“Popoli” in lotta! Di Anna Le Rose per Novopress
Nella palude che tenta di soffocarci esistono ancora personalità e soprattutto persone capaci di lottare e di tramutare le parole in Azione contro i mostri del Mondialismo e della Globalizzazione. Questo è l’esempio della Comunità Solidarista Popoli, che attraverso le parole del suo infaticabile presidente, Franco Nerozzi, ci ha raccontato la sua storia e i suoi progetti.
Prima di partire con la nostra chiacchierata, voglio ringraziarti Franco per aver concesso a Novopress questo spazio. Inizio subito chiedendoti, soprattutto per chi ancora non conoscesse questa realtà, come, quando, da quali presupposti e con che finalità nasce la Comunità Solidarista Popoli…
Sono io a ringraziarvi per l’opportunità che ci date. Far conoscere “Popoli” è per noi di vitale importanza. Per venire alla tua domanda: la nostra Comunità nasce da un gruppo di vecchi (anzi devo dire vecchissimi) amici che un giorno decidono di passare dalle chiacchiere e dalle sterili invettive (contro la società malata di egoismo, contro il mondialismo e i suoi servitori, contro l’edonismo imperante in un sistema votato alla religione del denaro e della futilità) ai fatti. Questi amici, in breve, pensano che potrebbe avere più senso mettersi fisicamente a disposizione di chi, senza magari aver letto nemmeno un testo dotto in vita sua, incarna di fatto la lotta al sistema mondialista.
Quali sono attualmente i Paesi in cui Popoli porta avanti la sua missione e perché avete scelto proprio questi?
Al momento siamo attivi in prima persona soltanto in Birmania, nello stato Karen, mentre abbiamo un progetto ancora in fase di ideazione in Afghanistan (Valle del Panjshir). Poi abbiamo iniziato dei sopralluoghi in Libano, per iniziare una attività a favore dei profughi palestinesi nel sud del Paese. Per finire, stiamo raccogliendo fondi da destinare alla popolazione di Gaza, vittima dei bombardamenti sionisti.
Abbiamo scelto queste realtà perché tra i principi ispiratori della nostra azione c’è quello della difesa dell’Identità. In Birmania i Karen lottano per mantenere la propria specificità a fronte del tentativo di sterminio condotto nei loro confronti dal regime di Rangoon. Nel Panjshir vivono la famiglia e i mujaheddin del Comandante Massoud, che si sono sacrificati per la libertà dell’Afghanistan, prima contro l’imperialismo sovietico, poi contro il tentativo Talebano di imporre una visione dell’Islam che non è quella tradizionale afgana. Opponendosi ai Talebani, va ricordato che Massoud bloccava anche i progetti del Dipartimento di Stato USA, che puntava sulla “normalizzazione” del Paese da parte degli uomini del Mullah Omar, allo scopo di consegnare alle multinazionali statunitensi importanti contratti legati allo sfruttamento delle risorse energetiche dell’area. I più stretti collaboratori del Comandante sostengono che ad armare la mano degli arabi che hanno assassinato Massoud siano stati i servizi americani, poiché avevano ricevuto da Massoud la dichiarazione della sua totale opposizione ad un intervento statunitense in Afghanistan. Per quanto riguarda i progetti in Libano e Palestina possiamo dire che soltanto chi è al servizio degli interessi sionisti può negare che la lotta per l’autodeterminazione dei Palestinesi sia sacrosanta. E che le vere vittime della questione mediorientale siano le popolazioni che vedono negato il diritto a vivere dignitosamente sulla loro terra.
Le missioni della Comunità sono tutt’altro che facili. Quali sono le difficoltà maggiori che s’incontrano?
