venerdì 30 luglio 2010

Il fallimento della civiltà tecnologica.


Progresso, da pro-gredi, significa andare avanti. Ma avanti non significa niente, se non si stabilisce in quale direzione. Senza una direzione prestabilita, qualsiasi spostamento è “in avanti”, anche quello proverbiale dei gamberi. E il difetto del progresso umano (concetto recente, che non ha ancora quattro secoli) è stato proprio quello di andare “avanti” con grande entusiasmo, senza affatto chiedersi quale fosse la direzione giusta. Neppure il grossolano criterio dell’ “aumento”, è un criterio accettabile. Anche il cancro, aumenta, e il suo maligno aumentare lo rende letale. C’è veramente da chiedersi come una concezione così vacua come quella progressista, del tutto ignota agli antichi Maestri, abbia potuto prendere piede tra esseri raziocinanti, come gli uomini “sapiens” si piccano di essere. E, a rifletterci un momento, ci si rende conti che la relativa mentalità non è stata che l’arbitraria generalizzazione dell’indubbio progresso tecnologico. E’ l’unico per cui non si possano avere dubbi, perché quello, la direzione, ce l’ha avuta. E, purtroppo, è stata quella dettata, non dalle forze attive che esaltano il valore dell’Uomo, ma dalle debolezze che lo deprimono. E’ stata la ricerca di diminuire lo sforzo e la fatica, di evitare il pericolo, di esigere minore allenamento e abilità, di ottenere risultati sempre maggiori di quelli necessari, di procurarsi comodità e godimenti, infine di dominare e saccheggiare la natura, anziché inserirsi in essa, come si era sempre fatto. Grazie al progresso tecnologico, si è passati, con ritmo costantemente accelerato, dalle amigdale e dai raschietti di pietra, ottenuti con pochi abili colpi da un sasso qualunque, alle sbalorditive possibilità di cui dispone l’uomo attuale. Una meraviglia! Macché! Non risulta affatto che oggi la gente sia neanche un briciolo più felice o sicura, o soddisfatta di quando cacciava, a piedi, i Mammut. Anzi, a sentirli, pare che siano tutti oppressi, defraudati, bistrattati. Soprattutto nei paesi più “progrediti”, uno che si dichiari contento del proprio stato è un’autentica mosca bianca. Insomma, pare proprio che, ad onta dei suoi infiniti ed ingegnosissimi ammennicoli, il progresso tecnologico abbia raggiunto tutto, fuorché il fine che si proponeva.
E non poteva essere altrimenti, perché la causa del fallimento è stata insita nella natura stessa di quel tipo di progresso. Sostituendo infatti esso, capacità umane con sostituti meccanici, ed essendo questi ultimi fabbricabili e acquistabili solo con quantità ingenti di denaro, il progresso tecnologico fu, come è
ben noto, padre del capitalismo, che a sua volta assecondò al massimo il primo. Il capitalismo tende inevitabilmente a trasformarsi in plutocrazia, e cioè il potere economico a divenire potere politico. E le autentiche capacità umane, atrofizzandosi per difetto di esercizio, sono sempre meno in grado di opporvisi.
Non occorre aggiungere verbo ai tanti già detti e scritti, da noi e da altri migliori di noi, anche su queste colonne, per illustrare le turpi conseguenze di ogni genere che la plutocrazia egemone ha apportato all’Italia e al mondo. Esse sono tali e così palesi, che i popoli stessi dovrebbero sollevarsi e far giustizia dei plutocrati e dei loro scherani che succhiano il loro sangue.
Ma ciò è impossibile. Era ancora possibile, in casi estremi, un secolo addietro; ora non lo è più. I popoli sono stati posti nell’impossibilità di difendersi. E che cosa determina tale impotenza? La risposta è orribile: proprio la tecnologia!
Nata nell’illusione di giovare, la tecnologia si è infatti trasformata nel più tremendo nemico dell’umanità, nella maggiore alleata dei suoi distruttori, sotto due principali aspetti:
Intanto, la naturale capacità delle persone di comunicare tra loro, sancita dalla natura, era quella giusta. Aumentandola a dismisura, fino all’attuale generalizzazione delle comunicazioni via etere, è diventata la possibilità, per i soliti plutocrati, di compiere, per i propri squallidi fini, il lavaggio del cervello di massa, privando i popoli persino del rozzo buon senso e dell’esperienza che poteva guidarli.
E poi, la tecnologia delle armi distruttive, che, da semplici “prolungamenti” del braccio del guerriero, accessori della forza e del valore di esso, le ha trasformate in calamità orrende, capaci di distruggere la terra, ma azionabili da qualsiasi lardoso vigliacco, ha concesso agli stessi controllori del denaro la licenza di consumare i soprusi internazionali più infami e smaccati, ridendosela delle ridicole “regole” da loro stessi fatte approvare per paralizzare i ribelli.
Tali armi - si è osservato - non possono però essere usate all’interno, contro le proprie stesse folle. Macché!
Il “progresso tecnologico” ha provveduto anche a quello, la gente comune non sa neppure a che punto. Le cosiddette “armi non letali”, sviluppate soprattutto dalla ricerca e dall’industria Usa non hanno alcuna finalità umanitaria: la finalità è di servire anche “per uso interno”. Si va dalla pistola elettrica (taser) alle super-colle lanciate ad aria complessa, che solidificano in pochi secondi bloccando ogni movimento della vittima. Esiste un VLAD (Vehicle Lichtweight Arresting Device) capace di bloccare a distanza ogni veicolo e un ADS (Active Denial System) che può bloccare col c.d. Pan Ray ,ogni persona. Con laser portatili si può accecare temporaneamente chiunque, e con ultrasuoni si è in grado di sconvolgere certe funzioni interne degli organismi. Con radiazioni elettromagnetiche si provoca epilessia, e con le basse frequenze si può agire sui cervelli, facendo loro produrre istamina, con immediato effetto letargico. Da tale incompleta enumerazione, si avrà facilmente idea che non vi è azione di folle, per quanto numerose, disperate ed arrabbiate, che non possa essere spenta senza alcuna fatica dalla casta padrona, che comanda a bacchetta legislatori, poliziotti e persino giudici. E gli studi di altre e più efficaci tecniche continuano a fervere, inutile a dire finanziate da chi. E’ davvero difficile (ed esorbita dai fini di questo articolo ), ipotizzare se e come sia possibile salvarci dal mostro impazzito del progresso tecnologico. Ma, certo, il primo passo non può essere che guarire i più consapevoli, e cioè quelli che, come noi, hanno sviluppato una vera allergia verso questo “mondo moderno”, da qualsiasi forma di progressismo.
Alludiamo qui a coloro che sognano i vantaggi che la tecnologia potrebbe apportare, se impiegata rettamente nell’interesse dell’umanità. E’ un indirizzo di pensiero assai pericoloso.
In teoria, sarebbe possibile, ma il mondo non è mai proceduto in teoria. La carenza di tutte le teorie consiste nella tendenza a considerare un fattore, ignorando gli altri, mentre i fattori di un qualsiasi fenomeno sono sempre molteplici. E - considerando, come ci siamo sforzati di fare, i diversi moventi del progresso tecnologico - abbiamo visto come la sua distorsione contro l’Uomo e contro la Terra non sia stato un “inconveniente”, ma il suo inevitabile destino, inseparabile dalla sua natura blasfema. Tecnologia buona e tecnologia cattiva non sono separabili, e quella cattiva neutralizza quella buona, come accade - si dice - per le monete.
La lungimiranza degli antichi incatenò Prometeo alla rupe, con un’aquila a divorargli il fegato. Che non sorga una buona volta un’aquila anche a straziare la Tecnologia ?

Di Rutilio Sermonti

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giovedì 29 luglio 2010

LE FOYER DU SOLDAT.





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- Il regno perduto.
Appunti sul simbolismo tradizionale della montagna.Edizioni di Ar. - € 12,00
- L'enigma sociale. - Edizioni di Ar - € 14,00
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Vol. 1-2-3 - Edizioni di Ar - € 12,00 - € 10.00 - € 10,00
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- Il disastro di una nazione.
Saccheggio dell’Italia e globalizzazione.
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- Johann Andreas Eisenmenger. Giudaismo Svelato. – Edizioni di Ar - € 16,00
- Rutilio Sermonti. Omaggio alla R.S.I. – Controcorrente - € 10,00
- Cristina Di Giorgi. Note Alternative. – Edizioni Trecento - € 15,00
- Valerio Cutonilli. Bologna 2 Agosto 1980.
STRAGE ALL'ITALIANA.
– Edizioni Trecento - € 20,00
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Nisticò U.. Prontuario oscurantista. – Edizioni di Ar - €  16,00
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- Blondet Maurizio. Stare con putin? – Edizioni Effedieffe - € 22,00
- Sonia Michelacci. Il comunismo gerarchico.– Edizioni di Ar - € 20,00



 



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La Commissione europea autorizza altri mais Ogm.


