Come il secondo governo Amato salvò, sette anni or sono, gli istituti di credito dal tracollo.
L'usura, che oggi potremmo definire come l'applicazione di un tasso di interesse sproporzionato rispetto alla situazione economica del mutuatario, o comunque rispetto al tasso medio praticato convenzionalmente, affonda le proprie origini nel diritto romano. Il temine "usura", nella Roma antica, significava semplicemente "godimento" o "interesse". Addirittura Cicerone, nelle Verrine, utilizza il termine "usura" per intendere l'uso del capitale prestato senza interesse.
Nel diritto romano il mutuo era un contratto reale del tutto separato rispetto agli interessi, nel quale una cosa fungibile, o una somma di denaro, veniva prestata e doveva essere restituita per equivalente. La pattuizione di interessi, comunque molto frequente, era oggetto di autonomo contratto: si tratta delle così dette stipulationes usurarum, ossia degli accordi con i quali le parti stipulavano, contestualmente alla conclusione di un mutuo, i relativi interessi. Molti furono, in epoca repubblicana, gli interventi statali volti a stabilire un tasso massimo di interesse, oltre il quale il contratto veniva considerato nullo. Si trattava del così detto fenus unciarum (molto alto, pari ad un dodicesimo al mese, e quindi al 100% annuo), ridotto della metà (fenus semiunciarum) con un plebiscito del 347 a.C. Tale limite venne poi abbassato, in tarda età repubblicana, al 12% annuo, la così detta usurae centesimae, pari al 1% mensile. Fu Giustiniano, sotto l'influsso della dottrina cristiana (per lo meno quella dei primi tempi) a ridurre il tasso massimo al 6% annuo.
Nell'epoca contemporanea, l'Italia umbertina, quella, tanto per capirci, delle cannonate sulla folla, non riteneva, conformemente al pensiero liberale, che l'usura fosse da perseguire penalmente, ed il codice penale del 1889 (c.d. Codice Zanardelli), passato alla storia per avere abolito la pena di morte in ambito civile, non ne faceva menzione.
Fu il tanto vituperato codice penale del 1930 (c.d. Rocco), nella sua parte generale ancora in vigore, e passato alla storia per avere ripristinato la pena di morte in ambito civile, a considerare l'usura come autonoma fattispecie delittuosa.
In ambito privatistico, invece, il codice civile del 1942 (c.d. Grandi), anch'esso ancora in vigore stabiliva, nell'art. 1815 che in un contratto di mutuo, qualora si riscontrasse un tasso di interesse usurario, esso sarebbe stato automaticamente sostituito dal tasso di interesse legale. Tali ultime norme non risolvevano assolutamente il problema per una serie di ragioni.
Anzitutto si aveva usura, secondo il codice civile, solo quando si riscontrava il reato di usura, reato molto difficile da dimostrare, in quanto il codice penale fissava, per l'individuazione del tasso di interesse usurario un criterio soggettivo, ossia la presenza di circostanze obiettive di bisogno e di approfittamento.
In secondo luogo, tra gli anni ottanta e gli anni novanta, la enorme svalutazione della lira faceva sì che fosse molto alto il tasso legale, che, secondo la formulazione del citato art. 1815, si doveva sostituire a quello usurario.
Il tanto atteso intervento pubblico arrivò al termine della breve legislatura 1994 – 1996, con la legge n. 108 del 7 marzo 1996 (nemmeno troppo mal scritta, rispetto alle restanti riforme di quel tempo, come quella dei reati sessuali). Tale legge riformava il concetto penale di usura, introducendo un criterio oggettivo di individuazione: oggi si ha il reato di usura quando il tasso di interesse supera il limite stabilito (in via residuale si ha usura quando, pur non venendo superato tale limite, si riscontrano obiettivamente le circostanze di bisogno e di approfittamento).
La novella, consentendo una certa individuazione dell'usura penale, consentiva altresì una facile individuazione dell'usura civile, laddove, una volta superato il limite stabilito, la clausola usuraria diveniva nulla e non erano più dovuti interessi (nuova formulazione dell'art. 1815 del codice civile).
