domenica 27 giugno 2010

GIUSTIZIA PER CARLO PARLANTI, UN INNOCENTE SEPOLTO VIVO IN UN CARCERE USA.


ROMA – Carlo Parlanti è un uomo rimasto vittima di una vicenda giudiziaria che ha dell’incredibile per il modo in cui è nata e per gli angoscianti risvolti che ha avuto e continua ad avere oggi. E’ un uomo la cui vita è stata rovinata da una condanna a nove anni di reclusione per i reati di violenza sessuale e sequestro di persona, che, secondo l’accusa, egli avrebbe perpetrato ai danni della sua ex convivente, Rebecca Mckay White. Da quel lontano 2004, anno dell’arresto, molti lo hanno considerato come un’ombra, e come per le ombre, nessuno gli presta attenzione. Ed il punto è proprio questo: l’attenzione. Chi poteva aiutarlo non l’ha fatto e le sue vicende giudiziarie e personali sono praticamente sconosciute. Che Carlo sia innocente o meno non spetta ai cittadini comuni dirlo, esistono delle persone preposte a far funzionare la legge nel modo più corretto. Ma oggi sono tanti gli interrogativi che mettono quanto meno fortemente in dubbio il percorso lineare della giustizia americana nei confronti di Carlo Parlanti. Oggi Carlo rappresenta forse il caso più importante tra i detenuti italiani all’estero. E’ malato, è lontano dai suoi affetti più cari. Le istituzioni italiane debbono fare qualcosa per lui, intervenire con gli Stati Uniti, da sempre paese amico, per accertare la verità. Perchè sono tante le prove che in questi anni fanno concretamente traballare la macchina giuridica americana e Carlo, come ogni cittadino, merita che si sappia la verità.


UN GIOVANE COME TANTI, CON TANTI SOGNI  - Carlo Parlanti nasce a Montecatini nel 1964. Cresce in una famiglia come tante altre, studia allo scientifico, dopo la maturità si iscrive alla facoltà di Fisica. A venticinque anni decide di recarsi a Milano per cercare un lavoro e mettere a frutto i suoi studi: il suo curriculum vitae arriva sulla scrivania di un’importante multinazionale alimentare, la Nestlè: inizia a lavorare come analista di sistemi e project manager. La sua carriera prende da subito il volo, si sposta spesso in giro per l’Europa, la sua strada sembra oramai in ascesa. Nel 1996 decide che l’Italia non può offrirgli più quello che cerca. Il nostro Belpaese  non dà la possibilità di una crescita concreta (dopo un quindicennio le cose non sono ancora cambiate, vedi la fuga dei cervelli che oggigiorno lasciano l’Italia). Allora Carlo pieno di sogni e di speranze, animato da coraggio, parte per l’America. Sognando la California (come canta una celebre canzone dei The Mamas & the Papas). L’ambito lavorativo prosegue a gonfie vele, a cui poi si aggiunge quello sentimentale. È il 2001, precisamente nel mese di aprile, quando Carlo Parlanti conosce Rebecca McKay White, lavorante presso una gioielleria, di qualche anno più grande di lui. A novembre lo stato della California, così come gran parte dei Paesi occidentali, viene colpito dalla piaga della recessione. La crisi, la paura (è di pochi mesi prima l’attentato alle Twin Towers). Rebecca McKay White per proprie responsabilità perde il lavoro, è in un momento di difficoltà. Con Carlo decidono di andare a vivere insieme. I due si spostano da Monterey al Westlake Village, vicino a Malibu. La relazione tra i due però sarà poco duratura: difatti, il 16 luglio 2002 la storia finisce. Due giorni dopo, il 18 luglio 2002, la donna sporge denuncia contro il compagno, ormai ex fidanzato. Tre le accuse gravissime mossegli: sequestro di persona, percosse e stupro. Carlo, inconsapevole di tutto ciò che gli stava succedendo attorno, decide di tornare in Italia. Per due anni vivrà normalmente, libero ed ignaro della vicenda che, nel luglio 2004, lo travolgerà. È proprio in quel periodo infatti che, durante un viaggio di lavoro, Carlo Parlanti verrà fermato all’aeroporto di Dusseldorf, in Germania, a causa del mandato di cattura internazionale che pende sul suo capo come una spada di Damocle. Trasferito nel carcere locale, vi rimarrà rinchiuso per quasi un anno, senza la possibilità di comunicazioni in lingua italiana. È paradossale come il mandato di arresto spiccato dalle autorità statunitensi nei confronti del Parlanti non sia mai stato inviato o recepito in Italia.


