mercoledì 16 maggio 2007

Corridoni e il Sindacalismo Rivoluzionario.


"Io rimarrò sempre il Don Chisciotte del sovversivismo; ma un Hidalgo senza ingengno, pieno soltanto di fede. Morirò in una buca, contro una roccia o nella corsa di un assalto, ma - se potrò - cadrò con la fronte verso il nemico, come per andare più avanti ancora"


Filippo Corridoni, ottobre 1915





Nato a Pausula (oggi Corridonia), in provincia di Macerata, il 19 agosto 1887; caduto in combattimento sul Carso, alla "Trincea delle Frasche", il 23 ottobre 1915. Nella prima giovinezza è mazziniano. Uscito dalla scuola industriale superiore di fermo, trasferitosi a Milano nel 1905, è impiegato disegnatore presso la ditta Miani-Silvestri. Si getta subito nella lotta sociale, militando nelle schiere del Sindacalismo Rivoluzionario. Fa sua la formula: "L'emancipazione dei lavoratori deve essere opera dei lavoratori stessi". G. Sorel, E. Leone, G. Hervé sono i suoi autori. Egli pensa che il sindacalismo operaio possa creare uno stato nello stato e, successivamente, procedere alla conquista del potere. Austero, incurante di pericoli e di privazioni, sa infondere nella folla il fascino dei suoi ideali. Sostiene con stoica fermezza una lunga serie di battaglie e persecuzioni, nonché, per qualche tempo, l'esilio. A partire dal 1907 conduce un'aspra lotta contro la Confederazione generale del lavoro, dando prova di grande ardimento in mezzo a scioperi ed agitazioni. Nel 1908 è con Alceste De Ambris a Parma per guidare quello che "sarebbe stato ricordato come il più lungo, drammatico e imponente sciopero generale agrario del sindacalismo rivoluzionario italiano". In mezzo a dure esperienze in Italia e all'estero, le sue concezioni sindacaliste si allargano e si modificano. Propagandista e volontarista, insieme con la rivolta delle masse operaie, Corridoni predica la rivolta della borghesia per l'avvento di d'una classe dirigente più consapevole ed atta ad affrontare una lotta decisiva. Allo scoppiare della guerra dichiara di trovarsi di fronte all'immaturità proletaria e a moltissimi problemi da risolvere in comune con le altre classi sociali. Fa generosa ammenda di tutte le ubbie internazionali cui aveva fino allora creduto e, richiamando le moltitudini all'idea di patria e di dovere nazionale, si schiera a fianco di Benito Mussolini per l'intervento. Benché inabile alle fatiche di guerra riesce a farsi inviare, volontario, al fronte. Nella vittoria, vede la premessa necessaria allo sviluppo ed alla grandezza della nazione.

Destinato al 32° reggimento fanteria operante sul Carso vi giunge il 26 luglio 1915, ma poiché il reggimento si trova in quei giorni a riposo nelle retrovie, Corridoni, anelante di cimentarsi contro il nemico, vuole immediatamente raggiungere la linea di combattimento e si reca in trincea presso il 142° reggimento. Spesso, dopo difficili missioni, torna nelle linee italiane provato dalle fatiche e dai disagi, ma sempre ripete la sua frase abituale: "Dobbiamo assolutamente vincere ad ogni costo. Il nemico deve essere schiacciato". Nella fatale e gloriosa giornata del 23 ottobre, all'assalto della Trincea delle Frasche, Filippo Corridoni, in testa alla sua compagnia, anima i compagni che muovono lungo la collina verso le munite trincee austriache e canta gli inni della patria. Al segnale d'attacco egli è fra i primi a saltare fuori dalla trincea di partenza ed è sempre tra i primi a giungere sulla trincea avversaria ove, in piedi, agita il berretto gridando "Vittoria! Viva l'Italia!". Qui cade colpito a morte. Viene decorato con medaglia d'argento, trasformata poi in medaglia d'oro con la seguente motivazione: Corridoni Filippo, soldato del 32° reggimento fanteria, soldato volontario e patriota instancabile, col braccio e con la parola, tutto se stesso diede alla Patrio con entusiasmo indomabile. Fervente interventista per la grande guerra, anelante della vittoria, seppe diffondere la sua tenace fede fra tutti i compagni, sempre di esempio per coraggio e valore. In testa alla propria compagnia, al canto di inni patriottici, muoveva fra i primi, e con sereno ardimento, all'attacco di difficilissima posizione, e tra i primi l'occupava. Ritto con suprema audacia sulla conquistata trincea al grido di "Vittoria! Viva l'Italia! Incitava i compagni, che lo seguivano, a raggiungere la mèta, finchè cadeva fulminato da piombo nemico.





"Egli era un nomade della vita, un pellegrino che portava nella sua bisaccia poco pane e moltissimi sogni e camminava così, nella sua tempestosa giovinezza, combattendo e prodigandosi, senza chiedere nulla... Leviamoci un momento dalle bassure della vita parlamentare; allontaniamoci da questo spettacolo mediocre e sconfortante; andiamo altrove col nostro pensiero che non dimentica; portiamo altrove il nostro cuore, le nostre angosce segrete, le nostre speranze superbe, e inchiniamoci sulla pietra che, nella desolazione dell'Altipiano di Trieste, segnò il luogo dove Filippo Corridoni cadde in un tumulto e in una rievocazione di vittoria"



Benito Mussolini, "Il Popolo d'Italia", 23 ottobre 1917


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