martedì 18 novembre 2008

I misteri di Bankitalia.

Un pugno di giorni ancora e la Banca d’Italia - quell’ente-mostro (che era) di diritto pubblico ad honorem (1936) e che è stato ri-trasformato in spa con il nuovo Statuto del 2006 - celebrerà, si fa per dire, il mezzo mandato del governatore Mario Draghi.

Come vedete - purtroppo: potenza dei media di regime... - tutti il governatore è un uomo mondano. Ed ha il dono dell’ubiquità: va ovunque di persona dove si tratta di moneta, di crisi e di recessione, per giustificare la bontà della vergognosa collusione tra banche ed affari e non solo: il suo spirito aleggia anche contemporaneamente in altri luoghi.

Per esempio, oggi, presso il Tribunale Civile di Roma, dove si è costituto contro il direttore di questo giornale richiedendo i danni per le presunte offese ricevute in quattro articoli presi a caso. Che parlavano della sua gita sul Britannia con Soros e Co., nel 1992; del suo ruolo di Grande Svenditore delle aziende pubbliche italiane; della guerra tra mafie - definite laico-sionista e cattolica - per il controllo dell finanza nazionale; della sua lunga entente cordiale con la Banca d’Inghilterra, rifornita di parte delle riserve valutarie italiane.

Si diceva: “articoli presi a caso” non appena intronizzato a Palazzo Koch mobilitando un paio di legali-doc (docenti: uno di destra e uno di sinistra) contro chi lo criticava già dal 1993 . Ma questo è un “non mistero”. Evidentemente in quegli anni non era “opportuno” che un direttore del Tesoro se la prendesse con il direttore di un quotidiano che esprimeva ministri di un governo della Repubblica...

Il mistero è invece ben più sostanzioso: manca una cinquantina di giorni al 28 dicembre e a via Nazionale e a via XX Settembre c’è una pericolosa consegna del silenzio su come verrà assolto l’obbligo di legge (che scade il 28 dicembre, a tre anni dall’emanazione della norma tutela-risparmio n.262/2005) che impone il trasferimento al settore pubblico delle quote-azioni di partecipazione al capitale della Banca d’Italia detenute per la stragrande maggioranza da privati che hanno il fare profitto quale unico scopo sociale.

Oggi tali quote sono in mano a Intesa S. Paolo Imi (39,3%), Unicredit Banca Roma (22,0), Mediobanca (8,3), Carige (3,9), Caribologna (6,2), Bnl Paribas (2,8), Mps (2,5), Ass. Generali (6,3), altri privati e, buon ultimo, Inps con il 5 per cento.

Il mistero è quanto valgano queste quote-azioni. Ogni banca ed assicurazione ha utilizzato il metodo più profittevole di valutazione con occhio al proprio bilancio. La Carige, per esempio, le ha sopravvalutate. Altri le hanno lasciate al valore nominale, secondo la propria partecipazione al capitale di 156.000 euro.

Ma le Banche - e le assicurazioni - benché non abbiano alcun diritto di partecipare agli utili (signoraggio etc.) di una Banca centrale che - anzi - dovrebbe svolgere il ruolo di controllore delle banche e non certo di suo agente, non sono enti di carità. E già durante il dibattito parlamentare sulla legge per il risparmio, su pressione dell’Abi, c’è chi ipotizzava un valore da 800 milioni a 20 miliardi di euro.

Ecco. Su questo “mistero” la consegna sembra quella del silenzio più assoluto. E’ possibile che nessuno abbia pensato di far cedere all’Inps al valore nominale queste quote-azioni e da risolvere così il buco previdenziale?

O si vogliono regalare altri soldi alle banche e alle assiurazioni?

Il governo batta un colpo.



Tratto da Rinascita.

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