Il limite legale, da allora, è stabilito con decreto ministeriale (oggi per le aperture di credito è tra il 9,5 e il 10%). Il 2 aprile del 1997 veniva per la prima volta stabilito con decreto ministeriale il tasso di interesse. E i problemi non tardarono ad arrivare. Infatti nel 2000 ci si chiese se gli interessi usurari ancora da pagare con riferimento ai contratti conclusi prima dell'entrata in vigore della riforma del 1996 fossero nulli o meno. Il principio generale (e non costituzionale, quanto al diritto civile), dell'irretroattività della legge avrebbe suggerito di fare rimanere in vigore gli interessi usurari pattuiti ante riforma, tuttavia un generale senso di giustizia premeva verso la direzione opposta. E a tal senso di giustizia non rimase sorda la Corte di Cassazione Civile, che proprio nel 2000, con la sentenza 14899, affermò che i tassi di interesse usurari di contratti conclusi prima della riforma del 1996, dovevano considerarsi clausole nulle, conformemente allo spirito della riforma, e nessun interesse sarebbe stato più dovuto.
É evidente che la soluzione posta dalla Suprema Corte, sacrosanta in uno stato che il popolo non lo rispetta solo sulla inerme carta ove stampare gli articoli della costituzione, avrebbe causato un tracollo delle banche, in aiuto delle quali arrivò subito il governo, allora guidato dall'attuale ministro dell'Interno Giuliano Amato. Il decreto legge n. 394 del 29 dicembre 2000 fornisce un'interpretazione autentica della riforma del 1996, secondo la quale l'usurarietà di un tasso di interesse va valutata non in base al momento del pagamento, ma al momento della pattuizione: se era legale allora, lo è anche oggi. In altre parole: chi ha avuto ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato ha dato. Ma non è finita.
In relazione all'eccezionale caduta dei tassi di interesse, il criterio interpretativo di tale ultimo decreto, avrebbe reso evidente l'usurarietà dei mutui salvati dal governo. Così viene stabilito che i tassi di interesse fissati prima della riforma, che dopo un confronto con il limite legale siano da considerarsi usurari, vengano automaticamente sostituiti in base ad una formula matematica (c.d. tasso di sostituzione). Una sorta di transizione morbida. Ma non è finita.
I governi guidati da Amato ci hanno abituato alle sorprese veloci da week – end. Tale decreto, evidentemente urgente, fissa la propria entrata in vigore non dal giorno successivo alla sua pubblicazione, ma dal 1 gennaio 2001, in modo da salvare tutte le scadenze annuali bancarie (solitamente fissate al 31 dicembre), e di fatto garantendo le banche con riferimento alle operazioni usurarie in corso, pattuite ante riforma. Adesso è finita.
Di Giovanni Di Martino.
L'usura, che oggi potremmo definire come l'applicazione di un tasso di interesse sproporzionato rispetto alla situazione economica del mutuatario, o comunque rispetto al tasso medio praticato convenzionalmente, affonda le proprie origini nel diritto romano. Il temine "usura", nella Roma antica, significava semplicemente "godimento" o "interesse". Addirittura Cicerone, nelle Verrine, utilizza il termine "usura" per intendere l'uso del capitale prestato senza interesse.
Nel diritto romano il mutuo era un contratto reale del tutto separato rispetto agli interessi, nel quale una cosa fungibile, o una somma di denaro, veniva prestata e doveva essere restituita per equivalente. La pattuizione di interessi, comunque molto frequente, era oggetto di autonomo contratto: si tratta delle così dette stipulationes usurarum, ossia degli accordi con i quali le parti stipulavano, contestualmente alla conclusione di un mutuo, i relativi interessi. Molti furono, in epoca repubblicana, gli interventi statali volti a stabilire un tasso massimo di interesse, oltre il quale il contratto veniva considerato nullo. Si trattava del così detto fenus unciarum (molto alto, pari ad un dodicesimo al mese, e quindi al 100% annuo), ridotto della metà (fenus semiunciarum) con un plebiscito del 347 a.C. Tale limite venne poi abbassato, in tarda età repubblicana, al 12% annuo, la così detta usurae centesimae, pari al 1% mensile. Fu Giustiniano, sotto l'influsso della dottrina cristiana (per lo meno quella dei primi tempi) a ridurre il tasso massimo al 6% annuo.
Nell'epoca contemporanea, l'Italia umbertina, quella, tanto per capirci, delle cannonate sulla folla, non riteneva, conformemente al pensiero liberale, che l'usura fosse da perseguire penalmente, ed il codice penale del 1889 (c.d. Codice Zanardelli), passato alla storia per avere abolito la pena di morte in ambito civile, non ne faceva menzione.
Fu il tanto vituperato codice penale del 1930 (c.d. Rocco), nella sua parte generale ancora in vigore, e passato alla storia per avere ripristinato la pena di morte in ambito civile, a considerare l'usura come autonoma fattispecie delittuosa.
