lunedì 12 novembre 2007

Il tifoso può essere assassinato.







Questo è quanto si deduce dai media e dal Palazzo che ha inventato l'apartheid all'italiana. Onoriamo Gabriele Sandri!




Il giovane tifoso laziale Gabriele Sandri, in viaggio per Milano dove si doveva svolgere Inter-Lazio è stato ucciso nel parcheggio di un autogrill con un colpo di pistola sparatogli in testa da un agente della polizia stradale mentre era tranquillamente seduto in macchina.

Ciò è accaduto dopo un rapido e non violento alterco tra gli equipaggi di due macchine di tifosi (una laziale e una juventina).


I media – incendiari, irresponsabili, criminali - si sono messi a sputare sentenze a vanvera sul “tifo violento” salvo poi essere colti da imbarazzo man mano che la verità si veniva a conoscere.


Il Palazzo infine ha commesso l'ulteriore obbrobrio. A febbraio fu bloccato tutto per la morte accidentale del commissario Raciti (e sulla dinamica di quella morte ancora non ci è stata offerta una verità accertata); per Sandri non solo non si è sospeso il campionato ma è stato anche vietato il minuto di silenzio. Questo Palazzo “buonista” e truculento ha così inventato l'Apartheid.


La vedova Raciti inoltre ha immediatamente incassato cifre notevoli per essere ripagata della scomparsa del marito; la famiglia Sandri dovrà invece pagarsi da sola il funerale.


Benvenuti in Italia!




(Tratto da noreporter.org)

7 commenti:

  1. Non sono assolutamente con voi.

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  2. morte accidentale!!!!!

    Ma dove vivete? Dalle parole dell'articolo si direbbe in un bunker sotto terra.

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  3. Se un civile qualunque avesse sparato al poliziotto avremmo immediatamente visto le sue immagini in TV, lui in manette, magari anche un po' pesto, circondato di agenti esultanti che gli urlavano parolacce. Di lui avremmo saputo tutto, nome, cognome, piatto preferito, malattie infantili, il nome del cane della sua vicina di casa. E sarebbe subito stato additato come criminale pericoloso, roba da ergastolo.

    Anche questa è l'Italia, suddivisa in caste di intoccabili e infallibili e caste di vittime sacrificali e sacrificabili!

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  4. IL MITO DELLA SICUREZZA PRODUCE MOSTRI



    di miro renzaglia





    Il sicuro non vuole più sicurezza. E’ l’insicuro che la invoca...



    Ma l’insicuro, nell’età della sicurezza, non si sente mai rassicurato abbastanza dalle sempre nuove misure a favore della sua protezione.



    Anzi, a ogni nuovo delitto dice che c’è ancora molto da fare prima di sentirsi veramente al riparo degli accidenti della vita.



    Non c’è portone blindato, doberman nel giardino, pistola nel cassetto o alla cinta dei pantaloni, poliziotto di quartiere, polizia municipale, esercito nazionale che lo faccia sentire del tutto sicuro... Lui vuole di più, sempre di più...



    Vuole l’esercito della salvezza da tutti gli imprevisti della vita: reali o ipotizzabili... Eserciti contro gli immigrati, eserciti contro i delinquenti: quelli comuni e quelli politici; contro la mafia, contro i trafficanti, i pedofili, la prostituzione, i venditori ambulanti, i lavavetri, i questuanti che lo infastidiscono all’uscita dalla messa...



    Vuole il poliziotto stradale che, in un autogrill, pretende di sedare un diverbio sparando nel mucchio...



    E mai che gli venga in mente, all'insicuro, che è la sua idolatria della sicurezza ad armare gli assicuratori a mano armata...



    Se per dirimere una querelle da due schiaffi e via, il sistema produce e propone chi spara e ammazza un ventisettenne in gita calcistica, a quale ente metafisico dobbiamo attribuire la responsabilità se non all’idolatrato dio della sicurezza?



    Per chi ha elevato questo dio a valore supremo della “civile convivenza” (mi verrebbe da ridere se non ci fosse di che piangere...); insomma, per quelli che c’hanno il pallino del poliziotto nel dna e che per i quali: “l’ordine e la disciplina, prima di tutto...” varrà il concetto:



    “Se Gabriele Sandri, se ne stava a casa sua, invece di andare a vedere una stupidissima partita di pallone, mica gli succedeva niente...”.



    Ma noi che viviamo d’altro, vivaddio!, e qualche volta viviamo persino di calcio; noi possiamo permetterci di valutare le insurrezioni popolari e spontanee del post delitto-Sandri, i cortei sassaioli che sono seguiti alla notizia del suo assassinio, come sintomi di guarigione e di risveglio dall’incubo dell’impero della sicurezza-ad-ogni-costo.



    miro renzaglia

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  5. Da noreporter.org



    Il Palazzo mostra crepe.



    Al funerale di Gabriele Sandri una predica indignata.



    Si può morire cosi, per giunta dormendo? Qualcuno ci deve dire perché. Se parliamo di perdono dobbiamo parlare di giustizia e questa è una morte che chiede giustizia. Ci sarà una giustizia divina sulla quale nessuno può permettersi di parlare, ma ci deve essere anche una giustizia umana, che non sia una vendetta ma che aiuti per quanto possibile a placare gli animi di tanti di noi". E' questo il passaggio centrale dell'omelia pronunciata da don Tammi durante il funerale di Gabriele Sandri. "Chi prima, chi poi, cercheremo di perdonare", ha aggiunto il parroco dopo essere stato interrotto dagli applausi.

