martedì 22 giugno 2010

I Signori del denaro? Fanno muro contro i popoli.


A Bruxelles, al summit europeo del 17 giugno, si è parlato dell’imposizione di una tassa sulle banche e sulle transazioni finanziarie. “Quelli che hanno provocato la crisi sono invitati a presentarsi alla cassa” ha esclamato la cancelliera Angela Merkel.
Non possiamo che essere d’accordo. Sono decenni che continuiamo ad affermare che, per sanare le economie delle nostre nazioni, sarebbe sufficiente far pagare – senza trucchi – le tasse alle banche, alle multinazionali e agli speculatori.
Inoltre a Bruxelles è passata la linea italiana sul come classificare la situazione passiva dei singoli stati europei: non più rilevando esclusivamente il debito pubblico, ma considerando quello “aggregato”, cioè comprensivo anche di scoperti e risparmi delle famiglie e delle aziende. E questo rappresenta indubbiamente un primo passo verso una concezione economica capace di affrontare il “reale” allontanandosi dalle suggestioni provocate dai giochi di prestigio della finanza internazionale.
Ma queste decisioni non hanno trovato consensi generalizzati. Il presidente della Confindustria, Emma Marcegaglia, ha affermato che la tassa sulle banche “finirà per trasformarsi in maggiori costi su imprese e risparmiatori”. È questo un discorso che somiglia a quello di un qualsiasi sig. Esposito che vede con preoccupazione l’incalzare di polizia e magistratura contro la camorra, perché “mammasantissima potrebbe aumentarci il pizzo”.  Ma, in ogni caso, è anche un ragionamento che segue una certa logica e di cui è corretto tenere un qualche conto.
L’ABI, infatti, ha già tuonato: “Una nuova tassa potrebbe avere effetti sulla capacità di finanziamento dell’economia reale”.
Dunque, mentre ci fa piacere veder comparire sulle prime pagine dei giornali, in televisione, nelle prese di posizione dei governi, dei summit internazionali, temi sui quali noi – soli – abbiamo insistito per decenni, siamo preoccupati del fatto che tutto ciò rischia di essere inefficace.
Continua ad essere ignorato, infatti, l’elemento fondamentale da cui discendono, a cascata, tutte le situazioni di crisi che stiamo vivendo: l’impossibilità di controllo da parte del potere politico sulla stampa della moneta, sul traffico finanziario, sul tasso di sconto e sul funzionamento delle economie.
Se, prima, non si nazionalizzano le banche di emissione, ogni provvedimento anti-crisi si rivelerà un cane che si morde la coda. Finché il governo non potrà controllare gli istituti di credito, infatti, a dettar legge continueranno ad essere i signori del denaro – non eletti, né sottoposti a nessun vaglio di consenso – e non i rappresentanti della politica, che oggi in Europa dai popoli sono votati, possono essere giudicati e, alla bisogna, cambiati.
Sarà opportuno ricordare che la vigilanza sulle banche è demandata alla Banca d’Italia che è di proprietà degli stessi soggetti che dovrebbe controllare. Tra i suoi massimi azionisti ci sono Intesa e Unicredit.
È peraltro significativo il fatto che in Italia, pur di non permettere al governo di mettere il naso dietro ai propri sportelli, le banche hanno rinunciato ad utilizzare, nonostante la crisi, gli aiuti che il ministro Giulio Tremonti aveva offerto.
Non c’è tassa o regola che tenga, finché non si affronta – e si risolve – la madre di tutti i problemi.
Chi comanda? Chi determina, nella realtà, la promulgazione delle leggi, la gestione del potere, lo sviluppo dell’economia, il destino dello Stato-sociale? I rappresentanti del popolo o gli uomini delle banche; le istituzioni dello Stato o i paperoni della finanza internazionale?
Nessun debito pubblico potrà mai essere sanato finché i governi saranno costretti a pagare ingiustificati interessi – un vero e proprio pizzo – sul denaro stampato a costo zero da banche di emissione private e sottratte ad ogni efficiente vigilanza.
La nazionalizzazione di Bankitalia è peraltro un obbiettivo coraggiosamente perseguito da Tremonti nel 2005, ma che oggi, in aperta violazione della legge, è ancora lettera morta.
Perché? Si temono le conseguenze di un’aperta collisione coi poteri forti e ci si illude di poter evitare l’ostacolo privilegiando provvedimenti morbidi e accomodanti?
Ma non può portare lontano una politica dei “passetti”, dei rispettosi programmi graduali. Gli attuali padroni del mondo non sono dei pivelli. Di tutto li si può accusare meno che di essere ingenui, sprovveduti e manipolabili. Sono pronti a rintuzzare – l’hanno già abbondantemente dimostrato – decreto su decreto, legge su legge, con decisione, furbizia e anche – si veda la questione delle spese di massimo scoperto – con una spudoratezza senza eguali.
Le cose possono, cionnonostante, cambiare,  ma occorre arrivare, senza equivoci e bon ton,  allo scontro palese e frontale tra i popoli e le forze del mondialismo.
Ma il vero volto dei responsabili della crisi ai più è ancora sconosciuto, così come pochi conoscono gli scellerati meccanismi che consentono oggi a un pugno di uomini di governare il mondo.
Occorre quindi moltiplicare le occasioni di informazione e di denuncia, anche rischiando di divenire ripetitivi e pedanti. È questo l’impegno più urgente e necessario. Per colpire al cuore il nemico, prima occorre, vivaddio, sapere con certezza chi è il nemico. Solo a questa condizione i popoli potranno mobilitarsi e le cose cambiare.

Di Mario Consoli, www.rinascita.eu


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