Ci sono guerre dimenticate. Guerre che continuamente fanno registrare morti e feriti, dolori e sacrifici, sangue e stupri. E che, nonostante questo, i media embedded, non hanno interesse a trattare. Mentre veniamo bombardati da notizie vere o presunte, in una società dedita quasi esclusivamente all’inutile, ci sono popoli che combattono per la propria libertà. Uno di questi è il popolo Karen, una delle etnie birmane che si oppone – da sessantuno anni – alla giunta militare di Rangoon. Lottano per il mantenimento delle proprie specificità e per l’autodeterminazione. Contro il mondialismo e i facili guadagni del business del narcotraffico. “Non possono sconfiggerci. La nostra libertà è nella testa, nel cuore, nelle idee e nel sangue”, a parlare è il Colonnello dell’Esercito di Liberazione Karen Nerdah Mya presente alla “Notte di Sleipnir” - vicino a Verona – organizzata sabato 25 giugno, dalla Comunità Solidarista Popoli, per festeggiare insieme ai volontari e ai simpatizzati, i primi dieci anni di attività. Una pura attività di volontariato nata nel 2001 su iniziativa di un gruppo di amici. Di strada ne è stata fatta, da ben dieci anni, la Comunità Solidarista Popoli, ha dato continuo e concreto sostegno ai civili e militari Karen, fornendo attrezzi per la lavorazione del legname e la coltivazione agricola; costruendo scuole e cliniche mediche mobili; fornendo continua assistenza sanitaria attraverso visite ed operazioni chirurgiche fatte da medici volontari sul campo. Il tutto reso ancora più difficile dal fatto che le missioni umanitarie nei territori Karen avvengono clandestinamente. A piedi, nella giungla o attraversando un fiume, dalla Thailandia, si entra illegalmente. I rischi sono altissimi. Si può essere arrestati o, peggio ancora, si può essere colpiti da una delle tante mine anti-uomo messe dall’esercito birmano. “Ma poi, la fatica e il rischio – commenta un volontario di Popoli - è pianamente appagato da quello che, solo in questi luoghi, si riesce a vivere. Tutto diventa atavico. Completamente diverso dal nostro stile di vita. I giorni e le ore, vengono scandite solamente dalla luce e dal buio. Tra la paura di un attacco improvviso, - conclude - il sorriso dei piccoli bambini Karen e la forza di volontà dei soldati volontari che si battono contro il regime, ti danno la speranza per un futuro migliore. Anche per il nostro malato occidente”. A Verona, insieme al Colonnello Nerdah Mya, era presente anche l’infermiere dell’Esercito di Liberazione Bawa che ha spiegato come l’aiuto di “Popoli” sia fondamentale per la loro lotta. Un aiuto che può essere ampliato da tutti noi, attraverso piccole ma efficaci azioni di reale solidarietà. Per maggiori informazioni sulle attività della Comunità Solidarista Popoli potete visitare il sito: www.comunitapopoli.org o contattare la sezione perugina al numero 346.8872982.
http://www.ilsitodiperugia.it/content/998-i-karen-ringraziano-la-comunit%C3%A0-solidarista-popoli-alla-%E2%80%9Cnotte-di-sleipnir%E2%80%9D
giovedì 30 giugno 2011
I Karen ringraziano la Comunità Solidarista Popoli alla “Notte di Sleipnir”.
martedì 28 giugno 2011
TAV in Val di Susa, facciamo chiarezza.
Marco Cedolin spiega le motivazioni dei cittadini che si battono contro il progetto dell’alta velocità.
I recenti avvisi di garanzia che in questo periodo sono stati recapitati ad una sessantina di persone che si battono contro il Treno ad Alta Velocità in Val di Susa, unitamente agli annunci concernenti la prossima apertura del cantiere di Chiomonte, hanno riacceso i riflettori sulla questione. Per discutere su una battaglia che stanno portando avanti – ormai da quasi 20 anni – molti abitanti della zona, abbiamo incontrato Marco Cedolin, autore di “T.A.V. in Val di Susa – Un buio tunnel nella democrazia”, edito da Arianna Editrice e parte integrante del movimento denominato “No T.A.V.”.
Cedolin, ci spieghi le motivazioni che vi spingono quotidianamente a scendere nei boschi e a bloccare fisicamente i lavori per la costruzione del Treno ad Alta Velocità con il rischio dell’incolumità fisica e penale…
La Val di Susa è una valle alpina larga mediamente 1,5 km, all’interno della quale corrono una ferrovia internazionale a doppio binario, il cui ammodernamento è terminato un anno fa, un’autostrada, la cui costruzione è stata completata nel 2000, due statali, alcune strade provinciali e un fiume. Il fondovalle è già oggi simile ad una colata di cemento senza soluzione di continuità e immaginare la presenza di una nuova infrastruttura delle dimensioni e degli impatti di una linea ad alta velocità sarebbe semplicemente pura follia. Negli anni 90 i cittadini sono stati costretti a sopportare, obtorto collo, la profonda devastazione del territorio conseguente alla costruzione di una nuova autostrada, con la motivazione che l’infrastruttura fosse giustificata dal proponimento di “togliere” i TIR dai paesi. La costruzione dell’autostrada non era ancora terminata e già la “banda del tondino e del cemento” aveva iniziato a progettare il TAV che avrebbe dovuto togliere quegli stessi TIR dall’autostrada appena costruita, per metterli sui treni. La popolazione ha subito percepito il profondo cortocircuito logico e dopo essere stata presa per il naso una volta ha deciso di non porgere l’altra guancia.
Ma è possibile che un movimento popolare come il “No T.A.V.” non abbia aiuti e pressioni da parte di partiti o singoli politici italiani? Come è organizzato questo movimento?
Il movimento NO TAV è composto da migliaia di cittadini, di ogni estrazione sociale e dalle simpatie politiche più svariate. I cittadini sono organizzati in Comitati, in linea generale uno per ogni paese. Le decisioni vengono prese nel corso di coordinamenti ai quali partecipano esponenti di tutti i comitati e poi, qualora si tratti di decisioni di una certa importanza, portate in un’assemblea popolare alla quale può partecipare chiunque, dove verranno approvate o bocciate. I partiti, da sempre, tentano di mettere il cappello su qualunque lotta popolare possegga una qualche potenzialità di visibilità mediatica. Nel caso di quella contro il TAV in Val di Susa, rimasta a lungo sulle prime pagine dei giornali, si è trattato senza dubbio di una “torta” quanto mai ambita. Ci hanno provato soprattutto i partiti della cosiddetta sinistra radicale, che nel 2005 hanno sostenuto, mai manovrato perché i cittadini gli hanno sempre impedito di farlo, la lotta della popolazione. Raccogliendo poi una valanga di voti alle elezioni del 2006, su programmi elettorali rigorosamente contrari all’alta velocità. Una volta saliti al governo hanno poi disatteso il mandato degli elettori, arrivando a firmare il dodecalogo di Prodi che di fatto sponsorizzava il TAV. E alla tornata elettorale successiva sono stati pesantemente puniti, mentre è stato premiato il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo, oggetto di un voto plebiscitario ed attualmente parte integrante del movimento NO TAV alla stregua di qualsiasi altro comitato, senza però alcuna velleità di governarne le decisioni. Dietro al movimento NO TAV, se la cosa non fosse chiara, ci sono i cittadini della Val di Susa.
Sta affermando che il movimento “No T.A.V.” è a tutti gli effetti una “lotta di popolo”?
Senza ombra di dubbio, una lotta che nasce dal popolo, coinvolge il popolo e viene portata avanti dal popolo in completa autonomia. Se il leader di un partito o di un’associazione ambientalista vuole portare solidarietà è sempre il benvenuto, come può esserlo un uomo di musica o di sport, ma i partiti politici hanno ormai compreso appieno che il movimento NON TAV si “governa da solo”.
Quanto costerebbe la realizzazione del T.A.V. per i contribuenti italiani? Che ruolo hanno le lobbie dei costruttori?
Nelle stime portate da coloro che propongono l’opera, il Tav in Val di Susa dovrebbe costare fra i 15 ed i 20 miliardi di euro. Se si applica a tali previsioni iniziali l’incremento medio (300% rispetto alla previsione) di costo rilevato nella costruzione di tutte le tratte TAV in Italia, si può ragionevolmente parlare di una sessantina di miliardi di euro. Che i contribuenti italiani saranno chiamati a pagare sotto forma di debito pubblico nei decenni a venire, a fronte di un’opera che perfino Marco Ponti (economista di fama e probabilmente maggior esperto italiano in tema di trasporti) ha definito inutile e priva di qualsiasi prospettiva di ritorno economico. Le lobby dei costruttori hanno un ruolo subalterno a quelle della finanza, ma con un mare di denaro come quello in oggetto si prospetta un desco dove ci sarà da mangiare per tutti, dalle grandi banche ai grandi gruppi industriali, per non parlare delle cooperative rosse, con in testa la CMC appaltatrice dei lavori per il tunnel geognostico oggetto della contesa di Chiomonte.