La Commissione europea non perde occasione per dimostrare di fottersene dei produttori agricoli e di essere invece al servizio delle multinazionali che mischiano la chimica e l’ingegneria genetica nei cibi che direttamente o indirettamente arrivano sulle nostre tavole. Ieri Bruxelles ha dato l’autorizzazione all’importazione e all’utilizzo per fini alimentari di 5 nuovi tipi di mais transgenico e allo stesso tempo ha rinnovato l’utilizzo di un altro tipo di mais Ogm che si avviava alla scadenza.
La validità della autorizzazione è di dieci anni, un periodo più che sufficiente per permettere ai sei tipi di mais fatti in laboratorio di contaminare le coltivazioni di tipo naturale. Appare in ogni caso significativo che la decisione della Commissione sia arrivata dopo meno di due settimane da quell’altro provvedimento che ha lasciato agli Stati membri la libertà di decidere se autorizzare o meno la coltivazione degli Ogm sul proprio territorio.
I cinque nuovi tipi di mais autorizzati e quello rinnovato sono distribuiti in maniera equanime tra tre produttori, uno dei quali è ovviamente la Monsanto. Questi sono il 1507 e il 59122 della Pioneer, il Mon88017 e il Mon8903 appunto della Monsanto, e il Bt11xGa21 della Syngenta. Il rinnovo dell'autorizzazione sino al 2020 per lo stesso tipo di usi è stato invece concesso al mais ogm Bt11, anche questo della Syngenta.
E’ comunque significativo che tali produzioni si verifichino in Paesi nei quali la popolazione locale non viene resa abbastanza edotta sui pericoli di contaminazione che rischiano le coltivazioni locali autoctone e dove i politici locali fruiscono della riconoscenza dei produttori. Ad esempio il mais 59122 viene prodotto nelle Filippine.
Per gli altri tipi di mais Ogm le considerazioni sono identiche.
E’ altrettanto significativo che la Commissione europea in tutti questi casi abbia deciso nonostante non ci fosse stata la maggioranza qualificata favorevole dei 27 Stati membri al Consiglio agricoltura della Ue, che si è tenuto a Lussemburgo a fine giugno.
Oltretutto alla base di questa svolta c’è l’immancabile trucco. Se infatti la maggior parte dei prodotti Ogm importati in Europa riguardano mangimi per animali e se per essi deve essere indicata comunque in etichetta l’origine transgenica, il principio della tracciabilità è previsto soltanto sulla carta per i prodotti di origine animale (come carni, uova, latte e latticini) provenienti appunto dal bestiame alimentato con gli Ogm. Di conseguenza quello che non entra dalla porta nei nostri piatti ci finirà immancabilmente attraverso la finestra. Ed è sconfortante prendere poi atto che anche l’Agenzia per la sicurezza alimentare (Efsa) con sede a Parma abbia dato parere positivo e che la Commissione europea sia stata ben soddisfatta di seguire rigorosamente tutta la procedura richiesta, soprattutto dove prevede che spetta ad essa decidere quando gli Stati membri non si mettono d’accordo.

Di Andrea Angelini, www.rinascita.info


I BIRMANI ATTACCANO.


"ATTIVITA' PRE ELETTORALI" DELLA GIUNTA BIRMANA. ATTACCATO E BRUCIATO VILLAGGIO KAREN. CENTINAIA DI CIVILI IN FUGA. "POPOLI" INTERVIENE DISTRIBUENDO FARMACI E GENERI DI PRIMA NECESSITA'. MUORE UN INFERMIERE KAREN.

Thada Der, un importante villaggio Karen nel cuore del distretto di Mutraw, è stato attaccato da truppe del 10° Comando Operazioni Tattiche dell'esercito birmano. L'attacco, iniziato il mattino del 23 luglio, si è protratto per ben quattro ore, durante le quali le truppe di Rangoon hanno bombardato a colpi di mortaio l'insediamento, per poi occuparlo e dare fuoco a 70 case, alla scuola e alla chiesa. In conseguenza all'aggressione 500 civili si sono precipitati nelle giungla, lasciando dietro
di loro ogni cosa. In soccorso dei civili in fuga sono immediatamente intervenuti il Comitato per i Profughi Interni (una sezione del Dipartimento per la Salute ed il Welfare della Karen National Union), e la Comunità Solidarista Popoli, che ha dirottato ingenti quantità di farmaci da una delle sue cliniche per farli arrivare a Mutraw, dove i paramedici Karen hanno già iniziato ad utilizzarli per curare la popolazione. Si registra purtroppo la morte di un infermiere, bersagliato da colpi di arma da fuoco mentre era impegnato nel soccorso ai profughi, mentre alcuni abitanti del villaggio hanno riferito che i birmani hanno pesantemente minato tutta l'area, per impedire il rientro della gente. "Popoli" sta acquistando zanzariere, coperte e teli di plastica che servono assolutamente alle centinaia di civili senza più una casa per poter sopravvivere in questa stagione, caratterizzata dalle ingenti piogge monsoniche. Continua la campagna elettorale della giunta birmana, abile nell'utilizzare la doppia faccia. Proprio mentre la sua soldataglia investiva il villaggio di Thada Der, e mentre un animale in divisa stuprava Naw Mu Hseet, 27 anni, il capo del regime, Than Shwe, depositava tutto compunto un mazzo di fiori sul mausoleo del Mahatma Ghandi, durante la sua visita ufficiale in India grazie alla quale ha ottenuto da Nuova Delhi importanti investimenti nel settore energetico. La giunta cerca legittimità internazionale sbandierando le annunciate elezioni politiche e nel contempo continua a colpire migliaia di civili per costringerli alla fuga.


www.comunitapopoli.org


29 Luglio 1883 / 29 Luglio 2010 - AVGVRI



mercoledì 28 luglio 2010

23 luglio 1952.


Nasser e il socialismo di popolo.

Quando nel ’42, le forze dell’Asse penetrarono in territorio egiziano, spingendosi a circa ottanta chilometri da  Alessandria d’Egitto, molti ufficiali dell’esercito di re Farouk, spinti da sentimenti antibritannici, cercarono di prendere contatti con l’intelligence italo-tedesca, al fine di favorire l’ingresso, in città,  delle truppe guidate da Rommel. Tra gli ufficiali egiziani, dalle note simpatie fasciste, c’era anche un giovane che, in seguito, avrebbe fatto carriera, il suo nome era Gamāl ‘Abd al-Nāṣer: Nasser (nella foto con Fidel Castro).

Classe 1918, Nasser aveva intrapreso la sua militanza politica durante il periodo liceale, nei ranghi dei movimenti nazionalisti. Alcune fonti indicano Nasser, come anche Muhammad Anwar al-Sādāt, fra i più attivi coordinatori della lotta anti-colonialista. A testimonianza dei contatti fra le forze dell’Asse e gli ufficiali egiziani è la dichiarazione di  Sadat: «L’Asse aveva forze superiori. La macchina bellica fascista in Cirenaica era ora nelle mani esperte dei tedeschi. La Gran Bretagna guardava in faccia la sconfitta. Approfittare di queste circostanze così favorevoli era per l’Egitto un dovere. Il morale delle nostre forze era alto, ed esse erano pronte a combattere. Prendemmo contatto con il quartier generale tedesco in Libia e ci muovemmo in completa armonia con esso (…) Se il collegamento tra gli egiziani insorti e le truppe dell’Asse fosse diventato effettivo, la nostra guerra sarebbe diventata un affare internazionale».

Le truppe  fasciste si presentavano, quindi, come un esercito di liberazione; già nel luglio del ’42, il governo italiano, d’intesa con l’alleato germanico, aveva pubblicato una dichiarazione in cui, in caso di vittoria e quindi di espulsione delle forze inglesi, l’indipendenza e la sovranità dell’Egitto sarebbero state garantite. Dal 1922  l’Egitto, formalmente,  era  uno stato indipendente, uno stato sovrano, ma la permanenza delle truppe di Churchill rimase costante. Da qui, lo scaturire del crescente ri-sentimento anti-britannico e il proliferare di movimenti di dichiarata filiazione fascista, quando non addirittura nazional-socialista. E non è un caso, lo storico Stefano Fabei, in una recente intervista rilasciata a Giovanna Canzano, ha ricordato che: «l’Italia fu il primo paese europeo ad appoggiare la resistenza palestinese, contro la potenza mandataria, cioè la Gran Bretagna, e contro i sionisti e il loro progetto d’insediamento in terra santa.(…) L’Italia versò al Gran Muftì, che guidava la rivolta contro le forze militari inglesi e contro l’immigrazione ebraica, 138.000 sterline, circa 10.000.000 di  euro attuali».

Nonostante ciò, il Fascismo non è sempre stato panarabista, all’interno del movimento mussoliniano, infatti,  convivevano due correnti: una  filo-sionista, che intratteneva  rapporti diplomatici con esponenti ebraici (vedi il progetto di colonizzazione ebraica in Abissinia), e l’altra più propensa a favorire i rapporti con il mondo arabo; l’incrinarsi dei rapporti con l’Inghilterra e il patto con la Germania di Hitler faranno prevalere l’ala “islamista”.

Al termine del secondo conflitto mondiale e con la conseguente sconfitta dell’Asse, sia Nasser che Sadat vennero rinchiusi, dagli inglesi, nei campi di concentramento per collaborazionisti, uguale sorte toccò a circa seimila ufficiali egiziani.  Terminata la prigionia, Nasser divenne uno degli esponenti di spicco del movimento dei Liberi Ufficiali, organizzazione militare clandestina  che, dopo l’attuazione di un colpo di stato ai danni di Re Farouk, abolì la monarchia, proclamando l’avvento della Repubblica.

In seguito al vittorioso putsch del luglio ’52, l’ascesa al potere, da parte di Nasser,  divenne inarrestabile. I  punti essenziali della dottrina di Nasser e della sua Filosofia della rivoluzione furono:  l’esercito come avanguardia del processo rivoluzionario, la lotta contro l’imperialismo, la giustizia sociale e  l’unità araba. All’interno del processo rivoluzionario nasserista,  non potevano mancare chiari riferimenti al Fascismo, in tal senso: «La struttura della repubblica d’Egitto -  scrive Maurice Bardeche – riproduce i caratteri della struttura politica fascista. Il capo dello Stato riunisce nelle sue mani i diversi poteri, (…) i partiti politici sono sciolti ed il contatto col popolo è mantenuto per mezzo del partito unico, l’Unione Nazionale». Aboliti, infatti, tutti i partiti e calmati gli animi dei Fratelli musulmani, Nasser iniziò il suo processo di affrancamento dalle forze coloniali, dapprima, imponendo agli inglesi il ritiro delle truppe come da accordi del 19 ottobre 1954, poi, nazionalizzando tutti i settori portanti dell’economia nazionale.  Anche dal punto di vista economico, il nasserismo, per certi versi,  seguiva l’esempio italiano, attraverso la costruzione di un sistema corporativo con a capo un unico organismo di controllo.

Ma il vero capolavoro di Nasser è stato la creazione della diga di Assuan, progetto che, per essere messo in opera, aveva bisogno d’importanti finanziamenti. Dopo il netto rifiuto da parte della Banca mondiale, il capitale, per la realizzazione della diga, si ottenne grazie alla nazionalizzazione  della compagnia che gestiva i traffici nel canale di Suez, operazione politica ed economica a cui seguirono dure  prese di posizione da parte d’ Inghilterra, Francia e naturalmente anche  d’Israele.

