domenica 30 novembre 2008
AIUTIAMO IL POPOLO KAREN - SOSTENIAMO POPOLI.
Si è conclusa dopo tre settimane la missione condotta in territorio Karen da alcuni volontari di Popoli. Il viaggio aveva molteplici scopi. Il primo: coordinare aiuti di emergenza dopo la violenta offensiva condotta dai birmani contro numerosi villaggi del distretto di Dooplaya. Il secondo: studiare nuove strategie di intervento sulla base della variata situazione nell'area. Il terzo: dare un segnale tangibile ai Karen della nostra volontà di condividere almeno in parte il momento difficile che stanno attraversando. I volontari si sono introdotti in territorio birmano e hanno raggiunto alcuni villaggi nell'area interessata dall'offensiva birmana. Il personale medico ha potuto visitare la popolazione civile che era rientrata nei villaggi da poche ore, dopo essersi rifugiata nella giungla per sottrarsi alla cattura da parte delle forze di Rangoon. Accompagnati dai soldati dell'Esercito di Liberazione Karen e dal Colonnello Nerdah Mya, i volontari hanno poi raggiunto il villaggio di Kaw Hser Ko, nella provincia del Tenasserim. Il villaggio dista 10 ore di marcia dal primo centro abitato sul confine birmano tailandese, ed è raggiungibile solo percorrendo un difficile sentiero che attraversa una giungla particolarmente fitta e ricca di sanguisughe. Un viaggio che gli abitanti di Kaw Hser Ko compiono due volte la settimana, per trasportare, inerpicandosi su ripidi tratti di montagna, riso, sale e generi di prima necessità fino al villaggio. Kaw Hser Ko è l'emblema del concetto di "Lotta di Popolo": i soldati vivono qui con le loro famiglie, i loro figli. La prima linea di una guerra che in questa regione è voluta non soltanto dalla brama di potere assoluto dei Generali birmani ma anche, o meglio soprattutto, dall'aggressività del capitalismo occidentale, che ha i suoi investimenti multimilionari proprio tra le foreste del Tenasserim. Il gas birmano, che deve alimentare la vorace "crescita economica" (detto oggi sembra proprio una barzelletta) di diversi rispettabili stati democratici, viene convogliato nei condotti della Total e della Chevron. La protezione di questi gasdotti è affidata a decine di battaglioni di fanteria birmani, che nella regione hanno diritto di vita e di morte sugli abitanti. Così, chi vuol sottrarsi all'oppressivo controllo dei militari, chiede la protezione dei guerriglieri Karen, che cercano con i pochi mezzi a disposizione di garantire una zona franca, al riparo dalle incursioni birmane. La situazione del conflitto in questo momento è di stallo: dopo che le truppe birmane con l'aiuto dei collaborazionisti del DKBA hanno conquistato buona parte del distretto di Dooplaya, si registrano soltanto scaramucce tra i guerriglieri Karen e le forze occupanti. "il momento del raccolto del granturco" - dice il Colonnello Nerdah Mya - e ora i birmani stanno imponendo pesanti tasse ai contadini Karen. Ora vogliono tranquillità, per poter spremere la nostra gente. Noi non possiamo certo scatenare battaglia quando migliaia di civili sono impegnati nei campi. Coinvolgeremmo nello scontro persone innocenti. Credo che la guerra riprenderà a febbraio. E allora noi dovremo essere pronti. La Comunità Solidarista Popoli ha tirato le somme delle "perdite" causate dall'offensiva: la clinica Carlo Terracciano, occupata per alcuni giorni dai partigiani collaborazionisti è ora isolata a causa di decine di mine antiuomo lasciate dal nemico proprio per rendere inutilizzabile la struttura e per provocare perdite tra i civili e i guerriglieri Karen. Le scuole elementari di Bla Tho e Kerlaw Gaw per il momento non possono essere alimentate dalla Comunità, poiché i due villaggi sono occupati dalle truppe birmane. Resta attiva, seppur sotto grave minaccia, la clinica di Boe Wae Hta, la prima struttura realizzata da Popoli nello stato Karen, che risale al 2001. Circondato da un ingente numero di soldati nemici, Boe Wae Hta per il momento resiste, e la clinica fornisce indispensabile assistenza sanitaria a migliaia di persone. Le cliniche di Mu Aye Pu, e di Kay Pu lavorano a pieno regime, mentre la scuola di Boe Wae Hta funziona solo nei giorni in cui non si spara, e quando i bambini riescono a raggiungerla. "Popoli" ha ribadito la volontà di incrementare il suo impegno a favore del Popolo Karen, attraverso il proseguimento dei progetti iniziati negli scorsi anni e creando nuove strutture a sostituzione di quelle inutilizzabili. A Kaw Hser Ko è nostra intenzione creare una scuola per i bambini del villaggio e per quelli che arrivano da insediamenti a ben tre giorni di cammino da qui. Forniremo anche il cibo necessario a nutrire i bambini, oltre a garantire un minimo stipendio a due insegnanti. Proseguirà inoltre il progetto "Terra - Identità", iniziato con successo attraverso la
costruzione del villaggio di Kaw Law Mee, che ospiterà 25 famiglie di profughi intenzionati a rientrare nel loro paese. Un nuovo villaggio di 50 unità abitative attende soltanto lo stanziamento effettivo di fondi già promessi per la sua costruzione. "Riportare la nostra gente in Patria" - dice Nerdah Mya - "è la più importante delle cose da fare ora. Abbiamo bisogno che il popolo Karen si riappropri della sua terra, che la coltivi e produca cibo per tutti. La nostra lotta per la libertà deve trarre linfa da questi villaggi". La clinica "Carlo Terracciano" verrà ricostruita: il nome del nostro amico e maestro sarà sull'insegna di una nuova struttura che continuerà a garantire assistenza ai civili Karen che ancora preferiscono una vita in prima linea ad una sopravvivenza da schiavi in qualche campo profughi o in qualche fabbrica in Occidente.
www.comunitapopoli.org
Codreanu il capitano.
Prosegue l'addomesticamento radio-televisivo..