Bartolomeo Giachino, sottosegretario ai trasporti, ha dichiarato che nel piano della logistica per la crescita economica del paese il “Corridoio 5” è fondamentale. Potrebbe realmente essere una valida alternativa al trasporto su gomma?
Bartolomeo Giachino non ha studiato bene la questione, ma poco importa, perché il lavoro del politico e quello d’imbonire l’interlocutore e non d’informarlo. Il fantomatico Corridoio 5 altro non è che una linea tracciata sulla cartina geografica, oltretutto dalla valenza molto scarsa. Gli esperti di trasporti hanno più volte sottolineato come i traffici ovest – est siano in larga parte interni ai singoli stati e non transfrontalieri ed il volume di traffico sull’asse Lisbona – Kiev non sia tale, neppure in prospettiva, da giustificare un’infrastruttura di questo genere. Così come hanno ribadito che un’eventuale corridoio ovest – est dovrebbe per logica correre a nord delle Alpi, dove la conformazione morfologica del territorio è ideale e non scendere in Italia bucando le montagne con gallerie di 50 km, per poi tornare a Nord attraversando il Carso. Oltretutto Giachino, non avendo studiato, non sa che per quanto concerne l’Italia il Corridoio 5 esiste già. In Val di Susa esiste una ferrovia internazionale ammodernata di recente, sulla quale potrebbero venire caricate merci a profusione. Il problema è che le merci da caricare non ci sono (dal momento che viaggiano su direttrici nord – sud e non est – ovest) e la ferrovia “nuova fiammante” della Val di Susa è sfruttata a meno del 30% delle sue potenzialità.
Qual è la situazione che se respira in questi giorni?
Una situazione di attesa. La politica e gli industriali hanno promesso un assalto all’arma bianca e la militarizzazione del territorio. I cittadini aspettano, fiduciosi del fatto che se anche con l’uso della violenza le forze dell’ordine riuscissero a sgomberare la popolazione e prendere possesso dei terreni, torneranno a riprenderseli in decine di migliaia, come già accaduto nel 2005.
Secondo lei cosa si prepara nel futuro?
Sicuramente un futuro sul quale aleggia lo spettro dell’uso della forza e della violenza. Tutto sommato però sono ottimista, quando decine di migliaia di persone hanno il coraggio di frapporsi fra le ruspe e la loro terra, come nel 2005, qualsiasi lobby non ha altra strada che non sia quella di ritirarsi in monastico silenzio.
Intervista di Fabio Polese, http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=9134
lunedì 27 giugno 2011
Estate in Irlanda del Nord: tempo di violenze lealiste.
Arriva la stagione estiva e, puntuali, arrivano anche le aggressioni lealiste contro gli irlandesi cattolici. E' accaduto a Short Strand, nei giorni scorsi, in una zona della East Belfast di maggioranza protestante, in cui faticosamente sopravvive una enclave cattolica fatta di poche file di case, contigue a quelle abitate dai protestanti: 5mila cattolici in mezzo a 80mila protestanti. Tra loro solo una piccola via, sono praticamente dirimpettai.
Gli scontri delle notti del 21, 22 e 23 giugno, di cui i media mainstream italiani si sono occupati molto poco o addirittura per niente, hanno visto centinaia di persone scendere in strada, come non succedeva da anni: da una parte i lealisti, protestanti unionisti (fedeli al Regno Unito), dall’altra i nazionalisti cattolici, da sempre vittime di discriminazioni e attacchi in Irlanda del Nord. Tutti molto giovani e tutti irlandesi (oltre che sudditi della Corona inglese, naturalmente). Così come irlandese è la polizia della Northern Ireland, che dopo gli accordi del “Venerdì santo” del 1998, primissimo passo del difficile processo di pace in corso, ha sì cambiato nome (passando da Royal Ulster Constabulary a Police Service of Northern Ireland) ma un po’ meno è cambiata dal punto di vista della composizione interna: se in passato, all’epoca dei famigerati Troubles, era costituita per più del 90% da protestanti, oggi le percentuali sono cambiate ma non in modo proporzionale alla composizione sociale del paese. E soprattutto: dopo decenni di soprusi e vessazioni ai danni degli irlandesi cattolici, la polizia nordirlandese fatica decisamente a conquistare una percezione da parte della popolazione nazionalista che non sia di diffidenza e sfiducia.
Eppure è stata proprio la PSNI ad indicare nell'UVF (Ulster Volunteer Force), organizzazione paramilitare lealista, i responsabili dei nuovi Troubles che hanno incendiato queste prime notti estive di Belfast: secondo i rappresentanti della polizia ad orchestrare il tutto sarebbero stati i paramilitari. Un gruppo che dal 1913 ad oggi è stato protagonista di un numero infinito di omicidi, agguati, violenze di ogni genere nei confronti della popolazione cattolica. Un’organizzazione che per decenni è stata finanziata e sostenuta dalla Corona inglese e dai suoi servizi segreti e che oggi, seppur ridotta nei numeri e nella capacità militare, continua ad alimentare l’odio e gli attacchi settari contro i cattolici.
Le poche decine di case cattoliche di Short Strand, che in passato hanno resistito a situazioni di tensione e di violenza inaudite (finestre sprangate e abitanti completamente isolati all’interno, agguati e uccisioni a sangue freddo), nelle notti scorse sono diventate ancora una volta il bersaglio di molotov, pietre, bottiglie e tentativi di sfondamento. E la tensione è esplosa. Durante gli scontri è stato ferito anche un reporter, con un colpo d’arma da fuoco che sembrerebbe sia stato sparato da uno degli uomini dell’UVF.
Il Sinn Féin, partito repubblicano un tempo braccio politico dell’IRA e oggi parte del parlamento nordirlandese di Stormont, in un tempestivo comunicato stampa del 21 giugno si è “congratulato coi residenti che si sono opposti all’attacco settario e hanno difeso la loro comunità”. Tra loro sembra ci fossero anche alcuni dissidenti repubblicani, contrari agli accordi del Venerdì santo e sparuti rappresentanti delle numerose ma isolate correnti della lotta armata che rivendicano l’eredità dell’IRA: i primi arresti successivi ai riots avrebbero colpito proprio due di loro, accusati di aver sparato colpi d'arma da fuoco. Intanto il primo ministro nordirlandese Peter Robinson lancia appelli perché la situazione torni "alla normalità" (in una terra in cui probabilmente, ad oggi, non è mai esistita) e incontra ufficiosamente i rappresentanti dell’UVF per cercare una mediazione capace di riportare la calma.
Ma, a meno che Robinson non faccia il miracolo, non sarà facile sopire la tensione. Dal luglio al settembre di ogni anno il protagonista delle cronache nordirlandesi diventa l’Ordine d’Orange, storica organizzazione lealista nata e vissuta per difendere i privilegi dei protestanti e per schiacciare la popolazione cattolica. Gli orangisti, con ossessiva e violenta ritualità, danno vita ogni estate a diversi appuntamenti pubblici, il più noto dei quali è la “parata orangista” del 12 luglio a Portadown, con cui viene ricordata la vittoria dell’inglese Guglielmo d’Orange contro la resistenza irlandese nel 1690 e che ogni anno pretende di sfilare in Garvaghy Road, strada cattolica della cittadina. Negli ultimi anni la pericolosità della parata del 12 luglio, che in passato inevitabilmente dava il via a numerose e feroci aggressioni “a cielo aperto” contro i cattolici (con la polizia che stava a guardare), si è decisamente depotenziata, ma resta un momento di alta tensione e di forte provocazione nei confronti dei cattolici.
A fare da sfondo alle azioni e alle prese di posizione delle diverse organizzazioni unioniste, in particolare dell’UVF e degli Orangisti (che però oggi siedono in parlamento), continua ad essere la strenua difesa dei privilegi protestanti e il sostanziale rifiuto di una parità, tanto difficile quanto necessaria, tra cattolici e protestanti. Nei decenni scorsi, ogni volta che la Corona inglese ha concesso qualche spiraglio nelle trattative con le rappresentanze repubblicane, Orangisti e paramilitari lealisti hanno dato vita a proteste violentissime, mettendo a ferro e fuoco le città dell’Ulster e bersagliando senza tregua la popolazione cattolica (sempre, se serve ricordarlo, con la complicità della polizia nordirlandese e dell’esercito britannico presente nelle sei contee).