Il conflitto militare, che ne  seguì, vide uscire vincenti le forze nazionaliste arabe; la crisi di Suez si chiudeva, in breve tempo, con l’affermarsi, a livello internazionale, del nascente socialismo nasseriano. Un socialismo nazionale, quest’ultimo, che, integrandosi con l’Islam moderato, riuscì a traghettare l’Egitto dal suo passato coloniale a un presente di moderna potenza economica e militare, anche se con tutte le contraddizioni tipiche dei paesi a economia mista. L’inter-classismo di Nasser favorì l’avanzata di un ceto medio caratterizzato da una forte coscienza nazionale, un rinnovato  spirito patriottico che portò perfino i  militanti comunisti  ad aderire all’Unione nazionale. Certo, tale avvicinamento fu dovuto anche al rapporto privilegiato che il Comandante Nasser aveva con l’URSS. Resta il fatto che non pochi quadri comunisti videro, nel nazionalismo arabo, la possibilità di dare vita ad un ampio fronte di liberazione antimperialista. Nel ’67, la guerra dei sei giorni porrà fine alla parabola nasseriana e al sogno di una grande nazione araba.

Articolo di Romano Guatta Caldini


Gaza, guerra al futuro.


Ancora bambini tra le vittime dell’ultima incursione israeliana, con uso di armi improprie

“E’ improvvisamente corsa dentro casa e si inginocchiata al centro del stanza dove stavamo tutti. Non avevamo capito fosse ferita, fino a quando non ha iniziato a vomitare fiotti di sangue dal naso e dalla bocca. I suoi fratelli erano immobili dinnanzi a lei, terrorizzati”.

Dopo il massacro della famiglia Abu Said, che settimana scorsa ha portato all’uccisione di una madre di cinque figli e il ferimento di altri tre civili, l’esercito israeliano ha esercitato ancora una volta l’uso di armi proibite contro la popolazione della Striscia di Gaza.

Secondo la ricostruzione basata sulle dichiarazioni dei testimoni, mercoledì 21 luglio, verso le ore 16, a Beit Hanun, guerriglieri della resistenza palestinese hanno cercato di respingere un’incursione di mezzi militari israeliani che avevano varcato di circa duecento metri il confine. Il fuoco israeliano ha immediatamente ucciso uno dei miliziani: Mohammed Hatem al-Kafarna, 23 anni, mentre un altro resistente, Qassem Mohammed Kamal al-Shanbari, di anni 20, è deceduto in ospedale per le ferite riportate.
Non paghi di questo, un carro armato dell’Israel Defense Forces (Idf) ha sparato tre proiettili carichi di freccette in varie aeree di Beit Hanun danneggiando delle abitazioni e ferendo otto civili, fra i quali una donna e cinque bambini .
Le freccette, il cui utilizzo in aeree densamente abitate è dichiarato illegale da Amnesty International e dalle maggiori organizzazioni per i diritti umani, sono piccoli dardi metallici dalla punta acuminata, lunghi 4 centimetri e provvisti di 4 alette nella parte posteriore, con cui vengono caricati i proiettili da 120 millimetri dei carri armati. Quando il proiettile esplode in aria, a 30 metri dal suolo, disperde uno sciame di 5mila-8mila freccette in un raggio conico, investendo un’area larga 300 metri e lunga 100.

Appena ricevuta la notizia con i miei compagni dell’International Solidarity Movement ci siamo precipitati all’ospedale al-Shifa in visita ai feriti più gravi. Tutt’ora ricoverati in pessime condizioni due bambini: Samah ‘Eid al-Masri di 9 anni, ferita gravemente al petto, e Haitham Tha’er Qassem, di 4 anni, ferito gravemente al volto. Entrambi i bambini sono stati colpite dalle freccette.
”Quando è arrivata in ospedale era in fin di vita.” ci spiega il dottore che ha presa in cura Samah. “E’ molto complicato e tremendamente doloroso e traumatico inserire un tubo di drenaggio nel torace di un bambino. La bambina ha perso molto sangue”.
Le condizioni di Samah si sono ulteriormente aggravate per via della sua malattia. Come ci ha spiegato la madre, Samah e altri tre dei suoi figli soffrono di talassemia, affezione difficilmente curabile in una Gaza sotto assedio: secondo un recente rapporto del Palestinian Center of Human Rights, Israele previene l’entrata all’interno della Striscia del Exjade , farmaco specifico nella cura dei malati talassemici.

Una famiglia da sempre vittima dell’esercito israeliano quella degli Eid Al Masri. Durante l’operazione militare Piombo Fuso, una bomba ha centrato la loro casa uccidendo un conoscente della famiglia e ferendo alla testa Ryad, un altro fratello di Samah, che per le ferite riportate ha perso la vista.
Mercoledì pomeriggio Samah stava giocando da sola in strada, ben distante dal confine e dal terreno degli scontri come ci ha tenuto a sottolineare la madre, fino quando non si sono uditi una serie di colpi nell’aria e successivamente l’urlo straziato della bimba colpita.

A pochi letti di distanza da Samah, un’altra minuscola vittima è ricoverata, il viso celato dai bendaggi. E’ Haitham Thaer Qassem,di soli 4 anni. Avevano mandato fuori Haitham per una commissione in un negozio lì vicino, ci ha raccontato la madre, quando una bomba è caduta a 200 metri di distanza e ha scatenato lo sciame di freccette che lo hanno colpito ferendolo alla schiena, alla gamba destra e gravemente al viso. Alcune di queste frecce di acciaio sono ancora all’interno dell’esile corpo del bambino, e sarà necessaria una complicata operazione per rimuoverle.
Mentre ci allontanavamo dal reparto ospedaliero, via da Haitham che riprendeva conoscenza in preda a delle violente convulsioni, e via da Samah che soffocava sforzandosi di tenere in bocca il respiratore, con la madre impegnata a farle aria sventolandole addosso l’immagine radiografica delle sue ferite, mi è arrivato un messaggio telefonico. Un amico m’informava delle dichiarazioni del portavoce dell’esercito israeliano in relazione all’accaduto: “Tutti i colpiti sono combattenti”.
Durante Piombo Fuso il governo israeliano dichiarava al mondo di stare chirurgicamente colpendo solo i terroristi di Hamas e le loro basi mentre campi profughi, scuole dell’Onu e ospedali veniva dati alla fiamme col fosforo bianco.
320 minori vennero uccisi allora. La guerra israeliana contro i bambini non conosce tregua.
Restiamo Umani.

Di Vittorio Arrigoni, da peaceropert.net


martedì 27 luglio 2010

Afghanistan. La guerra sporca degli Usa.


Le prove dell’andamento fallimentare della guerra che gli Stati Uniti stanno portando avanti insieme con gli alleati in Afghanistan, sono contenute tutte negli oltre 90mila file riservati della Cia che il portale Wikileaks.org ha pubblicato ieri in collaborazione con il quotidiano londinese The Guardian, il tedesco Der Spigel e l’americano New York Times.
Una quantità impressionante di materiale segreto è finito sotto gli occhi di tutti per quella che per Washington è “la più grande fuga di notizie della storia”.
I dati pubblicati raccontano quanto è stato nascosto al mondo tra il 2004 e il 2009 e quindi durante tutto il secondo mandato di George W. Bush e il primo anno dell’amministrazione Obama.
Si tratta di rapporti molto spesso destinati ad uso interno che parlano di stragi di civili fatte per errore e mai rivelate e di squadre della morte incaricate di “catturare e uccidere” ogni talibano anche in possesso di prove scarse e senza alcun processo.
Tra le notizie di rilievo anche l’allargamento da parte della Cia “delle operazioni paramilitari nel Paese” e il finanziamento diretto dal 2001 al 2008 dell’intelligence afghana “trattandola come una sua affiliata virtuale”.
Gonfiati invece i dati sull’impiego degli attacchi con aerei senza pilota portati direttamente da una base in Nevada, facendoli apparire di gran lunga più positivi di quelli reali, nascondendo i numerosi incidenti dei cosiddetti “Reaper” e occultando al tempo stesso un notevole spreco di denaro impiegato per un’innovazione fallimentare spacciata invece come un grande risultato tecnologico. “Alcuni si sono schiantati al suolo o si sono scontrati in volo, costringendo le truppe americane a intraprendere rischiosissime operazioni di recupero prima che i talibani riuscissero a impadronirsi dell’armamento”, spiega Wikileaks.
In uno dei file, inoltre, viene messo bene in evidenza come le milizie islamiche stiano usando contro i velivoli delle truppe Nato gli stessi missili a ricerca di calore che la Cia fornì loro negli anni ottanta per combattere i russi. Una cosa che ha quasi del tragicomico. Secondo il fondatore del portale specializzato nella pubblicazione di materiale riservato, inoltre, nei documenti sarebbero contenute anche prove di crimini di guerra compiuti dai militari americani.
Tutte rivelazioni che hanno fatto scattare l’immediata e indignata reazione della Casa Bianca.
“Gli Usa condannano con forza la pubblicazione di informazioni classificate da parte di individui e organizzazioni che possono mettere a rischio le vite di americani e dei loro partner, e rappresentare una minaccia per la nostra sicurezza nazionale”, ha dichiarato il consigliere per la sicurezza nazionale statunitense, James Jones spiegando poi che la diffusione di queste notizie potrebbe alimentare l’astio antiamericano nella regione. Giusto, perché prendersela a male se un’invasore ti tiene nascosta la strage di tuoi connazionali innocenti? O infuriarsi se lo stesso invasore poi giustizia un tuo familiare, o anche un semplice conoscente, senza alcuna prova?
Ad ogni modo la notizia che potrebbe davvero complicare ulteriormente la vita alle truppe Usa, e di conseguenza di tutte le altre truppe presenti in Afghanistan, è un’altra e riguarda una serie di rapporti segreti nei quali gli ufficiali statunitensi sostengono che esistano legami fra i servizi segreti pachistani e i talibani. Secondo quanto si legge nei documenti, infatti, i vertici militari di Washington sostengono che “l’intelligence pachistana di Islamabad lavorava al fianco di al Qaeda per progettare attacchi contro le forze internazionali e i leder afghani” facendo il doppio gioco. Un’affermazione potrebbe anche far cessare la collaborazione fra Usa e Pakistan, il quale fino ad ora è stato uno dei maggiori alleati degli Stati Uniti concedendo alle truppe a stelle e strisce di operare nel proprio territorio anche senza alcun permesso. Un sostegno senza il quale Obama dovrebbe rivedere la sua pur infruttuosa strategia. Per questo la Casa Bianca si è affrettata a sminuire quanto rivelato e a confermare la propria fiducia nel ruolo che Islamabad sta giocando in questa guerra. E tutto nonostante sia quasi certo che tali sospetti siano veri. Per usare una metafora, ora gli Usa si trovano con le “braghe calate” di fronte a nemici e alleati, che ora vogliono sia fatta luce su ogni particolare. Dulcis in fundo, a fare da contorno a questa tragedia americana è arrivata ieri una nuova strage di civili compiuta dalle truppe Nato, 52 morti per l’esattezza. Per i quali, secondo la Casa Bianca, la popolazione afghana non si dovrebbe infuriare.

