lunedì 26 gennaio 2009

Solidarietà al Popolo Palestinese.


Riceviamo e pubblichiamo l'interessante articolo dell'Associazione Culturale Zenit di Roma.






Per ventitrè giorni si è vissuta la stessa abitudine quotidiana: i media che ci aggiornavano del costante aumento delle vittime dell’operazione militare israeliana Piombo Fuso. Un rituale quotidiano che ci ha colpiti per la cinica ripetitività con cui si è innestato tra gli agi della vita borghese dei fruitori d’informazione, senza dar impressione di smuovere alcuna coscienza, di provocare alcuno sdegno. Desolante verso l’emergenza umanitaria l’indifferenza di chi è maggiormente coinvolto dall’inizio dell’ennesima edizione del Grande Fratello; patetiche le tavole rotonde in cui esimi intellettuali si rincorrevano in inutili discussioni; addirittura raccapriccianti le solerti prese di posizione al fianco dei carnefici sionisti da parte dei soliti esperti carrieristi della politica di partito.


In merito a questi venticinque giorni di orrore ed ipocrisia, ci riesce difficile mantenere una lucidità tale da poterne scrivere a riguardo, tanto è lo sgomento di cui siamo rimasti oggetto. Sgomento che non può che tangere le nostre coscienze colpite innanzitutto dalle cifre nude e crude di questa feroce aggressione ai danni della popolazione di Gaza: 1320 palestinesi morti (ai quali vanno aggiunti svariati dispersi i cui cadaveri stanno pian piano riemergendo dalle macerie) dei quali ben 410 sono bambini; ben 16 strutture ospedaliere colpite e diverse strutture dell’ONU, oltre 5350 i feriti. Tutto ciò in 23 giorni… Da sole queste cifre basterebbero per farci indignare, per farci condannare un atteggiamento così eccessivamente violento e indiscriminato, al di là d’ogni analisi politica e culturale. Ma c’è dell’altro, c’è della carne vergognosamente grassa che alimenta ulteriormente le fiamme della nostra rabbia: la dimostrazione palese, incontrovertibile dell’unilateralità mediatica che, insensibile all’emergenza umanitaria causata da questo attacco, si è schierata in modo lampante dalla parte dei carnefici sionisti, senza se e senza ma. L’alzata di scudi è stata trasversale e severa nel momento in cui un’inchiesta giornalistica di Santoro durante il suo programma RAI Anno Zero ha tentato di far luce sulle sofferenze della popolazione di Gaza. Un disimpegno dalla censura che ha provocato un inverecondo coro unanime di condanna. Per meglio capire e stanare il subdolo meccanismo mediatico messo in atto al fine di legittimare la prepotenza criminale di Sion proviamo a ricostruire la vicenda, partendo dagli antefatti. Nell’agosto 2005 il governo israeliano decide per il ritiro dei propri coloni dalla Striscia di Gaza, ivi stanziatisi dopo l’occupazione a seguito della Guerra dei Sei Giorni (1967). Un lembo di terra passa così tra le mani palestinesi che possono godere di sovranità, seppur limitata dalla minaccia  militare israeliana sempre viva, da parte dei rappresentati di Al-Fatah, partito fondato da Arafat nel ‘59. Dopo due anni di governo vengono indette nuove elezioni che vedono la netta vittoria del partito paramilitare Hamas, adorato evidentemente dalla popolazione che l’ha eletto a sua guida, ma inviso e dalle potenze occidentali filo-sioniste e dallo stesso Al-Fatah, oramai divenuto un fido strumento del “popolo eletto” dopo lo sdoganamento dagli originari propositi rivoluzionari. Avversione che si traduce fin da subito in ostilità bellica da parte di Al-Fatah prima e di Israele in modo autoritario dopo, rendendo difficile la governabilità ad un movimento democraticamente al potere, e in embargo da parte dell’Unione Europea, così da lasciare ad uno stato di grave difficoltà la popolazione di Gaza. Il 1 marzo 2008, a seguito di una massiccia offensiva sionista contro Gaza, viene mediata dall’Egitto una tregua tra Hamas ed Israele consistente nella