisti come Cooke e Alicia, cristiani come Juan García Elorrio, marxisti come Roby Santucho, trotzkisti come il Vasco Angel Bengoechea. Ebbero diverse opinioni sulla congiuntura nazionale e sulle tattiche da seguire. La maggior parte di loro non si trovarono d’accordo al momento di lottare contro lo stesso nemico, ma furono ugualmente fedeli all’esempio, all’etica e all’umanesimo che li legarono al Che. Questo dato, le diverse identità, le differenti organizzazioni e una stessa attitudine di fronte alla vita, è una delle prime riflessioni che è necessario fare. Perché forse in ciò risiede uno dei più grandi dilemmi argentini, e la maggior sfida per l’attualità. Il Che fu capace di relazionarsi con le diverse correnti politiche argentine, senza altra condizione che quella che fossero veramente disposte a lottare, modificando le concezioni erronee di quei settori e disposto sinceramente anche a cambiare le proprie idee. Era un dialogo reale, sincero, senza sotterfugi, mediato da un’alta morale rivoluzionaria e da condivisi sforzi pratici di lotta. Allo stesso tempo, la densità etica del suo esempio, riuscì a commuovere, più di molti discorsi, migliaia di giovani argentini, provocando una rottura culturale che interessò tutti i settori della sinistra. Rodolfo Walsh, giornalista argentino, ferito a morte il 25 marzo 1977 in una imboscata tesagli da un reparto specializzato dell’esercito ed il cui corpo non fu mai ritrovato, scrisse sulla morte del Che: “La nostalgia si codifica in un rosario di morti, e si prova un po’ di vergogna stando qui seduti davanti ad una macchina da scrivere, anche se si sa che pure questa è una specie di fatalità, anche se ci si potrebbe consolare con l’idea che è una fatalità che serve a qualcosa. Detto più semplicemente: costa a molti eludere la vergogna, non di essere vivi –perché non è il desiderio della morte, bensì il suo contrario, la forza della rivoluzione- ma di sapere che Guevara è morto con pochi compagni attorno a sé. Certo non lo sapevamo, ufficialmente non sapevamo nulla, ma lo sospettavamo, lo temevamo. Siamo stati lenti, colpevoli? Inutile ora discutere la cosa, ma questo sentimento di cui parlo è presente, almeno per me lo è, e forse può essere un nuovo punto di partenza”. Paco Urondo, poeta, scrittore e giornalista, assassinato dalla dittatura militare, disse: “Ha rincorso la sorte dell’ aggredito, anche se l’aggredito non ha rincorso la sua sorte. Continua a vivere e a scodinzolare. Proprio ora ascolto alla radio fatidici dettagli fra scariche elettriche, fluttuando in un etere contaminato e non rimane altra cosa che ammetterlo e il giorno dopo sua sorella mi dice di sì, che era il suo corpo, che adesso si rendevano conto che non voleva riconoscerlo, che negava la gran disgrazia d’America; il suo corpo da santo, perché io non so se lo conoscevate bene, mi dice, ma gli è venuto quell’aspetto da santo che forse era necessario per scuotere questo mondo prostrato, anche se sembra un prezzo troppo alto per finirla con il formalismo di sinistra e i gruppetti dissidenti e paralizzati e i fuochi isolati e incominciare una buona volta, prima che alcuni pretendano dissellare e tutto termini in lamentele, e nessuno abbia corretto gli errori. Vedo il futuro nella causa dei loro figli e dei miei e dei tanti in questa terra immonda. Non si possono più chiedere ordini al mio Comandante. Non va più dando risposte, la sua la già data. Bisognerà ricordarla, o indovinarla, o inventare i passi del nostro destino”. Rodolfo Walsh, Paco Urondo, Haroldo Conti, Tania, Alicia Eguren, Juan García Elorrio, Jorge Ricardo Masetti. Compagni e compagne che furono fedeli all’esempio etico del Che, dando la propria vita in queste battaglie. Uomini nuovi, che misero in pratica a modo loro, nel loro tempo, con le proprie vite, la pedagogia dell’esempio. La pedagogia della coerenza fra teoria e pratica. La pedagogia del soggetto trasformatore della storia, artefice della storia. Di fronte a una cultura neoliberale che ha proclamato la fine della storia, che ha cercato di renderci tutti quanti oggetti, oltretutto oggetti scartabili, la