ESTRADATO IN AMERICA – Dopo essere rimasto per circa un anno detenuto in Germania, dall’estate del 2004 alla primavera del 2005, senza che ci fossero prove, evidenze, fatti, che giustificassero il suo fermo, la corte di Dusseldorf prima, e la Corte Superiore Tedesca poi, si appellano al loro diritto di estradare il Parlanti. Un vero e proprio incubo da cui Carlo non riesce a svegliarsi. Come un pacco postale viene dunque trasferito in California, a Ventura, cittadina che conta all’incirca 15000 abitanti, di cui 8000 sono i detenuti del carcere. Estradato in America, il Parlanti è sottoposto a procedimento penale. Nella prima udienza l’accusa dichiara che l’imputato ha precedenti penali in Italia per stupro e rapina a mano armata; in realtà né in Italia, né in nessun altro paese europeo ci sono precedenti penali a carico del Parlanti. Incredibile, ma vero. Invenzioni allo stato puro. Durante il processo, in cui, come già nel carcere tedesco, Carlo non ha avuto l’ausilio di alcun interprete, la White non solo conferma le sue precedenti accuse, ma aggiunge nuovi sconvolgenti dettagli sull’accaduto, mai rivelati nella denuncia. Il 20 dicembre la giuria popolare emette il verdetto: colpevole in ordine a tutti i capi di accusa, condannando, con la sentenza emessa il 7 aprile 2006, Carlo Parlanti a scontare nove anni di carcere. Il giudice ha giustificato la sua scelta dicendo che “seppur non vi sono referti medici, seppure la sig.ra White è stata inconsistente e quanto raccontato va oltre la realtà, penso che il sig. Parlanti l’abbia danneggiata psicologicamente da renderla inconsistente”. Una sentenza già di per sè fuori dal mondo. Su Carlo si chiude a doppia mandata la porta della vita da cittadino libero. Si apre quella da detenuto. Solo, in un paese straniero. Vittima di una giustizia quanto meno molto superficiale.


PROVE INATTENDIBILI – “Le numerose contraddizioni di Rebecca White suggeriscono che la menzogna, che potrebbe essere legata alla fragilità mnemonica causata dal quadro psicopatologico della White, ma potrebbe essere legata anche a una deliberata volontà di proporre una realtà alterata per ottenere dei benefici, rappresenti un elemento stabile e ricorrente nella matrice comunicativa-comportamentale della donna e che per tale motivo ogni sua affermazione debba essere considerata potenzialmente non rispondente a vero e quindi necessitante di specifiche conferme oggettive per poterla validare nel corso di un processo”. Queste le conclusioni a cui è giunto il prof. Marco Strano, esperto in scena del crimine. E sono proprio queste “specifiche conferme oggettive” di cui parla il prof. Strano che Carlo Parlanti, assieme a Katia Anedda, sua compagna da una vita, ed i suoi legali ricercano. Per questo, nell’udienza del 24 marzo del 2006, la difesa chiede un nuovo processo, mettendo in evidenza l’inconsistenza della denuncia e della testimonianza della White. Tutte le prove della reclusione, dei maltrattamenti e dello stupro portate in aula dall’accusa sono state studiate dettagliatamente da alcuni professionisti in vari settori, pronti a confermare la loro inattendibilità. In diverse dichiarazioni della “presunta vittima”, presunta in quanto se c’è una vera vittima in questo caso è solo Carlo Parlanti, si rivelano delle illogicità e delle incongruenze. La White ha presentato diverse dichiarazioni di come a suo dire avvennero i fatti: due dichiarazioni orali a due diversi poliziotti, una denuncia scritta alla polizia di Ventura, una dichiarazione scritta ad un terapista del Parlanti, una dichiarazione all’avvocato del Parlanti, un’altra dichiarazione scritta al suo dottore e le testimonianze rese dalla stessa all’udienza preliminare ed durante il processo. Sono tutte differenti. Qualche esempio?


