Lei ha dichiarato di essere diventato fascista nonostante il Duce e dopo il fascismo?
Mi fecero diventare fascista a furia di calci e di botte, dopo la guerra, quando avevo tredici anni.
Guardi io non mi inginocchio di fronte al Nazareno, ma sulla tomba del sergente maggiore Guido Minardi, ogni venticinque maggio.
Fu un assassinio avvenuto a tradimento, lo stesso giorno della morte di Mussolini; nella terminologia ufficiale si chiama la fine della guerra e l’inizio della Liberazione, quando cioè i vinti avrebbero dovuto avere salva la vita.
Il fatto fondamentale è che invece non c’è nella storia una separazione tra l’una e l’altra. Come sono da considerarsi i massacri e le atrocità nei confronti del vinto? Vergogne che ancora si ripetono e che vengono proclamate azioni di guerra, come ancora l’anno scorso ha deciso la corte d’appello di Firenze nel caso Gentile.
Questo libro vuole respingere la legittimità di proclamare non punibili azioni di guerra quelli che sono stati assassinii e lo restano.
Quando La Russa ha dichiarato che oggi stiamo arrivando alla condivisione, che vuol dire l’identificazione di un popolo in una sola versione, mi sono detto che bisognava rifare tutto, che occorreva spiegare agli italiani che la dignità e l’onestà nazionale non si conciliano con la legislazione attuale.
Poiché questa Costituzione nasce dalla resistenza?
Certo! Noi siamo un popolo che cerca di dimenticare non un morto o due di un terrorismo, figlio legittimo di tutte le Armate Rosse. Parliamo di decine di migliaia di morti non conteggiati, che non fanno parte delle statistiche, che non entrano nell’elenco dei caduti della Repubblica Sociale; mancano all’appello almeno cinquanta mila caduti, miratamente cancellati.
Come si fa a rovesciare questa ingiustizia?
Appunto,come si fa? Ho scritto Dalla parte dei vinti per far nascere negli italiani la vergogna di se stessi. A me non interessa colpire Mussolini, che decise di entrare in guerra; a parte il fatto che il re Vittorio Emanuele II secondo fremeva perché l’Italia entrasse in guerra, vedeva la Germania vincere e Mussolini gli appariva un esitante imbecille. Non può una Repubblica adagiarsi sul letto sciagurato e insultato di migliaia e migliaia di morti senza appello.
Certamente la Repubblica francese è molto peggio della nostra: usa come inno la Marsigliese, che è un inno criminale.
Non si possono educare le generazioni dimenticando; eppure tutti contano sulla dimenticanza di misfatti che il passare del tempo insabbia.
Questo non è un libro di memorie, ma della memoria?
E’ da consegnare ai giovani italiani perché imparino l’onore e la dignità militare che i partigiani non hanno mai avuto e mai saputo. Si dovrebbe recuperare questo senso dell’onore nazionale che non c’è e mi permetto di richiamare il presidente della Repubblica - già noto per le sue tenerezze di Budapest - dichiarando che la dignità e l’onore dell’Italia non sono soltanto dei terroristi, ma di tutta quella gente trattata da ignota. Non ha senso civile una Repubblica che nasca da una montagna di morti di cui la legge dice che sono stati assassinati giustamente.
Non ha quindi senso parlare di unità d’Italia?
Esattamente, e come si potrebbe mai quando non si riconosce ai vinti l’aver subito la delinquenza perfida, patologica, abnorme che noi stiamo vivendo sulla nostra memoria, che è figlia del sadismo e dell’arte di far male propri alla resistenza? Non c’è mai stato un momento leale di riconciliazione perché non c’è mai stato un momento di riconoscimento. Il nostro tricolore è la brutta copia di quella schifezza che è il tricolore francese.
La ricostruzione economica dell’Europa ha significato la sua demolizione spirituale?
La decadenza spirituale è stata quasi unicamente un influsso americano. Ma non bisogna parlare troppo d’Europa: è un’invenzione postuma degli intellettuali per la quale mai nessuno ha agito in suo nome; è stata una speranza, un’invocazione perduta.
Essa ha sempre fatto la guerra con se stessa, non ha mai avuto un’anima sola, o meglio ha avuto un’anima falsa, il Cristianesimo. L’Europa. Questa è l’Europa: Carlo Magno, Napoleone e Hitler; sono le tre volte nella storia in cui le forze militari si sono convogliate verso uno scopo. Oppure è una realtà geografica.
Lei crede che la nostra storia, così com’è stata e non per come la raccontano, finirà mai in maniera credibile sui testi scolastici?
Mai, perché non avremo mai un popolo né una classe dirigente. Tutto ciò che siamo è destinato a esaurirsi entro breve. Nelle scuole ci vorrebbero duecento tipi come me che combattessero questa battaglia tutti i giorni, avendo a disposizione gli strumenti che io non ho mai avuto. Ma non vale la pena per questi italiani.
E poi queste cose non si pensa di farle a quarant’anni quando avresti l’energia, ma a settanta, quando si acquista la maturità della visione, che vuol dire riuscire ad accettare o a scartare un problema in due ore invece che in due anni.
Un uomo è maturo quando si mette di fronte a un sì o a un no. E’ il tempo che passa che guida le nostre vita, null’altro. I giovani, compresi i più valenti, non sentono più questa esigenza di scavare e di mettere in luce. Certo, bisognerebbe ricominciare e rifare, ma poi da dove? Tutto quello che resta in Italia resta al macero, questo è il destino che gli spetta.
Dipende dal carattere degli Italiani, immagino
Gli Italiani non sono capaci di mantenere un proposito, di studiarlo, di definirlo. Mussolini per primo, insieme ai suoi collaboratori, che - esclusi pochissimi - erano come la classe dirigente che ci ritroviamo oggi, anche se un po’ più educata, usava ancora, ai tempi.
Il grande ministro Bottai non spese una parola contro le leggi razziali e né Marconi né D’annunzio ebbero la presenza e l’onesta di dire al duce che stava facendo una follia.
Nessuno dei capi fascisti ebbe il coraggio di indicare o di deviare Mussolini. Così è la razza. L’Italia non è neanche un’ambizione di poeti, ma di letterati. Massimo d’Azeglio sapeva bene cosa volesse dire fare gli italiani, cioè fare l’educazione, le buone maniere, l’onestà, il coraggio, la disciplina.
Nessuno ha fatto gli Italiani; Mussolini ci ha provato, ma si stufava, cambiava oggetto, cambiava uomini giungendo a un nulla di fatto.
I moderati sono peggiori però degli estremisti?
(Prende carta e penna e scrive - secondo un’equazione filosofica - moderazione = avere paura di tutto)
Il moderato si mette sempre nelle condizioni di non dover mai compromettere la pelle. E’ colui che non vuole offendere l’educazione degli altri, che non vuole cambiare la cultura e che quindi resta a mezzo in tutto e non è nulla.
La paura lo fa scappare e quando non può allora cambia le proprie affermazioni e posizioni. I moderati sono gli artisti dell’arte di corrompere le proprie parole e, per confermarle di non averle mai dette, smettono di pensarle. Sono terribili!
Di Fiorenza Licitra, www.rinascita.eu
venerdì 2 luglio 2010
Buscaroli: un fascista tardivo.
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