È in questo contesto che, oggi, nascono e crescono i giovani nazionalisti. In una Belfast che di recente ha visto rinascere le zone del centro, piene di turisti, studenti e negozi, ma che nei quartieri continua a restare una città assediata, non più dall’esercito britannico ma dalla povertà, dalla disoccupazione, dal degrado e dalla violenza. Negli ultimi anni sono cresciuti tantissimo i casi di suicidio tra i cattolici, e in modo particolare tra giovani e giovanissimi. Tanto che nella West Belfast, la parte della città a maggioranza cattolica, è nato un centro di ascolto e supporto per le famiglie dei suicidi. Lo “smantellamento” dell’IRA, dal 1998 in poi, ha lasciato un vuoto nei quartieri cattolici: è venuta meno l’organizzazione che di fatto, con tutti i suoi enormi ed evidenti limiti, stabiliva e gestiva l’ordine, in modo anche molto violento. Impossibile, ad esempio, spacciare quando l’Irish Republican Army era ancora in attività: dopo un paio di avvertimenti il “colpevole” veniva fatto sparire. Oggi sono molti i ragazzi che spacciano, e tutti gli altri non hanno altra alternativa al pub del quartiere, unico spazio “pubblico” in un vuoto culturale (oltre che economico) devastante. E la crisi economica non ha certo aiutato.
Lontani il progetto e il sogno di un’Irlanda unita, difficile da capire il faticosissimo processo di pace in corso, i giovani nazionalisti sono l’emblema di un paese distrutto da decenni di guerra e ingiustizia, che continua a trascinarsi un’eredità più che pesante con cui fare i conti: in bilico tra la speranza di un futuro in qualche modo migliore e il rischio (e la paura) di un ritorno al passato, si battono per difendere la propria identità, la propria incolumità e i propri diritti. In queste notti di scontri e resistenza a fare da protagonista, più che un progetto politico, è stato certamente il disagio di una generazione che vive sulla propria pelle la totale incertezza non solo del futuro ma anche del presente: una precarietà di vita che suggerisce di collegare la rabbia dei giovani repubblicani nordirlandesi a quella dei loro coetanei (e non solo) di tutta Europa.
Sara Agostinelli
www.thefivedemands.org
"Macché Gheddafi, cacciamo i raìs birmani". - Intervista a Nerdah Mya della KNLA.
«Ci basterebbero 100mila euro al mese, nulla rispetto ai soldi che spendete per la guerra in Libia, per abbattere il regime birmano nel giro di un anno. Purtroppo, però, la nostra lotta per la libertà è dimenticata da tutti». Parola del colonnello Nerdah Mya, uno dei comandanti più in vista dei guerriglieri karen, che parla in esclusiva con il Giornale. L’etnia karen, in parte cristiana, si batte contro il regime dei generali nel Myanmar, meglio conosciuta come Birmania. Nerdah, in visita nel Nord Est per non far dimenticare il conflitto birmano, è il figlio del leggendario capo della ribellione karen, Bo Mya.
La Nato appoggia militarmente e finanziariamente i ribelli libici contro il regime del colonnello Gheddafi. La rivolta dei karen gode di un qualche aiuto internazionale?
«Combattiamo da oltre 61 anni e non riceviamo uno straccio di aiuto, anche se la situazione in Birmania è peggiore di quella in Libia. Viviamo sotto una dittatura in mano ad una cricca di generali, che non gode dell’appoggio della popolazione. La nostra battaglia è per la libertà e l’autodeterminazione. Per questo ci sembra assurdo che vengano aiutati così pesantemente i ribelli in Libia, mentre noi siamo semplicemente dimenticati. Se avessimo ottenuto lo stesso appoggio il conflitto in Birmania sarebbe finito da tempo. Eppure le violazioni dei diritti umani nel mio paese sono peggiori di quelle in Libia».
La comunità internazionale ha previsto di sostenere i ribelli in Libia con un miliardo di dollari e l’intervento militare costa non poco. È vero che ai karen basterebbe un decimo di queste cifre?
«Se noi potessimo contare su una minima parte di questi soldi, non dico 100mila euro al giorno, ma al mese, la faremmo finita con il regime militare nel giro di un anno».
Forse i militari al potere nel Myanmar sono meno cattivi del Rais di Tripoli?
«I generali che comandano in Birmania sono tre o quattro volte peggio del colonnello Gheddafi. Allora mi chiedo perché il governo italiano, gli europei che sono coinvolti in questo costoso intervento armato e appoggiano sul terreno i ribelli in Libia, non ci aiutano? Nel 2009 mi sono incontrato a Roma con il sottosegretario agli Esteri, Stefania Craxi. Combattiamo anche noi per il rispetto dei diritti umani e per la libertà dalla dittatura. Non solo: il regime birmano è colpevole di pulizia etnica. Quando i governativi penetrano nelle nostre aree bruciano i villaggi, i raccolti e stuprano le donne. È un genocidio contro una parte del loro stesso popolo, ma non se ne parla».
Però sono state imposte sanzioni da parte dell’Unione europea...
«Psicologicamente è un bene, ma praticamente servono a poco perché non sono rispettate. Nominalmente vengono imposte dalla Ue e poi chi investe maggiormente in Birmania sono gli stessi europei, come gli inglesi. I norvegesi vogliono levare le sanzioni per fare affari e lo stesso vale per i francesi, che hanno interessi nel gasdotto che arriva in Thailandia».
Come giudica questo doppio standard della comunità internazionale?
«Sfortunatamente non abbiamo petrolio come la Libia. La verità è che pur combattendo per la democrazia siamo stati completamente dimenticati dall’Occidente».
Perché è venuto nel Nord Est?
«Sono in Italia su invito dell’onlus Popoli, che ci aiuta da 10 anni. Grazie ai soldi raccolti in beneficenza, per progetti umanitari, siamo riusciti a far rinascere tre villaggi nelle zone che controlliamo in Birmania. Il primo l’abbiamo chiamato «piccola Verona». In tutto sono tornate a vivere nei loro villaggi 1100 persone».
Lo scorso novembre si sono tenute le elezioni nel Myanmar. Come le giudica?
«Si è trattato di una farsa. Sono la bugia venduta dal governo alla comunità internazionale per far sembrare che hanno avviato un lento cambiamento. La verità è che nulla è cambiato».
Il premio Nobel per la pace, Aung San Suu Kyi, però, è stata rilasciata dopo 15 anni agli arresti, anche se le hanno vietato di partecipare al voto...
«Per noi resta un simbolo della democrazia e dell’opposizione, ma non è forte abbastanza per rovesciare il regime».
Come sperate di ribaltare le sorti di questo lungo e dimenticato conflitto?
«Almeno 10mila karen indossano una divisa. Abbiamo abbastanza uomini, ma ci servono armi adeguate e munizioni. Altri 150mila karen vivono come rifugiati in Thailandia, a ridosso del confine. L’obiettivo è riportarli in Birmania incoraggiandoli a difendere la loro patria e a battersi per la libertà e l’autodeterminazione».
Di Fausto Biloslavo, http://www.ilgiornale.it/esteri/macche_gheddafi_cacciamo_rais_birmani/27-06-2011/articolo-id=531722-page=0-comments=1
Dalla parte del POPOLO. No al T.A.V.
Torino - Scontri a Chiomonte tra forze dell’ordine e manifestanti contro l’apertura dei cantieri per dare il via ai lavori del tunnel della Maddalena. Un corteo di mezzi della polizia e dei carabinieri è avanzato verso la centrale elettrica, rimuovendo mano a mano i blocchi stradali allestiti dai No Tav (in tutto una quindicina di blocchi). Il corteo è preceduto dalla scavatrice e da poliziotti in assetto anti-sommossa. Non si ferma intanto il tam-tam del movimento in tutta la valle: a quanto si apprende starebbero confluendo a Chiomonte manifestanti da tutta la Val di Susa.
Bombe carta contro gli agenti Numerose bombe carta sono state lanciate contro i mezzi degli operai e delle forze di polizia. Almeno venticinque agenti delle forze dell’ordine sono rimasti feriti: cinque agenti sono stati portati in ospedale in ambulanza; venti sono stati medicati sul posto. La strada dell’Avanà è stata cosparsa di chiodi a quattro punte e ricoperta di un liquido oleoso per rendere scivoloso il terreno, cosa che complica notevolmente l'avanzata del convoglio dei mezzi. Un fitto lancio di pietre è arrivato da manifestanti nell'area dell'azienda vitivinicola della comunità montana contro operai e agenti ed è in corso anche un lancio di grossi massi da parte di manifestanti attestati nell area retrostante il museo archeologico.