Ancora attacchi nei confronti dell'Iran. Le provocazioni dell'ipocrisia occidentale non sono certo finite, anzi si incrementeranno sempre di più grazie al neopresidente Obama che, come abbiamo visto, è voce ed espressione di interessi finanziari e politici rintracciabili nelle lobby sioniste e nei magnati ed "operatori internazionali" funzionali al mondialismo culturale ed economico. Attraverso servili associazioni (appositamente erette o foraggiate dai soliti personaggi noti, della finanza, del mondo dello spettacolo o del jet set mondiale) per i diritti umani o per l'osservazione internazionale, da anni, procedono i vili ed ipocriti venti di odio verso il mondo Arabo-Islamico e verso il mondo Russo. Vorremmo sapere dove fossero tali associazioni nel momento in cui un commando di infami terroristi ceceni attaccava la Scuola di Beslan, in Russia, provocando una strage, appena quattro anni fa, dove morirono centinaia di bambini e semplici maestre. Vorremmo sapere dove si trovano queste associazioni e questi enti non governativi quando i Palestinesi giornalmente subiscono attacchi e ingiustizie da parte di Isarele che si è permesso tranquillamente e bellamente di violare oltre 70 risoluzioni Onu nella sua breve storia, e che appena tre anni fa iniziò imporvvisamente a bombardare il Libano, dai confini e senza alcuna autorizzazione. Vorremmo sapere come mai nessuno muove le coscienze delle persone rendendo noto e denunciando la mancata adesione di Israele al Consiglio dei Diritti Umani dell'Onu. Vorremmo sapere dove fossero queste associazioni quando in Iraq l'Onu stessa diede vita ad un governo fantoccio, funzionale agli interessi delle lobby che specularono sulla ricostruzione edilizia e sulle risorse della nazione governata dall'ex Rais. Vorremmo sapere se e come, tali associazioni, hanno mai denunciato i ridicoli parmetri con cui Tribunali e Corti varie han giudicato "innocenti" i marines americani responsabili della strage della funivia sul Monte Cermis e della morte di Nicola Calipari in Iraq nell'ambito dell'operazione per la liberazione della Sgrena. Vorremmo sapere dove fossero queste associazioni quando nel 1986, il tecnico militare israeliano Mordecai Vanunu, venne rapito dal Mossad, nel centro di Roma, e rinchiuso per diciotto anni in carcere, dopo aver rivelato alla stampa i particolari di un enorme e segreto armamento atomico da parte del Governo di Tel Aviv, nell'ambito di un arsenale che attualmente sembra ammonti a oltre 800 testate. Vorremmo sapere dove fossero queste associazioni negli ultimi anni, in cui la Birmania viene tiranneggiata da un regime vergognoso, filo-occidentale e finanziato da varie multinazionali oltre che da Israele, che sta distruggendo e costringendo alla macchia un'intero Popolo autoctono, i Karen. Vorremmo sapere in definitiva, chi e come crede di gestire organismi pseudo-umanitari del genere, e a quale scopo vengono manovrati. Sappiamo di infiltrazioni del magnate ebreo-ungherese George Soros, che da anni, dopo le sue speculazioni, si è riciclato come icona "new-global" e "neoumanista". E sappiamo che spesso, sono nomi noti dello spettacolo a prendere inconsapevolmente parte di questi teatrini mediatici, che nascondono una realtà fatta di fame e povertà continuata per il Terzo Mondo, e di falsi umanitarismi, strumentalizzati, per aprire la strada a nuovi interventi o a nuove espansioni economiche, come avvenne nei Balcani negli anni Novanta, quando la Serbia fu messa in ginocchio dall'Occidente, Italia (governata all'epoca dal centro-sinistra con Dalema) compresa, per gli interessi che i Rothschild e Brzezinski (uno dei nuovi promoter e dei sostenitori di Obama) nutrivano in quelle zone, così come ora ne nutrono sulla Russia. Chiaramente, il catino delle risorse odierno, passa lungo una striscia che collega i Balcani alla Cina, ed i più torbidi interessi speculativi si giocano tutti là, in quegli scenari-tassello che ancora mancano per completare il mosaico della dominazione globale. Piegata l'ostilità legittima della Serbia, invaso l'Afghanistan, conquistato l'Iraq, ammorbidito e "lusingato" il Pakistan dell'ambiguo Musharraf, addomesticata la Turchia, da usare come ponte per l'Oriente, ora naturalmente mancano i due tasselli più grandi e forse anche più ardui, per gli interessi lobbistici dei padroni dell'alta finanza apolide e globale: Iran e Russia. La posta in gioco è altissima, la paura di sbagliare lo è anche di più. Una mossa sbagliata, da una parte o dall'altra, potrebbe essere fatale. E' così che i padroni del mondo cercano di levigare, subdolamente levigare, l'arduo minerale dello scontro geopolitico, come hanno sempre fatto da secoli a questa parte: levigare è un'arte sublime e raffinata, difficilissima e molto intensa. La precisione, la pazienza e la minuziosa programmazione sono caratteristiche da cui non si può prescindere in nessun modo. Levigare in questo caso significa, modificare piano piano, senza scalfirne l'apparenza democratica, disposizioni e decisioni, addomesticando e piazzando persone di fiducia totale nel mondo della politica, da una parte, e in quello dell'informazione, dall'altra, in grado di rispettare e di eseguire gli ordini maggiori. Per poi agire nell'ombra, e premere, senza mai intervenire direttamente, ma sempre da un backstage invisibile, affinchè le decisioni che sembrano essere prese dai più, che le opinioni man mano delineate fino a diventare le "più condivise" e le più comuni, si insinuino nei cardini del vivere quotidiano, della routine e nella "normalità", tanto da rendere accettabili e lecite le più evidenti incongruenze.E' così che le elezioni vinte trionfalmente da Putin anni fa (col 63% circa) diventano "momenti di insatbilità e incertezza democratica, in cui è forte il sospetto di brogli", mentre le precedenti elezioni del 2000 in America, premiarono un fantomatico George Bush jr., dopo un mese di incertezze millesimali e di polemiche, senza alcuna contestazione finale. E' così che è possibile accusare Mosca e il patriarcato ortodosso di "intolleranza e fascismo" per avere impedito una manifestazione ridicola come il gay-pride, mentre nessuna voce forte ed autorevole si è levata nei confronti della Chiesa protestante anglo-americana e della Chiesa cattolica romana di fronte ai complici silenzi e alle coperture degli annosi scandali della pedofilia clericale. E' così che le legittime esecuzioni di spacciatori e violentatori in Iran diventano "atti di inumana barbarie", mentre la pena di morte negli USA, prevista anche in casi in cui venga dimostrata l'innocenza pur in ritardo, è semplicemente ricondotta al "dura sed lex" di romana memoria. E' così che i terroristi ceceni vengono coccolati, sostenuti e considerati legittimi "indipendentisti" da numerosi politici e facoltosi uomini occidentali (tra cui i già menzionati Brzezinski e Soros, e addirittura Emma Bonino), mentre dovremmo credere e prendere per buona l'esistenza della fantomatica Al Qaeda, comandata dal fantomatico Bin Laden e da un fantomatico Mullah Omar che fantomaticamente, anni fa, riuscì a scappare alle truppe yankee, in motorino, nel deserto. Meditate se ne siete ancora in grado.
A. F.
Cemento ostile.
Quell’ideologia vetusta che proponeva l’accettazione forzata di egualitarismi culturali ha fondato il proprio credo attraverso l’utilizzo di strumenti di vario genere. Il metodo più inflazionato per affermare un principio che si scontra in realtà con la giusta armonia naturale, che è bilancia delle sorti del cosmo e si regge sulle molteplici diversità che caratterizzano i suoi abitanti, è la creazione artificiale di realtà strumentali soltanto alla propria ideologia, non al vantaggio di chi ne è costretto a prendere parte. L’industrializzazione prima, l’avvento sferzante della tecnica poi, sono concetti che nel corso dei secoli hanno subito una graduale impennata che non si è minimamente curata del danno che stesse arrecando all’uomo, poiché indirizzata esclusivamente al raggiungimento del tornaconto economico e dunque materialista e cinica.