fine del lancio di razzi Qassam da parte palestinese e l’alleggerimento del blocco di viveri da parte israeliana. L’osservanza di questi patti è stato il primo motivo di discussione su chi fosse la causa della recente operazione Piombo Fuso. Per diversi giorni stampa e TV ci hanno tentato di convincere che la tregua fosse stata rotta da Hamas attraverso il ripristino dei lanci di razzi. Grave affronto a cui il fiero Israele non avrebbe potuto sottostare e a cui avrebbe deciso di rispondere furiosamente per poter sfiancare gli scorretti terroristi di Hamas. Nulla di più falso. Dopo giorni in cui questa menzogna è stata elargita su vasta scala, l’opera di controinformazione iniziata via internet ha potuto godere di una consistenza tale da rendersi manifesta e inoppugnabile, costringendo Israele all’ammissione. E’ bene premettere innanzitutto che durante l’arco di questa tregua 49 palestinesi sono rimasti uccisi dal fuoco israeliano. Inoltre Israele non ha rispettato il blocco promesso: invece dei 450 camion di aiuti umanitari giornalieri promessi, ne faceva passare solo qualche decina, aggravando le condizioni di vita di una popolazione che sopravvive in gran parte grazie agli aiuti umanitari. Ma il non plus ultra della scorrettezza avviene il 4 novembre, quando l’attacco di Israele muove all’interno della striscia uccidendo sei miliziani di Hamas teoricamente impegnati a far passare armi attraverso un tunnel collegato con l’Egitto. A seguito dell’ennesimo sopruso, di una tregua non rispettata che rende allo stremo un popolo già straziato da fame e umiliazione, Hamas decide lo scorso dicembre di non rinnovare questo fallace accordo e di riprendere il lancio di razzi verso Israele. La minaccia rappresentata da missili che in nove anni hanno ucciso 10 persone a seguito di 8621 lanci (proporzione ridicola), ha spinto Israele ad iniziare l’operazione militare Piombo Fuso. Mirata ufficialmente verso obiettivi militari, quest’offensiva si è rivelata fin da subito un’atroce carneficina ai danni di civili, vuoi per l’assenza di rifugi, vuoi per quelli che ufficialmente vengono definiti errori. Ma nessuno può giustificare, pur con la massima predisposizione, l’utilizzo di armi non convenzionali rispetto agli accordi di Ginevra che regolano le operazioni belliche: il fosforo bianco, consentito solo per illuminare i bombardamenti data l’eccessiva infiammabilità degli obiettivi che colpisce, è stato invece gettato sulla popolazione civile. Ma c’è qualcosa che è ancora più abominevole dei limiti oltrepassati di una convenzione. E’ l’utilizzo delle cosiddette Dense Inert Metal Esplosive (DIME), quelle bombe di recente scoperta (per questo non ancora vietate ufficialmente) sperimentate sulla popolazione palestinese: hanno l’atroce capacità di spezzare corpi rendendoli brandelli anche a distanza di un paio di metri e di provocare ingenti ferite a distanza di lunghi raggi. Gli effetti di questi efferati strumenti di morte sono quelle immagini che ci hanno scossi profondamente e la cui pubblica denuncia è stata censurata dai media. Una strage di bambini così violenta e ingiustificata ha goduto del sostegno dei politici di tutto il mondo o quasi (a condannare Israele, soltanto la Bolivia di Morales ed il Venezuela di Chavez), tramite la loro complice copertura che stride terribilmente con i valori di pace, democrazia e via via cianciando su questa linea di cui si sciacquano la bocca ad ogni occasione ritenuta opportuna i venditori di fumo che celano dietro le tante patetiche sigle politiche il loro trasversale asservimento a Sion. Non ci siamo mai vergognati di esprimere la nostra fiera estraneità a quel sudicio coacervo di squallida ipocrisia e di appiattimento verso il basso qual è la democrazia; ma ora sentiamo di gridarla ancora più forte, al cospetto di quanti continuano ignominiosamente ad enfatizzare Israele