L'arrivo delle ruspe a Chiomonte Sono arrivati a Chiomonte intorno alle 6 del mattino i mezzi deputati ad aprire il cantiere alla Maddalena. A scortarli lungo l’A32, Torino-Bardonecchia, chiusa al traffico, i mezzi delle forze dell’ordine: già a notte fonda nelle vicinanze del presidio No Tav era scattato l’allarme. Il segnale prestabilito di preallerta era costituito dal lancio di fuochi di artificio nel piazzale del presidio della Maddalena. Ci sono stati momenti di tensione con insulti all’indirizzo degli operai. Intanto ieri sera circa 3mila persone a Chiomonte hanno partecipato a una fiaccolata pacifica per esprimere il loro dissenso verso la partenza del cantiere per il tunnel della Maddalena, propedeutico ai lavori della Torino-Lione. Il lungo serpentone di fiaccole è partito dalla stazione della cittadina per poi confluire verso il presidio della Maddalena. In testa al corteo, composto anche da famiglie con bambini e anziani, c’era la statua della madonna del Rocciamelone. Al presidio, presso un pilone votivo, poi si sono fermate molte persone per tenere una veglia di preghiera e attendere lo sgombero annunciato.
http://www.ilgiornale.it/cronache/arrivano_ruspe_val_susa_sfondata_barricata_no_tav/cronaca-no_tav-chiomonte-ruspe-barricate-val_susa/27-06-2011/articolo-id=531783-page=0-comments=1
venerdì 24 giugno 2011
Monti Sibillini, Solstizio d’estate 2011.
“Se gli uomini desiderano ritrovare un giorno il mondo degli iperborei e divenire simili agli Dei, è verso Nord che devono spiegare le loro vele e agitare i loro remi. Laddove il Settentrione e l’Occidente si incontrano, il Sole non tramonta.(…) Noi ritroveremo, nella certezza e nella fedeltà, le azioni dei nostri antenati. Annunceremo a tutti la buona novella del ritorno del Sole. Accenderemo il fuoco nei nostri camini e prepareremo i fuochi sulle colline. Dal momento che il destino dei nostri popoli diventa una caricatura nella società mercantile e nella fede egualitaria, noi rifiuteremo la religione del piagnucolio e del rifiuto, per ritrovare la coscienza della nostra avventura e della nostra unità.” Jean Mabire
Intorno alla data del 21 giugno il sole arriva all’apice della sua durata ed è tradizione ancestrale celebrare il Solstizio d’estate. Anche quest’anno abbiamo deciso di lasciare le città per recarci in alto, più vicino alla natura incontaminata dalla modernità. L’appuntamento è fissato di prima mattina. Dopo aver comprato il necessario per la salita in montagna e per la notte, partiamo alla volta dei Monti Sibillini. Gli zaini sono pieni e la fatica che ci porterà nel posto prescelto per salutare il Sole nel giorno del suo trionfo, non è nulla in confronto alle sensazioni interiori che solo questi luoghi ti sanno trasmettere.
I Monti Sibillini, oltre a sembrare magici per il panorama, sono posti ricchi di antiche leggende. Secondo la più viva credenza, lungo le pareti di questi monti, si troverebbe la grotta che fu della Sibilla, un luogo incantato in cui una fata riceveva le visite dei più coraggiosi che volevano conoscere il proprio futuro. Un’altra storia narra che la Sibilla si trasformasse, ogni fine settimana, in un serpente, simbolo di fertilità e guarigione. Altre tradizioni popolari si focalizzavano sul pensiero che le Sibille potevano essere state, in realtà, più di una. Altri ancora, inquadravano la storia intorno alla Sibilla Cumana, la quale, ridotta alla povertà dopo errate scelte nel commercio, si era rifugiata all'interno della grotta e lì era restata. Tuttavia, con l’avvento del cristianesimo, l’origine pagana della Sibilla – che veniva paragonata alla Vergine Maria e quindi denigrata - ne provocò un’interpretazione demoniaca.
Il silenzio che ci accompagna mentre saliamo è interrotto solamente dalla tranquillità della natura. Il frastuono della civiltà odierna, viene lasciato alle spalle mentre ci accingiamo ad arrivare a destinazione. Ognuno ha il suo compito e, dopo non molto, tutto è pronto per salutare il Sole nel giorno della sua vittoria sulle tenebre della notte.
Nel Solstizio d’inverno avevamo piantato nella nostra mente e nel nostro cuore il seme, lasciando da parte i rancori e le paure, le ansie e le delusioni di una vita che ci vede purtroppo spettatori di una società sempre più grigia e senza slanci. Mentre il fuoco arde, alto e imperioso, nel buio della notte, siamo pronti a raccogliere il seme e a tirare le somme dei buoni propositi. Dopo qualche minuto di silenzio e meditazione, la nottata scorre tra letture e racconti, risate e riflessioni in un clima di sincero cameratismo. Il Solstizio è una festa che affonda le proprie radici nella tradizione indoeuropea e unisce tutte le anime di ieri e di oggi che sono legate spiritualmente da un unico filo conduttore: l’amore per la propria terra e la fede profonda nei valori cardini delle nostre nobili e antiche civiltà europee. Esse si sono da sempre fondate non su valori orizzontali come quelli che questa malata e annichilita società moderna impone, ma verticali e solari che per forza di cose richiedono un ordine assiale e gerarchico, necessario per instaurare un’armonia tra terra e cielo e tra uomo e natura.
Il giorno seguente, dopo aver sistemato il tutto, siamo pronti per tornare a valle. La stanchezza fisica accumulata è tanta ma i nostri corpi sembrano non avvertirla. Scendiamo verso la pianura con un passo insolitamente leggero rinnovati nel cuore e nella mente. Abituati a riti e feste esistenti ormai per sola consuetudine del mondo moderno, l’andare in alto, né per semplice sport né per record, e festeggiare le tradizioni del Solstizio e di tutti i cicli annuali, sono una importante testimonianza per un appropriato cambiamento interiore ed esteriore.
Nel cammino che ci riporterà ai frastuoni civilizzati, non possono mancare i pensieri all’esperienza appena trascorsa e all’organizzazione della prossima escursione in vette sempre più alte.
Associazione Culturale Zenit Roma – http://associazioneculturalezenit.wordpress.com
Associazione Culturale Tyr Perugia – http://www.controventopg.splinder.com
giovedì 23 giugno 2011
Milioni in piazza con Assad, la Siria smentisce i nostri media.
Milioni di siriani sono scesi in piazza in tutto il paese, martedì 21 Giugno 2011. La folla era un oceano a Damasco, Aleppo, Homs e Tartus. Questo scenario, nei deboli richiami sui siti dei quotidiani nostrani, si riduce a «migliaia di lealisti». La notizia viene nascosta, ma sarà difficile farlo a lungo. Quale notizia? Che esistono basi di consenso reali per le riforme annunciate dal presidente Bashar al-Assad nel suo discorso all’università di Damasco. Nel registrare questo consenso non parliamo di favoriti del regime che difendono privilegi. Non ha senso ridurre un evento simile a una misura così meschina, quando le strade proprio non ce la fanno a contenere la massa umana.
Parliamo di una forte realtà popolare, di manifestazioni di una grandezza senza precedenti nella storia della Siria. Anziché raccattare testimonianze dai social network, i grandi media farebbero bene a chiedersi perché i loro rozzi schemini sulle rivolte arabe facciano cilecca. Nel dubbio, intanto, le manifestazioni per loro non esistono. In termini puramente numerici, il confronto fra i milioni che appoggiano il presidente con le migliaia di manifestanti anti-Assad delle scorse settimane mostra un divario indiscutibile. Può non piacere, ma ignorarlo significa partecipare a una manipolazione sfacciata dell’informazione, e non fa sorgere domande corrette su cosa stia accadendo in Siria.
I familiari dei soldati, e sono tanti, hanno il polso della situazione. Non credono ai tentativi orwelliani dei grandi canali via satellite in lingua araba di raccontare bombardamenti di villaggi, massacri e fosse comuni perpetrati dal regime. In molti, persino fra quelli che conoscono le scomode prigioni del loro paese, ritengono che la Siria sia al centro di una campagna di destabilizzazione nello stile di quelle che subivano i paesi latinoamericani negli anni settanta, con gruppi armati foraggiati dall’estero, e un’escalation di misure diplomatiche in vista di un intervento militare, domani, della Nato.
I pochi giornalisti occidentali sul campo in questi mesi, e anche gli inviati di Al Jazeera prima che si dimettessero per protesta contro le false rappresentazioni della situazione in Siria e Libano, hanno tutti verificato la portata del consenso popolare al presidente, a dispetto degli innegabili problemi. Lo schemino dittatura/libertà è in questo caso inservibile. I conti tornerebbero se si usasse lo schema sovranità/dipendenza, e magari un terzo schema: laicità/religione; e un quarto: conflitti interetnici.
Sembra che le masse siriane non vadano a consigliarsi da Rosy Bindi né da Napolitano. Hanno guardato per anni Al Jazeera, che – quando manipolava di meno le notizie e girava di più a raccoglierle – mandava quasi a morire i suoi reporter con il giubbotto antiproiettile, e quelli dimostravano come alla caduta di Saddam non sia seguito un eldorado di democrazia, ma il caos e gli eccidi in un paese usurpato, schiacciato, abusato, concretamente rovinato.