L’avvento delle masse, aggregazioni caotiche di individui privi di specificità, passa principalmente per due motivi tra loro connessi:
- la progressiva scomparsa del lavoro creativo, a beneficio di un meccanicismo alienante;
- lo spopolamento delle campagne, a beneficio di grigi sobborghi tediosamente standardizzati
Il legame tra la scomparsa del lavoro creativo e la nascita di quartieri dormitorio oggettivamente tetri è data da un inequivocabile avvenimento storico relativo al periodo subito successivo alla Rivoluzione Industriale:Una crescente richiesta di lavoro da parte delle industrie che nascevano come funghi nelle grandi città, allettava gli agricoltori per via delle retribuzioni vantaggiose. Li costringeva quindi ad abbandonare le proprie terre per riversarsi in gran numero nei pressi dei nuovi luoghi di lavoro del secolo XIX, le fabbriche. Nei dintorni di esse venivano così a sorgere in serie edifici innalzati con criteri prettamente utilitaristici, a discapito dell’elemento estetico, proiezione dell’animo umano che viene così destituita della sua importanza. Ambienti che si conformano a regole architettoniche standard, che sono lo specchio deprimente di abitanti brevettati che vi vivono. Ironia della sorte, la velleità di migrare verso i centri urbani per proporsi verso un coinvolgimento culturale finisce invece per produrre un isolamento e geografico, in quanto il punto focale del fermento della cultura rimangono i centri storici, e concettuale, in quanto la configurazione ripetitiva e squadrata rende i nuovi sobborghi degli anonimi bunker, elementi estranei alle città, alle proprie diversificate prerogative che gli eventi storici hanno modellato e reso motivo di interesse. Motivo di interesse che manca invece nei confronti di tetre distese di palazzine prive di elementi caratterizzanti e distribuite in egual principio architettonico in ogni zona d’Europa. Londra, Parigi, Berlino, Milano, le prime città a subire l’industrializzazione frenetica e la conseguente urbanizzazione non fecero altro che impostare una breccia che molte altre città accolsero successivamente, relegando il settore primario a livelli di sempre minore importanza per le economie nazionali, ma soprattutto sradicando l’uomo, strappandolo alla realtà del rapporto con la propria terra. Negli anni ’70 si ha poi un ulteriore, fallimentare sviluppo edilizio che riguarda l’espansione delle aree periferiche di quelli che oramai possono già in quegli anni esser definiti agglomerati metropolitani. Sorge il collettivismo quale miraggio messianico da dover perseguire; tutto ciò sotto l’influenza marxista-leninista particolarmente in voga negli ambienti dell’intellighenzia che ha monopolizzato la cultura a livello ufficiale, imponendo diktat ideologici che hanno pervaso varie realtà, tra cui appunto quelle di materia architettonica. Nuovi scempi edilizi, titanici mostri di cemento che sgomentano l’animo alla sola vista fugace della loro statica e massiccia imponenza. Monumenti all’appiattimento che vedono sacrificare al proprio altare quantità enormi di cemento e vetro; elementi di cui l’uomo si appropria scovandone i principi dalle viscere della terra per poi innalzarli verso il cielo, quasi a mò di volgare e blasfema sfida verso i misteri delle alchimie celesti. Un tentativo di dare un tono sociale, politicamente impegnato, coerentemente allineato alla moda chic di un comunismo utopico, che si è vanificata attraverso strutture che non hanno trovato il benché minimo riscontro positivo nella realtà delle cose. L’ammasso di individui spodestati delle proprie identità e costretti a consumare propositi comunitari entro limiti di rettilinee strade e di oppressivi palazzi, somiglia tanto ad una gabbia che pone l’uomo ad un livello di alienazione tale da renderlo per nulla invidiabile anche alla peggiore specie animale. La lontananza, teniamo a ripeterlo, non solo geografica, ma anche culturale, dai riferimenti distintivi che i cuori pulsanti delle città d’appartenenza conservano, ne fa degli automi meccanici votati soltanto all’adempimento delle esigenze più istintive. Né un passato da dover rivendicare, né un’identità specifica da dover affermare, ad ogni latitudine possono leggersi per mezzo dell’approccio visivo a simili orrori soltanto delle emblematiche affermazioni di globalizzazione. Ovunque il cattivo gusto ha seminato questi pessimi esempi di architettura, sintomo che ovunque l’ideologizzazione della architettura si è imposta nei paesi europei d’occidente, nonostante i veti parolai di governi liberali che evidentemente non si distaccavano in maniera poi tanto netta da un’idea di società ugualmente collettivista, nella quale il concetto di integrazione tra diversità è soppresso dall’omologazione, dall’abiura della propria originale cultura. E’ possibile invece riconoscere nel passato recente un esempio di architettura che sia riuscita ad edificare quartieri popolari mantenendo un’attenzione determinante alla specificità dei cittadini, conciliando esigenze culturali a necessità abitative. Il tutto, attraverso la costruzione di lotti che prevedevano la salvaguardia della propria intimità e la proprietà di un lembo di terra coltivabile che permetteva all’uomo del popolo di non sradicarsi dalle proprie radici contadine. Un’idea di architettura atta a stabilire un anello di congiunzione tra la semplicità dell’uomo di campagna e la volontà da parte dello Stato di poterne valorizzare l’efficacia del lavoro manuale, concedendogli un forte senso di appartenenza non solo ideale, ma concretamente applicato. Volontà perseguita dal fascismo ed esercitata con spiccato zelo; la calunnia storica può sottacere, ma mai potrà distruggere l’autenticità di quartieri popolari ancora oggi universalmente apprezzati. I mostri di cemento riflettono invece ansia ed inquietudine, simboli coerenti della nostra società; ostili all’uomo ed al suo retroterra, colmi di degrado ancora oggi, rappresentano la cristallizzazione nel tempo dell’ideologia collettivista… Articolo a cura dell'Associazione Culturale Zenit
sabato 29 novembre 2008
Come si crea debito pubblico.
La salute è una cosa seria, ed all’approssimarsi del 5\12, il giorno dedicato alla “salute mentale”, bisogna stare attenti, molto attenti, perché come ben sappiamo, “la salute costa”. Voi direte: “ma sei scemo?”. Si! Siamo in un epoca nella quale si paga tutto, la mutua, la malattia e pure la salute, figuratevi che le industrie pagano il “diritto ad inquinare”, di conseguenza un giorno noi pagheremo il diritto a respirare. Ma per godere della “salute mentale” bisogna pagare? Certo, vi risponderanno i politici servi delle banche, perché c’è il debito pubblico. Anche se poi nessuno ci dice con chi l’abbiamo contratto questo debito pubblico (…e non ve lo dico neppure io, altrimenti mi arrestano). La cosa più assurda, però, è che al debito pubblico, corrisponde un creditore privato. Quindi se la salute mentale è la festa di noi scemi, voi siete tutti degli “infermi mentali” e non lo sapete. Proprio da questi presupposti nasce l’esigenza della festa per la salute mentale, per comprendere l’insana mente che ha pensato di “farcela pagare”. Ma andiamo con ordine. Prima dell’unità d’Italia la carta-moneta (nota di banco - banconota) veniva stampata solo al nord, noi al Sud emettevamo monete in oro e argento. Al Nord, per ogni lira-oro conservata dalla banca Nazionale degli stati Sardi (per colmo di brutalità anti-sarda, visto che i sardi furono i più bistrattati dallo stato Sardo) si emettevano tre lire-carta, in pochi anni, attraverso guerre e truffe private a danno pubblico, (in questa dinamica è ravvisabile l’embrione dell’Italia di oggi: Alitalia docet) già prima dell’invasione garibaldina i soldi del nord, valevano un cazzo. Al punto che dopo il bombardamento di Gaeta, durante l’invasione del Regno, alla borsa di Parigi i soldi del Sud venivano acquistati ancora al 4,5 su 1. Cosa fanno i liberali appena il Garibardo gli consegna noi del sud? Per prima cosa si autodefiniscono Stato Italiano (per colmo di brutalità anti-italiana, visto che i nuovi governanti piemontesi parlavano e scrivevano leggi in francese) e, per seconda cosa, vietano al banco delle Due Sicilie di recuperare dal mercato le monete in oro e argento, le uniche messe in circolazione in quanto, a differenza dei Savoia e degli americani di oggi, noi al sud non facevamo circolare i “soldi falsi di stato”. Perché? Vi chiederete voi. Perché se il Banco delle Due Sicilie avesse recuperato quei “soldi veri” ed avesse applicato la nuova legge “italiana”, che valeva per tutti tranne che per noi meridionali, avrebbe potuto stampare tanti di quei “soldi falsi”, “coperti” dai “soldi veri”, che il nord ce lo saremmo potuti comprare senza neanche bisogno di invaderlo. Ma cosa successe quindi? Per prima cosa divisero il Banco delle Due Sicilie in Banco di Napoli e Banco di Sicilia, vietarono il rastrellamento, ed al contempo trasformarono la Banca Sarda in Banca d’Italia. La neonata Banca, che fino a prima non risultava possedere riserve auree, dopo l’unità si trovò stracolma d’oro. A questo punto, la mia salute mentale viene messa a dura prova. Se eravamo tutti italiani perché lo stato fece due provvedimenti che dettero inizio alla povertà del Sud: l’autorizzazione alla Banca Nazionale di poter aprire filiali al Sud e il divieto al Banco di Napoli di aprire filiali al Nord? Cosa ne fecero di quell’oro meridionale i nuovi padroni del Sud? Crearono il Credito mobiliare di Torino, il Banco Sconto e Sete di Torino, la Cassa di Genova e la Cassa Sconto di Torino, strutture che di fatto permisero la creazione del “Nord industriale”. Voi mi direte: “ma diventi scemo per delle cose del passato?”. Passato? In pratica, saltando qualche passaggio minore, se voi “scavate” nelle grosse società italiane di oggi trovate, questa evoluzione progressiva: Bastoni, Fiat, Impreg. Quindi, quel passato è più presente che mai. Ma i liberisti sono avidi. La loro avidità è smisurata come quella di un bambino innanzi alle caramelle e, mangiando mangiando (ogni riferimento a politici liberali è voluto), fecero subito un’indigestione che li costrinse, dopo appena 5 anni, a vietare la convertibilità in oro ed emanare, 1° maggio del 1866, il cosiddetto “corso forzoso”. Li sentitè questi vagiti? ‘ngueeeee, ‘ngueeee. E’ appena nato il debito pubblico. Da questo momento il Cavour comincia a chiedere carta moneta alla banca PRIVATA e le cede a nome e per conto nostro la SOVRANITA’ MONETARIA. Se state ancora pensando che sto raccontando una “storia vecchia”, “superata”, fate un esperimento. Sostituite Cavour con Halliburton ed al posto dell’oro dei meridionali, metteteci il petrolio degli iracheni. Voi direte: ” Ma a fare l’Italia (stato), ci furono pure i meridionali!”. Certo, anche il primo vicepresidente iracheno post americanizzazione, era iracheno, ma guarda caso, era anche un dipendente della Unocal del vicepresidente Cheney. Che combinazione, eh? Un vero scenario da festa della Salute Mentale. La mia festa differente!