presenza del Che fra gli argentini stimola la possibilità di continuare a creare, nella lotta, uomini nuovi. Uomini che vanno forgiando nelle loro pratiche quotidiane i valori opposti a quelli che rafforzano la dominazione. Si tratta di una battaglia contro l’egemonia, combattuta sul piano delle idee, dei valori, delle attitudini, dei gesti. Si tratta di sfidare la cultura dell’autoritarismo, del settarismo, dell’egemonismo, dell’egoismo, dell’individualismo, del “si salvi chi può”, per pensare ad una cultura basata sulla solidarietà, sulla capacità di ribellarsi di fronte alle ingiustizie, sulla sensibilità. "Lasciatemi dire – diceva il Che nel 1955 a Carlos Quijano – che il vero rivoluzionario è guidato da grandi sentimenti d’amore”. È possibile forgiare questi uomini nuovi, in un tempo in cui il mercato comanda sui valori, in cui si comprano le coscienze a basso costo, in cui la corruzione ha intaccato alla base lo stesso movimento popolare, in cui la cooptazione sviluppata dal potere e persino da correnti politiche provenienti dalla sinistra è diventata una consuetudine? Credo che questa sia una delle sfide più grandi. E penso che sia possibile, quando ricordo Darío Santillán, Maxi Kosteki, i piqueteros di Salta, nel nord del paese, ai confini con la Bolivia, i compagni che sacrificano la propria vita tutti i giorni, non per trarre un immediato vantaggio per se stessi, bensì per creare nuovi modi di relazionarci, di organizzare la nostra lotta, di risolvere il problema della nostra sussistenza in modo collettivo. Il Che sognò l’uomo nuovo, scrisse pensando a come crearlo e lo creò con la propria vita, inventò modi per educarlo. È in questa ricerca che dobbiamo iscrivere tutto quello che sviluppò come contributo al socialismo, soprattutto la ricerca di nuove forme di lavoro che non ripetessero l’alienazione, lo sfruttamento proprie del capitalismo. Quando il Che andava al lavoro volontario, decantando l’importanza dell’esempio, cercava non solo di realizzare un gesto di solidarietà, bensì di trovare in un lavoro liberato, i semi di una nuova maniera di lavorare, non capitalista, in cui l’individuo, l’uomo o la donna, non siano obbligati a vendere la propria forza lavoro per sopravvivere. Pensava a nuove relazioni che avrebbero potuto crearsi fra gli uomini e le donne che si univano al lavoro volontario. Credo che molti di questi contributi, valgano oggi come base per il dibattito attuale sulle realtà produttive dei piqueteros, o sulle imprese recuperate dai lavoratori. È una gran sfida, intendo dire, trovare in queste nuove modalità di organizzazione, forme di relazione che anticipino la società che aneliamo creare. L’opportunità di ritornare ad agire come volontà collettiva, come forza solidale, è la gran sfida che si presenta a quanti continuiamo a pensare a una società in cui ci prendiamo la responsabilità di creare coscientemente la nostra storia. La relazione uomo nuovo, organizzazione nuova e nuova società, è l’asse che dobbiamo ricomporre come condizione per costruire un progetto rivoluzionario alternativo. L’uomo nuovo, proposta cui il Che consacrò la sua vita, è la coniugazione dei valori che negano la cultura alienante del capitalismo di fine secolo. L’organizzazione nuova, sarà quella che possa contribuire a riunire gli ideali, le capacità e la mistica necessarie per promuovere una cultura basata sull’unione, la ribellione, la resistenza e la solidarietà. Sarà sicuramente il risultato di un processo di unità dei rivoluzionari argentini provenienti da diverse esperienze e tradizioni militanti in Argentina, e in essa avranno un ruolo rilevante le nuove generazioni che cominciano ad integrare nella loro ribellione la figura emblematica del Che. La nuova società sarà la conclusione di una complessa costruzione collettiva, piagata di contraddizioni. Il socialismo non sarà solamente una forma superiore di distribuzione della ricchezza, né sarà solo un modalità di produzione, bensì, come lo propose il Che, un fatto di coscienza. Sarà il trionfo di una cultura opposta a qualsiasi tipo di dominazione e ad ogni tipo di discriminazione.