Prova n 1 : le fotografie – Una delle prove più sconvolgenti, presentate da Rebecca McKay White, e incredibilmente ritenute valide, sono delle foto in cui è ritratta con un vistoso ematoma in corrispondenza dell’occhio sinistro. Consegnate alla procura solo tre anni dopo la denuncia, e mai trovati i negativi richiesti dalla difesa, si tratta di sei fotografie scattate in due diversi momenti (quattro sono scattate dalla polizia il giorno della denuncia e due scattate quindici giorni prima, secondo quanto sostiene la donna). Nelle foto che la White dice di aver scattato da sola, la donna appare diversa e più giovane, con i capelli più corti e di diverso colore, la pelle più liscia ed abbronzata, rispetto a quelle scattate dalla polizia un paio di settimane dopo. Le foto sono considerate poco attendibili anche da un esperto della fotografia come Scott Nebwy.


Prova n 2 : controllo della casa – La sua casa, dopo i controlli delle polizia a distanza di settimane dall’evento, appariva immacolata, nessuna traccia dei violenti scontri di cui aveva parlato. Le pareti della sua casa erano in cartone pressato, ed è impossibile che siano rimaste intatte nonostante Carlo avesse sbattuto la testa della White contro le pareti 60 volte, stando sempre a quanto dichiarato dalla donna. Neanche i vicini hanno mai sentito una lite furiosa tra i due, ed è strano che lei non abbia almeno chiesto aiuto. Ha detto di essere stata legata e sequestrata per giorni interi con alcune strisce di plastica rigida a strappo, ma sui suoi polsi non vi sono mai stati segni che lo testimoniassero; ha detto che ha subito violenze inaudite (dieci pugni al volto, altrettanti calci all’altezza del rene, oltre al rischio di essere strangolata) senza riportare alcun danno, di aver avuto paura delle minacce di Carlo ma non è mai scappata da quella casa. La White ha inoltre testimoniato che il suo letto era macchiato di sangue per le violenze procuratele dal Parlanti. La polizia che ha investigato sul caso non ha mai trovato tracce di sangue nella stanza in cui, secondo l’accusa, si sarebbe consumata la violenza. Ancora sconosciuti tra l’altro i perché la donna non sia mai stata sottoposta a visite mediche, in particolari ginecologiche, che appurassero l’avvenuto stupro.


Prova n 3 : il vino – La White dichiara che il Parlanti prima della violenza aveva bevuto 4 litri di vino Chardonney in 4 ore. A meno che Carlo non sia un superuomo, è impossibile che sia sopravvissuto a quella massiccia dose di alcool.


Prova n 4 : i diari e le e-mails – La donna ha testimoniato di avere tenuto due diari (apparsi solo nell’agosto 2005, insieme alla foto) prima di subire le violenze e che utilizzava la stessa penna per scriverli. La difesa ha dimostrato che i diari erano scritti con inchiostri differenti. Per quanto riguarda le e-mails invece, la White ha negato di averle scritte fino a quando la difesa è riuscita a dimostrare il contrario. Solo allora la donna fu costretta ad ammettere di aver dichiarato il falso.


TRUFFA AI DANNI DEI SERVIZI SOCIALI FEDERALI? – In America dichiarare falsa testimonianza comporta una pena comparata, se non a volte di gran lunga superiore, a quella di molti altri crimini. Questo serve a dimostrare come il Paese, la grande America, abbia un sistema giuridico dalle regole ferree, anche se, alla fine, troppe volte la legge non sembra essere uguale per tutti. E questo è il caso di Carlo Parlanti. Le dichiarazioni della White spesso si sono dimostrate incoerenti, sfiorando addirittura il paradossale, inventandosi forse una storia che potrebbe avere dell’assurdo. Assurda la storia, assurde le prove. Tra i tanti esami medici a cui la White si è sottoposta per verificare l’avvenuta violenza, nessuno, e sottolineamo nessuno, di questi ha avuto riscontri positivi. Tutte le risonanze magnetiche, che servivano a mettere in evidenza una frattura cranica, hanno dimostrato che questa in realtà non c’era. E allora il dott. Neal L. Pugach, il neurologo che ha fatto tutti i controlli, non avendo riscontri positivi in nessuno degli esami condotti, dichiara il falso? Invia comunque una lettera alla Social Security Statunitense in cui afferma che la donna ha subito delle violenze (nonostante le prove sia tutte contrarie). Lui insieme alla sua paziente dichiarano il falso per truffare l’assicurazione e riscuotere la pensione che spetta alle donne che hanno subito delle violenze sessuali? Se così fosse questi soldi sarebbero rubati dalle tasche dei contribuenti americani.