Tratto da Il Fondo, articolo di Nando Dicè.
mercoledì 26 novembre 2008
martedì 25 novembre 2008
Sole e Acciaio
I quattro fiumi del Guerriero (scrittura, teatro, corpo, azione) rifluiscono così nel vuoto metafisico che tanto lo affascinò.
Economisti incapaci e menzogneri, seguaci del libero mercato.
Il lettore attento avrà intuito che il problema subprime è solo la causa finale che ha innescato la morte dell’attuale sistema finanziario globale nato insieme all’Organizzazione Mondiale del Commercio che imponeva il “libero mercato” con la circolazione senza dazi e regole di merci e capitali avendo come prodotto finale il modello della “globalizzazione”.
Da quel momento i sistemi produttivi si sono sempre più spostati verso Oriente, verso Cina ed India soprattutto lasciando in Occidente orde di disoccupati e sottoccupati.
I sottoccupati, i cosiddetti precari, sono i nuovi morti di fame con cravatta e “ventiquattrore” che hanno sempre consumato al di sopra delle proprie possibilità comprando tutto ciò che potevano, indebitandosi con banche e finanziarie, dall’auto all’elettrodomestico alla vacanza ai Caraibi.
Intanto dall’oriente arrivavano merci e prodotti a basso costo ed i prodotti di casa nostra non reggevano il confronto, e di conseguenza altri disoccupati andavano ad ingrossare le file davanti alla Caritas.
Stati Uniti ed Europa si sono stretti il cappio intorno al collo da soli, quando il sistema finanziario si è saturato i giochi si sono interrotti, e dato le violente oscillazioni di tutti i mercati borsistici, sono lungi dal riaggiustarsi.
Questa è l’occasione per creare un nuovo sistema finanziario basato su regole certe (e magari pure etiche), sulla sovranità dei singoli Stati e sul rispetto dei relativi diritti.
La piovra che domina il mondo lo permetterà?
lunedì 24 novembre 2008
Bloody Sunday.
UMBRIA: REGIONE NELL'ABISSO...
Tratto da: nazional-rivoluzionario.spaces.live.com
I video di MALPELLO su:
www.la7.it/approfondimento/dettaglio.asp?prop=repliche&video=19528
giovedì 20 novembre 2008
IL SUONO RIBELLE.
Intanto un grazie a Cristina che prima degli “altri” è riuscita nella stesura di questo lavoro sulla cosiddetta “musica alternativa”. Il rischio infatti era che un altro pezzo della storia militante “nazional-rivoluzionaria” italiana finisse nella rielaborazione indiretta di studiosi “non-omogenei” all’area e che spesso (tranne alcune eccezioni) quando elaborano e commentano, non comprendono fino in fondo le ragioni profonde e la complessità di questo spaccato di mondo. Se c’è infatti un’area politica e culturale dove la “reductio ad unum” non funziona e non corrisponde a verità, è proprio “a destra”.
Da oggi se si vuole scrivere qualcosa sulla musica alternativa, si dovrà necessariamente tenere conto di questo libro e del suo valore documentale. Anche perché non dovrà e non potrà necessariamente essere l’ultimo. Serviva infatti un primo elaborato analitico e sommario che completasse il lavoro di ricerca e catalogazione certosina dell’Associazione Lorien, la vera struttura che ha permesso la sopravvivenza, tra le pieghe della storia e della cultura nazionale, della memoria di questo repertorio lirico incredibile, unico, formidabile e non secondo a nessuno. Lorien ha contribuito soprattutto a che non andasse dispersa la vastissima consistenza documentale del macro-fenomeno intero, raccogliendo e catalogando anche ciò che ad occhi inesperti e superficiali sembrava essere superfluo. Grazie quindi alla “Lorien” e al suo estremo impegno, fonti, dati, informazioni, autori, testi, concerti, iniziative e foto, non sono andati per sempre nel dimenticatoio e sono oggi fruibili.
Se fosse stato infatti per le strutture “istituzionali o classico-militanti della destra” (e ci metto dentro anche l’area della destra radicale, anche se solitamente è più sensibile alla materia) sarebbe sparito tutto, azzerato, rimosso come un’inutilità, se non addirittura come una “grana storiografica” da destinare all’oblio. Non si ha ancora oggi idea, nel cosiddetto “ambiente”, di che cosa sia un istituto storico, un centro di documentazione, una fondazione, a che cosa possano servire nel tempo e per la ricerca. E questi limiti, signori miei, sono limiti consustanziali e culturali, non addebitabili all’ostracismo o alla demonizzazione degli altri. E’ una semplice questione di mediocre mentalità.
La musica alternativa è un’espressione che da sempre mal convive con la “politica politicante”, con quella istituzionale, con i suoi modelli e metodi omologati di comunicazione politicamente corretti e lineari, con i lustrini e la noia devastatrice delle classiche iniziative di partito e di movimento. La musica alternativa ha introdotto “Dioniso” laddove “Apollo” regnava incontrastato, e ha di fatto spodestato la comunicazione razionale e il metodo organizzativo, ha esautorato lo schema classico delle cosiddette strutture parallele. E’ come se da tempo ormai tutto ruotasse intorno ai concerti e alla musica, al rito da consumare, di cui tutto il resto funge da contorno. E questa inversione di valore, a mio avviso, ha anche ormai mostrato i suoi limiti.