È per questo che finanche chi ha avuto la sventura di stare nelle celle riservate per anni agli oppositori, con pieno discernimento politico dice: non come in Iraq, prego. E si stringe intorno all’unica difficile, contraddittoria proposta di riforma davvero in campo, quella di Assad. Il resto odora già di uranio impoverito, fosforo bianco e predatori sostenuti dalle aberrazioni sempre più indecenti dell’interventismo umanitario, ancora incapace di uno straccio di autocritica persino di fronte ai bombardamenti che fanno stragi di innocenti in Libia.
(Pino Cabras, “Milioni con Assad: perché?”, da “Megachip” del 22 giugno 2011).
mercoledì 22 giugno 2011
Seconda notte di scontri a Belfast. Fotoreporter ferito da arma da fuoco.
(ASI) Seconda notte di duri scontri ad est di Belfast. Il copione è sempre lo stesso, numerosi lealisti guidati dall’Ulster Volunteer Force, si sono radunati nelle zone di Short Strand e sono ricominciati gli scontri.
Prima con la Polizia, poi con i repubblicani irlandesi. Massiccia la presenza della P.S.N.I. – Police Service of Northern Ireland – in tutta la zona che, per fronteggiare i rivoltosi, si è munita anche di cannoni ad acqua. Nella zona di Newtownards road sono scoppiati diversi colpi di arma da fuoco e, secondo i primi racconti, un fotoreporter che stava testimoniando gli scontri è stato ferito ad una gamba. “Due giovani di fazione protestante sono rimasti feriti, colpiti alle gambe”, ha dichiarato il reverendo Mervyn Gibson, ministro presbiteriano e ha continuato, “si è trattato davvero di uno scenario serio. Non ho visto disordini di questo livello da 10 anni nell’area”. Mentre iniziavano i primi scontri con la P.S.N.I. dalla parte lealista, gli attivisti del partito repubblicano Sinn Fein, hanno provato a fermare i membri della loro comunità con un cordone umano per tenere lontane le due fazioni. Poi è ricominciato il fitto lancio di oggetti tra i due gruppi, con numerose molotov tirate. La Polizia ha di nuovo fatto uso di numerosi proiettili di gomma. La R.N.U. – Republican Network For Unity – ha chiesto alle comunità repubblicane di tutta Belfast di essere vigili dopo gli attacchi settari di lunedì sera. Nel comunicato diramato si legge: “L’attacco vergognoso contro i residenti di Short Strand è stato chiaramente organizzato dalla U.V.F. e noi mettiamo apertamente in discussione il loro cessate il fuoco. I residenti locali hanno detto a R.N.U. che la P.S.N.I. non ha fatto nulla per fermare i cento uomini mascherati e armati che hanno preso d’assalto l’area a partire da Albertbridge road. Che ha provocato l’attacco a decine di abitazioni nazionaliste. Se non fosse stato per i giovani della zona di respingere gli squadroni lealisti, è molto probabile che qualcuno avrebbe perso la vita” (…) “Republican Network for Unity elogia la comunità di Short Strand per la difesa efficace della loro area di fronte alle aggressioni lealiste. Offriamo loro il nostro pieno sostegno e solidarietà”. Intanto, ieri mattina, un ordigno è stato lanciato nella zona ovest di Belfast contro una pattuglia della Police Service of Northern Ireland non provocando feriti.
Di Fabio Polese, http://www.agenziastampaitalia.it/index.php?option=com_content&view=article&id=4036:seconda-notte-di-scontri-a-belfast-fotoreporter-ferito-da-arma-da-fuoco&catid=16:italia&Itemid=39
Minacce israeliane alla Freedom Flotilla 2 in procinto di partire per Gaza.
(ASI) Israele non sembra affatto preoccuparsi dell'eventualità di subire proteste da parte della comunità internazionale; dalle parole del comandante della marina militare emerge, infatti, la volontà di intraprendere la linea dura per fermare la Freedom Flotilla 2.
Eliezer Marom, ammiraglio e comandante della marina militare di Israele, ha dichiarato a margine di una cerimonia conclusiva tenutasi nel porto di Haifa che la Freedom Flotilla, il gruppo di navi contenenti aiuti umanitari organizzati da Free Gaza Movement e Fondazione turca per i diritti dell'uomo e delle libertà e gli aiuti umanitari (IHH), sarà bloccata in alto mare e non le sarà dato modo di rompere il blocco di Israele sulla Striscia di Gaza.
Marom ha motivato la linea dura spiegando che "quella missione ha per scopo un confronto con i militari israeliani. Si cerca una provocazione di carattere mediatico per creare un'atmosfera di delegittimazione di Israele". L'ammiraglio israeliano ha inoltre ribadito la contrarietà del suo paese ad acconsentire all'apertura di una rotta di navigazione verso Gaza poiché "Hamas potrebbe dotarsi di quantità incontrollate di armi e minacciare Israele con nuovi razzi e con missili terroristici".
Queste parole alimentano la preoccupazione che possa verificarsi qualcosa di simile a quanto accadde il 31 maggio 2010, data a cui risale il primo e fin'ora ultimo tentativo da parte della Freedom Flotilla di approdare a Gaza con navi cariche di aiuti umanitari, così rompendo l'embargo imposto da Israele. In quell'occasione, malgrado tutto, l'ambizione umanitaria venne infranta dai commandos della marina d'Israele, i quali, imbarcati su da motoscafi ed elicotteri con l'obiettivo ufficiale di ispezionare le navi in questione in cerca di armi di contrabbando, ingaggiarono uno scontro con gli uomini della flottiglia. Il ricorso alle armi da fuoco da parte dei militari israeliani causò la morte di nove e il ferimento di decine di passeggeri.
Attualmente ancora non è stata comunicata una data di partenza ufficiale da parte degli organizzatori di Freedom Flotilla 2, è previsto comunque che la decina di imbarcazioni partirà dal porto di Genova entro la fine di giugno. In questo senso da parte dei promotori e dei partecipanti dell'iniziativa giunge la rassicurazione che "la data della partenza non subirà modifiche". Lane Fintan, il coordinatore della nave irlandese che salperà nell'ambito di Freedom Flotilla 2 ha inoltre risposto ai messaggi non rassicuranti che arrivano da Israele: "Una volta in mare, abbiamo messo in conto ogni possibilità, tranne quella della violenza da parte nostra". Prosegue il suo connazionale Trevor Hogan, celebre rugbysta che ha deciso di partecipare alla missione internazionale: "Qualunque cosa ci accadrà a bordo della Freedom Flotilla, non sarà mai nulla di fronte alla brutalità di Israele contro il popolo palestinese. Questo è quanto mi dà il coraggio di salire a bordo". Un altro partecipante, l'attivista Rami 'Abdo ha voluto specificare la meticolosa organizzazione e l'ampia adesione che permetteranno all'iniziativa di partire con serie credenziali: "Uomini di legge, attivisti ed esperti di diritti umani, parlamentari, politici e artisti saliranno a bordo di Freedom Flotilla 2. La presenza a bordo di giornalisti garantirà una copertura mediatica al viaggio come di dovere".
Nell'aprile scorso un intervento del premier Berlusconi ad una radio israeliana, seguito all'appello di Netanyahu di fermare la flotta Freedom Flotilla, fa tutt'oggi presagire un non facile destino per le imbarcazioni: "Faremo in modo di impedire la partenza della Freedom Flotilla per Gaza, sono convinto che non stia lavorando per sostenere la pace nella nostra regione".
Di Federico Cenci, http://www.agenziastampaitalia.it/index.php?option=com_content&view=article&id=4028:minacce-israeliane-alla-freedom-flotilla-2-in-procinto-di-partire-per-gaza&catid=15:estere&Itemid=40
martedì 21 giugno 2011
Irlanda del nord: notte di violenti scontri tra lealisti e repubblicani.
(ASI) La notte scorsa violenti scontri si sono verificati a est di Belfast, fonti giornalistiche locali parlano di più di cinquecento persone coinvolte.
Molti mezzi della P.S.N.I. – Police Service of Northern Ireland – sono dovuti intervenire sparando diversi proiettili di gomma per disperdere la folla. Secondo indiscrezioni, dietro la regia degli scontri, ci sarebbero anche elementi di spicco dell’U.V.F. – Ulster Volunteer Force – che pochi giorni fa avevano dichiarato l’intento di infrangere il cessate il fuoco siglato nell’ottobre del 1994. Verso le 21.30 di sera è avvenuto l’attacco lealista nei quartieri repubblicani di Mountpottinger road e Lower Newtownards road. L’attacco è stato fatto da circa un centinaio di uomini mascherati che hanno lanciato di tutto all’enclave nazionalista. Testimoni oculari parlano di aver visto nelle prime file anche il brigadiere U.V.F. di East Belfast, in tuta mimetica, pronto a dare ordini ai suoi uomini. Le case sono state colpite da sassi, pipe bombs, sacchi di vernice – con i colori della bandiera della Gran Bretagna – e numerosissime molotov. La reazione dei repubblicani non si è fatta attendere e sembrerebbe che siano spuntate anche persone sopra i tetti – di entrambe le fazioni – armate di armi da fuoco. Le testimonianze parlano di una diecina di caricatori di pistola e di fucili automatici AK-47 – Kalashnikov – sparati che avrebbero procurato il ferimento alle gambe a due membri dell’U.V.F.. La situazione rimane molto tesa anche in vista delle parate lealiste chi si svolgeranno nei primi giorni di luglio.
http://www.agenziastampaitalia.it/index.php?option=com_content&view=article&id=4026:irlanda-del-nord-notte-di-violenti-scontri-tra-lealisti-e-repubblicani&catid=15:estere&Itemid=40
Solstizio d'estate - Litha – Casmaran, il trionfo della luce.