Da: www.rinascita.info
"ALTRE STORIE" DELLA COMPAGNIA.
No alla Cura Ludovico.
Titolo Originale: A CLOCKWORK ORANGE
Regia: Stanley Kubrick
Interpreti: Malcolm McDowell, Patrick Magee, Michael Bates,Warren Clarke, John Clive, Adrienne Corri
Durata: h 2.17
Nazionalità: USA 1971
mercoledì 21 marzo 2007
Waffen Granadier Brigate der SS.
Alcune pagine di storia, su cui si abbatte impietosa da decenni la censura oscurantista del sistema, al fine di legittimare oltre sessant’anni di scelte politiche fallimentari, sono circoscritte al ricordo dei testimoni diretti. Testimoni di epoche che, per l’intensità con cui sono state vissute dai protagonisti, per i sacri ed eterni vincoli di sangue e spirito di cui sono permeate, per gli episodi di onore e fedeltà che le hanno contraddistinte, sembrano a noi, figli di un’epoca materialista ed individualista, di una distanza inavvicinabile. Tanto distanti da noi, quanto vicine ad epoche caratterizzate da uomini con elmi piumati e grossi scudi, con gladi affilati e resistenti armature. Uomini che sacrificavano la propria vita per ragioni di carattere divino, di obbligo spirituale verso se stessi, verso la propria Idea, che possedevano uno stile di vita tendente a valori trascendentali. Uomini che agivano senza badare ai frutti, alle prospettive legate al guadagno materiale, al successo, alla vittoria o all’approvazione altrui. Questi valori ebbero modo di manifestarsi in innumerevoli circostanze durante l’ultima Guerra Mondiale, si manifestarono in ogni zona d’Europa (dalla Renania alla Lettonia, dalla Norvegia all’Italia), nei posti più disparati (dalle trincee e i campi di battaglia alle fattorie e i campi di grano). Zone che videro sacche di vera resistenza opporsi a coloro che, oggi dipinti come liberatori, invadevano e profanavano la nostra terra europea. L’esempio più lampante che giunge a noi è dato dal sacrificio di un gran numero di soldati e civili, spesso uomini e donne senza nome dimenticati dalla storiografia ufficiale. Le loro gesta eroiche rappresentano oggi una importantissima ragion d’essere storica, rappresentano l’ideale passaggio di testimone alle generazioni successive di quei valori trascendentali a cui accennavamo prima. Nel mese di marzo, allo sbocciare dei primi fiori e al volare delle prime rondini, inequivocabili segnali primaverili di nascita e di luce splendente, giunse l’occasione di assumere questo impegnativo ruolo storico alle SS-Italia. L’invasore anglo-americano è ormai approdato anche sulle rive laziali ed è, per questa divisione, l’immancabile occasione di opporre al suo avanzare una strenue resistenza italica. L’occasione per farsi valere si presentò precisamente il 20 marzo 1944, quando il Battaglione Vendetta comandato dal Colonnello Carlo Federico degli Oddi venne inviato sul fronte di Anzio aggregato alla 715° divisione di fanteria tedesca. Questa scelta farà sì che la data del 20 marzo 1944 resterà scolpita per sempre nel ricordo, rappresenta l’inizio di una estenuante opposizione all’incedere del nemico per oltre 70 giorni, perdendo 340 uomini su un totale di 650. I combattimenti sono durissimi, basti considerare che la proporzione è di uno a dieci, contro un nemico copiosamente fornito di armi automatiche, di mezzi meccanizzati e corazzati. Trincerati in buche uniche, le SS, dotate del normale armamento di fanteria italiana, tennero per circa 70 giorni, tra privazioni e angustie, oltre 4Km di fronte, infliggendo al nemico perdite 20 volte superiori alle proprie. Il bilancio della disperata resistenza nel contendere ogni centimetro di quella terra può oggi essere riassunto con queste cifre: 340 caduti, oltre metà degli effettivi, 22 croci di ferro, 10 medaglie d’argento e 52 promozioni. Verrà concesso il gagliardetto del battaglione, la medaglia d’argento al valore militare. Tale riconoscimento venne così salutato da “Avanguardia”, organo ufficiale delle SS-Italia: “Annunziò a Nettuno il ritorno al combattimento e all’onore dei migliori figli della Patria. Il riconoscimento dell’uomo che incarna gli ideali per cui i nostri uomini si sono battuti. Il sapore mitico del quadro guerresco in cui gli uomini del colonnello degli Oddi combattono, muoiono e vincono deriva soprattutto dalla grandiosità di ciò che i nostri Legionari hanno compiuto, contrapponendo nell’ultima battaglia, in cui si vedono gli uomini assalire i carri armati, la carne di fronte all’acciaio.”