Una delle chiavi di lettura della dicotomia politica/metapolitica, che si evince peraltro chiaramente dal libro, è che a destra (uso il termine “destra” ma con i soliti conati di vomito e crampi allo stomaco) non c’è stata mai una convivenza logica e pacifica (come a sinistra) tra politica e meta-politica. Al contrario tutta “la metapolitica a destra” è la diretta rivale, la concorrente-antagonista, la spina nel fianco continua dei soliti scenari di omologazione, di bieco conformismo, di trasformismo acritico e pedante. E questo non riguarda solo il rapporto con la musica, con i concerti, ma anche l’editorialistica in genere, le case editrici, le riviste, i circoli culturali, i pub, le emittenti alternative, il teatro, il cinema, i fumetti, l’arte, la comunicazione. Insomma tutto quello che non è riconducibile, omologabile, bio-degradabile all’organizzazione classica ideologica di destra.
La musica alternativa ha rivendicato per prima, facendo anche la voce grossa, le istanze di uno spaccato di mondo che era il vero protagonista (ad. es. con i Campi Hobbit) e non si è mai ben conciliato ad esempio con i grandi temi delle riforme istituzionali, della gestione dell’economia e/o con gli spettacoli spiccioli di accattivante neutralità culturale tipici della destra. Anche perché il Fascismo nelle sue dinamiche fu tutto tranne che culturalmente “neutrale” (quindi “di destra”): fu invece “gramsciano” per definizione.
Ai tempi del Bagaglino (anni 60’) la canzone di protesta fustigava il mondo circostante, lo accusava di vassallaggio, di vigliaccheria, di pedanteria, di bieco servilismo, di resa. D’altra parte, come mette in luce l’autrice, personaggi come Francesco Pingitore e Mario Castellacci, autore della mitica canzone strafottente “ le donne non ci vogliono più bene”, hanno creato il profilo originario del fenomeno, tanto che qualcuno indica proprio in quel brano storico la nascita della musica alternativa. Se dalla satira intelligente e tagliente del Bagaglino si è passati successivamente all’introspezione, alla commemorazione dei fatti tragici, alla canzone da battaglia, all’esistenzialismo dell’esilio e della sconfitta e spesso anche alla “necrofilia”, è perché la musica alternativa è stata tragicamente dentro lo scontro, in prima fila, e non se ne stava in retroguardia, seduta candidamente dietro le scrivanie e le poltrone, per commentare gli eventi e/o preparare campagne elettorali e finti congressi di rottura. E purtroppo chi ha vissuto solo il tramonto spesso compone e “canta di tramonto” anche se sogna l’alba.
Tutti gli autori e i protagonisti dei gruppi musicali sono stati prima di tutto militanti, quadri, organizzatori, leader: nessuno è stato mai “un impiegato della politica”, almeno fino agli ultimi tempi. Tutti i nomi e i cognomi che troverete nel libro hanno questa caratteristica. La musica alternativa rivendica la diversità ideologica, una nuova metodologia esistenziale e comunitaria, la frontiera come espressione, la trincea come visione, “la guerra” al conformismo come via primaria di liberazione. E’ una passione, è un amore totalizzante, è anche una miscela di odio e rabbia che traspare da ogni brano e da ogni nota; un tema che non accenna mai a nessuna ipotesi di distacco tranquillo e accomodante dalla realtà, che non la evade, ma la incarna come scelta radicale ed estrema.
Peraltro Cristina ha avuto l’intuizione di inserire all’interno del testo una ricostruzione piuttosto analitica e corretta di 30-40 anni della storia politica, proprio per fotografare lo scenario delle “piccole tempeste d’acciaio” in cui è divampato il fuoco, il perimetro entro cui la musica alternativa è nata, è cresciuta e si è evoluta, anche con cambiamenti di genere e di stile. E ha legato la storia dei gruppi, alle vicende politiche, alle diverse fasi, ai cambiamenti dovuti anche alle influenze estere e ai cambi generazionali tra i protagonisti.
Interessanti sono poi il quadro della ricerca fotografica e la ricostruzione dei testi attraverso le linee di ispirazione: dal mito, alla storia antica, alle battaglie sociali, agli scenari militanti. Un lavoro che sarebbe stato indubbiamente difficile se l’autrice avesse dovuto spaziare analiticamente tra tutte le migliaia e migliaia di testi e le centinaia di gruppi ed autori che hanno alimentato il fenomeno.
I generi presenti nella musica alternativa sono gli stessi del patrimonio musicale della società civile: rock-pop, hard, cantautori, underground, Ska e Oi (praticati anche dai concorrenti e coetanei della sinistra), musica elettronica, melodie tradizionali e medievaleggianti, combat e modern folk…Insomma ci si trova veramente di tutto. E’ un mondo che interagisce ma non si omologa, che spesso copia ma quasi mai imita, che cammina a fianco della società civile, la osserva e se ne distacca aristocraticamente. Poche esperienze nate nella musica alternativa a mio avviso hanno però passato il guado e sono udibili da platee di spettatori “altre da noi”. Forse questo è il vero limite? Forse… L’espressione artistico-musicale del Risorgimento e del Fascismo (l’avanguardia che diventa Popolo) non è nel dna della musica alternativa, che quindi per ora non entra nel repertorio condiviso della cosiddetta musica popolare. Fino ad oggi la musica alternativa ha continuato a vivere solo di esperienze di avanguardia (e a volte, nei temi, purtroppo anche di “retroguardia”) ma il cosiddetto “popolo” ascolta altro e vive altri riti, meno particolari e meno trasgressivi, almeno per ora.
Per chiudere va detto che il fenomeno, anche se sotto diverse terminologie (Rock Identitario, Underground, Combat-Folk), continua ad essere in lenta e continua espansione, coinvolge, alimenta le attività e la mobilitazione, moltiplica i gruppi e le espressioni, e questo nonostante “il nulla politico” che inonda questo nostro tempo. Va ricordata, ad onor del vero, come esperienza di punta degli ultimi anni, quella degli ZetaZeroAlfa, che attraverso un’azione spregiudicata e di “marketing oriented” sono riusciti a costruire dalla musica l’ultima frontiera della mobilitazione totale, un immaginario vincente, intelligente, che è divenuto fenomeno di massa, tendenza giovanile, progetto politico dirompente, sfida futurista.
Ancora un grazie a Cristina un grazie a Lorien e un grazie a tutti coloro che hanno contribuito e contribuiscono da sempre a tenere vive le “note ribelli”.
martedì 18 novembre 2008
I misteri di Bankitalia.
Come vedete - purtroppo: potenza dei media di regime... - tutti il governatore è un uomo mondano. Ed ha il dono dell’ubiquità: va ovunque di persona dove si tratta di moneta, di crisi e di recessione, per giustificare la bontà della vergognosa collusione tra banche ed affari e non solo: il suo spirito aleggia anche contemporaneamente in altri luoghi.
Per esempio, oggi, presso il Tribunale Civile di Roma, dove si è costituto contro il direttore di questo giornale richiedendo i danni per le presunte offese ricevute in quattro articoli presi a caso. Che parlavano della sua gita sul Britannia con Soros e Co., nel 1992; del suo ruolo di Grande Svenditore delle aziende pubbliche italiane; della guerra tra mafie - definite laico-sionista e cattolica - per il controllo dell finanza nazionale; della sua lunga entente cordiale con la Banca d’Inghilterra, rifornita di parte delle riserve valutarie italiane.
Si diceva: “articoli presi a caso” non appena intronizzato a Palazzo Koch mobilitando un paio di legali-doc (docenti: uno di destra e uno di sinistra) contro chi lo criticava già dal 1993 . Ma questo è un “non mistero”. Evidentemente in quegli anni non era “opportuno” che un direttore del Tesoro se la prendesse con il direttore di un quotidiano che esprimeva ministri di un governo della Repubblica...
