domenica 30 novembre 2008

Cemento ostile.

Quell’ideologia vetusta che proponeva l’accettazione forzata di egualitarismi culturali ha fondato il proprio credo attraverso l’utilizzo di strumenti di vario genere. Il metodo più inflazionato per affermare un principio che si scontra in realtà con la giusta armonia naturale, che è bilancia delle sorti del cosmo e si regge sulle molteplici diversità che caratterizzano i suoi abitanti, è la creazione artificiale di realtà strumentali soltanto alla propria ideologia, non al vantaggio di chi ne è costretto a prendere parte. L’industrializzazione prima, l’avvento sferzante della tecnica poi, sono concetti che nel corso dei secoli hanno subito una graduale impennata che non si è minimamente curata del danno che stesse arrecando all’uomo, poiché indirizzata esclusivamente al raggiungimento del tornaconto economico e dunque materialista e cinica.


L’avvento delle masse, aggregazioni caotiche di individui privi di specificità, passa principalmente per due motivi tra loro connessi:




-          la progressiva scomparsa del lavoro creativo, a beneficio di un meccanicismo alienante;


-          lo spopolamento delle campagne, a beneficio di grigi sobborghi tediosamente standardizzati




 Ciò ha prodotto un collettivismo coercitivo che si nutre di un’unica fonte culturale, di eguali tipologie di esigenze ed appiattisce l’uomo ad un livello di conformismo scientificamente imposto e desolante.

Il legame tra la scomparsa del lavoro creativo e la nascita di quartieri dormitorio oggettivamente tetri è data da un inequivocabile avvenimento storico relativo al periodo subito successivo alla Rivoluzione Industriale:Una crescente richiesta di lavoro da parte delle industrie che nascevano come funghi nelle grandi città, allettava gli agricoltori per via delle retribuzioni vantaggiose. Li costringeva quindi ad abbandonare le proprie terre per riversarsi in gran numero nei pressi dei nuovi luoghi di lavoro del secolo XIX, le fabbriche. Nei dintorni di esse venivano così a sorgere in serie edifici innalzati con criteri prettamente utilitaristici, a discapito dell’elemento estetico, proiezione dell’animo umano che viene così destituita della sua importanza. Ambienti che si conformano a regole architettoniche standard, che sono lo specchio deprimente di abitanti brevettati che vi vivono. Ironia della sorte, la velleità di migrare verso i centri urbani per proporsi verso un coinvolgimento culturale finisce invece per produrre un isolamento e geografico, in quanto il punto focale del fermento della cultura rimangono i centri storici, e concettuale, in quanto la configurazione ripetitiva e squadrata rende i nuovi sobborghi degli anonimi bunker, elementi estranei alle città, alle proprie diversificate prerogative che gli eventi storici hanno modellato e reso motivo di interesse. Motivo di interesse che manca invece nei confronti di tetre distese di palazzine prive di elementi caratterizzanti e distribuite in egual principio architettonico in ogni zona d’Europa. Londra, Parigi, Berlino, Milano, le prime città a subire l’industrializzazione frenetica e la conseguente urbanizzazione non fecero altro che impostare una breccia che molte altre città accolsero successivamente, relegando il settore primario a livelli di sempre minore importanza per le economie nazionali, ma soprattutto sradicando l’uomo, strappandolo alla realtà del rapporto con la propria terra.

Negli anni ’70 si ha poi un ulteriore, fallimentare sviluppo edilizio che riguarda l’espansione delle aree periferiche di quelli che oramai possono già in quegli anni esser definiti agglomerati metropolitani. Sorge il collettivismo quale miraggio messianico da dover perseguire; tutto ciò sotto l’influenza marxista-leninista particolarmente in voga negli ambienti dell’intellighenzia che ha monopolizzato la cultura a livello ufficiale, imponendo diktat ideologici che hanno pervaso varie realtà, tra cui appunto quelle di materia architettonica.  Nuovi scempi edilizi, titanici mostri di cemento che sgomentano l’animo alla sola vista fugace della loro statica e massiccia imponenza. Monumenti all’appiattimento che vedono sacrificare al proprio altare quantità enormi di cemento e vetro; elementi di cui l’uomo si appropria scovandone i principi dalle viscere della terra per poi innalzarli verso il cielo, quasi a mò di volgare e blasfema sfida verso i misteri delle alchimie celesti.


Un tentativo di dare un tono sociale, politicamente impegnato, coerentemente allineato alla moda chic di un comunismo utopico, che si è vanificata attraverso strutture che non hanno trovato il benché minimo riscontro positivo nella realtà delle cose. L’ammasso di individui spodestati delle proprie identità e costretti a consumare propositi comunitari entro limiti di rettilinee strade e di oppressivi palazzi, somiglia tanto ad una gabbia che pone l’uomo ad un livello di alienazione tale da renderlo per nulla invidiabile anche alla peggiore specie animale. La lontananza, teniamo a ripeterlo, non solo geografica, ma anche culturale, dai riferimenti distintivi che i cuori pulsanti delle città d’appartenenza conservano, ne fa degli automi meccanici votati soltanto all’adempimento delle esigenze più istintive. Né un passato da dover rivendicare, né un’identità specifica da dover affermare, ad ogni latitudine possono leggersi per mezzo dell’approccio visivo a simili orrori soltanto delle emblematiche affermazioni di globalizzazione. Ovunque il cattivo gusto ha seminato questi pessimi esempi di architettura, sintomo che ovunque l’ideologizzazione della architettura si è imposta nei paesi europei d’occidente, nonostante i veti parolai di governi liberali che evidentemente non si distaccavano

in maniera poi tanto netta da un’idea di società ugualmente collettivista, nella quale il concetto di integrazione tra diversità è soppresso dall’omologazione, dall’abiura della propria originale cultura.


E’ possibile invece riconoscere nel passato recente un esempio di architettura che sia riuscita ad edificare quartieri popolari mantenendo un’attenzione determinante alla specificità dei cittadini, conciliando esigenze culturali a necessità abitative. Il tutto, attraverso la costruzione di lotti che prevedevano la salvaguardia della propria intimità e la proprietà di un lembo di terra coltivabile che permetteva all’uomo del popolo di non sradicarsi dalle proprie radici contadine. Un’idea di architettura atta a stabilire un anello di congiunzione tra la semplicità dell’uomo di campagna e la volontà da parte dello Stato di poterne valorizzare l’efficacia del lavoro manuale, concedendogli un forte senso di appartenenza non solo ideale, ma concretamente applicato. Volontà perseguita dal fascismo ed esercitata con spiccato zelo; la calunnia storica può sottacere, ma mai potrà distruggere l’autenticità di quartieri popolari ancora oggi universalmente apprezzati. I mostri di cemento riflettono invece ansia ed inquietudine, simboli coerenti della nostra società; ostili all’uomo ed al suo retroterra, colmi di degrado ancora oggi, rappresentano la cristallizzazione nel tempo dell’ideologia collettivista…





Articolo a cura dell'Associazione Culturale Zenit




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