Solo che la Secondigliano milanese è un quartiere centrale: via Paolo Sarpi e le vie limitrofe, il cosiddetto quartiere cinese.
Qui sono scoppiati disordini per una multa.
Una donna cinese, multata dai vigili, è stata soccorsa dai cinesi che lì hanno negozi e magazzini, laboratori e clandestini in numero enorme.
Uno scontro violentissimo, con percosse, distruzioni di auto e sventolio di bandiere rosse con la stella comunista di Pechino, che non si è calmato mentre scrivo: vigilantes cinesi non fanno avvicinare i poliziotti.
Zona vietata.
Roba loro.
Chi non è di Milano può non sapere: quella zona è a due passi dal Castello Sforzesco, un quartiere che potrebbe essere di lusso se non l'avessero accaparrato i cinesi con le loro attività essenzialmente illegali e lucrose.
Hanno mandato via gli abitanti, vecchi pensionati milanesi per lo più.
Minacciano e intimidiscono quei pochi che resistono.
Ma hanno pagato case e negozi: in contanti, contanti in grosse valige.
Tutto governato dalle Triadi, una mafia che la nostra mafia, al confronto, è una filodrammatica di paese.
Ultrasegreta, sfruttatrice e spietata.
Sono le Triadi che portano qui i clandestini, e li sfruttano per decenni, taglieggiando i loro guadagni.
Ritirano loro i passaporti.
I passaporti dei morti vengono rivenduti ai taglieggiati vivi, un furto continuo di identità, una totale illegalità totalmente impunita.
Tutto questo è noto da sempre, ma naturalmente le (cosiddette) autorità fanno finta di nulla, perché i cinesi sono «tranquilli».
Salvo che è scoppiata «l'emergenza».
Un'altra emergenza italiota.
I cinesi sono lesti a capire che qui le leggi non valgono, che l'arroganza e la massa hanno sempre la meglio.
Vedono anche loro la TV, capiscono benissimo l'italiano (anche se fanno finta del contrario), ed hanno capito subito che qui l'esempio da seguire è Mastella, Tronchetti Provera, o il senatore a vita Emilio Colombo, che manda le Fiamme Gialle della sua scorta a comprare la coca.
Gli impuniti, l'impunità, la vacuità della legge inapplicata, le mani legate della sedicente forza pubblica, sono fatti che ogni immigrato capisce al volo.
Qui può malfare impunito, per di più con un'assistenza sanitaria gratuita che in Cina non si sogna nemmeno nel delirio dell'oppio, e incredibili agevolazioni per il mutuo-casa negati ai cittadini italiani, e gli assegni familiari.
In più, naturalmente, il pietismo italiota: «Ricordiamoci che anche noi eravamo un popolo di emigranti».
Appunto, ci ricordiamo: i nostri emigranti in USA e nelle miniere del Belgio, mica trovavano le ASL gratuite e le case a prezzo basso sottratte agli abitanti locali.
Dovevano sgobbare, mantenersi sani e dormire in baracche e nei retrobottega.
Naturalmente, la brava gente italiana, tartassata da Visco, ora si allarma.
E dice: visto che quelli sventolano la bandiera della Cina, allora espelliamoli in Cina, è il loro Paese.
Errore: i cinesi hanno quasi tutti la cittadinanza italiana.
L'hanno avuta con facilità, perché noi siamo buoni, e perché ci sono i corrotti nelle amministrazioni, e inoltre la Caritas aiuta e assiste nelle pratiche.
Privare della cittadinanza gli sbandieratori, i neo-patrioti di Pechino, sarebbe una mera giustizia: ma da noi non vige la giustizia, vige il diritto «positivo» e la manica larga.
E loro l'hanno capito benissimo.
A Pechino, sarebbero già tutti passibili di fucilazione per quello che hanno fatto; da noi, lo sanno, si può fare tutto.
Specialmente se si è in tanti e prepotenti.
Ebbene: in questo, sono del tutto italiani.
Perfettamente integrati alla illegalità generale.
E' vero che hanno chiamato in loro aiuto il console cinese (pensate se degli australiani d'origine italiana chiamassero, dopo una rivolta, il console italiano in piazza con loro), ma anche questo è possibile in Italia a cittadini italiani per tornaconto, ma non per volontà.
Anzi solo qui.
Ebbene, vi dirò: hanno ragione loro.
Il Comune di Milano commina multe erosissime; un divieto di sosta costa un decimo di un magro stipendio «normale» a Milano.
Evidentemente i vigili hanno provato ad applicare il taglieggio anche ai cinesi, ed è successo quel che è successo.
Il guaio è che noi italiani nati e vissuti qui, quando siamo multati, non abbiamo la solidarietà armata del vicinato.
Noi siamo soli.
Isolati.
Circondati da un vicinato indifferente, se non ostile.
Che non ha solidarietà per un membro del popolo che viene taglieggiato dalle burocrazie spoliatrici. Che non si sente offeso in massa dall'offesa o dall'ingiustizia fatta ad uno di noi.
Noi, solo noi, non abbiamo attorno una nazione pronta a difenderci, a solidarizzare, a condividere la resistenza contro l'oppressore.
Perciò noi siamo sur-tassati.
Nè abbiamo agevolazioni per la prima casa.
Noi dobbiamo condividere le affollate sale d'aspetto delle ASL e dei pronto-soccorsi con miriadi di emigrati pieni di figli a carico del sistema - un sistema sanitario che noi abbiamo pagato da una vita e continuiamo a pagare, e loro no.
Per noi niente sconti, niente solidarietà per le nostre povertà, nessun aiuto della Caritas e dei «mediatori culturali» per farci avere il posto in ospedale o il sussidio per la badante della mamma con l'Alzheimer.
Quelle cose, prima, agli immigrati; e poi anche a noi, se resta qualcosa.
Non resta mai nulla.
I veri stranieri siamo noi.
Siamo noi gli estranei senza cittadinanza, per i poteri burocratici che ci sgovernano.
Noi cittadini ligi alle norme, e alla buona educazione.
Noi che non saltiamo le file, che non minacciamo, che paghiamo le multe che ci portano via un decimo della pensione e del salario.
Noi ligi veniamo dopo tutti.
Davanti a un magistrato, la nostra parola vale quella del pregiudicato che ci ha truffato o derubato o rapinato; anzi la sua vale di più, perché il giudice già lo conosce e conosce il suo avvocato.
Davanti all'ufficio-tasse, siamo per principio sospetti di evasione.
Noi che ci mettiamo in fila, che non cerchiamo o non abbiamo raccomandazioni, siamo gli ultimi ad essere serviti dal «servizio pubblico».
Prima i pregiudicati, prima i negri, prima gli zingari rumeni.
Prima i cinesi.
Abbiamo sbagliato tutto.
Dovremmo diventare anche noi cinesi, o almeno camorristi: unirci, far paura, pretendere con arroganza l'impunità.
Solo che non abbiamo una bandiera da sventolare.
E nemmeno un console straniero che scenda in piazza a proteggere la nostra insubordinazione.
Ma quale?
Noi non siamo insubordinati.
Noi obbediamo.
Per questo siamo stranieri in Italia.
Per questo siamo immigrati appena sbarcati nel Paese in cui siamo nati, e che manteniamo con il lavoro e le tasse.
Maurizio Blondet
12/4/2007
da: effedieffe
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