lunedì 17 novembre 2008

ERNST JÜNGER - A dieci dalla sua morte 1998- 2008.

“I quattro anni della guerra mondiale del 1914-18 furono tra i più felici della mia vita. Avevo un compito da assolvere insieme con uomini di ogni specie e d’ogni classe sociale ed eravamo legati da un senso di cameratismo tanto raro da giustificare quasi la barbarie che l’aveva reso possibile. La guerra ha perlomeno questo vantaggio: ti fa vivere – se vivi – semplicemente, in compagnia di uomini che appaiono sotto il loro aspetto migliore, indotti all’altruismo da uno scopo comune che in altri momenti manca. La tragedia della guerra è che, venuta la pace, il senso di cameratismo che ha generato non dura. È un incredibile paradosso che l’aiuto reciproco, il seme della solidarietà universale che dovrebbe rendere impossibile la guerra, fiorisce meglio nel terreno inzuppato di sangue”. (Anonimo, apparso sulla rivista Battaglie, anno I n°3, 15-30 dicembre 1958).



Sono passati dieci anni  da quando, in quel freddo febbraio del 1998, lo scrittore Jünger moriva a quasi 103 anni. Dopo la morte di questo solitario scrittore che tanta parte ebbe nella cultura non solo tedesca, sembra che la sua figura sia già finita nell’oblio. Eccezion fatta per l’ottimo volume Lo Stato mondiale, pubblicato dalla casa editrice Guanda e curato da Quintino Principe (autore della pregevole prefazione), non vi sono molti segni che attestino un’adeguata rievocazione della figura di Jünger. La morte di un letterato di genio generalmente offre agli editori la possibilità di ristampare o di riprendere in considerazione testi recenti e inediti a lui appartenenti. Nel caso di Jünger, molte delle sue opere sono state ripubblicate in Germania, ma non è ancora comparsa una loro traduzione in lingua italiana. Eppure i testi da tradurre sarebbero molti. Ernst Jünger ci ha saputo donare saggi di altissimo valore letterario, basti menzionare il suo Nelle tempeste d’acciaio (In Stahlgewittern), che si riferiva ad alcuni fra i momenti più tragici del primo conflitto mondiale e aveva conquistato un’intera generazione di tedeschi. Per commemorare il centenario della nascita dello scrittore tedesco sono stati pubblicati alcuni libri di notevole valore, fra i quali L’operaio, Sulle scogliere di marmo (stampato in Italia nel 1939), Foglie e pietre, Il libro dell’orologio a polvere (Adelphi) e Giochi pericolosi. Come dare ulteriore vigore a questa riscoperta dell’opera di Jünger? Forse questa è la vera chiave di volta che può incentivarne la diffusione e la conoscenza: il fatto di richiedere i suoi libri con insistenza e di promuovere la loro traduzione.



Jünger è stato fino a poco tempo fa il maestro dei maestri, l’uomo che aveva vinto il tempo, ma è stato soprattutto l’uomo che ci ha lasciato l’opera che forse ci ha permesso di interpretare il conflitto mondiale attraverso un’ottica senza precedenti. La sua iniziale simpatia per Hitler, al quale aveva fatto dono dei suoi scritti autografati, si era gradualmente trasformata in una presa di posizione critica nei confronti del regime, in una sorta di autarchico distacco dell’intellettuale dal fermento concitato e scomposto della politica. In Stahlgewittern rimane, fra i classici della letteratura del secolo, quello che più di tutti cerca di abbracciare la verità storica con uno sguardo puro e obiettivo. In esso la guerra è presentata alla stregua di un “evento metafisico dal quale è possibile cogliere con esattezza i contorni della mutazione fisiologica di un’umanità in preda al terrore cosmico ingenerato dalla perdita di forme di vita dalle norme e dai contenuti definiti. La guerra diventa metafora «spietata» del divenire e, contemporaneamente, paradigma della relazione dell’esistenza con la vita, con le potenze pre-logiche, con l’«elementare», che rivendica la propria originarietà su ogni presente storico. (…) Dalle «tempeste d’acciaio» si viene formando l’eroe del nuovo secolo, il guerriero, il soldato politico che ha forgiato il proprio carattere nell’esperienza della trincea, nella comunità del dolore e di «ebbrezza» che la Fronterlebnis lasciava esperire” (da Bruno Bandini, Ernst Jünger: dal «guerriero» all’«anarca», in Il lettore di provincia, giugno-settembre 1984, n°57/58, pp. 39-40). Una simile trasfigurazione mistica della realtà avrebbe poi avuto la sua cifra caratteristica nell’immagine del bosco, la dimensione più autentica dell’Io che attinge ai valori eterni dell’esistenza.



C’è da augurarsi che fecondi traduttori siano al lavoro per divulgare i suoi scritti, perché questo solitario anarca ha ancora molto da dare al mondo della letteratura. C’è da sperare che altre case editrici seguano l’esempio di testate come Il Borghese, che fin dalla sua fondazione diede ampio spazio al grande autore tedesco, nonostante i tempi fossero avversi a chi ne condivideva gli ideali. Gli stessi che lo celebrarono all’epoca ora non possono non sentire l’esigenza di infrangere i troppi silenzi che hanno a lungo offuscato la sua vera grandezza. Eppure il fulgore che Jünger ha emanato da vivo continua a risplendere, mentre riposa nella tomba di Wilflingen, accanto a suo figlio morto nelle montagne di Carrara. Nella sua dimora immersa nella foresta nera, colma di libri e di ricordi dal valore inestimabile, come la massima onorificenza l’Ordre pour le mérite, vive ancor oggi la sua adorata moglie Liselotte, a reggere e conservare le fila del ricordo.



Di Emilio Del Bel Belluz, tratto da www.azionetradizionale.com

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