venerdì 3 giugno 2011

La sacrosanta indignazione.


Riserviamo solitamente questo spazio iniziale del nostro giornalino al commento di eventi di risonanza internazionale: sviscerando le cronache dell’attualità geopolitica ed analizzando tutte le dinamiche che caratterizzano il sistema tentiamo di cimentarci in letture sui possibili risvolti che se ne celano dietro. Spunti in questo senso ci vengono costantemente forniti da un assetto geopolitico in continua evoluzione, meritevole di attenzioni approfondite in quanto la cronaca asciutta dei fatti ha abdicato a fronte di un ruolo sempre più preminente dei media quali costruttori non imparziali di notizie. Partiamo dall’analisi di un particolare fatto per verificare quanto esso possa incidere sugli scenari futuri. Ebbene, anche questo mese procederemo secondo lo stesso schema consolidato, ma con un’eccezione rispetto al solito: non prenderemo in esame un fatto di politica, bensì un paio d’eventi che attingiamo dalle cronache nazionali. Ci ha gettati nel più straziante sgomento apprendere della tragedia che ha colpito a Teramo la piccola Elena, bimba di appena 22 mesi dimenticata per ore in auto dal padre e morta dopo giorni di coma in ospedale a causa dei danni cerebrali dovuti all’esposizione prolungata al sole, per giunta dentro un’auto surriscaldata e divenuta un’infernale gabbia di lamiera. Sei ore durante le quali il padre, assorto dall’impegno professionale all’università, dove insegna, ha eseguito la sua “routine” in maniera meccanica, senza permettere che uno sprazzo di lucidità potesse incalzarlo rammentandogli la “lieve” dimenticanza: portare propria figlia all’asilo. Una vicenda talmente incredibile da lasciar basiti, quasi da far sospettare che vi sia una diabolica premeditazione. Un evento più unico che raro, che si innesta spietatamente in quell’enorme calderone mediatico chiamato cronaca, pur non contraddistinto in genere da notizie gratificanti, per scuoterlo stimolando domande brutali circa la crisi sociale che stiamo vivendo. Passano pochi giorni dal tragico epilogo della vicenda, ossia dalla morte della bimba, neanche il tempo di metabolizzare l’ennesimo strazio di cui è dispensatrice la nostra società, che un fatto tristemente analogo accade a poche decine di chilometri più a nord. Stavolta l’oblio della negligenza di un padre nei confronti della propria prole tinge di nero le cronache di un paesino umbro che affaccia sul lago Trasimeno, Passignano. Esattamente come accaduto a Teramo, anche qui lascia per ore il figlio piccolo (Jacopo, 11 mesi) in auto dopo essersi dimenticato di accompagnarlo all’asilo nido, costringendolo in balìa di una calura di tipo estivo. Quando si è accorto di quello che era successo, Jacopo era già agonizzante. Ciò che sembrava un estemporaneo fulmine di assurdità destinato ad esulare presto dai nostri ricordi si è invece ripetuto di nuovo, trasformando l’occasionale in una pericolosa deriva prodiga di serie domande, di inchieste che esulano l’aspetto meramente giudiziario per investire il campo dei valori. E’ interessante soffermarci su una breve ma altamente significativa considerazione che giunge dalla persona più colpita da una delle due tragedie. Appena poche ore dopo la morte della piccola figlia, la madre di Elena ha deciso, con coraggio e freddezza straordinari, di sfidare l’accanimento mediatico e mostrarsi davanti alle telecamere al fine di scagionare suo marito, e lo ha fatto suonando un campanello d’allarme sociale che non va sminuito: “Quello che è successo a mio marito può capitare ad ognuno di noi, perché non ci si ferma mai”. Non ci si ferma mai. Proprio così. E’ in questo concetto che alligna il pericolo che tutto ciò di non materiale che appartiene a noi stessi, affetti compresi, venga tritato da quel frenetico imperversare meccanico di eventi, lavoro su tutti, che risponde al nome di quotidianità. Questa società che avanza così veloce verso la chimera del progresso ci coinvolge in una spirale che non conosce soste, neanche per pensare, rendendoci automi votati al raggiungimento di vacui appagamenti che possono forse procurare piaceri, ma certo non la felicità, che è invece un percorso che non può non coinvolgere la nostra sfera spirituale. Riempiamo le nostre vite di impegni futili, spesso dannosi per il nostro animo perché invadono spazi e tempi che dovremmo riservare ad altro, occupandoci più di curare gli aspetti meno materiali delle nostre esistenze. Creiamo in tal modo degli squilibri che talvolta possono farci inciampare rovinosamente entro quei baratri di vuoto esistenziale che si celano dietro l’inganno; vuoti che il riempire di inutilità non fodera, se non solo valori, apparentemente. E’ un periodo storico, quello attuale, in cui si ha l’impressione che un profondo stato d’insofferenza che sta montando in seno alla società civile sia destinato a sfociare rabbiosamente. La recessione economica sta mietendo gravi danni un po’ ovunque, portando all’esasperazione milioni di persone. Limitandoci all’Italia, è impressionante il tasso di disoccupazione giovanile, che sfiora il 30% e, al Sud, arriva anche a sfondare il 40%. Chi lavora lo fa spesso in condizioni precarie e sottopagato rispetto al costo della vita. In Europa stanno nascendo diversi movimenti di protesta atti a denunciare questo sistema economico in evidente stato di decomposizione, il quale amplifica a livelli ormai insopportabili le diseguaglianze sociali. Dunque, le cause di questo disagio generale andrebbero ricondotte esclusivamente a questioni economiche? Stando al giudizio di monsignor Jesús Sanz Montes, Arcivescovo di Oviedo che ha speso parole nei confronti del movimento di protesta spagnolo degli “Indignados”, le cose non stanno così: “La disoccupazione qui in Spagna è molto grave anche fra i giovani, ma il malessere che si registra non ha solamente cause economiche, ma direi anche culturali”. “Non si tratta, infatti, solo di una questione di lavoro o disoccupazione – ha proseguito monsignor Sanz Montes –, è un problema molto più vasto. Quando i valori su cui si basano la dignità umana, il significato della vita, le esigenze del cuore, si perdono, allora significa che la crisi è molto profonda”. Conveniamo con le parole del presule spagnolo, sicuri che lo sfruttamento lavorativo sia la conseguenza di una perdita graduale di del disinteresse verso il bene comune a vantaggio della soddisfazione individuale. Una perdita di valori che consente l’annientamento – Teramo e Passignano docent, senza dimenticare i milioni di aborti effettuati ogni anno nel mondo – della più elementare umanità; stroncando vite ancora in erba distruggiamo il nostro futuro. Le rivendicazioni sociali, sempre più insistenti e sempre meno docili nei confronti di un sistema che tenta di neutralizzarle escogitando inganni, sono da interpretare come la spia di un’inquietudine più vasta e profonda, che abbraccia e penetra aspetti culturali. Che le piazze possano finalmente rivelarsi un proficuo laboratorio nel quale l’indignazione si tramuti in totale antagonismo al sistema?



http://associazioneculturalezenit.wordpress.com/


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