L’avvenimento ebbe, come logico che sia, vasta cassa di risonanza anche in Germania. Il 27 aprile 1944 venne emanato l’ordine del giorno firmato da Karl Wolff (comandante supremo delle SS nel nord-Italia) che recitava:
“Il comandante supremo delle SS ha disposto per ordine del Fuhrer la costituzione della 1° Brigata Italiana Granatieri SS (Waffen Granadier Brigate der SS).
In base a questo la 1° Brigata d’Assalto porterà con effetto dal 27.04.1944 la suddetta denominazione. Ciò significa un riconoscimento del comandante supremo per “l’attività svolta da ufficiali, sottufficiali e legionari”.
Tutto questo portò al permesso per i combattenti di Anzio e successivamente per tutti gli SS italiani, di fregiarsi delle mostrine nere, simbolo di indiscutibile valore fino a quel momento riservato prettamente alle divise dei loro commilitoni tedeschi.
In queste brevi ma intense righe di storia adombrate dai censori la dimostrazione che, oggi come ieri, in ogni contingenza storica, è possibile riconoscere i veri uomini, coloro i quali dal proprio valore generano il loro volere… Tutto ciò a testimonianza che la fiamma della Tradizione avrà sempre dei tedofori disposti a tenerla accesa ed a consegnarla alle generazioni future.
Berto Ricci!
al classismo capitalista e al classismo comunista: termini antitetici d'una formula sola»
Berto Ricci
(da "Categoria spirituale e categoria sociale" in "Processo alla borghesia"
Edizioni Roma - 1940, pag. 127)
SIGNORAGGIO. LA TRUFFA...
COS'E' IL SIGNORAGGIO
di Sandro Pascucci
e psicologica a cui tutti noi siamo soggetti.
Questa truffa si nasconde e si potenzia dietro
una cortina di silenzio e di morte
e ha attraversato gli ultimi 300 anni
senza lasciar trapelare nulla della propria esistenza.
Si usa dire che “il più grande inganno del diavolo sia stato far credere all’umanità che lui non esiste” ed è proprio grazie a questa diabolica tecnica che il signoraggio è padrone del mondo ma in maniera trasparente per tutti noi.
Non sentirai mai parlare di signoraggio in TV o sui libri, nessun cantante ci farà mai una canzone né un comico uno spettacolo. I politici non litigheranno mai per il signoraggio e non vedrai mai la Guardia di Finanza arrestare qualcuno per quest’argomento.
Il signoraggio è il massimo potere del pianeta e tutti noi ne siamo schiavi.
Tecnicamente il signoraggio è il lucro che si genera dal creare moneta.
La legislatura internazionale prevede attualmente che siano le Banche Centrali a creare moneta, sia contante che scritturale.
Un esempio chiarirà il meccanismo:
creare una moneta (sia essa di carta, in metallo o virtuale come un c/c) ha dei costi, dovuti alla materia prima, alla manodopera e ai servizi necessari di contorno, come la distribuzione, le tecniche anticontraffazione, etc..
Il costo maggiore è il materiale di cui è composta la moneta, e l’insieme di tutti i vari costi su indicati vanno a determinare il suo VALORE INTRINSECO.