Il mistero è invece ben più sostanzioso: manca una cinquantina di giorni al 28 dicembre e a via Nazionale e a via XX Settembre c’è una pericolosa consegna del silenzio su come verrà assolto l’obbligo di legge (che scade il 28 dicembre, a tre anni dall’emanazione della norma tutela-risparmio n.262/2005) che impone il trasferimento al settore pubblico delle quote-azioni di partecipazione al capitale della Banca d’Italia detenute per la stragrande maggioranza da privati che hanno il fare profitto quale unico scopo sociale.
Oggi tali quote sono in mano a Intesa S. Paolo Imi (39,3%), Unicredit Banca Roma (22,0), Mediobanca (8,3), Carige (3,9), Caribologna (6,2), Bnl Paribas (2,8), Mps (2,5), Ass. Generali (6,3), altri privati e, buon ultimo, Inps con il 5 per cento.
Il mistero è quanto valgano queste quote-azioni. Ogni banca ed assicurazione ha utilizzato il metodo più profittevole di valutazione con occhio al proprio bilancio. La Carige, per esempio, le ha sopravvalutate. Altri le hanno lasciate al valore nominale, secondo la propria partecipazione al capitale di 156.000 euro.
Ma le Banche - e le assicurazioni - benché non abbiano alcun diritto di partecipare agli utili (signoraggio etc.) di una Banca centrale che - anzi - dovrebbe svolgere il ruolo di controllore delle banche e non certo di suo agente, non sono enti di carità. E già durante il dibattito parlamentare sulla legge per il risparmio, su pressione dell’Abi, c’è chi ipotizzava un valore da 800 milioni a 20 miliardi di euro.
Ecco. Su questo “mistero” la consegna sembra quella del silenzio più assoluto. E’ possibile che nessuno abbia pensato di far cedere all’Inps al valore nominale queste quote-azioni e da risolvere così il buco previdenziale?
O si vogliono regalare altri soldi alle banche e alle assiurazioni?
Il governo batta un colpo.
Tratto da Rinascita.
lunedì 17 novembre 2008
Zitti zitti...
I caccia israeliani hanno portato a termine un raid nella periferia Est di Gaza, dove i missili hanno colpito la località di frontiera israeliana di Nir Oz. Quattro miliziani palestinesi sono rimasti uccisi nell'attacco. Secondo fonti dell'esercito di Gerusalemme, stavano preparando un attentato. I miliziani facevano parte dei "Comitati armati di resistenza popolare" (Crp) e - secondo alcuni medici locali - sarebbero rimasti "orrendamente mutilati" dalle esplosioni. Abu Ataya (esponente delle Brigate Sallah-a-Din, braccio armato dei Crp), dopo aver confermato che gli uccisi "erano in una missione di jihad" (guerra santa) ha aggiunto che la reazione per queste morti "sarà molto dura". Le vittime sono state identificate in Talal al-Amudi, Muhammed Hassuna, Ahmed al-Hilu e Basil al-If ed erano tutti ventenni. Nel frattempo, la stampa israeliana riferisce che i razzi in dotazione di Hamas rappresentano ormai un pericolo diretto per oltre 400 mila israeliani che abitano in prossimità della striscia di Gaza. Oltre a Sderot (25 mila abitanti) ed Ashqelon (110 mila abitanti) il braccio armato di Hamas dispone di razzi capaci di colpire anche Ashdod (220 mila abitanti) e il suo porto. Domani responsabili del Comando delle retrovie si recheranno ad Ashdod per verificare le condizioni dei rifugi. Il premier israeliano Ehud Olmert, aprendo la consueta seduta domenicale del Consiglio dei ministri, ha detto che la responsabilità per la rottura della tregua a Gaza va addossata a Hamas. Da parte sua, il ministro della difesa Ehud Barak ha ribadito che Israele resta anche oggi interessato a mantenere la tregua in quella zona "se la controparte vorrà altrettanto". Barak ha avvertito che sarebbe un errore "lasciarsi trascinare dalla retorica" ed ha sottolineato che gli ultimi cinque mesi di tregua hanno molto giovato alla popolazione israeliana del Neghev. La sospensione delle ostilità fra Israele e Hamas era infatti entrata in vigore il 19 giugno scorso, grazie ad una laboriosa mediazione egiziana.
Da www.repubblica.it
ERNST JÜNGER - A dieci dalla sua morte 1998- 2008.
“I quattro anni della guerra mondiale del 1914-18 furono tra i più felici della mia vita. Avevo un compito da assolvere insieme con uomini di ogni specie e d’ogni classe sociale ed eravamo legati da un senso di cameratismo tanto raro da giustificare quasi la barbarie che l’aveva reso possibile. La guerra ha perlomeno questo vantaggio: ti fa vivere – se vivi – semplicemente, in compagnia di uomini che appaiono sotto il loro aspetto migliore, indotti all’altruismo da uno scopo comune che in altri momenti manca. La tragedia della guerra è che, venuta la pace, il senso di cameratismo che ha generato non dura. È un incredibile paradosso che l’aiuto reciproco, il seme della solidarietà universale che dovrebbe rendere impossibile la guerra, fiorisce meglio nel terreno inzuppato di sangue”. (Anonimo, apparso sulla rivista Battaglie, anno I n°3, 15-30 dicembre 1958).
Sono passati dieci anni da quando, in quel freddo febbraio del 1998, lo scrittore Jünger moriva a quasi 103 anni. Dopo la morte di questo solitario scrittore che tanta parte ebbe nella cultura non solo tedesca, sembra che la sua figura sia già finita nell’oblio. Eccezion fatta per l’ottimo volume Lo Stato mondiale, pubblicato dalla casa editrice Guanda e curato da Quintino Principe (autore della pregevole prefazione), non vi sono molti segni che attestino un’adeguata rievocazione della figura di Jünger. La morte di un letterato di genio generalmente offre agli editori la possibilità di ristampare o di riprendere in considerazione testi recenti e inediti a lui appartenenti. Nel caso di Jünger, molte delle sue opere sono state ripubblicate in Germania, ma non è ancora comparsa una loro traduzione in lingua italiana. Eppure i testi da tradurre sarebbero molti. Ernst Jünger ci ha saputo donare saggi di altissimo valore letterario, basti menzionare il suo Nelle tempeste d’acciaio (In Stahlgewittern), che si riferiva ad alcuni fra i momenti più tragici del primo conflitto mondiale e aveva conquistato un’intera generazione di tedeschi. Per commemorare il centenario della nascita dello scrittore tedesco sono stati pubblicati alcuni libri di notevole valore, fra i quali L’operaio, Sulle scogliere di marmo (stampato in Italia nel 1939), Foglie e pietre, Il libro dell’orologio a polvere (Adelphi) e Giochi pericolosi. Come dare ulteriore vigore a questa riscoperta dell’opera di Jünger? Forse questa è la vera chiave di volta che può incentivarne la diffusione e la conoscenza: il fatto di richiedere i suoi libri con insistenza e di promuovere la loro traduzione.
Jünger è stato fino a poco tempo fa il maestro dei maestri, l’uomo che aveva vinto il tempo, ma è stato soprattutto l’uomo che ci ha lasciato l’opera che forse ci ha permesso di interpretare il conflitto mondiale attraverso un’ottica senza precedenti. La sua iniziale simpatia per Hitler, al quale aveva fatto dono dei suoi scritti autografati, si era gradualmente trasformata in una presa di posizione critica nei confronti del regime, in una sorta di autarchico distacco dell’intellettuale dal fermento concitato e scomposto della politica. In Stahlgewittern rimane, fra i classici della letteratura del secolo, quello che più di tutti cerca di abbracciare la verità storica con uno sguardo puro e obiettivo. In esso la guerra è presentata alla stregua di un “evento metafisico dal quale è possibile cogliere con esattezza i contorni della mutazione fisiologica di un’umanità in preda al terrore cosmico ingenerato dalla perdita di forme di vita dalle norme e dai contenuti definiti. La guerra diventa metafora «spietata» del divenire e, contemporaneamente, paradigma della relazione dell’esistenza con la vita, con le potenze pre-logiche, con l’«elementare», che rivendica la propria originarietà su ogni presente storico. (…) Dalle «tempeste d’acciaio» si viene formando l’eroe del nuovo secolo, il guerriero, il soldato politico che ha forgiato il proprio carattere nell’esperienza della trincea, nella comunità del dolore e di «ebbrezza» che la Fronterlebnis lasciava esperire” (da Bruno Bandini, Ernst Jünger: dal «guerriero» all’«anarca», in Il lettore di provincia, giugno-settembre 1984, n°57/58, pp. 39-40). Una simile trasfigurazione mistica della realtà avrebbe poi avuto la sua cifra caratteristica nell’immagine del bosco, la dimensione più autentica dell’Io che attinge ai valori eterni dell’esistenza.