Intorno al 21 giugno il sole celebra il suo trionfo, in quello che è il giorno più lungo dell'anno, ma che allo stesso tempo, rappresenta l'inizio del suo declino.
Infatti, dopo il Solstizio d'Estate, le giornate iniziano lentamente ma inesorabilmente ad accorciarsi fino al solstizio d'inverno, in quella che è la fase "calante" dell'anno.
Solstizio deriva dal latino solstat, "il sole si ferma", e, infatti, pare quasi che il sole indugi un po' in questa posizione prima di riprendere il suo cammino discendente. Il sole raggiunge la sua massima declinazione positiva rispetto all'equatore celeste, per poi riprendere il cammino inverso: inizia l'estate astronomica.
E' tempo in cui possiamo ricevere il massimo della potenza solare: la mistica forza che unisce cielo e terra è ora più forte.
Questa verità era conosciuta dagli antichi popoli che pare fossero a conoscenza del fatto che le "ley lines", le misteriose linee energetiche che solcano la superficie terrestre aumentano la loro carica energetica tramite la potenza solare. Anche monumenti come menhir, dolmen e cerchi di pietre erano forse focalizzatori artificiali del sistema energetico terrestre.
I cristalli possono essere potentemente caricati al solstizio e siccome il granito dei megaliti di Stonehenge contiene una grande quantità di quarzo, questo cerchio si attiva al Solstizio, generando un forte campo energetico. Non a caso la cerimonia del Solstizio d'Estate è la festa più elaborata e più famosa compiuta dai moderni ordini druidici, che la celebrano ogni anno appunto a Stonehenge (nel 1999 sono ripresi i rituali dopo una sospensione di dieci anni decretata nel 1988 dalle autorità britanniche per motivi di ordine pubblico).
Il Neo-Druidismo chiama il Solstizio d'Estate Alban Heruin, "Luce della riva". Infatti, la festa è al centro dell'anno, al suo volgere, così come la spiaggia è il luogo d'incontro di mare e di terra dove i due confini si uniscono. Nelle tradizioni antiche la "terra" era la zona astronomica al di sopra dell'equatore celeste e l' "acqua" quella inferiore. Il sole trovandosi nel loro punto d'incontro è come sulla riva del mare.
Mazzetti di erbe collocati sotto il cuscino favoriscono i sogni divinatori: le erbe giocano un ruolo di primo piano nelle tradizioni solstiziali e di San Giovanni. Si raccolgono piante aromatiche da bruciare sui falò solstiziali, piante che danno poco fumo e hanno un buon aroma, come timo, ruta, maggiorana. È comune credenza che moltissime piante raccolte in quest'epoca abbiano poteri quasi miracolosi.
Il vischio è una pianta solstiziale molto importante nella tradizione celtica: secondo lo scrittore romano Plinio pare che gli antichi Druidi raccogliessero questa pianta con un falcetto d'oro, strumento che univa la forma lunare al metallo solare. I rami di vischio al Solstizio d'Estate assumono un aspetto dorato, il famoso Ramo d'Oro dei miti.
Il sambuco tagliato la vigilia del Solstizio, sanguina nelle leggende britanniche.
Il seme di felce permetteva di trovare tesori nascosti, mentre il leggendario fiore di felce (che non esiste, al pari del seme, in quanto la felce è una pianta pteridofita, cioè che si riproduce tramite spore) rendeva invisibili i suoi fortunati raccoglitori.
In tutti i paesi europei si raccolgono erbe ritenendole impregnate di miracolose virtù: la verbena porta prosperità, mentre l'artemisia sacra ad Artemide sorella di Apollo, protegge dal malocchio.
Si riteneva in particolare che l'energia solare si raccogliesse in fiori come la calendula o l'iperico, la miracolosa "erba di San Giovanni".
Proprio tutte queste virtù magiche che terapeutiche attribuite alle piante, spiegano l'abbondare di leggende riguardanti coloro che più di ogni altra persona conoscevano le erbe magiche: le streghe.
L'usanza antica di certe donne di recarsi nude a raccogliere erbe ricorda antichi riti in cui le donne andavano nude nei campi per propiziare il raccolto, spesso danzando. Forse dietro le storie dei raduni di incantatrici e di fattucchiere nella notte di mezza estate, si cela anche il ricordo dei riti solstiziali celtico-germanici intorno ad un albero (il noce di Benevento!) o delle feste licenziose in onore della dea Fortuna nell'antica Roma che si tenevano appunto il 24 giugno: ricchi e poveri, liberi e schiavi, accorreva ai templi, banchettava e danzava.
Fortuna è la Dea della casualità assoluta, del caos benefico e rigeneratore. La somiglianza di queste feste con i Saturnali del Solstizio d'Inverno fanno del Solstizio Estivo una sorta di capodanno o di carnevale, un periodo "caotico" in cui il cosmo si rinnova e si ricrea, con conseguente rimescolamento dei ruoli sociali e capovolgimento delle norme morali. In questo benefico caos assumono rilievo i due elementi primordiali del fuoco e dell'acqua, contrapposti ma pur sempre complementari, dove il primo simboleggia i poteri della divinità maschile e la seconda quelli della divinità femminile (o, se si preferisce il Sole e la Luna).
L'acqua del Solstizio è direttamente collegata alla luna e al segno del Cancro: significativamente il glifo di questo segno zodiacale è composto da due segni spiraliformi che si oppongono in un simbolo simile allo Yin-Yang orientale, forse indicanti le due metà dell'anno che ora si incontrano.
Nelle celebrazioni solstiziali l'acqua è rappresentata dalla rugiada o "guazza di San Giovanni", cui sono attribuiti poteri miracolosi: fare ricrescere i capelli, ringiovanire la pelle o addirittura propiziare la fertilità. Non era raro che molte giovani donne si bagnassero nude nei prati con la magica rugiada la notte di San Giovanni.
Il fuoco viene simboleggiato dai falò accesi un po' ovunque in Europa nella notte solstiziale. Sono simboli solari e accenderli significa rafforzare l'energia dell'astro che d'ora in avanti va declinando. Un'altra interpretazione esalta il loro valore purificatorio, con cui vengono scacciati gli spiriti maligni e le malattie. Non bisogna dimenticare infatti che in questo periodo caotico, di "passaggio", così come gli esseri umani hanno libero accesso a regni e poteri soprannaturali, così anche le entità malefiche possono vagare indisturbate per il nostro mondo.
Nel folklore nord-europeo la vigilia di San Giovanni è una delle tre "notti degli spiriti" insieme alle vigilie di Calendimaggio e di Hallowee'en/Samhain. Ad ogni modo tutte le tradizioni popolari europee vedono l'accensione di fuochi sulle colline, processioni notturne con fiaccole e ruote infuocate gettate lungo i pendii.
Si danza intorno ai falò e si salta sulle fiamme quando queste si abbassano.
In Scandinavia il falò del Solstizio era il "fuoco di Baldur". Baldur, figlio di Odino, era il giovane dio che veniva ucciso nel fiore degli anni e probabilmente nell'antichità si sacrificavano uomini per rappresentarne la morte. Forse Baldur era uno spirito della vegetazione, lo spirito della quercia celebrato da alcuni miti nordici e celtici. Infatti, le leggende narrano di una lotta eterna tra due opposte divinità, il Re della Quercia e il Re dell'Agrifoglio, dove il primo rappresenta il Dio dell'anno crescente (cioè della metà dell'anno in cui la luce solare prevale sulle tenebre notturne) e il secondo raffigura il Dio dell'anno calante (la metà dell'anno in cui la notte prevale sul giorno).
Se in inverno era il Re dell'Agrifoglio a soccombere, a Litha-Casmaran era il Re della Quercia a dover cedere di fronte all'avversario. E questo spiega perche i fuochi solstiziali erano alimentati con legno di quercia... la quercia fiorisce intorno a Casmaran e segna il passaggio tra anno crescente e anno calante.
La morte estiva del Re della Quercia aveva varie forme: bruciato vivo, accecato con un ramo di vischio o crocifisso su una croce a T.