La moneta però riporta sulla facciata un numero che indica un altro valore:
il VALORE NOMINALE (o, per l’appunto, DI FACCIATA o anche LEGALE).
I due valori (intrinseco e nominale) differiscono tra loro e la loro differenza determina quello che si chiama SIGNORAGGIO, ossia il guadagno che ha chi ha creato quella moneta.
Ovviamente chi crea moneta tende a segnare un valore nominale più alto possibile rispetto al valore intrinseco, altrimenti ci rimette.
Avviene ad esempio nelle monetine da 1 centesimo poiché per farle occorre spendere 15 centesimi.
Ora vediamo ciò che avviene nella creazione della moneta-oro e della moneta-carta.
Anticamente le monete metalliche erano in oro e quindi con un valore intrinseco piuttosto alto. Il “signore” che coniava queste monete imprimeva loro un valore nominale più alto per poterci guadagnare e permettersi così un “aggio” economico notevole.
Infatti questo Potente riceveva l’oro dai commercianti con la richiesta di convertirlo in moneta sonante e semplicemente metteva la sua effige per GARANTIRE la bontà del pezzo da lui creato (coniato). Era una sorta di garanzia e per questo aveva il suo guadagno.
Ad esempio con 9 grammi d’oro si poteva coniare una moneta e dire che era da 10 gr. d’oro (ma in realtà composta da 9 gr. d’oro + 1 gr. di metallo non nobile). La differenza tra valore nominale (10) e valore intrinseco (9) era il signoraggio (un grammo d’oro per moneta).
Verosimilmente l’operazione poteva essere eseguita dal Signore anche coniando 10 monete impiegando realmente 10 gr. d'oro per ogni pezzo ma trattenendone una come compenso, sempre del 10% di lucro si trattava!
Quando all’oro si è sostituita la carta il discorso è peggiorato (per noi) e il signoraggio è arrivato a quasi il 100%
Infatti per stampare una banconota da 5 euro o una da 500 euro bastano 30 centesimi di euro e consideriamo anche che tale banconota non è più legata all’oro (non ha più ‘copertura’ e non è più ‘convertibile’). Questo vuol dire che il Signore moderno, ossia chi oggi CREA moneta (ad esempio la BCE in Europa o la Federal Reserve negli USA) ha un potere enorme. Infatti questi organi privati (tutte le Banche Centrali sono private) possono ricattare o comunque influenzare intere Nazioni.
Basti pensare che la Banca Mondiale (di proprietà della Federal Reserve e della Banca d’Inghilterra, a loro volta tutt’e due private e padrone anche del Fondo Monetario Internazionale) nega prestiti a quei Paesi che NON ACCETTANO di privatizzare il settore dell’acqua potabile! E questo è solo un esempio.
Chi ha ben capito il meccanismo del signoraggio ora avrà anche compreso che ELIMINARE la banconota è un’azione PEGGIORATIVA in quanto sparisce, per le Signore Banche, il ‘costo’ e aumenta al 100% il signoraggio sulla moneta elettronica. Inoltre la moneta è sottoposta ad un interesse (ad. es. 3%) che fa lievitare il debito dei Cittadini di un Paese sovrano oltre il valore nominale della moneta stessa! In pratica una moneta (banconota) da 100 euro costa al cittadino 103 euro e al Banchiere solo 30 centesimi. Questo è il signoraggio.
Si potrebbe ovviare a tutto ciò in un modo molto semplice: basterebbe infatti che lo Stato, finalmente Sovrano, emettesse moneta senza debito, come fa, ad esempio, con le monete metalliche (naturalmente quelle con valore nominale maggiore del valore intrinseco, ad esempio i pezzi da 50 centesimi, 1 e 2 euro). I più smaliziati avranno capito ora la presa in giro del defunto governatore DUISENBERG nei confronti di TREMONTI quando quest'ultimo chiedeva di sostituire le monete metalliche da 1 e 2 euro con banconote di pari valore e l'ex governatore (morto in circostanze misteriose) rispose dicendo: "Ma il sig. Tremonti sa che così facendo il suo Paese perderebbe il diritto di signoraggio sulla massa di denaro sostituita?".