Di Matteo Bernabei, www.rinascita.eu


lunedì 26 luglio 2010

Impìccati! Storie di morte nelle prigioni italiane.


Fa caldo, eh… Insopportabile il salire, in questa estate, della colonnina di mercurio: 33°, 35°, 38°, 40° … Addirittura vicino ai 50°, in alcuni casi. Fa caldo, eh…. Pareti roventi, idem per i pavimenti. Nemmeno l’aria condizionata riesce a lenire il cocente disagio, misto ad umidità. Non c’è un filino di vento manco a pagarlo. Pare di stare sotto i piombi di Venezia.



Fa caldo, eh… Provate ad immaginare quanto caldo possa sentire una persona rinchiusa in meno di 3 metri quadri. Spazio ben al di sotto dei 7 metri quadrati per ogni imprigionato in cella singola, stabiliti dal Comitato per la prevenzione delle torture del Consiglio Europeo. Pensate ora a 3 persone in sei metri quadri, con un bagno a vista, la luce sempre accesa, l’aria puzzolente….



Fa caldo… In una cella diciamo “normale” dovrebbero starci 3 detenuti. In quelle italiane arrivano sino a 10 e si dorme anche per terra… Senza contare le brandine a castello a tre piani, i topi, gli scarafaggi, la penuria d’acqua calda in inverno e dell’acqua in generale d’estate, la pioggia scrosciante, le malattie, la tossicodipendenza che imperano nei luoghi angusti. Lo chiamano sovraffollamento che “miniaturizza gli spazi vivi”. Nella sezione femminile del carcere romano di Rebibbia in 25 Mt. quadrati ci stanno appollaiate 12 persone compresi i molti bambini. A Regina Coeli dovrebbero essere 700 gli “ospiti” delle patrie galere. In verità i reclusi arrivano a 1.100.



Fa caldo… Secondo il Ministero dell’Interno, dati alla mano, in Italia sono ben 68mila i detenuti contro i 44mila previsti “regolari”. 37mila sono in attesa del giudizio definitivo. Oltre 12.000 gli stranieri. Il personale carcerario effettivo è pari a 35.000 unità. Ma ce ne vuole per arrivare alle 42.000 tanto auspicate. Di soldi da investire nel “piano carceri” non se ne parla. Il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni (ospite de Il Fondo nel dicembre scorso – LEGGI QUI) auspicherebbe, tra le tante cose, «una riforma del codice penale che preveda la reclusione per i casi veramente gravi e un sistema di misure alternative – ma non per questo meno penalizzanti del carcere – negli altri casi». Troppo difficile per un paese, l’Italia, che si definisce una Repubblica sì finemente democratica? L’ultimo suicidio è dello scorso venerdì nella casa circondariale di Catania Bicocca. A conti fatti: dal 2002 al 2010 sono stati più di 1.600 i detenuti passati a miglior vita di cui circa 600 con morte per mano propria. Dall’inizio dell’anno 38 suicidi su 101 decessi, in età compresa tra i 25 ed i 70 anni, 46 tentativi di suicidio, un evaso pericoloso una decina di giorni fa, 10 poliziotti penitenziari colpiti nello svolgimento del servizio, turni massacranti, carenze di tutti i generi, scioperi e controscioperi, mancanza di un’adeguata assistenza sanitaria, etc. etc. etc. “I detenuti sono uomini non numeri” ripetono e ricordano i siti www.ristretti.it e www.ristretti.org .



Fa caldo…. E si muore. I trapassi non sono sempre chiari e limpidi. «La prigione è dolore, solitudine, lacrime, paura, pena, vergogna, rabbia. In carcere si muore, come fuori e per le stesse cause: malattia, suicidio, omicidio. Ciò che non dovrebbe accadere mai, però, è morire di carcere: per mano di chi ti ha in custodia o per negligenza di chi ti ha in cura». A scriverlo è Luca Cardinalini, giornalista ed autore di libri dedicati ad inchieste e cronache italiane, nel suo Impìccati! Storie di morti nelle prigioni italiane della casa editrice romana DeriveApprodi, da poco in libreria. E si parla, qui, di alcuni detenuti tristemente saliti agli onori o disonori della cronaca e subito dopo obliati che, entrati vivi e vegeti in carcere, ne sono usciti morti «solo per i loro funerali: Aldo Bianzino, Diana Blefari, Luigi Acquaviva, Sami Mbarka Ben Gargi, Stefano Frapporti, Camillo Valentini, Niki Aprile Gatti, Stefano Cucchi». Otto esseri umani che tra il 2007 ed il 2009 sono morti in situazioni di vita e detenzione ben distanti l’una dall’altra. Otto persone che non sono riuscite a sopravvivere alle maglie della custodia cautelare. Otto storie che lasciano l’amaro in bocca nei lettori per la loro sbalorditiva semplicità e chiarezza di vita e morte.



Assolutamente chiara e limpida la postfazione di Laura Baccaro e Francesco Morelli (Ristretti Orizzonti) dal titolo “Morire di carcere. Suicidi, autolesionismo e altri incidenti”. Alcune perle: «Sopravvivere al carcere – comunque, qualunque e in ogni ruolo -  è visto di per sé come un atto di eroismo». «Non esiste un diritto a morire, ma a essere curati. Nessuno deve fare una fine così, anche chi sta in carcere è un essere umano». «La pena carceraria non deve consistere in trattamenti contrari al senso di umanità». «Bisognerebbe ripensare seriamente al senso della pena e della custodia cautelare, che andrebbe applicata soltanto in casi estremi, ridimensionando la facilità con la quale viene disposta oggi». «… chi conosce la realtà del carcere non si chiede perché ogni anno un centinaio di detenuti muore, ma piuttosto perché altre migliaia decidono di resistere. Nonostante tutto. Anche i media sembrano essersene accorti: in carcere si muore sempre più spesso. Per suicidio, per malori o «per cause da accertare», un modo elegante per non dire che si viene ammazzati».



Fa caldo eh… Basta accendere il ventilatore o il condizionatore dell’aria per stare meglio… Un gesto semplice, naturale ma che agli occhi dei detenuti (siano essi colpevoli, innocenti, presunti qualcosa o qualcos’altro) appare “semplicemente” della vita e per l’esistenza stessa. Un stato, quello detentivo, che – non mi stancherò mai di ripetere e scrivere – potrebbe «toccare a ciascuno ed essere di tutti»



Fa caldo eh….

Di Susanna Dolci, www.mirorenzaglia.org


venerdì 23 luglio 2010

Nordirlanda. Continua la persecuzione contro Marian Price.


Continuano, a Belfast, le persecuzioni contro i nazionalisti irlandesi. Sabato scorso l’attivista repubblicana Marian Price è stata nuovamente fermata dai reparti speciali della PSNI. Era già successo la settimana precedente, mentre si trovava in auto con Terry Mc Cafferty, a sua volta fermato pochi giorni dopo. Entrambi erano stati trattenuti per essere poi rilasciati.
Sabato scorso il copione si è ripetuto: con un robusto spiegamento di forze la polizia ha bloccato la macchina su cui viaggiava la Price, segretaria nazionale del 32 County Sovereignty Movement, sottoponendola a dure molestie. Marian è stata rilasciata anche stavolta, ma le sono state imposte forti restrizioni della libertà personale. Regole che le impediscono di muoversi, costringendola a restare a Belfast entro il perimetro delimitato a nord dall’incrocio tra Springfield Road e Grosvenor Road e a sud dal sobborgo di Twinbrook. Deve inoltre recarsi 3 volte alla settimana alla caserma della PSNI per confermare la sua presenza in città. Non le è nemmeno concesso di fermarsi a parlare in strada con più di tre persone contemporaneamente e soprattutto – per lei che è un’instancabile attivista – non può partecipare a picchetti, a proteste né parlare in pubblico. Provvedimenti che assumono i contorni di una vera e propria persecuzione, messa in atto ricorrendo allo strumento dello “stop and search”, che permette di effettuare fermi e perquisizioni anche in base al solo sospetto.
Un metodo, giudicato illegale dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che tuttavia in base al  Terrorism Act del 2000 a al Justice and Security Act del 2007 Londra ritiene di poter ancora applicare in Nordirlanda. Intanto, al giovane Daniel McGeown, di Hatfield Street a Belfast, arrestato per le rivolte del 12 luglio, è stato imposto il coprifuoco dopo il rilascio. Accusato di comportamento sedizioso e di aver lanciato una molotov contro la polizia, McGeown è l’ultimo di una serie di sospetti comparsi davanti al tribunale di Belfast per i disordini scoppiati in occasione delle parate orangiste. La tensione resta comunque alta. Pochi giorni fa un ordigno è esploso nei dintorni della stazione della polizia di Woodburn.

Di Alessia Lai, www.rinascita.eu


giovedì 22 luglio 2010

Sempre sulla Tessera del Tifoso....


Tessera del tifoso
Intervista a Fabio Polese

Di Ettore Bertolini, Agenzia Stampa Italia - 23/07/2010

1) Che cosa è la tessera del tifoso?

La Tessera del Tifoso è uno strumento di controllo e di marketing che non serve nient’altro che a mantenerci in linea con la società del consumo e della tanto decantata sicurezza nella quale, purtroppo, viviamo. Non si spiegherebbe, altrimenti, il perché ci sia bisogno di obbligare qualsiasi persona che vuole fare l’abbonamento a prendere una vera e propria carta di credito ricaricabile con tanto di codice IBAN (International Bank Account Number). Va considerato inoltre lo smisurato giro di soldi che porterà. Basta pensare che il solo costo per acquistarla, per quasi tutte le società, si aggira intorno ai 10,00 €. Per fare un esempio concreto, pensiamo a quante Tessere del Tifoso riusciranno a far fare tra le grandi società calcistiche italiane come Inter, Juve o Milan. Mille, duemila? Moltiplichiamo per diverse centinaia e il conto è fatto. E’ tempo di crisi economica, aiutiamo le banche! Per non parlare poi di tutti gli escamotage che ne verranno fuori per far fare più movimenti bancari possibili attraverso pseudo offerte/sconti con Autogrill, merchandising, Ferrovie dello Stato e chi più ne ha più ne metta… Sul sito della Lega Pro si legge: “Ottenere una carta di pagamento ricaricabile Visa con un proprio IBAN (...) consente di (...) trasferire in real time denaro da una carta all'altra (card to card) (...) Maggiori servizi e benefici concreti: premi, merchandising, biglietti, convenzioni (...) La tessera rappresenta un borsellino elettronico che consente di fare operazioni di varia natura, acquisti online, prelevare contanti, trasferire denaro, ricaricare il telefonino”. Vogliamo parlare anche del fatto che chi ha già scontato il proprio debito con la giustizia, per i reati che ha commesso negli ultimi cinque anni, non potrà farne richiesta? E’ chiaro che non è una normale fidelizzazione tra la società calcistica e i propri tifosi come ci vogliono far intendere. 