L'idea di due divinità o di due re che combattono eternamente tra loro appare in molte culture. Ma se nelle mitologie più antiche il signore abbattuto risorgeva ogni anno, in modo che la luce e l'oscurità regnassero in equilibrio tra loro, in tutti questi miti più tardi, probabilmente per influenza dei culti solari legati alla regalità, la vittoria dei personaggi "luminosi" è sempre definitiva e la morte di quelli “oscuri” senza appello.
Nelle leggende riguardanti il duello eterno dei due re appare spesso una figura femminile che rappresenta la Dea, la quale non combatte, non si schiera e non soccombe ma costituisce un perno immobile tra le due figure, simbolo della Morte in Vita.
Infatti, anche se ora la terra è esuberante nella sua fertilità, è pur sempre uno zenith transitorio in cui la Natura presiede alla morte del Re della Quercia e all'insediamento del suo oscuro ma necessario gemello.
Litha (dal nome della dea sassone del grano affine a Demetra e a Cerere ) rappresenta anche il ciclo agricolo incentrato sui cereali. Nelle Isole Britanniche questo ciclo venne narrato nella storia di John Barleycorn (lo spirito dell'orzo) che vive dalla semina fino al momento della sua morte ad opera della falce, ma che poi rinasce dal suo stesso seme, in un ciclo senza fine ma con momenti ben definiti, caratterizzati da celebrazioni rituali. In questo ciclo il Dio muore e discende agli inferi dove la Dea della Terra lo soccorre e lo fa rinascere.
Litha non è una festa di carattere esclusivamente maschile: nella celebrazione del Solstizio d'Estate è uso onorare sia il Dio che la Dea.
Pare che in questo periodo i culti relativi alla Dea Diana, divinità strettamente legata alla luna, entrassero in grande fermento. Ad essa ed alle altre dee lunari era associata infatti la famosa rugiada che si raccoglieva all'alba del Solstizio d'Estate, liquido dalle grandi proprietà magiche.
http://www.ilcerchiodellaluna.it/central_Ruo_Litha02.htm
lunedì 20 giugno 2011
“La resistenza pellerossa” Conferenza, sabato 25 giugno (ROMA)
Il 25 giugno del 1876 vicino al torrente Little Bighorn, nel territorio della Montana, una coalizione di guerrieri provenienti da diverse tribù indiane conseguì una schiacciante vittoria nei confronti del Settimo Reggimento di Cavalleria degli Stati Uniti. L’evento è oggi conosciuto come Battaglia di Little Bighorn e costituisce l’espressione più celebre della tenace resistenza che i popoli pellerossa attuarono militarmente nei confronti degli usurpatori delle proprie terre.
Nella ricorrenza di quell’evento celebreremo, grazie alle testimonianze di Tiziana Malagò (Comitato Leonard Peltier), la dignità di un popolo, quale è quello pellerossa, che, sebbene vinto dalla storia, lotta tutt’oggi per affermare la propria identità profonda. Il Prof. Roberto Mancini (docente liceale di storia e filosofia) ci spiegherà come i “civilizzatori” che oppressero gli indiani in America, nel corso della storia ed ancora oggi, anche mediante altri mezzi ma con le medesime aspirazioni egemoniche, perseguano lo scopo di conquistare il pianeta.
L’urlo di battaglia dakota “Hoka Hey” risuoni nelle orecchie dei contemporanei, oggi impegnati ad occuparsi dei diritti individuali, come un incoraggiamento a perseguire invece la causa dei diritti dei popoli quale unico antidoto per allentare la presa soffocante che il mondialismo esercita nei confronti delle culture specifiche al fine di omologarle.
http://associazioneculturalezenit.wordpress.com/2011/06/20/la-resistenza-pellerossa-conferenza-sabato-25-giugno/
mercoledì 15 giugno 2011
martedì 14 giugno 2011
Referendum: ha vinto il SI per dire NO.
Ora, però, bisogna indignarsi anche per le centrali nucleari militari che “ospitiamo” nel nostro paese.
(ASI) La notizia che si aspettava era solamente quella relativa all’affluenza del popolo alle urne. Il risultato è arrivato – dopo i numeri positivi proiettati nella giornata di ieri – il dato che ci viene fornito è che più del 57% degli italiani aventi diritto al voto si sono recati alle urne. Il quorum è stato raggiunto con la nettissima prevalenza dei “SI”. La gente con la numerosa partecipazione al voto ha anche manifestato il proprio sdegno per il tentativo di privatizzazione dell’acqua e per la scelta del nucleare nel nostro paese. E’ stata la vittoria dell’istituto del referendum, ossia, di uno strumento di democrazia diretta e partecipativa. Un messaggio politico chiaro e forte. La volontà di voltare pagina ed inaugurare una nuova stagione di riforme è stata più forte della grande disaffezione al voto ed ha ricoinvolto i cittadini nella scelte politiche fondamentali. Una spinta importante che ha fatto prevalere il senso civico dei cittadini nonostante l’iniquo silenzio e la disinformazione fatta dai maggiori media di massa nazionali sui quattro quesiti del referendum. Un’informazione ipercinetica del nostro tempo mirata a plasmare le menti ai voleri del potere. Sebbene la “pubblicizzazione” dei contenuti referendari fosse avvenuta solo negli ultimi giorni, questo condizionamento non è riuscito a minare il giudizio del popolo che è tornato a far sentire la propria volontà sulle questioni rilevanti. Nessun partito deve strumentalizzare il risultato. Le dichiarazioni dei politici dell’opposizione che stanno provando – nella stessa stregua dell’informazione mainstream – di arrogarsi il merito la vittoria del “SI” come se fosse un successo della politica anti-berlusconiana, non stanno cogliendo il senso ultimo del significato e i grandi cambiamenti che stanno avvenendo nel mondo. I partiti presenti in parlamento della presunta “destra” e “sinistra” non possono assolutamente permettersi di privatizzare nulla dei beni essenziali per l’uomo che al contrario appartengono al patrimonio dell’intera umanità. Tantomeno l’acqua. Bisognerà immediatamente smettere d’importare energia nucleare dagli altri paesi – cosa che facciamo più per interesse dei potentati economici che per reale necessità – e pensare a come incrementare le energie naturali e rinnovabili per diventare indipendenti ed, ergo, davvero sovrani. E non basta. Bisognerà essere vigili davanti ai politici che ora dicono di essere per l’acqua del popolo e contro le centrali nucleari. Nessuno scandalo dei politici di governo e d’opposizione si è avuto oggi, quando, mentre si aspettava il quorum del referendum, nelle coste napoletane, è stata inaugurata una portaerei nucleare “made in usa” in onore di George Bush Senior. Una portaerei che è un enorme macchina da guerra di ben trecentotrenta metri di lunghezza che ha a bordo seimila uomini, cinquantasei aerei, quindici elicotteri ed è fornita di due reattori nucleari ad acqua pressurizzata. Dopo le “x” su una scheda elettorale, bisognerebbe indignarsi anche per le centrali nucleari militari che “ospitiamo” nel nostro paese. Potrebbe esserci bisogno di “lotte” popolari. E il popolo unito, come – in parte - è stato dimostrato anche oggi, può davvero cambiare le cose. Bisogna essere pronti e non cullarsi sull’illusione di una vittoria appena raggiunta.
http://www.agenziastampaitalia.it/index.php?option=com_content&view=article&id=3916:referendum-ha-vinto-il-si-per-dire-no&catid=4:politica-nazionale&Itemid=34
Operazione internet invisibile.
L'Amministrazione Americana esce allo scoperto e annuncia ufficialmente di aver dato il via ad un piano di investimenti pari a 50 milioni di dollari per fornire strumenti informatici che possano contrastare le censure preventive dei 'Governi dittatoriali'. Si tratta di qualcosa che Obama ha definito 'internet invisibile', che abbiamo già visto in azione con l'incendio del Nord Africa, in Siria e nella stessa Italia. Gli Stati Uniti, che hanno forse solo apparentemente contrastato il progetto di WikiLeaks, si fanno oggi promotori di quei progetti e di quei movimenti che nascono sul web e che hanno come scopo quello di rovesciare i Governi. Questo tipo di operazione è stata denunciata dal fondatore della Etleboro oltre sette anni fa, parlando di 'Crimine Invisibile', divenuto oggi una realtà di cui hanno preso atto sempre più Governi. "Le operazioni di internet invisibile non sono altro che azioni che vengono fatte in ambito Nato, e dunque sferrate anche contro Paesi alleati, e la grande stranezza è che questo avviene ormai da sei anni", afferma Michele Altamura, Direttore dell'Osservatorio Italiano. Spiega così che i tanti forum che nascono per caso, come il 'Popolo Viola', 'Le forchette rotte', le stesse 'rivoluzioni dello yougurt' e tante altre associazioni, sono delle macchinazioni di queste sottospecie di 'internet ombra'."I Paesi dei Balcani sono un vespaio di ONG e movimenti che fomentano il rovesciamo dei Governi, come avvenuto in Croazia, in Serbia, poi in Montenegro ed ora in Bosnia", afferma Altamura.