Dal momento che la banconota non ha un corrispettivo in oro (le banconote sono convertibili in dollari USA ma dal 1971 il Dollaro USA non è più convertibile in oro) non c’è ragione che ad emetterla sia una entità privata né tanto meno che questa entità abbia un monopolio su tale emissione. Inoltre le spese per servire questo prestito (interesse) sarebbero evitate e lo Stato, ovvero tutti noi, avrebbe la REALE autonomia di gestione del Paese.
Chi teme che lo Stato possa in qualche modo iniziare a stampare moneta fuori misura e fuori controllo è una persona che non ha fiducia nello Stato.
Sappiamo bene che i politici nostrani sono collusi con ogni interesse immaginabile (banche, petrolio, armi, droga, prostituzione ecc..) ma la domanda che dobbiamo porci è molto semplice:
Perché un politico dovrebbe RIFIUTARE la responsabilità di creare denaro per il popolo?
Se egli è onesto non ci dovrebbero essere problemi poiché opererà secondo ETICA e REGOLE corrette e democratiche. Solo un politico disonesto, con un ultimo barlume di sincerità dirà: “No, guarda.. non darmi questa stampante in mano perché mi conosco e mi stamperei montagne di soldi per me e i miei amichetti!”.
Fortunatamente in questo caso la soluzione è semplice: si ringrazia e si manda a casa l’individuo prima che possa fare, per sua stessa ammissione, dei danni terribili.
L’ultimo caso è che il politico sia effettivamente disonesto...
Ma se è disonesto perché dovrebbe rifiutare una così ghiotta occasione?
Non per remore morali in quanto abbiamo detto che è già disonesto.
Se non lo fosse (disonesto) accetterebbe subito la stampante e si comporterebbe come i tanto decantati Governatori di una qualsiasi e privatissima Banca Centrale, ai quali è riconosciuta stima e saggezza fuori dall’ordinario e notoriamente operano secondo il bene della Comunità.
Enaudi ebbe a dire:”Alla scarsità dell’oro si è sostituita la saggezza del governatore [della Banca Centrale, n.d.A.]” (sic!).
Ma allora un ladro perché non ruba? Forse perché c’è un pezzo grosso molto più potente di lui? Forse c’è un’entità che NON VUOLE dargli la stampante e far si che si crei denaro per il popolo (pur con il rischio di ruberie politiche)? E questa entità superiore è onesta? Se così fosse DOVREMMO IMMEDIATAMENTE cedergli ogni potere, poiché saprebbe ben governarci, di sicuro meglio del politico di cui sopra, o no? E se fosse invece disonesta perché ha in mano la stampante e affama il popolo facendolo vivere in un regime di anemia finanziaria? E questa entità superiore disonesta tanto, anzi più, del politico chi è se non Il Grasso Bankiere©?
E’ evidente che il politico NON VUOLE E NON PUO’ prendere la stampante in nome del popolo perché i banchieri privati internazionali NON LO PERMETTERANNO MAI.
Eleggiamo persone che sono sponsorizzate dai banchieri e che quindi non opereranno mai in un’ottica popolare ma sempre a vantaggio dei loro VERI DATORI di lavoro.
E’ pur vero che solo POLITICAMENTE si potranno invertire le cose ma per far ciò occorre la CONSAPEVOLEZZA di una grande fetta della popolazione, che sia informata, cosciente e motivata ad operare un RADICALE CAMBIAMENTO NELLA SCENA POLITICA.
A tal fine questo articolo deve essere divulgato presso il Popolo tutto, assieme ad altri scritti, libri, manifestazioni e dibattiti pubblici che spieghino quale sia LO VERO MALE DELLO MONNO e le soluzioni terribili e dolorose che si dovranno presto adottare per non cadere nel baratro.
In un prossimo articolo approfondiremo aspetti importanti della questione e chiuderemo in un terzo articolo parlando di Riserva Frazionaria, altra truffa questa, vera responsabile dell’Inflazione e del potere delle Banche Commerciali che creano denaro dal nulla tramite i Conti Correnti che ci obbligano oggi ad avere.