Le missioni in territorio Karen presentano molteplici difficoltà. La prima è senza dubbio quella relativa alla sicurezza. I volontari che entrano a Kawthoolei (lo stato Karen) lo fanno clandestinamente. Sono considerati dalle autorità birmane dei “terroristi”, poiché agiscono in zone in cui è attiva la resistenza. Sono così esposti ai pericoli che esistono in una regione in guerra, in cui sono frequenti gli attacchi improvvisi da parte delle truppe governative contro i villaggi Karen. Ci si deve muovere sempre con la protezione dei guerriglieri, che cercano di garantire la sicurezza, almeno temporanea, durante le visite dei nostri medici alla popolazione dei villaggi e ai profughi nascosti nella giungla. Ci sono poi aspetti che definirei “minori”, riguardanti una certa scomodità della vita oltre confine, a cui non siamo molto abituati, noi “animali borghesi” che nelle nostre case abbiamo tutto a disposizione. Ma l’aspetto forse più difficile della nostra attività è quello relativo alla sostenibilità dei progetti che intraprendiamo. Mi spiego: dal 2001 i nostri progetti (costruzione e gestione di cliniche e di scuole, training al personale medico, costruzione di villaggi agricoli per i profughi che rientrano in Patria) proseguono senza sosta. Da questo punto di vista siamo molto soddisfatti, e i Karen ci considerano ormai una presenza indispensabile nel distretto in cui operiamo. Al tempo stesso però, a causa delle offensive birmane, siamo di tanto in tanto costretti a muovere le cliniche e le scuole (di fatto a spostare in aree più sicure farmaci, strumenti, pazienti e insegnanti). Questo potrebbe dare l’idea di una certa precarietà. Di fatto si tratta soltanto di essere flessibili operativamente, veloci nelle decisioni da prendere, e disponibili a seguire i consigli di chi vive quotidianamente in questo stato di guerra.
Viviamo in un mondo sopraffatto da un business apolide, narcomafie in continuo incremento, politiche assassine prive di scrupoli dove a dettare la trama dell’esistenza sono i mostri del Mondialismo e della Globalizzazione. La Comunità ha l’opportunità di osservare da un punto di vista quasi privilegiato gli effetti devastanti di tutto ciò in Paesi dove oltre a quest’aggressione è molto forte la resistenza ad essa. In Italia, come in tutto l’Occidente d’altra parte, esiste invece un’accettazione passiva e forse anche incentivante verso questi mostri. Cosa pensi a tal proposito?
Penso che ci sia un atteggiamento rassegnato di fronte a questa offensiva mondialista che hai ben descritto. Qui da noi si dà per scontato che il mondo sarà questo, e che non ci sia nulla da fare. A molti va bene così, sia chiaro. Andate un po’ a chiedere in giro, soprattutto alle nuove generazioni, quali sono le principali esigenze dell’ uomo globalizzato. Pensate che vi rispondano “la sopravvivenza della nostra cultura” ? Oppure “giustizia sociale” ? O ancora “la difesa delle nostra tradizioni” ? Fatta eccezione per alcuni ambienti che ritengo “sani” intellettualmente e spiritualmente, il resto della società globalizzata pone al primo posto della sua lista della spesa disvalori che ci sono stati imposti dalle volpi del mondialismo. E dobbiamo fare attenzione ad una cosa: proprio in quelle realtà in cui la resistenza al mondialismo è più accesa, l’attacco verrà portato con scientifica efficacia. Il caso più concreto che posso portare è quello che conosciamo in prima persona. La lotta dei Karen non si basa sullo studio di testi di approfondimento politico sull’autodeterminazione dei popoli, o sulla lettura delle opere di Evola. La lotta dei Karen è piuttosto primitiva dal punto di vista politico. E’ una resistenza naturale e spontanea ad una aggressione brutale condotta dal regime militare birmano. Il problema è che chi vuol trarre vantaggi economici dal sangue dei popoli è solitamente qualcuno che ha studiato nelle migliori facoltà del mondo i sistemi per raggiungere questo scopo. Vengono quindi utilizzati tutti gli stratagemmi possibili al fine di eliminare gli ostacoli che incontrano sulla loro strada.
Ecco che allora concetti come “identità” e “tradizione” vanno minati, privati di significato. Al loro posto si introducono parole d’ordine come “benessere”, “democrazia”, “partecipazione”. In pratica, chi sta facendo affari con un regime che garantisce miseria alla sua gente e impedisce qualsiasi confronto democratico e qualsiasi partecipazione, al tempo stesso lavora per indebolire la resistenza spontanea di chi desidera esclusivamente continuare a parlare la propria lingua, seguire le proprie tradizioni, coltivare la propria terra e difenderla dallo stupro delle multinazionali.
Il miraggio di una nuova Birmania, retta dal rassicurante sorriso di Aung San Suu Kyi, protetta dalle grandi democrazie occidentali, sembra tanto uno specchietto per le allodole, utilizzato per favorire l’affermazione di forze politiche birmane che un giorno continueranno a concedere alle multinazionali ciò che già i generali narcotrafficanti garantiscono al momento.