2) E' veramente utile?

Sicuramente. Per gli istituti finanziari e per i controllori globali.

3) Risolve i problemi della sicurezza?

Ma stiamo scherzando? Con le ultime norme in materia di sicurezza negli stadi, tornelli e biglietti nominativi in primis, doveva essere già stata debellata la violenza negli stadi. E’ stato così? No, assolutamente no. Ho quasi la sensazione che faccia comodo poter criminalizzare qualcuno per non far pensare alla massa omologata gli enormi problemi ai quali stiamo passivamente assistendo.

4) Cosa ne pensano i tifosi?

Da tempo i veri tifosi, gli ultras, hanno contestato la Tessera del Tifoso con i mezzi a loro disposizione. Sono scesi in piazza e hanno gridato la loro rabbia, hanno fatto conferenze informative, articoli, comunicati, striscioni e volantinaggi. Ma c’è anche chi pian piano si sta piegando e dopo tanto rumore sottoscriverà la Tessera. Sono usciti comunicati di grandi tifoserie italiane che si auto legittimano a fare la Tessera per l’amore dei propri colori. Dietro il calcio, anche nelle curve, sia chiaro, non su tutte, c’è il business che va portato avanti… Non so se mi spiego.

5) E' provvedimento democratico? Non limita le libertà individuali sancite dalla costituzione? Condiziona l'evento ludico? Uccide i colori e le passioni dei tifosi?

Bisognerebbe vedere quale significato si da alla parola democrazia. Polemiche a parte, qui mi ricollego alla mia risposta alla prima domanda. E’ democratico che chi ha già scontato i propri debiti con la giustizia se non sono passati cinque anni non possa farne richiesta? E’ democratico che ogni società calcistica possa adottare arbitrariamente le proprie soluzioni? E’ democratico che se una famiglia decidesse all’ultimo momento di andare a vedere la squadra della propria città in una trasferta vicino non possa andarci perché non ha questa benedetta Tessera del Tifoso? E’ democratico che, anche se io avessi la volontà di farla, dovrei silenziosamente accettare una carta di credito? E’ democratico che chiunque voglia fare la Tessera debba dare tutti i suoi dati ad enti terzi? E’ democratico schedare chiunque voglia andare allo stadio e invece non schedare chi ha interessi diversi come ad esempio il cinema? E’ democratico aiutare le banche e non i disoccupati o i senza casa? A voi le risposte…

6) Cosa possono fare i tifosi per impedirla?

Semplicemente far vedere che sono la parte più pulita del calcio e che mai si piegheranno a tali leggi liberticide né tantomeno allo sporco gioco economico che ci gira intorno con sponsor, pubblicità, banche e Sky. Forse la prima mossa da fare, anche se dolorosa per i veri appassionati di calcio, sarebbe quella di abbandonare lo stadio e far sentire il silenzio di una gradinata vuota. Sta a loro scegliere se riconquistare la libertà o continuare ad essere massa rumorosa e fastidiosa solo all’orecchio come le vuvuzelas che hanno accompagnato questi ultimi mondiali di calcio.


CLAMOROSA SORPRESA: LA TESSERA DEL TIFOSO E’ ILLEGALE!


Ne sapevamo già tante: la Tessera del Tifoso non è un obbligo di legge e poggia su un dispositivo che il TAR Lazio ne valuterà l‘incostituzionalità. E' un’imposizione per i club e una scrematura preventiva del pubblico, senza la certezza di estirpare i fenomeni violenti. Limita le libertà di movimento dei cittadini e mina la privacy, colpa il micro-chip con identificazione a radio frequenza. E’ un’operazione di marketing speculativo e il Presidente dell’UEFA l’ha bocciata senza riserve. E così via, sciorinando a più non posso le criticità di questa rivoluzione all’italiana. Ma l’ultima scoperta ha davvero del clamoroso: la Tessera del Tifoso è illegale! Contrasta una legge dello Stato varata dopo la morte dell’Ispettore di Polizia Filippo Raciti e va contro il Codice di Giustizia Sportiva della Federazione Italiana Giuoco Calcio.
 
TESSERA ILLEGALE
L’art. 8 della Legge 4 Aprile 2007 N° 41, che ha convertito il Decreto dell’8 Febbraio 2007 N°8 recante“misure urgenti per la prevenzione e la repressione di fenomeni di violenza connessi a competizioni calcistiche”, obbliga i club di Serie A, B, Lega Pro e Dilettanti ad escludere qualsiasi tipo di facilitazione per i tifosi, pena una sanzione amministrativa del Prefetto con multa dai 50.000 ai 200.000 euro. Ecco il passaggio in questione: “E’ parimenti vietato alle società sportive corrispondere contributi, sovvenzioni, facilitazioni di qualsiasi genere ad associazioni di tifosi comunque denominate”. Un divieto che riguarda anche le cosiddette associazioni di fatto, disciplinate dal codice civile, nelle quali si fanno rientrare anche i possessori della Tessera del Tifoso che, per il peculiare elitarismo voluto dal Ministro dell’Interno Maroni, sono facilitati da offerte commerciali e proposte logistiche atipiche: esclusività per l’acquisto di abbonamenti stagionali e biglietti in trasferta per i settori ospiti. Esclusività per i biglietti in casa nelle gare giudicate a rischio dal CASMS. Accesso dedicato allo stadio con varchi prioritari (ancora da costruire). Agevolazioni per l’acquisto di merchandising e pacchetti finanziari (per i supporter della Fiorentina anche prestiti di denaro e mutui viola!) In parole povere, benefit per una cerchia di tifosi ufficiali, per i quali l'Osservatorio Nazionale sulle Manifestazioni Sportive spinge le società a favorire “la concessione di facilitazioni, privilegi e/o benefici”. Cioè quanto vietato dalla legge pubblicata in Gazzetta Ufficiale nel 2007, dopo la morte di Raciti.   
 
CONTRO IL CODICE SPORTIVO
Stesse prescrizioni nel Titolo I delle norme di comportamento previste dal Codice di Giustizia Sportiva della FIGC, al primo comma dell’art. 12 (“Prevenzione di fatti violenti”): “Alle società è fatto divieto di contribuire, con interventi finanziari o con altre utilità, alla costituzione e al mantenimento di gruppi, organizzati e non, di propri sostenitori”. Cos’altro sarebbe la Tessera del Tifoso se non uno strumento per contribuire con altre utilità alla costituzione e al mantenimento di gruppi di tifosi? Cos’altro intendono i marketing manager per “community da fidelizzare” con la fidelity card? Regolamento sportivo e legge parlano chiaro: i titolari delle nuove carte non aderiscono ad un’associazione legalmente riconosciuta con finalità di divulgazione dei valori della Carta Olimpica e non hanno nemmeno l’obiettivo di gemellaggi con altri tifosi (art. 8, L. 41/07).
                                                        
GLI ESPERTI: NORME SCOORDINATE
“Nella fretta di varare la tessera del tifoso – sostiene l’Avv. Lorenzo Contucci, esperto di cause per reati da stadio -ci si è dimenticati di coordinare le norme. Forse non sarebbe stato possibile, visto che la tessera non ha fondamento normativo ma si basa su una circolare amministrativa. In realtà i Prefetti dovrebbero contravvenzionare le società che, con la tessera, costituiscono la categoria dei tifosi ufficiali senza formare prima un’associazione legalmente riconosciuta. Potrebbe configurarsi l’omissione di atti di ufficio. Agevolazioni come per l’abbonamento sono una violazione di legge”. “Già il decreto del 1995 postumo l’omicidio Spagnolo vieta legami tra società e tifosi – ribatte Giovanni Adami, legale di molti sostenitori di curva – La tessera è una facilitazione che va contro questo principio. Oltre che in sede penale e amministrativa, si può pensare ad un esposto alla Procura Federale della FIGC.
 
DASPO AI CAMORRISTI
Ultrà non sempre è sinonimo di criminale, ma a Napoli certi gruppi camorristici non sono estranei alla gestione delle attività illecite che ruotano attorno allo stadio”. Lo afferma il procuratore aggiunto Giovanni Melillo, coordinatore della sezione criminalità predatoria della Procura di Napoli, dove un pool di pubblici ministeri è specializzato in reati da stadio. Melillo propone una ricetta inusuale: estendere le limitazioni della Tessera del Tifoso ai sottoposti a misure di prevenzione antimafia. “Il Daspo dovrebbe poter essere applicato anche a quanti, pur non essendo stati protagonisti diretti di comportamenti violenti negli stadi, abbiano riportato condanne, anche non definitive, per gravi delitti: rapina, estorsione, traffico di stupefacenti e, in generale, reati di criminalità organizzata”. In pratica, significa trattare i camorristi come gli ultrà o, preferibilmente, gli ultrà come i camorristi. Una formula che non lesina polemiche. “Lo stadio non è un luogo extraterritoriale – replica l’Avv. Contucci – lo stesso principio dovrebbe valere per discoteche e osterie: contano una decina di morti l’anno. Sono dichiarazioni contraddittorie: prima si dice che gli ultrà sono vicini alla camorra, poi che la camorra non gestisce le curve di Napoli ma bagarinaggio, scommesse e gadget contraffatti. Cosa ben diversa.” “Rispetto la posizione del procuratore di Napoli – conclude l’Avv. Adami – ma il legislatore ha creato misure restrittive circoscritte alle sole manifestazioni sportive. La giurisprudenza (TAR Toscana e Liguria) dice che il DASPO non può colpire il delinquente abituale. Non vedo il motivo di estenderlo ai dediti ad attività criminale: c’è già il codice di procedura penale”. Segno dei tempi: sta partendo la Tessera del Tifoso e, seppur fuori legge, tra i magistrati partenopei c'è già chi propone di superarla. Se non ce ne fossimo accorti, gli stadi sono diventati il Nuovo Laboratorio Italia. Tra un pallone, un coro e una bandiera si sperimentano misure di controllo sociale di massa e ardite peripezie giurisprudenziali. 
 