C’è da augurarsi che fecondi traduttori siano al lavoro per divulgare i suoi scritti, perché questo solitario anarca ha ancora molto da dare al mondo della letteratura. C’è da sperare che altre case editrici seguano l’esempio di testate come Il Borghese, che fin dalla sua fondazione diede ampio spazio al grande autore tedesco, nonostante i tempi fossero avversi a chi ne condivideva gli ideali. Gli stessi che lo celebrarono all’epoca ora non possono non sentire l’esigenza di infrangere i troppi silenzi che hanno a lungo offuscato la sua vera grandezza. Eppure il fulgore che Jünger ha emanato da vivo continua a risplendere, mentre riposa nella tomba di Wilflingen, accanto a suo figlio morto nelle montagne di Carrara. Nella sua dimora immersa nella foresta nera, colma di libri e di ricordi dal valore inestimabile, come la massima onorificenza l’Ordre pour le mérite, vive ancor oggi la sua adorata moglie Liselotte, a reggere e conservare le fila del ricordo.
Di Emilio Del Bel Belluz, tratto da www.azionetradizionale.com
venerdì 14 novembre 2008
INGIUSTIZIA E' FATTA.
Il vuoto del diritto.
COME per Bolzaneto, la sentenza del processo per i pestaggi nella scuola Diaz è una sentenza pessima, quali saranno le motivazioni che la sosterranno. È soprattutto una sentenza imprudente e pericolosa. Vengono condannati soltanto i "picchiatori" del Reparto Mobile di Roma, il comandante, il suo vice, i capisquadra.
Con loro, condannati i due poliziotti che s'inventarono, trasportandole nella scuola, le due bottiglie molotov che avrebbero dovuto giustificare la "perquisizione" diventata massacro di 93 persone sorprese nel sonno. Come per Bolzaneto, questa sentenza avrebbe dovuto spiegare come, perché, con la responsabilità di chi, nasce in una democrazia un "vuoto di diritto" che liquida le regole del diritto penale e le garanzie costituzionali e consegna la nuda vita delle persone, spogliata di ogni dignità e diritto, a una violenza arbitraria, indiscriminata, assassina.
La risposta del tribunale è stata, più o meno, questa: c'è stato un gruppo di esaltati che è andato oltre il lecito, tutto qui, e due disgraziati che per metterci una pezza, a frittata fatta, hanno manipolato una prova. L'intera catena di comando, a cominciare dal capo della polizia (nel 2001, Gianni De Gennaro) si è fatta prendere la mano e ingannare come l'ultimo del più sprovveduto dei gonzi. Così il Dipartimento della pubblica sicurezza è stato convinto a stilare un comunicato in cui non c'è una frase che non risulti falsa o controversa.
E' fuor di dubbio che la ricostruzione dell'accusa ne esca a pezzi. L'assoluzione dei "vertici apicali" della polizia (Giovanni Luperi e Francesco Gratteri) smentisce il lavoro dei pubblici ministeri. Avevano sostenuto che l'"operazione Diaz" fu "decisa, pianificata e organizzata dal vertice del Dipartimento della pubblica sicurezza"; che "l'iniziativa era diretta al riscatto dell'immagine delle forze di polizia gravemente compromessa dall'inefficace azione di contrasto alle violenze e degenerazioni dell'ordine pubblico durante le manifestazioni di protesta contro il vertice del G8".
Al contrario, per il tribunale non c'è stata alcuna pianificazione del Dipartimento e le violenze brutali, i fermi e gli arresti illegali sono farina del sacco di un pugno di subalterni che non sono riusciti a controllare il loro odio. L'esito minimalista del processo non spiega troppe cose (le perquisizioni arbitrarie, la costruzione di false prove, "la totale inosservanza delle regole del diritto", quella notte e nei giorni successivi) e soprattutto non "chiude" lo strappo creato tra le istituzioni e una generazione che, in quei giorni, si riaffacciava sulla scena politica dopo un lungo letargo.
Quale che siano le motivazioni della discutibile sentenza, è su questo vulnus tra lo Stato e la società che bisogna riflettere perché i pestaggi della Diaz e le torture di Bolzaneto pongono questioni che sarebbe dissennato accantonare o anche soltanto trascurare. Qual è il mestiere delle polizie in questa congiuntura politica? E quali sono le garanzie che venga svolto in modo corretto?
In uno "Stato legislativo", dove quel che conta è la legalità e chi esercita il potere agisce "in nome della legge", le burocrazie sono "neutrali", uno strumento puramente tecnico che serve orientamenti politici diversi e anche opposti, e le polizie hanno una funzione meramente amministrativa di esecuzione del diritto. Questo governo, in carica anche nel 2001, ha inaugurato la sua stagione "riformatrice" con ben altre convinzioni. Non vuole essere l'anonimo esecutore di leggi e norme. Non intende governare in nome della legge, ma in nome della "necessità concreta". Pretende che si muova dietro le "emergenze" (autentiche o artefatte, che siano), dietro le "situazioni" che ritiene prioritarie. Berlusconi s'immagina alla guida di uno "Stato governativo" che si definisce per la qualità decisiva che riconosce al comando concreto, applicabile subito, assolutamente necessario e virtualmente temporaneo, sempre conflittuale perché esclude e differenzia.
In questo scorcio di legislatura si sta creando così un paradigma istituzionale "duale" che affianca alla Costituzione una prassi di governo che vive di decreti con immediata forza di legge e trasforma il comando in un ininterrotto "caso d'eccezione" (immigrazione; sicurezza; Alitalia; rifiuti di Napoli; riforma della scuola).
Nello "stato d'eccezione", le polizie hanno un ruolo essenziale. Berlusconi evoca con regolarità un "diritto di polizia" e un uso della violenza o minaccia poliziesca quando i suoi obiettivi appaiono non condivisi o in pericolo (contro gli immigrati, contro i napoletani incivili, contro le proteste negli aeroporti, contro le manifestazioni degli studenti). Chi, nelle burocrazie, non sta al gioco, va a casa. Come è accaduto ieri al prefetto di Roma, Carlo Mosca, custode di una concezione di burocrazia professionale che, alla decisione politica (impronte per i bambini rom), oppone il rispetto della legge e della Costituzione.
Mosca è stato "licenziato" perché Berlusconi chiede - al contrario - che le burocrazie condividano la capacità di assumersi il suo stesso rischio politico, come fossero un'élite politica e non istituzionale e non neutrale. E' una novità di cui bisogna tener conto. E' quel che esplicitamente chiede alle polizie Francesco Cossiga con la sua "ricetta democratica".
Cossiga ha spiegato come distruggere l'Onda, il movimento degli studenti: "Bisogna infiltrare gli studenti con agenti provocatori pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino i negozi, diano fuoco alle macchine, mettano a ferro e fuoco le città. Dopodiché, forti del consenso popolare, le forze dell'ordine non dovrebbero avere pietà e mandarli tutti in ospedale. Non arrestarli, che tanto poi i magistrati li rimetterebbero subito in libertà, ma picchiarli e picchiare a sangue anche quei docenti che li fomentano".
