domenica 2 marzo 2008

La verità sul Fondo Monetario Internazionale.


Il Fondo Monetario Internazionale (International Monetary Fund, di solito abbreviato in FMI in italiano e in IMF in inglese) è, insieme al Gruppo della Banca Mondiale, una delle organizzazioni internazionali dette di Bretton Woods, dalla sede della Conferenza che ne sancì la creazione.

L'Accordo Istitutivo acquisì efficacia nel 1945 e l'organizzazione nacque nel maggio 1946. L 'FMI si configura anche come un Istituto specializzato delle Nazioni Unite (ONU). 


I suoi obiettivi sono (dovrebbero essere):

- Promuovere la cooperazione monetaria internazionale

- Facilitare l'espansione del commercio internazionale

- Promuovere la stabilità e l'ordine dei rapporti di cambio, evitando svalutazioni competitive

- Dare fiducia agli Stati membri rendendo disponibili, con adeguate garanzie, le risorse del Fondo per affrontare difficoltà della bilancia dei pagamenti

- In relazione con i fini di cui sopra, abbreviare la durata e ridurre la misura degli squilibri delle bilance dei pagamenti degli Stati membri.


Ogni membro (attualmente 185 paesi) può accedere al credito del fondo (SBA ed EFF), in un anno, fino al massimo del 100% delle quote sottoscritte e, cumulativamente, fino al massimo del 300%; l'ammontare dei prestiti può essere elevato in casi eccezionali. 

Il Fondo Monetario Internazionale è fortemente criticato dal movimento no-global e da alcuni illustri economisti, come il Premio Nobel per l’economia Joseph Stiglitz, che lo accusano di essere un'istituzione manovrata dai poteri economici e politici del cosiddetto Nord del mondo e di peggiorare le condizioni dei paesi poveri anziché adoperarsi per l'interesse generale.

Il sistema di voto, che chiaramente privilegia i paesi "occidentali", è considerato da molti iniquo e non democratico. Il FMI è accusato di prendere le sue decisioni in maniera poco trasparente e di imporle ai governi democraticamente eletti che si trovano così a perdere la sovranità sulle loro politiche economiche.


Il board esecutivo e il board dei governatori del FMI non danno a tutti i Paesi la stessa possibilità di essere rappresentati.

L’assegnazione del numero dei voti è basata sul sistema “un dollaro un voto”, che quindi antepone la ricchezza alla democrazia. I paesi più ricchi controllano il board esecutivo sia in termini di seggi che di voti, nonostante il Fondo sia quasi completamente impegnato in Paesi a basso e medio reddito. Questo sistema, creato durante il periodo coloniale e controllato dai governi dei Paesi sviluppati, è inadeguato e necessita di essere radicalmente modificato.

Perciò molti economisti, rappresentati del governo e associazioni chiedono una struttura del Fondo che sia realmente democratica, che abbia gli stessi standard di democrazia richiesti a livello nazionale. Per raggiungere questo obiettivo, si auspica l’adozione immediata di un sistema di voto a doppia maggioranza. Le decisioni dei board dovrebbero essere prese solo con il consenso della maggioranza dei governi membri e con la maggioranza dei voti a favore. Il sistema “un Paese, un voto” contro-bilancerebbe il sistema “un dollaro, un voto”. La combinazione dell’attuale sistema di voto con la richiesta di un accordo della maggioranza dei governi membri contribuirebbe a superare l’ineguaglianza che caratterizza il meccanismo decisionale del FMI.


Come espresso prima Joseph Stiglitz ha apertamente criticato l’operato del Fondo Monetario Internazionale.

Stiglitz ha rivestito ruoli rilevanti nella politica economica. Ha lavorato nell'amministrazione Clinton come Presidente dei consiglieri economici (1995 –1997); alla Banca Mondiale ha assunto la posizione di Senior Vice President e Chief Economist (1997 – 2000), prima di essere costretto alle dimissioni dal Segretario del Tesoro Lawrence Summers.

Stiglitz esprime il suo disappunto per la politica del FMI nel suo libro intitolato "Globalization and Its Discontents" 92 ("La globalizzazione e i suoi oppositori"), dove analizza gli errori del FMI e della gestione delle crisi finanziarie che si sono susseguite negli anni novanta, dalla Russia ai paesi del sud est asiatico all'Argentina. Stiglitz illustra come la risposta del FMI a queste situazioni di crisi sia stata sempre la stessa, basandosi sulla riduzione delle spese dello Stato, una politica monetaria deflazionista e l'apertura dei mercati locali agli investimenti esteri. Tali scelte politiche venivano di fatto imposte ai paesi in crisi ma non rispondevano alle esigenze delle singole economie, e si rivelavano inefficaci o addirittura di ostacolo per il superamento delle crisi.