"Si tratta di una trovata dei contractor della CIA per spillare soldi al governo americano e gestire blogger in giro per il mondo. In Facebook e in Twitter esistono molte identità sintetiche, cioè create artificialmente, che commentano e sono i più accaniti, fomentando false tesi e incoraggiando piccoli assembramenti di persone. Il tipo di personaggi che cercano sono della classe medio bassa, ha uno specifico target di persone da colpire. Fasce deboli che sono affette dalla 'Internet addiction disorder'. Si parla di democrazia partecipata e di rivoluzioni democratiche, ma bisogna stare attenti, perchè dietro di loro vi è un crimine invisibile", osserva. Barak Obama ha confermato quello che la Etleboro ha detto 7 anni fa, e che costituisce il concetto di fondo della Etleboro, che ha di fatti scoperto la grande truffa mediatica informatica avuta inizio con Al Qaeda, esasperata poi con le speculazioni e le oscillazioni dei sistemi telematici della Borse. "Per capire cosa si nasconde dietro tali sistemi, basta pensare che euro e dollaro sopravvivono solo grazie alla fiducia, perchè non hanno nessun controvalore. La democrazia stessa si basa sulla fiducia, per cui i processi mediatici contro la classe politica costituiscono il prodotto interno lordo di questa specie democrazia: se cade questo sistema, scompariranno gli Stati come oggi noi li conosciamo", conclude.
Da: http://etleboro.blogspot.com/2011/06/operazione-internet-invisibile.html
lunedì 13 giugno 2011
Gli italiani hanno detto NO al nucleare e all’acqua merce.
Finalmente quella che era solo una sensazione si è tramutata in realtà. Nonostante lo spostamento a giugno dei referendum, rifiutando l’accorpamento con le elezioni amministrative di qualche settimana fa, nonostantele manovre messe in campo dal governo per dissuadere la gente dall’andare alle urne, ritirando scorrettamente una legge oggetto della contesa referendaria, nonostante alchimie ed ostruzionismi assortiti, il quorum è stato abbondantemente superato ed il numero dei votanti si è assestato intorno al 57%.
Poco importa se ilvalore giuridico della consultazione può ritenersi relativo, così come poco importa se fra coloro che festeggiano, dopo essere saliti sul carro del vincitore, c’è un ampio bestiario politico che da sempre offre la sponda tanto alla lobby dell’atomo quanto alla mercificazione dei beni comuni.
Quello che conta è il messaggio politico adamantino che gli italiani hanno inteso mandare recandosi in massa alle urne, in barba a tutti i tentativi di dissuaderli. No alla reintroduzione in Italia delle centrali nucleari, già bocciate nel 1987 e NO alla trasformazione dell’acqua in una merce, da vendere “a barili” come il petrolio…
Un messaggio politico che in futuro, tutti i governi di qualsivoglia colore che si avvicenderanno alla guida di questo disgraziato paese, dovranno tenere in debito conto, a prescindere da quali siano le direttive dei grandi poteri che tirano le loro fila.
Passato il momento dell’euforia e della genuina soddisfazione, che deve accompagnarsi alla constatazione di come il popolo italiano ancora possieda una sensibilità ambientale ed un senso di ripulsa nei confronti del disegno di mercificazione di tutto l’esistente, arriverà il momento di capitalizzare questo risultato.
Non in termini elettorali e di visibilità politica, come tanti partiti già stanno facendo, ma gettando le basi per una battaglia popolare che partendo dal basso, ponga le basi affinché il bene acqua venga gestito nel migliore dei modi a beneficio di tutti e le centrali nucleari rimangano quel dinosauro che un po’ tutti gli altri paesi stanno cacciando fuori dall'Europa.
Insomma c’è molto lavoro da fare, e l’entusiasmo che deriva da un risultato andato oltre le migliori aspettative, dovrebbe aiutare a lavorare serenamente e proficuamente sulla strada che il voto degli italiani ha tracciato con chiarezza.
Di Marco Cedolin, http://ilcorrosivo.blogspot.com/2011/06/gli-italiani-hanno-detto-no-al-nucleare.html
domenica 12 giugno 2011
In morte di un collega.
"Un suicidio che non è un suicidio, l'omicidio di una prostituta, un tecnico informatico in guerra con il mondo, una cura contro l'Aids che fa bene solo alle finanze di una multinazionale, un incidente in auto che non è un incidente. Fra romanzo d'autore e medical thiller, periferie post-moderne e librerie della vecchia Firenze, la storia di un uomo e di una donna in lotta contro l'ingiustizia e il destino. Ambientato tra Firenze, Prato, Sesto Fiorentino e Bologna. Fabrizio Rinaldini, fiorentino, è nato 55 anni or sono. Dopo una lunga disavventura giudiziaria che gli ha permesso di assaporare l'equanimità dell'italica legge, un matrimonio durato poco e finito male, qualche anno trascorso in Africa e in America del sud per lavoro, molte amicizie sbagliate e poche "fratellanze" vere e proprie, più di un legame sentimentale finito peggio del matrimonio, ha deciso che la cosa più divertente di tutte era scrivere. Così scrive, frequenta archivi e biblioteche per ricerche improbabili, e lavora come sistemista informatico per una multinazionale francese. Vive ancora nel contado fiorentino e non cambierebbe Badia a Settimo neppure con un attico a Manhattan con vista sull'Hudson, mantiene vivi i legami con la propria comunità ideale, ama i gatti, la birra Weisse, i Pink Floyd, Shakespeare, l'irraggiungibile Céline e Non, je ne regrette rien di Edith Piaf." Oltre a queste poche note trovate sul sito della libreria fiorentina che ospiterà la presentazione del libro posso personalmente testimoniare due cose: le ricerche di Fabrizio nelle biblioteche non sono affatto improbabili ma serie, precise e, per i miei gusti, molto interessanti. Il libro, che ho avuto la fortuna di leggere in anteprima grazie alla cortesia dell'autore, è assolutamente imperdibile. Una storia avvincente che ti cattura dalla prima all'ultima pagina, una comunità di riferimento e un mondo di valori che ci è familiare: "Ogni tanto Gloria gli chiedeva 'Chi è quello?' o 'E quello?', indicando un poster o una foto. E lui le rispondeva, cercando di riassumerle in poche frasi le vite, tragiche e meravigliose, di Codreanu, di Szalasi, di Josè Antonio Primo de Rivera, di Evita Peron, di Drieu, di Pavolini, di Darnand e di tanti altri. Si dilungò solo su Céline di cui lei aveva letto il Voyage, la foto lo ritraeva ormai vecchio, pochi mesi prima della morte, seduto col gatto Bebért sulle ginocchia. Le raccontò del suo lavoro come medico dei poveri nella banlieu parigina, gli ultimi anni, delle sue donne, della fuga da Parigi, della condanna. 'Sai tutto di lui' gli disse con ammirazione. 'Molte cose... il maledetto Louis-Ferdinand è stato uno dei più grandi del Novecento'". Se questo fosse un paese normale Fabrizio sarebbe uno scrittore famoso e In morte di un collega un clamoroso successo editoriale. Ne consiglio a tutti acquisto ed attenta lettura. Per una volta, in mezzo a tanta spazzatura editoriale, denaro ben speso. Harm Wulf
Fabrizio Rinaldini In morte di un collega Sassoscritto editore, 2011
collana Topazio, Firenze, 2011, 304 pagine, 13,50 euro. Richiedere a:
Sassoscritto S.r.l.Via Masaccio n. 176 - 50132 - Firenze tel. 055 5535179 cell. 3343204757
http://www.sassoscrittoeditore.it/
La Russia annuncia: contrari a qualsiasi risoluzione contro la Siria.
(ASI) Il portavoce degli esteri della Russia, Alexander Lukashevich, ha dichiarato che il suo Paese si opporrà con decisione a qualunque risoluzione Onu contro la Siria, alimentando così la minaccia di veto nei confronti della bozza di risoluzione, appoggiata da Gran Bretagna, Francia, Germania e Portogallo, con la quale viene condannata la repressione delle proteste da parte di Damasco. Lukashevich ha motivato con queste parole la decisione: "Non crediamo che la questione siriana sia da sottoporre al Consiglio di Sicurezza, tanto meno l'adozione di un qualche tipo di risoluzione. La situazione in Siria, a nostro modo di vedere, non rappresenta una minaccia per la pace e la sicurezza internazionale". Il portavoce russo ha concluso sostenedo che la situazione debba essere risolta dai siriani stessi e non da potenze esterne.
http://www.agenziastampaitalia.it/index.php?option=com_content&view=article&id=3903%3Ala-russia-annuncia-contrari-a-qualsiasi-risoluzione-contro-la-siria&catid=15%3Aestere&Itemid=40