Sandro Pascucci
www.signoraggio.com
martedì 20 marzo 2007
L'attivit� che intendiamo svolgere non si limita solo ad una raccolta di fondi, ma vuole essere anche occasione di sensibilizzazione sulla tragedia della guerra.
Durante il periodo del progetto, organizzeremo incontri pubblici per aggiornare sull'andamento dell'opera, cene di beneficenza e coinvolgeremo le scuole dei Comuni patrocinanti nell'iniziativa "Un disegno per il Libano".
Abbiamo individuato un contatto nel Comitato Sociale della Chiesa dei Santi Pietro e Paolo che opera nella cittadina di Kafarchima, citt� che ha subito tanti danni durante questa guerra.
Tale associazione affianca la parrocchia della citt� nella gestione di un ambulatorio.
Durante i bombardamenti, oltre alle emergenze degli abitanti di Kafarchima, il comitato ha dovuto far fronte anche all'arrivo di quasi 2.000 profughi e sfollati dalle altre zone del Libano.
Le scuole pubbliche della citt� sono state adibite a dormitorio e qualche centinaio di persone hanno trovato una sistemazione presso le abitazioni e le famiglie della citt�.
La cittadina di Kafarchima si trova a circa 20 km da Beirut nella sua periferia meridionale nei pressi dell'aeroporto internazionale.
La sua popolazione � di circa 11.000 persone, per il 99% composta da cristiani distinti tra cattolici maroniti e ortodossi.
Kafarchima � stata bombardata il mese di luglio 2006 mediante diversi raid aerei, causando morte, distruzione e feriti.
Diverse localit� della periferia sono state rase al suolo dai bombardamenti dell'aviazione e della marina: ponti, strade e autostrade interrotte.
Come detto il Comitato Sociale della Chiesa dei Santi Pietro e Paolo di Kafarchima, assieme alle parrocchie della citt�, ha distribuito fino ad oggi centinaia di pacchi viveri ai profughi e ai poveri nella citt�.
L'unico ambulatorio di Kafarchima riesce appena a fornire assistenza medica e medicine agli ammalati della citt�, ai poveri e ai profughi.
L'emergenza purtroppo continua tutt'ora, la disoccupazione � aumentata e come sempre sono le fasce pi� deboli che soffrono maggiormente.
Per maggiori informazioni: www.associazionelatorre.com/home.htm
U$a, paese di libertà.
Da: www.noreporter.org
Tracce: meno 8 giorni all'uscita del cd.
Da www.270bis.com
Arrivano rinforzi ai difensori della
Arrivano i rinforzi per la guarnigione della “Carlo Terracciano”. I soldati birmani e le milizie del Democratic Karen Buddhist Army arretrano.
L’arrivo di rinforzi del K.N.L.A. (Karen National Liberation Army) alla guarnigione che difende i villaggi che circondano la clinica “Carlo Terracciano”, ha consentito al colonnello Nerdah Mya di manovrare in modo tale da “incoraggiare” le truppe birmane e i loro alleati del DKBA ad un arretramento rispetto alle posizioni occupate dopo gli attacchi iniziati lo scorso 8 marzo.
Unità dell’Esercito di Liberazione Nazionale Karen sono avanzate verso i reparti nemici rimanendo coinvolte in scontri di cui non si conosce ancora il bilancio. Durante il colloquio odierno il comandante Nerdah ha però confermato la notizia secondo la quale le truppe nemiche si stanno ritirando, “non perché sconfitte” – come ci ha detto – ma forse semplicemente per riorganizzarsi in vista di un nuovo attacco.
La nuova situazione consente almeno un momentaneo alleggerimento della pressione sui villaggi di Kler Law Seh e Maw Khee.
“Resta la massima allerta” – ci ha comunicato il colonnello – “ e non sappiamo cosa succederà nelle prossime ore”.
La popolazione civile, fuggita in Tailandia all’inizio delle operazioni militari della scorsa settimana, non può ovviamente ancora tornare alle proprie abitazioni.
Aggiornamenti su: www.comunitapopoli.org