Maurizio Martucci
 
(Fonte: LIBERAL, 22.7.2010, p. 21)


mercoledì 21 luglio 2010

Monsanto, gli OGM e il futuro del cibo.



Vandana Shiva, fondatrice dell'Istituto indipendente Research Foundation for Science, Tecnology and Ecology di Nuova Delhi dichiara: «Il Mondo secondo Monsanto ci risveglia dalla dittatura che Monsanto sta cercando di stabilire sul nostro cibo, sull'ambiente e sulla nostra conoscenza. Le libertà fondamentali e la sopravvivenza sono in pericolo.  Non possiamo permettere che la Monsanto prenda il controllo sulla vita».

Monsanto è il principale produttore mondiale di Organismi Geneticamente Modificati (Ogm) ed è una delle aziende più controverse della storia industriale.
Dalla sua fondazione nel 1901, nel corso degli anni, la multinazionale di Saint Louis nata come industria chimica, è stata accusata di negligenza, frode, attentato a persone e cose, disastro ecologico e sanitario, utilizzo di false prove. Eppure, oggi, questo pericoloso gigante della biotecnologia che si pubblicizza come azienda della “scienza della vita”, grazie ad una comunicazione ingannevole, a pressioni e corruzioni, a rapporti di collusione con i vertici politici e amministrativi USA, continua indisturbato ad esportare e imporre in tutto il mondo il pericoloso modello dell'agricoltura transgenica.

Un impero industriale con sedi in quarantasei Paesi e un fatturato annuo di 7,5 miliardi, che ha coperto in colture OGM quasi 100 milioni di ettari tra Stati Uniti, Argentina, Brasile, Canada, India, Cina, Paraguay, Sudafrica, Spagna, Romania.


«Nelle campagne del mondo ci vogliono uomini, non multinazionali. Il cibo deve essere prodotto per essere mangiato, e non solo per essere venduto.
Ne va della sovranità alimentare dei popoli; ne va della nostra libertà. Non ci è dato sapere quali saranno in futuro gli effetti degli OGM sulla salute dell'ambiente e delle persone, ma per ora è certo che essi sono di proprietà di multinazionali che mirano a controllare il nostro cibo su scala globale, per vendercelo alle loro condizioni. Il Mondo secondo Monsanto ci fa capire di più su questi processi perversi, e ci mette in guardia sul futuro del cibo», Carlo Petrini fondatore Slow Food.

A rivelare la storia, le azioni e gli interessi di questa potente multinazionale e a far luce sulle reali conseguenze sanitarie e ambientali degli OGM, arriva finalmente in Italia la coraggiosa inchiesta della giornalista francese Marie-Monique Robin. Frutto di tre anni di ricerche in giro per il mondo, questo straordinario documentario, ricco di autorevoli testimonianze e importanti documenti inediti, risponde a molte domande che toccano da vicino il presente e il futuro del nostro pianeta.

Marie-Monique Robin nasce nel 1960 in Francia da una famiglia di agricoltori.
Dopo aver studiato giornalismo a Strasburgo ha lavorato come reporter per le agenzie Capa e Point du Jour. Esperta di questioni politiche e sociali, dotata di grandi capacità investigative, oltre alla carriera da giornalista, realizza come regista più di 30 documentari tra cui “Voleurs d'yeux” (Ladri d'occhi),
documentario d'inchiesta sul traffico di organi che le è valso il prestigioso premio Albert-Londres (il più importante della stampa francese) nel 1995.
È l'autrice del libro inchiesta Monsanto e dell'omonimo film.

Per ordinarlo: controventopg@libero.it


lunedì 19 luglio 2010

Quarta notte di scontri nell`Ardoyne.




“Continueremo a lavorare duro per arrivare all’identità delle persone coinvolte negli scontri e faremo il nostro massimo per portarli davanti a un tribunale”. Così ha affermato il vicecapo della Psni, Duncan McCausland, dopo la quarta notte di scontri a Belfast.
In totale sono sette le persone finora arrestate in relazione ai disordini scoppiati in seguito alla parata orangista di lunedì. Due uomini, di età compresa tra 25 e 35 anni, sono stati portati alla stazione di polizia di Antrim per un interrogatorio gli spari esplosi in North Queen Street, durante la sommossa dello scorso lunedì.
Un giovane di 20 anni è finito in tribunale per rispondere dell’accusa di “comportamento violento” in occasione degli scontri del 12 luglio a South Belfast. Arrestati anche due ragazzi sui vent’anni. Uno è stato rilasciato in attesa di ulteriori indagini.
Mercoledì, durante la quarta notte di guerriglia nella parte nord di Belfast, la polizia ha sparato numerosi proiettili di gomma. I disordini sono stati meno intensi dei giorni precedenti, con la partecipazione di meno persone. Alcuni agenti di polizia sono stati feriti ma nessuno in modo grave. Duncan McCausland sostiene ha dichiarato che mercoledì “C’era un gruppo di persone sostanzialmente più piccolo rispetto alle sere precedenti, che include uno zoccolo duro di circa 12 persone che hanno fomentato i disordini”.
Ma se da un lato la protesta sta perdendo in intensità sulle strade, il ritrovamento, nelle prime ore di mercoledì, di una bomba artigianale fa pensare che la rabbia non sia sopita. L’ordigno, una coffee-jar bomb - bomba fatta con una lattina di caffè - è stato trovato nella zona dei giardini di Highbury. Lo Sinn Fein ha incolpato, come al solito, quelli che chiama “repubblicani dissidenti”, affermando che hanno mostrato una “assoluta mancanza di riguardo” per la gente della zona. “È il periodo delle vacanze estive, molti bambini hanno finito la scuola e avrebbero potuto trovare questo dispositivo” ha detto il responsabile di zona del Sinn Fein, Caral ni Chuilin. “Durante le notti appena trascorse, i dissidenti repubblicani hanno usato elementi anti-sociali costituiti da gruppi di giovani come copertura per gli attacchi ad Ardoyne, New Lodge e Broadway” ha ancora accusato. “La rivolta ha causato danni, angoscia e disservizi per queste comunità. Abbiamo visto residenti presi in ostaggio mentre le loro auto venivano sottratte e bruciate, i muri dei loro giardini divelti per ottenere i mattoni e gravi disagi alla loro libera circolazione dentro e fuori della propria comunità” ha insistito Caral ni Chuilin. In realtà, a vedere la rivolta di lunedì scorso nell’Ardoyne è parsa tutt’altro che un fastidio per la popolazione del luogo. Gente che definiremmo comune, signore, ragazze, madri coi bambini, incoraggiavano gli streetfighters mentre ingaggiavano la lotta contro blindati e cannoni ad acqua, applaudivano quando una pietra o una molotov centravano il bersaglio. Mentre la poliziotta ferita con un mattone era stesa a terra, protetta dai suoi colleghi, persone di ogni età, signore con i sacchetti della spesa, ragazzi, si avvicinavano per chiedere se l’agente della Psni fosse morta, e alla risposta “è solo ferita” scuotevano delusi la testa e se ne andavano, questo mentre altri insultavano senza sosta gli agenti.
Forse Caral ni Chuilin ha dimenticato la rabbia della popolazione cattolica di Belfast, le discriminazioni, la difficoltà quotidiana di vivere da esclusi in patria. Nell’Ardoyne, a New Lodge, questa rabbia è ben presente, ma probabilmente è troppo lontana da Stormont.

A Derry intimidazioni della Psni contro la famiglia di un membro del 32Csm. Il padre di un militante repubblicano di Derry ha raccontato la perquisizione fatta in casa sua dall Psni. Roy Donnelly, padre di Gary, noto membro del 32 County Sovereignty Movement, ha affermato che Psni ha bloccato lui e sua moglie, una pensionata, nella loro casa di Creggan per tre ore durante una perquisizione, la scorsa settimana. “La polizia è arrivata appena prima delle 9. Il capo ha chiesto scusa per essere venuto così presto ma il resto degli agenti sorrideva. Uno di loro ha chiuso la porta, ha girato la chiave e se l’è messa in tasca”, ha detto Donnelly. “Hanno passato al setaccio tutta la casa e hanno portato via macchine fotografiche e quattro telefoni cellulari, due dei quali non funzionano più”. Roy Donnelly ha affermato che la sua casa è stata perquisita a causa delle convinzioni politiche di suo figlio. “Hanno chiesto se Gary vive qui, ma sanno che non sta qui. Avevano già perquisito il suo appartamento quella mattina. Non ha vissuto qui negli ultimi anni e lo controllano così tanto che avrebbero dovuto saperlo”. “Mi sembra che abbiano cercato di arrivare a lui per così tanto tempo che hanno deciso di cercare di ottenere qualcosa anche dalla sua famiglia. Pure mia figlia è stata perquisita. Non sono mai stato coinvolto in qualcosa di politico, ma ora stanno solo cercando di perseguitare le famiglie dei repubblicani”.

Di Alessia Lai, www.rinascita.eu


19 luglio 1943 - Roma bombardata... u.s.urpata.


E' difficile per noi immaginare oggi, in un tempo di pace ormai consolidatosi negli anni, che il nostro paese possa aver vissuto vicissitudini tali a quelle che attualmente vivono un Iraq e un Afghanistan, o che in più o meno recenti passati hanno vissuto una ex Jugoslavia e un Vietnam.
 
Eppure, anche la nostra terra ha patito gli effetti devastanti della furia distruttrice dell'aviazione statunitense. Nient'altro che l'inizio di un percorso di democratizzazione deciso unilateralmente da una potenza straniera mediante il terrorismo aereo perpetrato ai danni delle nostre città e dei nostri connazionali.
 
