martedì 8 giugno 2010

Assalto Flotilla: da Israele nuove “prove” per coprire la verità.


Negare. Negare sempre, anche l’evidenza. Ignorare le testimonianze e lavorare affinché la verità non si venga mai a sapere. Fin dalle prime ore seguenti la strage dei pacifisti della Freedom Flotilla è stata questa la principale preoccupazione delle autorità israeliane. A Tel Aviv si sono prodigati nel produrre prove false e manipolate che confermassero la loro versione dei fatti e che, allo stesso tempo, facessero sì che quelle a loro carico non fossero nemmeno prese in considerazione. Un’ampia operazione di occultamento che a una settimana di distanza ancora fa penare il governo israeliano. Sono infatti molte, troppe, le testimonianze e le prove che raccontano di una strage senza senso per poterle seppellire tutte in breve tempo sotto un cumulo di menzogne. Eppure a Tel Aviv non si arrendono, anzi rilanciano. Proprio ieri sono state diffuse le prime foto dei commando feriti durante l’assalto alla Mavi Marmara.
Nelle immagini si vedono i soldati feriti soccorsi dai propri compagni o stesi su di una barella in attesa di aiuto medico. Secondo Netanyahu e gli altri membri dell’esecutivo israeliano basterebbero queste poche immagini a dimostrare che i militari sono stati aggrediti e quindi costretti a sparare per difendersi. Ma così non è. All’appello mancano infatti i primi fotogrammi dell’assalto all’imbarcazione dei pacifisti, quelle cioè che potrebbero chiarire chi ha dato il via al massacro. Le stesse che i vertici militari di Tel Aviv hanno proibito di diffondere, proprio come le foto delle vittime di quella sconsiderata aggressione. A sostegno delle tesi dei sopravvissuti, i quali hanno tutti riferito che i soldati israeliani “sparavano per uccidere” , ci sono però i primi risultati delle autopsie operate sui corpi degli attivisti uccisi.
Il quotidiano britannico Guardian ha riportato alcune indiscrezioni provenienti dalla Turchia che racconto di una strage feroce. Ibrahim Bilgerm, 60 anni, colpito quattro volte alla tempia, al petto, ai fianchi e alla schiena. Fulkan Dogan, 19 anni turco-americano, colpito cinque volte da meno di 45 centimetri, in faccia, alla nuca, due volte alle gambe e due alla schiena. Non molto diversi i responsi per le altre vittime, tutte colpite da distanza ravvicinata, alla nuca, al petto e alla schiena. Un modus operandi che non lascia dubbi: i commandos volevano essere sicuri di aver messo fine alle vite delle persone colpite, così dopo che queste sono cadute a terra sotto i primi colpi, o mentre tentavano di scappare per salvarsi la vita, hanno continuato a sparare. Solo in questo modo si spiegano le ferite riportate in più parti del corpo, sia davanti che dietro, sia al busto che alla testa. E a Tel Aviv cosa pensano di tutto questo?
Pronte le medaglie d’oro per gli autori della strage. Ma d’altronde il presidente Peres all’indomani dell’accaduto si era complimentato con i propri uomini per aver agito con “moralità” e “valore”, quindi alla fine dei conti questa onorificenza sorprende solo fino a un certo punto. Da chiarire poi quale sia il reale bilancio delle vittime, quello cioè che nel fine settimana appena trascorso ha seriamente rischiato di essere incrementato. L’ultima nave superstite della Freedom Flotilla, la Rachel Corrie, è infatti stata abbordata dalle forze armate israeliane mentre si dirigeva verso Gaza e quindi dirottata sul porto di Ashdod. Nessuno scontro questa volta, tutto si è svolto più o meno tranquillamente e viene da chiedersi se la strage della Mavi Marmara poteva essere evitata. Infine, andando oltre tutto ciò, le decine di tonnellate di aiuti umanitari sequestrati da Israele dove sono finite?

Di Matteo Bernabei, www.rinascita.eu


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