Mille altre sono le incongruenze di questo caso (che sono raccolte, assieme a tutti i documenti relativi al processo, nel sito www.carloparlanti.it ). Ad occuparsene, e quindi a lottare per la libertà di Carlo giorno dopo giorno, oltre ai legali ed ai familiari, c’è Katia, la sua fedele compagna, che anche in un momento così difficile, riesce a trovare la forza di sperare ancora, riponendo la sua fiducia nella giustizia. Il caso di Carlo è diventato il simbolo di una lotta, quella che persegue l’associazione “Prigionieri del Silenzio”, nata proprio dalla volontà di Katia (presidente e fondatore dell’associazione stessa) di far conoscere la storia del suo uomo, e di quanti come lui hanno subito e continuano a subire nel mondo queste ingiustizie. E ancora, forza e fiducia ha dimostrato Carlo Parlanti rifiutando, proprio all’inizio del suo calvario, di patteggiare, dichiarandosi colpevole, ricevendo come pena solo 3 mesi di carcere, dopo i quali sarebbe stato libero di tornare a casa, tra le braccia dei suoi cari. Lui invece ha voluto affrontare un regolare processo, convinto di vincere perché sicuro della sua innocenza, ignaro che quello stesso processo si sarebbe trasformato in una sceneggiata surreale. “Menzogne, menzogne e ancora menzogne”. Questo dichiarano coloro che difendono Carlo. Si è dato più credito ai deliri di una donna disperata e gelosa, psicologicamente instabile, che ha continuamente ritrattato la sua versione dei fatti, producendo da sola le prove in sua difesa, che alle controprove della difesa, conclusioni di illustri tecnici che operano in vari ambiti. Il processo è stato davvero viziato da un elemento insanabile: il pregiudizio. Chiunque avrebbe fermato sul nascere questa denuncia, ma non dobbiamo dimenticarci che siamo in America, nella terra delle grandi “opportunità”. Qui vige infatti una specie di terrore psicologico da parte di donne che fanno delle denunce di violenza una vera e propria professione, per ottenere sussidi e costose cure mediche, insomma, per spillare un po’ di soldi alle assicurazioni si fa di tutto, anche mandare in galera un povero innocente. Queste cause sono all’ordine del giorno, e quando si discutono questi casi si dimentica la lunga sfilza di episodi in cui innocenti vengono segnati a vita, perché la società accentra tutto sul sesso e la violenza. Un quadro di un’America amara, molto amara, è quello che emerge da questa storia.


Ancora oggi Carlo Parlanti è rinchiuso in un carcere dove la vita di tutti i giorni è difficile, dove non riceverebbe, il condizionale è d’obbligo, le adeguate cure sanitarie (ricordiamo che proprio in carcere ha contratto il virus dell’epatite C ). Il suo calvario è stato molto lungo, ed ancora purtroppo non è terminato. In tutto questo tempo però, lui non ha mai mollato, continuando a vivere grazie al sostegno e all’amore che la sua famiglia e la sua compagna cercano di fargli arrivare ogni giorno. La speranza per un futuro di giustizia per Carlo è quello che noi tutti sogniamo. Gli appelli alla nostra classe politica, di oggi e di ieri, sono stati numerosi, ma accolti da essa solo in parte, se non addirittura per niente. Forte è l’indignazione verso questa presunta giustizia che ha leso i diritti umani di questo uomo. Un uomo, Carlo Parlanti, che non ha mai smesso di credere nella giustizia.


Maria Rosa Tamborrino (Globalpress Italia)


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