Il 19 luglio 1943 la U.S. army iniziò un'efferata campagna militare per mezzo del bombardamento aereo sulla città di Roma. La campagna proseguì sino al 4 giugno 1944, entrata in città delle truppe americane di terra, così violando lo stato di città "aperta" che era stato conferito a Roma nella dichiarazione del 14 agosto 1943 ed universalmente riconosciuto.
In quella calda giornata estiva la Città Santa fu profanata dal fuoco democratico in un modo orribile che può esser descritto dalle cifre, fredde ed esplicative: 1.600 tonnellate di bombe sganciate provocarono 3.000 morti, 11.000 feriti, ingenti danni ad infrastrutture e monumenti, lo sfratto di 4.000 cittadini rimasti senza una casa.
 
Nessuna giurisdizione internazionale ha mai chiesto agli USA di render conto dei suoi massacri indiscriminati commessi ad ogni latitudine, pertanto essi si sentono legittimati a potersi macchiare di sempre nuovi ed arbitrari crimini ai danni dei popoli del globo al fine di "democratizzare", cioè usurpare ed occupare nuove fertili terre in cui instaurare una ingorda ed infame dittatura finanziaria.
 
Dal canto nostro, nessun lavaggio di cervello mediatico, nessuna intimidazione, nessuna legge ci impediscono di tenere accesa la fiaccola del ricordo verso i tanti nostri connazionali periti per mano dei cosiddetti "alleati". Il metodo con cui gli sceriffi dell'umanità intendono instaurare il nuovo ordine mondiale è sempre lo stesso e si manifesta in ogni dove sacche di resistenza al mondialismo sembrano contrapporsi ai loro disegni. Ravvivare il ricordo è aver coscienza dell'attualità!
 

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venerdì 16 luglio 2010

A CHE COSA SERVE LA TESSERA DEL TIFOSO? AL MARKETING.


Intervista a Maurizio Martucci uscita il 16-05-2010 sul Secolo d'Italia pag. 12 con presentazione di Miro Renzaglia.

Le tifoserie sono già scese sul piede di guerra contro la cosiddetta “Tessera del Tifoso”. E dopo aver manifestato pubblicamente a Roma con un corteo nei mesi scorsi, hanno cominciato il boicottaggio agli abbonamenti. Sbandierata come strumento di fidelizzazione fra club calcistico e supporter, la “tessera del tifoso” ha tutte le caratteristiche, invece, di una operazione sublimata fra interessi bancari, marketing e controllo sicuritario delle organizzazioni del tifo. Fra i più attenti ad interessarsene e ad illustrare di cosa veramente si tratta sono stati Fabio Polese, giovane dirigente dell’Associazione culturale “Tyr” di Perugia e lo scrittore Maurizio Martucci (Cuori Tifosi. Quando il calcio uccide, i morti dimenticati degli stadi italiani, Milano, Sperling & Kupfer, 2010). E’ lui a rispondere alle nostre domande.

Che differenza c’è tra la Tessera del Tifoso italiana e quelle già in uso nelle altre nazioni europee?

All’estero il modello è esattamente il contrario di quello voluto dal Ministro Maroni e dall’Osservatorio Nazionale sulle Manifestazioni Sportive. In Germania, Portogallo, Spagna e Inghilterra la tessera del tifoso non è obbligatoria ma facoltativa. Viene vissuta come un privilegio, non come un’imposizione calata dall’alto. E non è necessaria per abbonarsi allo stadio. Non è una carta di credito e nemmeno una carta ricaricabile. E’ una fidelizzazione attiva del fan alla vita del club: più stadio vivi, più trasferte fai, prima degli altri puoi prenotare il tuo posto per andare in trasferta. Ad esempio Chelsea e Liverpool offrono ogni anno delle vere e proprie ‘Priority Card’, per avere il diritto di prelazione all’acquisto dei biglietti prima di altri tifosi: più stadio vivi, più trasferte fai e, prima degli altri, puoi prenotare il tuo posto per andare in trasferta a Birmingham o Manchester. Nei paesi iberici, addirittura, la tessera del tifoso ti da diritto ad entrare davvero nel cuore del club: i tifosi di Barça, Benfica, Sporting e Real Madrid con queste carte ci eleggono pure il presidente. Ti dicono: preferisci Florentino Perez o Laporta per la presidenza? Una tessera, un voto. E non c’entrano niente i gadget né le banche. Non è una fidelizzazione commerciale come in Italia, dove si parla di sconti per stazioni di servizio dell’Autogrill o di merchandising. E poi, deve ancora essere presentato un ventaglio di servizi e prodotti. Pensate: stanno vendendo queste carte senza nemmeno informare il consumatore su quali offerte potrà contare. Ti dicono: “Tu intanto prenditela, poi ti diremo cosa farci!”

Chi potrà usufruirne e chi, no?

Pensata come strumento di contrasto al fenomeno della violenza nel calcio, stiamo assistendo al più classico scarica barile. Provate a chiedere ad un direttore di marketing di Serie A, B o Lega Pro se al momento della vendita della sua tessera del tifoso riuscirà a garantirvi l’incolumità fisica dentro e fuori lo stadio, in casa o in trasferta. Ti diranno: “Non dipende da noi”. Ah! no? E da chi deve dipendere? Eppure il contratto lo stipulate voi! Eppure negli stadi la sicurezza la garantiscono gli steward, che sono loro personale interno! La discriminante è la legge: non c’è una legge dietro il programma tessera del tifoso, e ogni società adotta arbitrariamente le sue soluzioni. Siamo alla deregulation. Alcune società la negano a chi ha dei carichi pendenti. Altre hanno rispolverato una legge del 1956 che parla di diffida del Questore per dediti all’ozio, vagabondaggio, spaccio di droga, sfruttamento alla prostituzione. E che c’entra un foglio di via per questi reati col calcio? Tutti i club la vietano ai destinatari di DASPO e ai condannati per reati da stadio anche in primo grado. Ecco il punto: e se uno viene assolto in appello o in cassazione? Dov’è il garantismo e il presupposto di non colpevolezza fino al terzo grado di giudizio? Capitolo DASPO: chi c’è l’ha già, lo scorso anno non poteva comprare i biglietti nominativi e non entrava allo stadio. Dov’è la novità della tessera del tifoso? Siamo all’isterismo normativo.

Ma non doveva servire solo per garantire di seguire la propria squadra nelle trasferte?

Sì, ma guardiamo il precedente dell’ultimo Genoa-Milan: da Milano, 371 tifosi avevano comprato i biglietti. Inutilmente: la trasferta è stata vietata e la partita giocata a porte chiuse! A mio avviso la situazione potrebbe anche peggiorare. Perché per le prossime trasferte molti potrebbero evitare il settore ospiti, mischiandosi nelle tribune o nelle curve confinanti. Si tornerebbe ad una condizione tipica degli anni ’80, quando i tifosi avversari erano a contatto con quelli di casa. E intorno c’era il cordone della Polizia a sorvegliarli. E’ già successo all’ultimo Siena-Roma.

Come mai una semplice tessera ha bisogno di un codice IBAN?

Non potendo imporre l’apertura di milioni di conti correnti bancari ex novo ai tifosi di calcio italiani, si sono limitati a realizzare carte ricaricabili, tipo bancomat al possessore, cioè: spendi moneta elettronica finché ci ficchi dentro moneta vera. E’ il paradiso delle banche: liquidità in cambio di virtualità! Statistiche alla mano, è un mercato potenziale di circa di circa 4 milioni di nuove carte ricaricabili da attivare dall’oggi al domani. Ogni operazione, tipo una ricarica o una movimentazione standard, costa in media 1 euro. Ogni carta, cioè ogni tessera del tifoso venduta, in media costa 10 euro. Moltiplicate per 4 milioni di clienti… e il conto totale è presto fatto.

E la privacy? E il micro-chip a tecnologia Radio Frequency Identification?

E’ un micro-chip che memorizza dati, localizzandoli anche geograficamente, canalizzandoli dentro un data base a disposizione di Club, società emettitrici delle carte (ad esempio la Lazio ha la carta con Poste Italiane) e società convenzionate agli sconti (gli Autogrill, per esempio). Un data base su cui fare marketing 365 giorni l’anno! Entri in quel circuito ed è fatta! Ti arrivano sms, newsletter, promozioni, opuscoli pubblicitari. Già nel 2005 il Garante della Privacy metteva in guardia sulle criticità di questo RFID. Tranne pochissime eccezioni, tutti gli altri contratti dei club che ho potuto esaminare, nemmeno riportano la sigla della tecnologia a radio frequenza e neanche le disposizioni di privacy che invece il Garante dice di richiamare in modo scrupoloso.

Secondo lei, entrerà in vigore puntuale con l’inizio del campionato 2010/2011?

Già abbiamo assistito a 2 precedenti slittamenti. Non c’è 2 senza 3! Scherzi a parte, sono sicuro di una cosa: sin dalla prima di campionato ci saranno grosse anomalie e molte disparità in Italia. In questi giorni il Ministro Maroni ha mandato un segnale preciso ai club inadempienti: “Chi è senza tessera del tifoso, ne pagherà le conseguenze!” Beh, guardiamo proprio alle conseguenze, cioè alle spese: la gran parte degli stadi sono comunali. Molti Comuni hanno le casse prosciugate e i conti in rosso. Non sanno come far fronte alle spese per comprare tornelli, i lettori contactless per vagliare i micro-chip a RFID e nemmeno sono stati costruiti i tanto sbandierati varchi di accesso privilegiati. Su 132 società tra A, B e Lega Pro, ad oggi almeno il 75-80% non ha ancora la tessera del tifoso. E molti stadi non sono a norma. Quindi, a meno di un clamoroso miracolo all’italiana nei mesi feriali di luglio e agosto, immagino ad esempio i tifosi di Milan e Varese che avranno le loro tessere del tifoso e quelli di Bari e Rimini che saranno senza…


mercoledì 14 luglio 2010

Guerriglia a Belfast.


Sembra strano ma nel 2010 c'è chi lotta ancora contro l'invasore...Anche in Europa.