Nei campi profughi Karen inoltre, assistiamo ogni giorno all’emorragia di questo popolo. Organizzazioni occidentali favoriscono l’emigrazione dei giovani verso paesi “ricchi”, prospettando loro una vita in pace, agiata e piena di divertimenti.
I leader Karen sembrano incapaci di contrastare questo flusso migratorio, che porta fatalmente alla morte di ogni speranza di autodeterminazione.
La parte più “resistente” è ovviamente quella militare, quella che fa capo a comandanti come Nerdah Mya: chi è sul campo di battaglia ogni giorno, chi sta a contatto con la popolazione oppressa, chi non è “contaminato” dalle lusinghe e dalle mollezze della vita in esilio, ha ben presente quale sia la via da percorrere. Difendere il territorio, difendere la gente che ci vive, respingere il nemico, ottenere libertà. Infischiarsene di quello che si sta escogitando a Londra o a Washington. Infischiarsene di ciò che accadrà a Rangoon. Per i comandanti militari più lungimiranti, il messaggio da dare è chiaro. I Karen non saranno sudditi ne’ dei Generali, ne’ delle future oligarchie politiche. Mi pare una ottima sintesi del concetto di lotta al mondialismo.
Identità e Tradizione contraddistinguono l’operato di Popoli. Osservando la nostra situazione sembra quasi un’utopia il recupero di tali punti di riferimento, ma forse proprio grazie all’esempio di popoli come quelli a cui la Comunità offre il suo sostegno, possiamo sperare in una riflessione che porti linfa e stimoli alla condizione occidentale. Credi che questo esempio concreto possa essere sprone per le nostre generazioni e coadiuvante di secoli di letteratura “d’area” che, ora più che mai, ha bisogno di essere accompagnata dall’azione?
Spero proprio di si, anche se il contesto in cui viviamo rende difficile la ricezione di questi messaggi. Se viene spacciata per vita reale quella infame paccottiglia di idiozie che esce dai mezzi di comunicazione tutti i giorni, è facile che molti resteranno insensibili di fronte a situazioni in cui è in gioco la vita e la dignità di milioni di persone. Insomma, chi freme e si dispera per le facili lacrime che Maria De Filippi ci propina dal teleschermo non potrà mai sintonizzarsi sull’onda di chi vuol fare dell’azione il naturale sbocco di spinte ideali di un certo livello. Per quanto riguarda “l’area”, va detto che sicuramente quel contesto offre un terreno molto fertile. Abbiamo avuto delle risposte di grande generosità. Giovani che sono partiti con noi e che poi, ed è questa credimi la parte più difficile dell’impegno con “Popoli”, si sono sacrificati per il duro, ma indispensabile lavoro di raccolta fondi e di propaganda. E meno giovani, che hanno ritrovato nel lavoro con la Comunità Solidarista quell’entusiasmo che anni di delusioni politiche avevano soffocato.
Se posso fare anche un appunto però, e credo che sia giusto essere chiari e sinceri proprio con quelli che crediamo amici o fratelli, bisogna dire che un po’ di retorica in meno e un po’ di concretezza in più, porterebbe a risultati straordinari. Riceviamo spesso messaggi di solidarietà che sembrano usciti dalla penna di Starace: e magari a queste ridondanti parole che ricordano il ventennio non fa seguito alcun sostegno “concreto”. I Karen, o i Palestinesi hanno bisogno di mangiare e di curarsi, per sopravvivere e resistere. Gli slogan alla “Credere. Obbedire. Combattere. “ non sono sufficienti.
Negli ultimi giorni ha suscitato interesse il tuo articolo provocatorio “Perché stiamo con Israele”. Raccontaci qualcosa in merito…
Una semplice (anche semplicistica, va ammesso) e immediata reazione ad una dichiarazione di Gasparri che in televisione lanciava un appello affinché si ponesse fine al “massacro dei bambini israeliani”. Direi che con un ispiratore di così grande talento l’articolo poteva già considerarsi fatto.
La cosa più sconcertante è che qualcuno mi ha scritto per dirmi che finalmente avevo messo la testa a posto e riconoscevo le ragioni di Israele. E non scherzava…
Rimanendo sull’argomento, l’Italia come sta accogliendo la campagna di sostegno per la popolazione palestinese della striscia di Gaza?