In ambito privatistico, invece, il codice civile del 1942 (c.d. Grandi), anch'esso ancora in vigore stabiliva, nell'art. 1815 che in un contratto di mutuo, qualora si riscontrasse un tasso di interesse usurario, esso sarebbe stato automaticamente sostituito dal tasso di interesse legale. Tali ultime norme non risolvevano assolutamente il problema per una serie di ragioni.
Anzitutto si aveva usura, secondo il codice civile, solo quando si riscontrava il reato di usura, reato molto difficile da dimostrare, in quanto il codice penale fissava, per l'individuazione del tasso di interesse usurario un criterio soggettivo, ossia la presenza di circostanze obiettive di bisogno e di approfittamento.
In secondo luogo, tra gli anni ottanta e gli anni novanta, la enorme svalutazione della lira faceva sì che fosse molto alto il tasso legale, che, secondo la formulazione del citato art. 1815, si doveva sostituire a quello usurario.
Il tanto atteso intervento pubblico arrivò al termine della breve legislatura 1994 – 1996, con la legge n. 108 del 7 marzo 1996 (nemmeno troppo mal scritta, rispetto alle restanti riforme di quel tempo, come quella dei reati sessuali). Tale legge riformava il concetto penale di usura, introducendo un criterio oggettivo di individuazione: oggi si ha il reato di usura quando il tasso di interesse supera il limite stabilito (in via residuale si ha usura quando, pur non venendo superato tale limite, si riscontrano obiettivamente le circostanze di bisogno e di approfittamento).
La novella, consentendo una certa individuazione dell'usura penale, consentiva altresì una facile individuazione dell'usura civile, laddove, una volta superato il limite stabilito, la clausola usuraria diveniva nulla e non erano più dovuti interessi (nuova formulazione dell'art. 1815 del codice civile).
Il limite legale, da allora, è stabilito con decreto ministeriale (oggi per le aperture di credito è tra il 9,5 e il 10%). Il 2 aprile del 1997 veniva per la prima volta stabilito con decreto ministeriale il tasso di interesse. E i problemi non tardarono ad arrivare. Infatti nel 2000 ci si chiese se gli interessi usurari ancora da pagare con riferimento ai contratti conclusi prima dell'entrata in vigore della riforma del 1996 fossero nulli o meno. Il principio generale (e non costituzionale, quanto al diritto civile), dell'irretroattività della legge avrebbe suggerito di fare rimanere in vigore gli interessi usurari pattuiti ante riforma, tuttavia un generale senso di giustizia premeva verso la direzione opposta. E a tal senso di giustizia non rimase sorda la Corte di Cassazione Civile, che proprio nel 2000, con la sentenza 14899, affermò che i tassi di interesse usurari di contratti conclusi prima della riforma del 1996, dovevano considerarsi clausole nulle, conformemente allo spirito della riforma, e nessun interesse sarebbe stato più dovuto.
É evidente che la soluzione posta dalla Suprema Corte, sacrosanta in uno stato che il popolo non lo rispetta solo sulla inerme carta ove stampare gli articoli della costituzione, avrebbe causato un tracollo delle banche, in aiuto delle quali arrivò subito il governo, allora guidato dall'attuale ministro dell'Interno Giuliano Amato. Il decreto legge n. 394 del 29 dicembre 2000 fornisce un'interpretazione autentica della riforma del 1996, secondo la quale l'usurarietà di un tasso di interesse va valutata non in base al momento del pagamento, ma al momento della pattuizione: se era legale allora, lo è anche oggi. In altre parole: chi ha avuto ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato ha dato. Ma non è finita.
In relazione all'eccezionale caduta dei tassi di interesse, il criterio interpretativo di tale ultimo decreto, avrebbe reso evidente l'usurarietà dei mutui salvati dal governo. Così viene stabilito che i tassi di interesse fissati prima della riforma, che dopo un confronto con il limite legale siano da considerarsi usurari, vengano automaticamente sostituiti in base ad una formula matematica (c.d. tasso di sostituzione). Una sorta di transizione morbida. Ma non è finita.
I governi guidati da Amato ci hanno abituato alle sorprese veloci da week – end. Tale decreto, evidentemente urgente, fissa la propria entrata in vigore non dal giorno successivo alla sua pubblicazione, ma dal 1 gennaio 2001, in modo da salvare tutte le scadenze annuali bancarie (solitamente fissate al 31 dicembre), e di fatto garantendo le banche con riferimento alle operazioni usurarie in corso, pattuite ante riforma. Adesso è finita.
Di Giovanni Di Martino.
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