    C'è un malessere diffuso tra i ragazzi così poco ascoltato dagli adulti e così poco condiviso - ha detto ancora il sacerdote durante il funerale - che si è trasformato in violenza, peggiorando la vita e soprattutto procurando un senso di colpa che non potremo rimuovere".

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  6. (continua l'articolo sopra...)



    partita ed il dovere morale di imporre a tutto il mondo del calcio una profonda riflessione su quanto accaduto. Chiamatelo forse anche diritto al rancore, ma è un rancore che non nasce dal nulla…

    State pur certi che decine, forse centinaia di ragazzi pagheranno un conto salatissimo per la loro azione, a Bergamo, come a Taranto, come altrove. State altrettanto certi che per loro non sarà contemplata nessuna presunzione di innocenza fino al processo, nessuna attenuante, nessuno sconto di pena: ne va dell'immagine di uno Stato incapace di garantire l'ordine pubblico, se non vietando, proibendo e, spiace dirlo, mostrando tanti muscoli e poco cervello, soprattutto se si tratta di perseguire il ladro di polli e non il pappone o il bancarottiere di turno.

    Ma ha ancora un senso argomentare su tutto questo? Si dice che la morte non ha colori ed è uguale per tutti, ma non è vero. Non lo pensa lo Stato, impegnato soprattutto a minimizzare il vero fatto scandaloso della giornata; non lo pensano le Istituzioni sportive, che sospendono i campionati in una domenica in cui la serie A già era ferma; non lo pensa il tifoso comune, soprattutto quello che allo stadio ci va solo, appunto, per un Atalanta-Milan e le altre 37 partite le guarda in poltrona. Già, perché al dolore per la morte di un fratello, nell'imbrunire di questa maledetta domenica si palesa uno stadio che non solo non appoggia, ma addirittura insorge contro le due fazioni ultras, irridendole con cori offensivi e, di fatto, isolandole come tanti buoni predicatori da anni chiedevano si facesse. Mi gioco la testa che questi "tifosi modello" erano già pronti a spellarsi le mani per un ringhio di Gattuso o una punizione da Pirlo, erano pronti a festeggiare il goal dell'una o dell'altra squadra, forse anche a lanciare la classica bottiglietta d'acqua contro il guardialinee venduto…

    Preferisco stare con chi ha forse esagerato ma lo ha fatto per un motivo serio, ma quando, dentro e fuori il Brumana, ultras atalantini e rossoneri si mescolano ed alzano gli ultimi cori insieme, mi sfiora un brivido: e se fosse il canto del cigno?!

    Sappiamo che sarà sempre più dura andare avanti, ma abbiamo un motivo in più per stringere i denti e non mollare… ciao Gabriele.



    Sport People

    14-11-2007





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  7. (...Continua l'articolo di sport people)





    ...partita ed il dovere morale di imporre a tutto il mondo del calcio una profonda riflessione su quanto accaduto. Chiamatelo forse anche diritto al rancore, ma è un rancore che non nasce dal nulla…

    State pur certi che decine, forse centinaia di ragazzi pagheranno un conto salatissimo per la loro azione, a Bergamo, come a Taranto, come altrove. State altrettanto certi che per loro non sarà contemplata nessuna presunzione di innocenza fino al processo, nessuna attenuante, nessuno sconto di pena: ne va dell'immagine di uno Stato incapace di garantire l'ordine pubblico, se non vietando, proibendo e, spiace dirlo, mostrando tanti muscoli e poco cervello, soprattutto se si tratta di perseguire il ladro di polli e non il pappone o il bancarottiere di turno.

    Ma ha ancora un senso argomentare su tutto questo? Si dice che la morte non ha colori ed è uguale per tutti, ma non è vero. Non lo pensa lo Stato, impegnato soprattutto a minimizzare il vero fatto scandaloso della giornata; non lo pensano le Istituzioni sportive, che sospendono i campionati in una domenica in cui la serie A già era ferma; non lo pensa il tifoso comune, soprattutto quello che allo stadio ci va solo, appunto, per un Atalanta-Milan e le altre 37 partite le guarda in poltrona. Già, perché al dolore per la morte di un fratello, nell'imbrunire di questa maledetta domenica si palesa uno stadio che non solo non appoggia, ma addirittura insorge contro le due fazioni ultras, irridendole con cori offensivi e, di fatto, isolandole come tanti buoni predicatori da anni chiedevano si facesse. Mi gioco la testa che questi "tifosi modello" erano già pronti a spellarsi le mani per un ringhio di Gattuso o una punizione da Pirlo, erano pronti a festeggiare il goal dell'una o dell'altra squadra, forse anche a lanciare la classica bottiglietta d'acqua contro il guardialinee venduto…

    Preferisco stare con chi ha forse esagerato ma lo ha fatto per un motivo serio, ma quando, dentro e fuori il Brumana, ultras atalantini e rossoneri si mescolano ed alzano gli ultimi cori insieme, mi sfiora un brivido: e se fosse il canto del cigno?!

    Sappiamo che sarà sempre più dura andare avanti, ma abbiamo un motivo in più per stringere i denti e non mollare… ciao Gabriele.



    Sport People

    14-11-2007





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