Risposta immediata da numerosissimi gruppi che si sono attivati, con “Popoli” e con “ Soccorso Sociale” con volantinaggi e raccolte fondi. E’ presto per dire quanto in concreto potremo offrire alla popolazione di Gaza. Ma siamo fiduciosi.
Approfitto di questa occasione per soddisfare una curiosità sulla quale probabilmente molti avranno riflettuto: data la natura della Comunità, ovvero la non appartenenza a quella cerchia di associazioni pubblicamente antifasciste ad esempio, come sono i rapporti con le altre realtà associazionistiche di aiuto umanitario e con le istituzioni?
Mettiamola così: chi ci conosce personalmente e chi vede quello che facciamo ci rispetta al di là delle differenze ideologiche, se di questo ha ancora senso parlare. Le istituzioni hanno per fortuna un approccio tecnico nei nostri confronti: valutano la bontà del progetto sottoposto. E rispondono di conseguenza, anche se (non siamo nati ieri) alcune amministrazioni tendono ad ascoltare con più disponibilità chi è considerato politicamente “vicino” ad esse.
Grandi organizzazioni umanitarie, inequivocabilmente schierate a sinistra, non hanno alcun interesse a mischiarsi con noi. E’ un peccato. In fondo non credo che i profughi Karen, se riusciranno a non morire perché riceveranno le nostre cure, saranno un domani elettori di Berlusconi. Una cosa ci tengo a specificare: “Popoli” non è antifascista, e quindi non è una organizzazione “di destra”.
Progetti futuri della Comunità?
In un blog che degli amici mi hanno segnalato, alcuni zelanti difensori dell’ortodossia mondialista (sedicenti antifascisti che passano le giornate a guardare cosa fanno i “mostri” in camicia nera e a proseguire l’opera di delazione inaugurata dagli sciacalli molti anni fa), ho trovato che “Popoli” starebbe costruendo in Birmania villaggi “etnicamente puri”, una sorta di laboratori in cui preservare la purezza della razza Karen . A parte il fatto che su questo argomento potrebbero chiedere informazioni al partigiano Giorgio Bocca, solitamente non perdo tempo con le chiacchiere postate sui blog da onanisti che si nascondono dietro l’anonimato. Ma questa volta credo che la cosa meriti un minuto. La dice lunga su come venga sempre rovesciata la frittata: il progetto di “Popoli” è quello di continuare a costruire villaggi per dare rifugio e possibilità di rendersi autosufficienti dal punto di vista alimentare alle vittime di una pulizia etnica. Per questi perditempo che sono già diventati ciechi insistendo con certe pratiche di autoerotismo, la nostra è un’ operazione di chiara matrice razzista. I commenti li lascio a voi…
Prima di concludere… C’è un messaggio che vorresti lasciare a chi ci legge? Soprattutto ai giovani che più degli altri hanno la possibilità e il dovere di agire…
Vorrei solo ricordare che da qualche giorno sulla testa del Comandante Karen Nerdah Mya, è stata posta una grossa taglia da parte dei narcotrafficanti che agiscono lungo il confine birmano-thailandese. Lottare onestamente e con dedizione per una causa significa rischio, fatica, privazioni e sacrifici. Chi vive in contesti meno problematici e dichiara di avere certi ideali ha il dovere, come hai giustamente detto tu, di agire. Non importa se lo fa aiutando “Popoli” o altre realtà dell’universo solidaristico che “l’area” ha espresso. Si lavora tutti per lo stesso obiettivo. L’importante è non mollare mai chi sta in prima linea.
Salutandoti e ringraziandoti ancora ti lascio lo spazio per fornire le informazioni necessarie per sostenere Popoli…
Tutti possono sostenere Popoli, organizzando manifestazioni di raccolta fondi (cene, concerti, incontri sportivi ecc.), oppure versando offerte tramite i nostri conti correnti.
Quello postale è il n° 27183326
Quello bancario, codice iban n° IT19R0518811703000000057192
Di grande, grandissimo aiuto è destinare e far destinare al maggior numero di conoscenti il 5 x 1000 della dichiarazione dei redditi. Come sappiamo non costa nulla, sono cifre già versate all’ufficio delle entrate, e vanno semplicemente assegnate a “Popoli” indicando negli appositi moduli il codice n° 03119750234
Ti ringrazio a nome della Comunità Solidarista per questa intervista e per lo spazio che ci avete concesso.