Stiglitz critica il FMI su diversi punti.

Analizzando la crisi dell’Est asiatico, Stiglitz ricorda che il 2 luglio 1997 crollò il baht tailandese che segnò l’inizio della più grande crisi economica dai tempi della Grande depressione, una crisi che partendo dall’Asia sarebbe andata a colpire anche Russia e America Latina.

Il baht, che per dieci anni era stato scambiato con un rapporto di 25:1 rispetto al dollaro, dalla sera alla mattina subì una svalutazione di circa il 25 per cento.


Ormai la crisi è passata ma sfortunatamente le politiche imposte dal FMI durante quel periodo tumultuoso hanno peggiorato la situazione, e in molti casi hanno provocato addirittura l’inizio di una crisi: secondo Stiglitz una liberalizzazione eccessivamente rapida dei mercati finanziari e dei capitali è stata probabilmente la causa principale della crisi, sebbene vi abbiano condotto anche alcune politiche sbagliate condotto dai singoli paesi.

Oggi gli esperti del FMI hanno riconosciuto molti errori, ma non tutti.

Si sono resi conto, per esempio, di quanto possa essere pericolosa una liberalizzazione troppo rapida del mercato dei capitali, ma è un cambiamento di opinione che arriva quando ormai è troppo tardi per aiutare i paesi in difficoltà.


Nei tre decenni precedenti alla crisi, l’Est asiatico non era soltanto cresciuto più velocemente di qualsiasi altra regione del mondo, più o meno sviluppata, riuscendo addirittura a ridurre la povertà, ma aveva anche acquisto stabilità e si era salvato dagli alti e bassi che caratterizzavano tutte le economie di mercato.

Tanto che quei risultati positivi vennero descritti come “il miracolo asiatico”.

Quando scoppiò la crisi però il FMI e il Tesoro degli Stati Uniti fecero aspre critiche contro questi paesi, incolpandoli di avere dei governi corrotti e urgeva una riforma radicale.

Stiglitz però si interroga: “come è possibile che le istituzioni di questi paesi abbiano funzionato così bene per tanto tempo se sono marce e corrotte?” . La risposta si evinse chiaramente dalla relazione intitolata “The East Asian Miracle” realizzata dalla Banca Mondiale su pressione dei giapponesi: quei paesi asiatici avevano avuto successo non solo malgrado il fatto di non aver seguito il diktat del Washington Consensus, ma proprio perché non li avevano seguiti; fu così evidenziato l’importante ruolo svolto dai governi.


Mentre le politiche del Washington Consensus mettevano in risalto la privatizzazione, i governi asiatici a livello nazionale e locale davano contributi per la creazione di imprese efficienti che hanno svolto un ruolo decisivo nel successo di alcuni di questi paesi.

Quando cominciò la crisi, l’Occidente non ne colse la gravità.

Il FMI per risolvere la crisi impose un’impennata dei tassi d’interesse e tagli alle spese, nonché di introdurre nei paesi cambiamenti sia economici che politici.

Il FMI stava fornendo miliardi di dollari a questi paesi, ma a condizioni di così ampia portata che i paesi che accettavano i finanziamenti finivano per rinunciare a gran parte della loro sovranità economica.


Nonostante ciò, i programmi del FMI sono falliti: avrebbero dovuto arrestare la caduta dei tassi di interesse, che invece si sono mantenuti in discesa, senza che il mercato abbia minimamente dimostrato di aver preso atto che fosse arrivato il FMI a “salvare la situazione”. Imbarazzato dal fallimento della sua ricetta il FMI ha puntualmente incolpato il paese di turno di non aver attuato sul serio le riforme necessarie.

Con l’aggravarsi della crisi aumentò la disoccupazione: la percentuale di disoccupati era quadruplicata in Corea, triplicata in Thailandia e decuplicata in Indonesia.

Il rallentamento nella regione ha avuto ripercussioni globali:la crescita economica complessiva fu rallentata e, con questo rallentamento, sono crollati i prezzi delle materie prime.



Continua...


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