Cossiga (un uomo che sarebbe sciagurato considerare soltanto uno spericolato irresponsabile) dice quel che altri, nella destra di governo, pensano soltanto. Le polizie, nello "Stato governativo" preteso dalla destra, non dovrebbero più avere soltanto una funzione di mera esecuzione del diritto, ma farsi agenti attivi della sovranità del governo, muoversi in quell'area indifferenziata tra violenza e diritto che sempre definisce, nel caso d'eccezione, il comando del sovrano e il potere delle polizie.
Ora quel che si paventa per il domani è già accaduto ieri, a Genova, durante i giorni del G8. E' accaduto proprio nelle forme augurate oggi da Cossiga. Black Bloc che distruggono la città senza alcun contrasto. Black Bloc che si allontanano indisturbati mentre appare la polizia che si avventa contro i manifestanti inermi, pacifici, a braccia alzate e, nella notte, contro i 93 ospiti della scuola Diaz che si preparano al sonno o nel garage Olimpo di Bolzaneto dove vennero ancora umiliati e torturati. Con il risultato che una generazione che, per la prima volta, scopriva la dimensione politica fu consegnata alla paura, alla solitudine, alla disillusione.
Dopo sette anni, la situazione non è diversa. Il governo è lo stesso, solo più lucido, determinato e coeso intorno alla figura del leader carismatico. Nelle strade c'è un nuovo movimento di giovani che rifiuta un progetto di ordine sociale che annuncia esclusioni e differenze, che si oppone alla caduta di ogni garanzia di eguaglianza. Che cosa faranno le burocrazie dello Stato? Che cosa faranno le polizie sospinte nello spazio stretto tra la politica e il diritto, tra la violenza e la legge? Il processo di Genova ci dice che in uno Stato che si presenta come questurino c'è chi è disponibile a un'illegalità criminale quando il dissidente diventa un "nemico" da annientare.
Sono buone ragioni per non accontentarsi di una sentenza, per non chiudere il "caso Genova" nel perimetro di un'aula giudiziaria. In un tempo di aspri conflitti sociali, già inquinati da un estremismo fascista che minaccia l'informazione, il sindacato dei lavoratori, le proteste sociali e le forme di dissenso, il Paese deve sapere se può contare su una polizia fedele alla Costituzione o dovrà fare i conti anche con una burocrazia della sicurezza gregaria di un governo che prevede il rischio assoluto, il conflitto continuo, lo "sfondamento", una polizia sottomessa a un ordine capace di riservare all'interno del Paese la stessa ostilità che si riserva a un minaccioso "nemico" esterno.
Anche ora che la sentenza di Genova circoscrive le responsabilità a pochi "fuori di testa", dalle forze dell'ordine dovrebbero giungere all'opinione pubblica limpide e inequivoche rassicurazioni. Chi ha a cuore la Costituzione, nelle istituzioni, nella società, nella politica, dovrebbe invocarle. Perché le sentenze per la Diaz e Bolzaneto più che rasserenare, inquietano. Più che medicare le ferite, le fanno ancora sanguinare.
Di GIUSEPPE D'AVANZO, tratto da Repubblica.
mercoledì 12 novembre 2008
11/11/2007: Quando Caino indossa la divisa...
Undici novembre 2007.
Questa data di un anno fa ha generato una tragedia che, pur consumatasi in quel giorno, ancora oggi lungi dall'essere conclusa (giudiziariamente e umanamente). Nessuno, all'alba di quella maledetta domenica, si sarebbe aspettato che la giornata fosse così come si è evoluta.
I tifosi laziali quella mattina stanno andando a Milano per assistere a Inter-Lazio, partita certamente non a rischio data la storica amicizia tra le due tifoserie, cosicchè è difficile pensare a laziali in assetto da guerra (se non sciocco). Fatto sta che un gruppo di loro si troverà a fare i conti con un nemico imprevedibile e invincibile: il destino. Tutti ricordiamo la cronaca di quella giornata: una macchina di laziali si ferma ad un autogrill nei pressi di Arezzo, dove avviene qualcosa con una di juventini anch’essi in viaggio per seguire la loro squadra. La dinamica dei fatti non è chiara, ma sicuramente non accade nulla di grave. Poi, gli spari dello "sceriffo" da 70 metri "a ristabilire l'ordine", la tragedia, i programmi televisivi strappalacrime (il gossip sulla vita privata della vittima per distogliere l'attenzione dal fatto in se), centinaia di giovani rabbiosi per le strade, gli scontri, il lasciar fare del sistema, la campagna mediatica giustizialista, la repressione. In un mondo razionalista in cui ogni spinta emotiva non controllata daimedia è vista negativamente, questo non può che essere "sovversione politica"! Poi ancora, gli arresti, l'udienza preliminare di Spaccarotella (il poliziotto “sceriffo”) che salta per un vizio procedurale, ed infine venti ragazzi rinviati a giudizio dopo OTTO mesi (OTTO!) di carcerazione preventiva. In questi casi il sistema esce allo scoperto mostrando come l'uguaglianza giuridica sia solamente formale e nella sostanza essa non sia: Chi uccide (causa-elemento sistema) non si fa neanche un minuto di carcere, chi invece è solo l'effetto di quella morte, pur non provocando gravi conseguenze, ha già scontato otto mesi nelle patrie galere, senza tra l’altro passare per le aule di tribunale.Proprio recentemente la tattica del sistema ce la ha illustrata da "buon democristiano" Cossiga in un’intervista che, in un paese di gente lucida e non di automi, avrebbe destato accesissima indignazione: subdola acquiescenza ed anche sostegno concreto verso chi manifesta attivamente il proprio dissenso, passare dunque dalla parte delle vittime conquistando così l’appoggio dell’opinione pubblica ed il tacito consenso a reprimere, ad atteggiarsi a paladini dell'ordine ripristinato (questo in sintesi, il "picconatore" è stato molto più esaustivo e dettagliato). Senza fare della retorica, vogliamo ricordare Gabriele e la sua vicenda, non per raccontare dello splendido ragazzo che era (cosa che è nel cuore di chiunque lo conoscesse e soltanto lì può essere custodita come un bene prezioso e non come gossip), ma solamente in quanto ragazzo privato della propria esistenza da chi, prendendo forse ispirazione da un film western, pensava di ergersi a giustiziere sparando nel mucchio. Noi l'avremmo ricordato anche se fosse stato un bandito, perchè Spaccarotella non sapeva chi aveva di fronte, poteva esserci un gruppo di criminali in azione o la banda dello zecchino d'oro, lui avrebbe sparato a prescindere, istigato da un movimento che aveva giudicato sospetto e dunque - nella sua psicologia folle, omicida – tale da spingerlo a premere il grilletto deliberatamente verso quella direzione. Il sistema deve (anche se l'imperativo di questo verbo modale esso non lo conosce) prendersi le sue responsabilità, poichè ogni suo servo ne è l'emanazione.
Da mesi, dalle aule di tribunale, dalla stampa e dalle TV asservite al regime, la giustizia sembra invece latitante. I latini dicevano Iudex damnatur ubi nocens absolvitur = Quando il colpevole è assolto, è condannato il giudice. Ebbene, se il sistema lo difende in modo così sfacciatamente sciagurato, dà prova di esserne il mandante. Il mandante dell’assassinio di un innocente.
Onore a Gabriele.
Solidarietà alle altre vittime di questo sopruso: la famiglia di Gabriele, i ragazzi detenuti e le loro famiglie.
Ai servi non auguriamo niente, ci auguriamo solo di non divenire mai come loro!