Non sarà la devolution, il trasferimento dei poterei giudiziari e di polizia approvata dal parlamento di Stormont, da un Sinn Fein oramai visto come una stampella del potere britannico nelle Sei Contee, a cambiare la condizione della comunità cattolica. È fin dall’Accordo del Venerdì Santo, dal ’98, che il partito di Gerry Adams ha smesso di rappresentare l’anelito di libertà di un popolo che ha sofferto e soffre per la dominazione britannica. I quartieri cattolici delle città nordirlandesi sono i sobborghi nei quali la prospettiva principale è vivere con i sussidi statali. Essere cattolici in Nordirlanda pone gli stessi problemi di dodici anni fa. La “normalizzazione” è stato un gioco di potere sulla pelle della comunità cattolica, è per questo il Nordirlanda resta una terra insorgente. Lo ha dimostrato anche in questi giorni, in occasione dell’annuale periodo delle parate orangiste: rito tutto britannico di prevaricazione. Non basta il folklore, o il tentativo della BBC di presentarle come un momento di festa, a camuffare delle celebrazioni che hanno il chiaro e preciso intento di dimostrare chi comanda in Ulster. È un momento in cui la tensione, nelle Sei Contee, diventa altissima, alimentata dalle persecuzioni della polizia che, con fermi e arresti arbitrari, applicando il cosiddetto “stop and search”, fa sentire ai rappresentanti della comunità il peso del potere britannico. Sabato scorso, 24 ore prima a Belfast era stata arrestata e rilasciata dopo qualche ora Marian Price, del 32 Csm. Nella notte fra domenica e lunedì, all’alba del 12 luglio, è toccato invece a Terry McCafferty. Terry è stato prelevato dalla Psni mentre sei camionette blindate impedivano l’accesso alla sua abitazione. Sembra che sia stato accusato di complicità nel tentativo di omicidio di agenti di polizia per i colpi d’arma da fuoco esplosi nella notte tra sabato e domenica nel quartiere di New Lodge, durante un assalto portato alla Psni da un gruppo di nazionalisti. Anche per questa ragione lunedì, nell’Ardoyne, quartiere cattolico di Belfast, si respirava un’aria pesante. Il sobborgo è stato teatro di tensioni prima del passaggio della parata orangista e di violenti scontri una volta che i protestanti sono riusciti, ma solo dopo ore di attesa, a fare il consueto affronto alla comunità cattolica passando con i loro stendardi davanti al sobborgo di Belfast. Ma è stata una marcia in tono minore, rallentata dalla protesta pacifica inizialmente messa in atto da militanti repubblicani. “Resident non dissident” e “no parade no violence” erano le frasi riportate sui cartelli che i circa cento manifestanti hanno mostrato alla Psni/Ruc durante un blocco stradale che è riuscito a rallentare la messa in scena dell’affronto orangista. Un confronto estenuante con la polizia, che è stata costretta a portare via con la forza i manifestanti uno per volta mentre opponevano una resistenza passiva. Il corteo arancione è poi passato, come sempre, ma l’Uvf, contrariamente ad alcune voci che circolavano durante il pomeriggio, non si è fatta vedere. La tensione, le centinaia di persone raccolte in Ardoyne road, hanno probabilmente scoraggiato i paramilitari lealisti dal partecipare alla marcia. Con un ora e mezza di ritardo, allontanati gli ultimi manifestanti cattolici pacifici dal centro della strada, la parata dell’orgoglio orangista è potuta andare in scena.
Scortati dalla polizia, protetti da due lunghe file di blindati sistemate ai lati della strada, gli orangisti hanno sfilato davanti ad Ardoyne road. Ed è stato allora che sono iniziati gli scontri, poi andati avanti fino alle prime ore dell’alba di martedì.
Moltov, barricate per proteggersi dagli spari dei cannoni ad acqua, centinaia di ragazzi hanno affrontato i plastic bullet. Un gruppo di circa 200 persone ha attaccato con bastoni e sassi un gruppo di quattro blindati e dopo qualche ora di confronto, nello slargo di Ardoyne road, gli streetfighters nazionalisti hanno caricato i reparti antisommossa ricacciandoli fuori dal sobborgo, esattamente a ridosso del quartiere protestante. Durante la cacciata dei blindati, mentre gruppi di ragazzi usavano i tetti dei negozi come bastione, tirando sassi e oggetti verso la polizia, è stata colpita da un grosso sasso una donna poliziotto, poi trasportata all’ospedale. La guerriglia urbana è continuata fino all’alba di martedì, con l’Ardoyne stretto nelle barricate fatte di macchine date alle fiamme. Anche a Derry i nazionalisti hanno ingaggiato, a Bogdside, scontri con la Psni. I manifestanti hanno lanciato bombe molotov contro un’auto della polizia dandola alle fiamme, mentre uno, sbucando da dietro un pub ha esploso contro l’auto cinque colpi d’arma da fuoco. 82 i poliziotti rimasti feriti in due giorni di scontri.
Non è un bollettino da terra “pacificata”, per quanto Londra e i suoi scagnozzi dello Sinn Fein fingano che esista e si stia compiendo un processo di pace. È quello che vuol sentirsi raccontare un’Europa che non vede, o probabilmente non vuole vedere, che al suo interno esiste una zona d’ombra: la condizione dei repubblicani irlandesi. Perseguitati nei loro quartieri, umiliati nelle carceri britanniche con la privazione dello status di detenuto politico e maltrattamenti incompatibili con i principi di uno Stato che si definisce democratico.


http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id=3114


lunedì 12 luglio 2010

FATTI, NON PAROLE!


Continua l'attività dell'Associzione Culturale Tyr Perugia in collaborazione con la Comunità Solidarista Popoli e l'Associazione Benefica di solidarietà con il Popolo Palestinese (ABSPP), lancia l'iniziativa di adozione a distanza di piccoli orfani palestinesi. Gli orfani provengono dalla Striscia di Gaza, dalla Cisgiordania e dai campi profughi palestinesi del Libano, Giordania e Siria.

Per info: controventopg@libero.it e info@comunitapopoli.org

 




 



COME FUNZIONA L'ADOZIONE A DISTANZA DI UN ORFANO?

Prevede il sostegno di un bambino orfano dei campi profughi palestinesi sparsi in medio oriente. L’importo è di seicento euro l'anno e può essere versato mensilmente (50 euro), o in un’unica soluzione. La somma sarà così impegnata mensilmente: 45 euro li gestiranno la famiglia del bambino per le esigenze primarie (alimenti) e 5 euro (integrati da ulteriori 15 euro assegnati dall’ABSPP) le associazioni di volontari presenti all’interno dei campi profughi per i progetti paralleli (cartella scolastica, assistenza sanitaria, vestiario e colonia estiva).

Chiunque può aderire al programma di sostegno a distanza: singoli, famiglie, gruppi di amici, scuole, ditte...

In genere l’impegno dura un anno, ma il sostegno può interrompersi per cause indipendenti da noi (per esempio il trasferimento del bambino in un’altra località). In questo caso avvertiremo e proporremo un altro bambino. Inizialmente viene inviata la scheda del bambino/a contenente i dati personali, la fotografia, informazioni del programma di sostegno. Periodicamenete vengono inviati aggiornamenti.

Invitiamo tutti a sostenere questa nostra iniziativa e ad adottare un orfano palestinese.


domenica 11 luglio 2010

Belfast si prepara al 12 luglio.


La stagione calda nordirlandese cade tra giugno e luglio, e non per fattori metereologici. Sono i mesi delle parate protestanti, delle manifestazioni orangiste che celebrano date ed episodi storici per i britannici. Nulla da festeggiare, in questo periodo, per la comunità cattolica, per cui le marce in pompa magna non sono altro che la manifestazione di un potere arrogante e oppressivo. L’ostentazione del dominio britannico sulle sei contee.
Le parate sono centinaia e si svolgono in tutte le città nordirlandesi organizzate dalle logge orangiste - fin dall’ ‘800  depositarie della fedeltà alla Corona britannica e della difesa del culto protestante – che in molte occasioni pretendono di sfilare nei quartieri cattolici. Prevedibili, in queste occasioni, le contromanifestazioni degli irlandesi repubblicani che culminano in disordini e scontri con la polizia.
Tanto che è stata istituita un’apposita Commissione Parate – della quale si sta di ultimamente ipotizzando lo scioglimento – incaricata di vagliare opportunità e fattibilità delle marce in relazione alla possibilità che possano scatenare rivolte. Con la recente approvazione della devoluzione dei poteri di polizia e giustizia al Parlamemto di Stormont, in molti, tra i protestanti, hanno chiesto l’abolizione della Commissione, ritenuta inutile.
La realtà è che, Commissione o meno, le parate orangiste rappresentano un’ulteriore umiliazione per una comunità repubblicana irlandese relegata in un’esclusione sociale che ancora, nel secondo millennio, in Europa, ne pregiudica nei fatti l’accesso al lavoro, all’istruzione, ad una reale parità con i cittadini protestanti.
Sono questi i motivi dei fuochi di rivolta mai sopiti nelle 6 contee, che in occasione delle parate aumentano per intensità e partecipazione.
Venerdì, sabato e domenica scorsi centinaia di giovani hanno ingaggiato scontri con la Psni nella zona ovest di Belfast: tre serate di molotov, bottiglie e pietre lanciate contro la polizia da gruppi rivali lealisti e nazionalisti. Il bilancio è stato di due manifestanti feriti dai proiettili di gomma usati dalla polizia per disperdere la folla.
Nella notte tra lunedì e martedì una molotov è stata gettata contro la Orange Hall di Rasharkin, un villaggio a nord di Belfast nella contea di Antrim, danneggiando la porta d’ingresso. Venerdì ad essere bersagliata è stata la sede dello Sinn Fein di Limavady, nella contea di Derry, e il giorno prima, nella stessa cittadina era stata attaccata una Orange Hall. Che a diventare obiettivo delle proteste sia anche il partito di Gerry Adams non stupisce di certo, visto che le sue politiche vengono ormai percepite dai cattolici come volte al compromesso ai danni della comunità repubblicana, mai tutelata nei suoi diritti, le cui condizioni sociali ne fanno una minoranza discriminata. L’anno scorso, in occasione della parata clou del 12 luglio (poi spostata al 13) militanti dello Sinn Fein avevano cercato di contrapporsi fra i gruppi lealisti e i giovani del quartiere cattolico dell’Ardoyne attraversato dalla marcia provocatoria. Ne era seguita la fuga dei “pacieri” di Adams, travolti dalla rabbia dei giovani repubblicani: era stato il paradigma della pace impossibile. Il 12 luglio arriverà anche quest’anno: la parata per eccellenza, the glorious Twelfth - che celebra il giorno in cui  nel 1690, il re protestante Guglielmo III d’Orange sconfisse il re cattolico Giacomo II nella battaglia del fiume Boyne, sancendo così il predominio dei protestanti sui cattolici irlandesi – tornerà con il suono lugubre dei tamburi. Probabilmente accolta dal fuoco delle molotov.

Di Alessia Lai, www.rinascita.eu