quale “unica democrazia del medio-oriente” o, peggio, a presentarlo quale avamposto di civiltà europea, dissipando quei valori di solare gerarchia ed alta spiritualità che contraddistinguono il retroterra culturale del Vecchio Continente. Ora è tutto finito, l’operazione Piombo Fuso è terminata, i militari israeliani che avevano occupato Gaza City si sono ritirati in contempo con un importante avvenimento. Oltreoceano, in un contesto scenico e kitsch tipicamente americano, il nuovo presidente del maggior alleato israeliano, l’Obama tanto agognato, può insediarsi quindi senza imbarazzi di sorta e spostare con la massima serenità i riflettori sulla propria persona e sulle aspettative che le vengono riposte. Possono ricominciare gli asfissianti sermoni conditi dall’artificiosa quanto inattendibile patina di speranza. Il tempo scorre inflessibile e nuovi succinti motivi d’interesse catturano le attenzioni dell’opinione pubblica. Il sangue, i morti, le sofferenze a Gaza restano un ricordo di questi giorni di cui si può anche perder memoria lungo il frenetico susseguirsi di mere preoccupazioni cui ci pone innanzi la progredita civiltà capitalista. In piena regola col principio usa e getta, domani ci verrà servito un nuovo prodotto di cui scandalizzarci. Magari un bel prodotto di storia piuttosto che d’attualità, un dogma intriso di emotività che possa pesarci sulle coscienze come un grosso monolite, tale da strappar lacrime e da renderci estremamente cauti nel condannare le azioni criminali, genocida di Israele, quale legittimo focolaio del “popolo eletto”. Azioni che persistono da sessantuno anni di occupazione del suolo di Palestina, azioni su cui ora il grande Luna Park dell’informazione ha spento i riflettori, ma che potrebbero ripetersi in un futuro più o meno prossimo nella loro medesima atrocità e causare un olocausto dei palestinesi poiché impunite, prodotto scellerato di una prepotenza esclusivista che non conosce condanna. Nessun tribunale internazionale prenderà provvedimenti contro Israele. Nessuna Carla Del Ponte, lo scrupoloso giudice che condannò e tutt’oggi perseguita i vertici della Serbia di Milosevic, potrà muovere accuse verso quei generali dalla stella di Davide che hanno causato questo crudele eccidio ai danni di civili. Due pesi due misure, questa la vostra infida giustizia piena fin dal midollo di ipocrisia sedicente democratica. Noi continueremo a ricordare, non limitandoci ad azioni tese a sensibilizzare le coscienze su quanto avvenuto ed a contribuire concretamente con l’invio di viveri verso le popolazioni della Striscia di Gaza, ma estendendo la nostra attività alla semplice quanto opportuna battaglia di civiltà che risponde al nome di controinformazione. Al fianco di Gaza, dei palestinesi, delegittimati con la prepotenza ad una sovranità nazionale che orgogliosamente reclamano con le armi nonostante l’inferiorità, ed ai suoi degni rappresentanti di Hamas che, al di là della menzogna mediatica, appaiono come angeli a difesa della propria patria. Pronti ad accorrere in soccorso dei connazionali anche a costo della vita. Esemplari sacerdoti di zelo militante (Hamas significa appunto “zelo”), figli del popolo e garanti delle sue esigenze. Coraggiosi guerrieri ma anche lucidi politici che hanno dimostrato sapersi sedere ad un tavolo a trattare una tregua e rispettarla. Fedeli alla parola data, da uomini d’onore. Uomini d’onore appunto, proprio come uno dei loro capi che ha preferito morire in un bombardamento aereo piuttosto che lasciare la propria abitazione dove viveva con quattro mogli e numerosi figli. Nizar Rayyan ha scagliato così la coerenza di un miliziano di Hamas al cospetto dei volantini d’avvertimento di Israele e delle sue bombe. Anche raccontare di questi gesti d’onore e martirio è controinformazione da tener viva…


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